Categorie
News

Alan Wake 2 si mostra un’ultima volta nel trailer di lancio

Con il preload già disponibile dalle sei del mattino di ieri, ora italiana, Alan Wake 2 si prepara ad atterrare su PS5, Xbox Series S/X e PC e lo fa grazie a un trailer decisamente ispirato che Remedy ha preparato per noi videogiocatori.

In 1 minuto e 49 secondi, la software house finlandese ha provato a racchiudere quel misto di horror, poliziesco e noir che ci aspettiamo di vedere nel sequel di Alan Wake dopo 13 anni dal suo piacevole primo arrivo.

Il launch trailer concentra la sua attenzion su un serial killer rituale di un piccolo paesino e sulla dicotomia tra la vita da scrittore dell’incubo di Alan e la nuova protagonista, l’agente FBI Saga Anderson. Un mondo reale dove c’è un assassino da catturare e un universo onirico dove gli incubi diventano sempre più oscuri e su cui potremmo sostare a nostro piacere durante la nostra avventura rigorosamente in terza persona.

Per Remedy sono stati tredici anni di lavoro e ispirazione che ha voluto mostrare a ridosso dell’uscita di Alan Wake 2 con questo trailer. Noi ci abbiamo visto, come già nel primo capitolo, non solo Stephen King e Twin Peaks, ma anche The Medium di Bloober Team e un frame molto simile alla copertina di The Evil Within 2 di Shinji Mikami. Il resto lo scopriremo il 27 ottobre 2023.

Categorie
Recensioni

EA Sports FC 24 – Recensione

Iniziò tutto con la Superlega. Le big del calcio avevano scosso il mondo del soccer con la loro volontà di creare una competizione proprietaria, con evidenti risvolti anche sugli esport. Oggi la Superlega sembra naufragata, ma la coscienza di tifosi e aziende è stata smossa: può esistere un calcio slegato dalla FIFA? La domanda per il calcio giocato è no, almeno per ora. Un calcio virtuale senza FIFA invece è già nato e prende il nuovo nome di EA Sports FC 24, di cui state leggendo la recensione.

La motivazione del cambio di nome, dopo trent’anni di collaborazione, sembra essere un mancato accordo sui diritti tra Electronic Arts e FIFA. Personalmente ritengo che questa sia solo la punta di un iceberg che coinvolge anche la Superlega, ma soprattutto la presa di coscienza di EA, che ha capito di aver creato, con Ultimate Team, qualcosa che potrebbe essere grande tanto quanto il calcio stesso.

Terminata questa disgressione, la maggior parte di voi vogliono sapere: ma è solo questione di nome? Il verdetto lo troverete nelle conclusioni di questa recensione di Sports FC 24, ma per capire la nuova veste di FIFA bisogna comprendere che è difficile, e ragionevolmente non voluto, stravolgere di punto in bianco il videogioco che genera più introiti (oltre due miliardi annui).

Recensione EA Sports FC 24: ingresso

Cambio di casacca

HyperMotionV è il primo cambiamento, o meglio aggiornamento, che spiega al meglio cosa è FC 24. L’ultima versione del sistema di intelligenza artificiale di Electronic Arts si aggiorna dopo aver letto 180 delle migliori partite tra le competizioni UEFA. Il risultato è un gameplay più lento in un’anima arcade, che andando avanti con le partite, soprattutto online, tende a farmi pensare che sia solamente impreciso e pieno di rimpalli.

La dicotomia lento e arcade rafforza i risultati non brillanti dello scorso anno. Provare a rendere il gioco più realistico ha di fatto reso l’opera più dipendente dalla fortuna; i videogiocatori più esperti stanno già tentando di contrastare la sorte sfruttando calciatori più tecnici capaci di girarsi mille volte su sé stessi. ma così facendo l’intera serie fa un passo indietro di parecchi capitoli, a discapito proprio del realismo.

Il secondo cambiamento più importante di EA Sports FC 24 rispetto al suo predecessore FIFA 23 (Recensione) è un’interfaccia grafica più snella, anche se non necessariamente più intuitiva.

I menù sono decisamente minimali, il Quick Resume della versione Xbox che abbiamo testato adesso funziona veramente e ritornare in-game dopo esserci dimenticati di scollegarci da Ultimate Team è di gran lunga più immediato. Un cambio di nome richiedeva anche un cambio di interfaccia utente: è arrivata, tutto sembra più lineare ma abituarsi richiede un po’ di tempo così come capire cosa ci siamo persi quando un pallino rosso ci indica che ci siamo dimenticati di ritirare un premio da un obiettivo.

D’altro canto, le modalità di gioco sono sempre le solite: Ultimate Team, Carriera, Club e Volta. In ordine di innovazione, la modalità Carriera è quella che ha ricevuto maggiori novità, seguita a ruota da (F)UT. Pro Club e Volta hanno ricevuto il cross-play ma non mi dilungherò ulteriormente perché sono esattamente quanto già visto durante lo scorso anno.

Ultimate Team

UT ha perso la lettera iniziale ma non le sue caratteristiche principali. Electronic Arts non ha nessun motivo per cambiare una modalità che genera guadagni per oltre due miliardi di dollari e, come ci aspettiamo un po’ tutti, la modalità online per eccellenza di FC 24 è sempre la stessa, al netto di un paio di novità e qualche aggiustamento.

La novità più interessante prende il nome di PlayStyles. Per gli appassionati della serie FIFA non si tratta di una vera e propria novità, ma piuttosto un pesante rework ai Tratti dei calciatori. Gli Stili di gioco sono 34 e si dividono in due tier: PlayStyle e PlayStyle+. La differenza? Le versioni plus sono semplicemente più efficaci.

Ho provato alcuni degli Stili di gioco che vanno per la maggiore e posso confermare che fanno la differenza, ma non sono certo che sia totalmente un bene; infatti, ci sono diversi calciatori che hanno lo stesso stile e struttura di Federico Chiesa, ma sono in pochi quelli che hanno anche lo stesso PlayStile che gli permette di correre come un treno; di conseguenza, ci saranno necessariamente calciatori che saranno preferiti ad altri perché hanno determinati Stili e ovviamente chi ne risentirà sarà la varietà del gioco come già sta avvenendo con il PlayStyle della Trivela, abilità attualmente rotta nella modalità online.

Recensione EA Sports FC 24: Federico Chiesa

Le Evoluzioni sono la seconda aggiunta. Si tratta di un nuovo tipo di carte, ottenibili come miglioramento di calciatori già presenti nel nostro Club. Le Evoluzioni hanno un funzionamento leggermente diverso, ma alla fine ricordano una via di mezzo tra Sfida ed SBC. Pagando una certa quantità di denaro o coin, e completando delle sfide, è possibile migliorare una carta, a patto che abbia caratteristiche che dipendono dall’Evoluzione, cioè l’evento che è in corso in quel momento. Non è facile capire quanto saranno determinanti, ma penso che sia un test anche per EA, come già fatto per i Momenti lo scorso anno.

Infine, non dimentichiamo un’importante cambiamento a una meccanica fondamentale dello scorso anno: gli Stili di corsa. Il sistema AcceleRATE diventa 2.0, passando da tre a sette Stili di corsa. A Controllata, Esplosiva e Prolungata, si aggiungono:

  • Esplosiva controllata – 50% Esplosiva, 50% Controllata
  • Più esplosiva – 70% Esplosiva, 30% Controllata
  • Prolungata controllata – 50% Prolungata, 50% Controllata
  • Più prolungata – 70% Prolungata, 30% Controllata

Lo scorso anno i calciatori Lengthy avevano un vantaggio enorme. Nel corso dell’anno capiremo se sarà ancora così.

Il nuovo Meta di UT

La nostra recensione di EA Sports FC 24 non può non passare su come il gameplay abbia modificato il Meta di Ultimate Team. Parliamoci chiaro: nulla che non si sia già visto nel passato, ma rispetto a FIFA 23 ci sono diversi cambiamenti.

Prima di entrare nel tecnico, non posso che constatare quanto le calciatrici introdotte per la prima volta su Ultimate Team stanno avendo un impatto veramente importante e anzi ritengo che la loro inclusione abbia spinto Electronic Arts verso un cambio di gameplay distante dai Lengthy dello scorso anno.

La differenza più lampante tra FC 24 e FIFA 23 è il ritorno in Meta dei calciatori piccoli e tecnici. Muoversi con l’analogico sinistro è maggiormente efficace e difendersi diventa sempre più complicato. Questo ci introduce alla seconda novità che è la difesa. Quest’anno difendere è più complicato tanto che EA ha nuovamente introdotto la Difesa Avanzata, che ci permette di scegliere tra il contrasto in piedi oppure la “spallata”, arma assolutamente rotta visto che è possibile usarla con efficacia anche con giocatori minuti (anche le calciatrici).

Nel momento in cui scrivo, i calciatori minuti stanno avendo la meglio sui lengthy ma quest’ultimo stile di corsa è decisamente più performante; di consegeunza, sarà curioso capire come si evolverà la situazione quando le statistiche tenderanno verso l’altro.

Infine, ci sono già alcuni Stili di gioco in Meta e mi aspetto che continuerà così per tutto l’anno, con calciatori e calciatrici completamente fuori controllo così come già avviene da anni con i TOTY o i TOTS.

Carriera

Chi non ama il multiplayer, potrà gioire della scelta di EA di portare avanti la modalità Carriera con due nuove idee, anche se ancora in fase embrionale.

L’Idea tattica permette, all’inizio di una nuova partita, di scegliere tra sei nuove idee che prendono spunto dal calcio giocato: Gioco sulle ali, Tiki-taka, Gegenpressing, Difesa a oltranza, Contropiede e Palla lunga. Una volta scelta l’idea, il videogioco si adatterà alla scelta e muoverà le fila seguendo la nostra filosofia calcistica. Siamo ben lontani dalla personalizzazione di Football Manager, ma anche dalla profondità di eFootball (soprattutto il vecchio PES), ma può essere l’inizio di qualcosa di buono.

L’altra novità sono i Preparatori che una volta assunti aumentano la profondità delle scelte possibili e le possibilità di miglioramento di una parte della squadra.

Conclusione

EA Sports FC 24 ha ancora un’anima strettamente legata a FIFA, così come ci si aspetta dal videogioco più venduto del mondo. Del resto con un così gran flusso di cassa annuale, perché Electronic Arts dovrebbe cambiare? Ccome ogni anno, se siete degli appassionati della serie, comprare FC 24 è un acquisto sicuro. D’altro canto, non ci sta nessun vero motivo per iniziare adesso. Il cambio di nome e l’aggiunta del calcio femminile rimangono il cambiamento principale, mentre tutte le altre novità non cambiano il gioco in qualcosa di mai visto. Un’occasione sprecata? No, semplicemente il buon vecchio FIFA, ma soprattutto il buon vecchio Ultimate Team, nel bene e nel male.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, Xbox Series S|X, Switch, PC, PS4, Xbox One
  • Data uscita: 29/09/2023
  • Prezzo: 79,99 €

Ho provato il gioco a partire dal day one su Xbox Series X grazie a un codice fornito dal publisher.

Categorie
Recensioni

Resident Evil 4 Separate Ways – Recensione

Mentre il buon Leon Kennedy fa di tutto per portare a casa sana e salva Ashley, la figlia del Presidente degli Stati Uniti, c’è una figura che agisce nell’ombra, che porta avanti la sua missione e che, al contempo, fa da angelo custode al nostro biondo eroe. Si potrebbe riassumere così il plot di Separate Ways, eccellente DLC di Resident Evil 4 Remake, rilasciato da Capcom a completamento del quarto capitolo della fortunata saga horror.

Da amanti della serie, un po’ ce lo aspettavamo, anzi, saremmo rimasti assai delusi se la software house nipponica avesse scelto non riproporre la storia di Ada Wong presente, perlatro, nel gioco originale del 2005 e che tante risposte aveva dato ai giocatori dell’epoca.

E dobbiamo dirlo: “Strade Separate” è un eccellente prodotto su cui gli sviluppatori hanno lavorato sia in termini di rielaborazione della trama sia per quanto concerne il comparto tecnico.

Chi vi scrive lo ha terminato in circa 4 ore e mezza a livello normale notando un ottimo bilanciamento della difficoltà che aumenta di pari passo con le attrezzature in dotazione e che potremo migliorare, riparare, vendere e comprare dal mercante, già al servizio di Leon. Ma andiamo con ordine…

Carissima Ada

Senza sfondare il muro dello spoiler, Separate Ways ci fa rivivere la spaventosa epopea in terra spagnola di Resident Evil 4 questa volta nei panni della femme fatale Ada Wong, agente segreto al soldo di Albert Wesker (ben noto cattivone che presto si prenderà la scena quale vero villain della saga), che ha come obiettivo quello di recuperare l’Ambra, da cui, pare, si sia sviluppata l’infezione che ha falcidiato il villaggio di Valdelobos e dintorni.

Resident Evil 4 Separate Ways: Ada Wong mira

La donna sarà aiutata da Luis Sera, scanzonato e simpatico ricercatore della Umbrella Corporation prima e a libro paga del famigerato Saddler poi. Le sue vicende si intrecceranno con quelle di Leon e la porteranno al loro fondamentale incontro al castello di Salazar.

Separate Ways assolve egregiamente il compito di fornire nuovi elementi alla storia di Resident Evil 4, gettando le basi per il futuro remake, da parte nostro abbastanza scontato, di Resident Evil 5.

Facendosi largo tra nemici sempre più potenti, Ada riuscirà a portare a termine la sua missione? La scopriremo essere davvero una donna di ghiaccio o mostrerà anche un lato più umano e compassionevole? Queste risposte le lasciamo a voi e ai vostri pad. Una cosa ve la diciamo però: peccato per il finale…

Azione? Altro che Leon!

Nei panni di Ada, come detto, dovremo affrontare sostanzialmente lo stesso tipo di nemici che hanno intralciato Leon ma potremo affrontare le sfide in modo diverso. La velocità degli scontri e la frenesia degli attacchi saranno, infatti, maggiori con la bella Ada, non solo per la sua spiccata agilità che, vivaddio, cancella la legnosità di Leon spalle al muro (per sapere di cosa parliamo, vi invitiamo a dare un’occhiata alla recensione di Resident Evil 4 Remake) ma anche per il rampino che potremo sia utilizzare per salire rapidamente sul tetto di un edificio, sia per avventarci sui nemici storditi in men che non si dica e finirli. E non ditemi che non vi sentivate frustrati quando non riuscivate con il biondo agente a raggiungere in tempo il ganado di turno vedendolo riprendersi e gettando a mare un parry perfetto.

Grazie al rampino potremo volteggiare da una costruzione all’altra senza problemi e affrontare i nemici da angolazioni più favorevoli. Certo, la programmazione ci impedisce di trasformarci in Batgirl e vivere un’avventura in chiave stealth e avvolti dalle tenebre ma, comunque, il rampino sarà un nostro fondamentale e fedele alleato per tutta l’avventura. Basti pensare che una bossfight che non vi sveliamo sarebbe pressoché impossibile da completare senza il suo ausilio.

Sviluppato in modo intelligente il comparto dedicato agli enigmi, diversi da quelli che hanno messo alla prova Leon ma, spesso, connessi alle soluzioni da lui trovate. Come detto, ci saremmo aspettati qualcosina in più in termini di trama, soprattutto nelle battute finali ma saremmo bugiardi se dicessimo che il gioco non sia divertente e assolutamente scorrevole.

Visto che vista?

Da un punto di vista tecnico, il DLC è quello che ci aspettavamo: il motore RE Engine, fa il suo lavoro egregiamente. La versione PC che abbiamo provato ci ha colpito per il dettaglio dei personaggi anche se non ha fatto gridare al miracolo. Esattamente come la storia principale. A tal proposito ci teniamo a rimarcare un concetto già espresso nel commento di RE4: il gioco è ben fatto ma non possiamo definirlo assolutamente facente parte della nextgen. È un ottimo cross-gen, niente di più.

Molto bella la resa delle capacità date dall’ I.R.I.S. che permettono ad Ada di vedere particolari invisibili ad un occhio umano. Non stiamo parlando di un potere centrale né tantomeno determinante ai fini della trama e del completamento del gioco ma è una chicca tutta da gustarsi.

Nessun crollo di frame improvviso durante le fasi più concitate, nessun rallentamento o bad clipping quando sullo schermo ci sono orde di nemici a fare compagnia ad Ada o durante le boss fight; insomma: nessun balbettamento tecnico a conferma del lavoro di sviluppo minuzioso fatto dalla software house del sol levante.

Conclusione

Separate Ways, in definitiva, rappresenta un prodotto di assoluto valore che merita di essere giocato dagli amanti della serie. Aggiungiamo anche che il prezzo di vendita, accessibile a tutti, lo rende un must have per chiunque abbia apprezzato Resident Evil 4 Remake. Come accennato, inoltre, alcuni spunti e alcune location (vi dice niente il laboratorio?) inedite sono un evidente gancio ai futuri prodotti Capcom che, si spera, siano di livello ancora superiore tanto di far riappassionare chi ha giocato agli originali e da stregare anche le nuove generazioni di videogiocatori.

Il nuovo DLC di Resident Evel 4 Remake costruisce una storia parallela solida, divertente e, alle volte, anche sorprendente. Un ottimo lavoro che va ad accrescere il valore già alto del RE4 e che ci fa conoscere ancora meglio il carattere, le capacità e le intenzioni della bella e misteriosa Ada Wong.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, PS4, Xbox Series X/S, PC
  • Data uscita: 21/09/2023
  • Prezzo: 9,99 €

Ho provato il gioco a partire dal day one su PC grazie a un codice fornito dal publisher.

Categorie
Editoriali

The Talos Principle 2: Intervista a Jonas Kyratzes

Recentemente, è stata rilasciata la data di uscita ufficiale dell’atteso puzzle filosofico a cura di Croteam: The Talos princple 2 esce il 2 novembre 2023, tutti i videogiocatori potranno finalmente mettere le mani sul titolo completo.

Nell’attesa, abbiamo avuto modo di provare il gioco in anteprima, oltre all’onore di un’intervista esclusiva con Jonas Kyratzes, lead writer del team dietro la creazione di The Talos Principle 1 prima, e del suo seguito adesso.

Vi ricordiamo che una demo è disponibile gratuitamente su Steam, e vi invitiamo caldamente a provarla, vista l’ampissima mole di contenuto che regala.

Nell’intervista qui di seguito potrete leggere un’interessante discussione che esce dai limiti del videogioco, sfociando in contenuti filosofici – e in un certo senso antropologici – ma anche di puro mercato: cosa comporta lavorare a un gioco così legato alla filosofia, e cosa è lecito aspettarsi dal venturo nuovo capitolo.

IlVideogiocatore.it: Perché sentivate il bisogno di un sequel? Pensate che c’erano molti altri temi inesplorati di cui volevate parlare, che per una ragione o un’altra sono stati tralasciati in The Talos Principle 1?

Jonas Kyratzes: La struttura di base di The Talos Principle 2 è stata creata durante le fasi finali di The Talos Principle 1, ed è anticipato sia in The Talos Principle 1 che nel suo DLC, Road to Gehenna. Abbiamo sempre saputo che fosse possibile raccontare altre storie in questo mondo, e la filosofia certamente non termina con le questioni di identità esplorate nel primo gioco. Al contrario, comincia lì.

IlVideogiocatore.it: The Talos principle 1 è stato rilasciato nel lontano 2014, e quasi una decade è passata. Il rapporto dei videogiocatori con il genere dei puzzleè cambiato nell’ultima decade? Se sì, come questi cambiamenti hanno influenzato The Talos Principle 2?

Jonas Kyratzes: Non so se siano cambiati, e se lo hanno fatto, non è stato qualcosa che abbiamo preso in considerazione. Abbiamo solo provato a fare un buon gioco che proseguisse logicamente dal primo.

IlVideogiocatore.it: In The Talos principle 1, la storia è stata scritta dopo aver stabilito le meccaniche essenziali, con la narrazione costruita attorno al gameplay. Il vostro approccio è cambiato nel sequel?

Jonas Kyratzes: Ncessariamente. Perché sia possibile un sequel genuino (invece di una mera ripetizione), design e narrazione devono andare di pari passo dal giorno 1. Ciascuno doveva tenere l’altro in considerazione così che potessimo dare forma al mondo creato alla fine della storia originale.

IlVideogiocatore.it: The Talos principle 1 aveva qualche puzzle particolarmente complesso. Dovremmo aspettarci un range di difficoltà simile nel sequel?

Jonas Kyratzes: La curva di difficoltà del sequel è un po’ differente, nel senso che i puzzle più complessi non sono tutti ammassati alla fine, e inoltre ci sono ridondanze e modi di saltare certi rompicapo. Questo significa che è molto più improbabile rimanere bloccati in modo frustrante. Detto ciò, c’è comunque un importante livello di sfida per coloro che lo desiderano, e la storia li ricompenserà per averli completati.

IlVideogiocatore.it: Alcune discussioni attorno The Talos principle 1 suggerivano che il gioco fosse a favore dell’ateismo. Anche se io ritengo che sarebbe eccessivamente semplicistico parlare del gioco in questi termini, certamente la religione è un tema centrale in The Talos principle 1. Pensi che la religione sia cruciale per definire la società e inoltre, la religione verrà discussa anche in The Talos principle 2?

Jonas Kyratzes: La fede, piuttosto che la religione per sé, è uno dei temi più importanti di The Talos principle 2. La fede può essere pericolosa, può essere fuorviante, ma è anche necessaria. La domanda è: dove poniamo la nostra fede? Nei leader, negli eroi, nella natura o in noi stessi, nell’umanità? Alexandra Drennan, la scienziata dal primo gioco, possedeva un bellissimo, ottimistico ethos umano. Che cosa ci vuole per rendere quella visione reale, e come puoi continuare ad avere fede quando è facile diventare cinici o misantropi?

IlVideogiocatore.it: Devolver Digital è sicuramente cresciuta in popolarità negli anni che separano The Talos principle 1 da The Talos principle 2. Questa crescita ha influenzato il vostro rapporto con il publisher?

Jonas Kyratzes: Croteam appartiene a Devolver, a dire il vero. Ma sono eccezionali e sono stati molto supportivi. Decisamente non c’è nessuno dietro di me che impugna una pistola mentre scrivo queste parole.

IlVideogiocatore.it: Alcuni ritengono che il vostro gioco usi l’intelligenza artificiale per parlare degli umani, mentre altri dicono che ha usato umani per parlare di IA. I recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale generativa hanno influenzato il gioco, o la sua filosofia?

Jonas Kyratzes: A dire il vero, no. Gli LLMs sono una tecnologia affascinante, e il machine learning in generale ha molteplici applicazioni utili, ma non sono intelligenza artificiale generale, e non hanno avuto alcun impatto sulla storia.

IlVideogiocatore.it: Nel gameplay trailer, il narratore domanda “perché puzzle?”, suggerendo che questa volte il narratore domanderà il suo scopo dall’inizio. Dovremmo aspettarci un’esperienza più meta?

Jonas Kyratzes: Come nel gioco originale, i puzzle sono esplicitamente puzzle in un senso intradiegetico. Nel primo gioco dovevi domandarti perché ci fossero i rompicapo. Questa volta sei parte di una spedizione e gli altri membri della spedizione discuteranno i puzzle esplicitamente per quello che sono, domandandosi come si relazionino agli eventi del primo gioco e alla cultura della società che è stata creata da quegli eventi. Tuttavia, non considererei queste conversazioni come “meta”. Non è inteso come per trarre l’attenzione sulla natura artificiale della narrazione, ma segue la scienza fittizia della trama.

IlVideogiocatore.it: Dovremmo aspettarci che il narratore sia presente più frequentemente, raccontando la storia in un modo più “tradizionale” o dobbiamo aspettarci di nuovo di rivelare la storia attraverso elementi in-game?

Jonas Kyratzes: Non c’è alcun narratore in Talos 2, solo un gruppo di personaggi che si uniscono nella tua spedizione verso l’isola misteriosa in cui ha luogo la maggior parte del gioco. Scoprirai la storia attraverso una varietà di strumenti, compreso unire i pezzi autonomamente, e discutere le tue scoperte con i tuoi compagni.

IlVideogiocatore.it: Scrivere per un gioco filosofico come Talos Principle deve avere delle sfide uniche. Come bilanci il bisogno per trasmettere idee filosofiche complesse con il rendere la narrativa accessibile a un’ampia utenza?

Jonas Kyratzes: Penso che la maggior parte delle idee filosofiche possano essere espresse in termine relativamente accessibili. Qui e lì delle parole più specializzate sono necessarie, ma certamente non è necessario affogare il giocatore in un gorgo oscuro (i filosofi moderni lo fanno, se devo essere controverso, per nascondere la povertà delle loro idee). Il più grande rischio è semplicemente se le persone siano davvero interessate abbastanza con lo stato del mondo e della loro specie per preoccuparsene sinceramente. Ma anche questo è ciò di cui tratta il gioco.

Categorie
Recensioni

The Talos Principle 2: il provato tra robot e filosofia

The Talos Principle 2 è il diretto erede del suo predecessore, sia da un punto di vista narrativo, come d’altronde era facile immaginarsi, ma anche da un punto di vista puramente filosofico, proponendo nuove questioni derivanti dalle medesime premesse.

Tuttavia sarebbe errato immaginarsi una mera ripetizione di ciò che è stato possibile vedere nel primo capitolo. I temi trattati in questa nuova iterazione sono sì connessi a quelli del predecessore, ma in modo nuovo, vedendoli sotto una nuova luce ed espandendone le tematiche.

Anche l’immaginario subisce la stessa sorte, con un gusto per l’antico e l’estremamente tecnologico che si incontrano fino a toccarsi, regalando un’atmosfera immediatamente riconoscibile e degli ambienti curati e ben realizzati nel quale non è mai noioso perdersi.

Il gioco è più verboso di quanto non ci potesse aspettare dalle premesse del primo capitolo, e non mancano i contenuti da leggere, ma le conversazioni non risultano mai essere noiose e fine a sé stesse, riuscendo a tenere il giocatore coinvolto attraverso scelte multiple varie e soddisfacenti, e sfidandone le convinzioni morali, com’è costume già dal primo puzzle di casa Croteam.

Reminiscenza e trasformazione

Sopratutto nelle primissime battute di gioco, chi ha già giocato The Talos Principle 1 si sentirà come a casa, con un sistema di gioco efficace e collaudato e dei puzzle molto reminiscenti del primo capitolo.

Ma questo è un nuovo capitolo e, in quanto tale, le sorprese però non tardano ad arrivare. Qualcuno potrebbe addirittura spaventarsi inzialmente per alcuni cambi registici. Infatti alcune cutscenes dal taglio più tradizionale interromperanno sporadicamente le sessioni di gioco. Va detto che queste sono rare, poste interamente (o quasi) lungo le prime battute di gioco e comunque non risultano mai invasive.

Visivamente il gioco fa un ottima figura e sembra essere ottimizzato relativamente bene, nonostante frequenti pop-up e alcune piccoli problemi di lighting che è facile immaginare vengano corretti prima del rilascio ufficiale del gioco.

Anche il level design è una diretta evoluzione della struttura del primo capitolo. Gli ambienti da esplorare per trovare e risolvere i numerosi puzzle del gioco sono vistosamente più ampi da quanto era possibile vedere nella prima iterazione del puzzle sviluppato da Croteam; ciononostante, permangono le caratteristiche labirintiche di svariati complessi di edifici e punti di interesse.

Grazie a un lavoro certosino dei world e level designer, perdersi è particolarmente difficile. Sono inoltre presenti molteplici punti di interesse e un percorso facile da intuire. Per quanto difficile, lo smarrirsi è un’attività compiaciutamente promossa dal titolo, che sa ricompensare i più curiosi con puzzle nascosti (che sembrano essere i più difficili) e punti di interesse vari che regalano ora una registrazione, ora un terminale contentente alcuni testi rivelatori.

Esplorare i vari mondi regala dunque una piacevole sensazione di libertà. Nell’eventualità di un giocatore particolarmente distratto (o svogliato) è stata integrata una bussola, che mostrerà la direzione per raggiungere i puzzle visti ma non esplorati e gli altri siti di interesse.

Le questioni narrative

Al momento dell’inizio del titolo, sono sià trascorsi diversi secoli dal finale canoninco di The Talos principle 1. Athena, così ha deciso di nominarsi il nostro alter-ego del primo capitolo, è riuscita con l’aiuto di nuovi robot a ricostruire una civiltà a tutti gli effetti “umana”, ma naturalmente alterata in base alle modificate necessità delle nuove forme di vita robotiche.

La popolazione è così espansa fino a raggiungere mille abitanti, e saremo proprio noi il millesimo e ultimo membro della comunità: 1K. Sì, ultimo. Nella società generata dalla mente dei creativi di Croteam, mille rappresenta il numero desiderato di abitanti, affinché si eviti una sovrapopolazione ed un esponenziale aumento delle richieste energetiche necessarie a far funzionare la nuova società.

Chiaramente questo goal, come viene chiamato dai membri della comunità di Nuova Gerusalemme, è motivo di dibattito presso i cittadini della città, tra chi si reputa favorevole a porsi un limite così da non ripetere gli errori compiuti dai predecessori – noi umani – e chi invece ritiene che porsi un limite significa scoraggiare lo sviluppo, la crescita e la diversificazione di una società altrimenti destinata alla stasi, anche a causa della longeva vita di cui dispongono i robot.

Nuova Gerusalemme è bella da guardare e da visitare, con molteplici punti di interesse e costruzioni da esplorare, ma la trama ci spingerà ad allontanarcene in fretta; 1K infatti poco dopo la sua nascita (se così si può definire) prenderà parte con qualche altro compagno ad una spedizione verso una misteriosa isola nelle prossimità di nuova Gerusalemme dalla quale sembra provenire una nube di dati che ha preso la forma di Prometeo, colui che nella mitologia Greca classica rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini.

Il nostro viaggio non è più solitario, ma saremo accompagnati da alcuni collaboratori dalle personalità sfaccetate e variegate, che ci terranno compagnia durnate l’esplorazione, ma che non interferanno – almeno durante la prova che abbiamo avuto modo di provare – con i puzzles. Tutto questo, per quanto alcuni possano temere il contrario, non limita affatto l’introspezione derivante dai temi trattati.

Talos Principle 2 puzzle robot

Le questioni filosofiche

The Talos Principle è una – ormai lo si può dire – serie molto legata a temi filosofici, a mettere in crisi il videogiocatore, non in quanto tale, ma in quanto individuo. Il primo capitolo, lo si può dire senza paura di sbagliarsi, non finiva quando si spegneva il gioco. Le questioni, tanto intrinsiche quanto esplicitate attraverso testi o dialoghi, puntavano a mettere in crisi il player in quanto individuo, puntando a stravolgere completamente le sue convinzioni circa alcuni assunti filosofici.

I temi di The Talos Principle 2 si evolvono direttamente dalle premesse poste dalla prima iterazione e dal DLC, “Road to Gehenna”. L’iconografia rimane molto vicina a quella del predecessore, con forte enfasi sulle tradizioni greche, romane e cristiane.

Anche qui, infatti, la religione è centrale rispetto alle tematiche trattate, mettendo in discussione il rapporto tra creato e creatore, ma anche tra “Messia” e apostoli.

Chi era appassionato della componente più celebrosa e filosofica dell’esperienza maturata in nel primo capitolo può dormire sereno anche su The Talos Principle 2: anche una banale conversazione con un png sui gatti può produrre stimolanti conversazioni sul ruolo della morte e la sua funzione nel ciclo della nostra vita.

I puzzle

Chi ha già esperienza con le avventure puzzle di Croteam potrebbe trovare la primissima parte del gioco eccessivamente semplice o reminscente di quanto già visto nella precedente iterazione della serie. Tuttavia, ben presto il sistema di puzzle si arrichisce di nuovi e divertenti tasselli che stratificano maggiormente il sistema di luci e laser maturato nel corso di The Talos Principle 1.

I puzzle sono quindi efficaci e divertenti, senza mai per questo risultare eccessivamente complessi o tediosi, ritagliando tra l’altro agli enigmi più intricati un’evidente etichetta da contenuto opzionale così da regalare una sfida più impegnativa a chiunque ne sia alla ricerca, e invece impegnare quanto basta il giocatore meno prono al completismo.

Non bisogna temere però: anche i puzzle “di trama” sono complessi quanto basta per dover applicare un minimo di materia grigia. La risoluzione non risulterà mai banale o scontata, ma spesso e volentieri arriva il momento di “Eureka! tanto apprezzato dagli amanti del genere.

Infine, anche il tetramino trova maggiore spazio che nel suo predecessore con delle interessanti novità che ne sposteranno il focus dalle due dimensioni del tetris classico, alle tre dimensioni del mondo di Nuova Gerusalemme e dintorni.

Talos Principle 2 puzzle

Conclusione

The Talos Principle 2 non si limita a essere un pigro ricalco del predecessore. Al contrario, partendo dalle premesse – già solide – della prima avventura puzzle di Croteam, ne espande gli aspetti, sia tematicamente immaginando una società nascente dopo gli eventi del primo capitolo con tutte le questioni filosofiche derivanti, sia contenutisticamente, con una netto balzo avanti dal punto di vista grafico, e un’espansione delle meccaniche puzzle già cementate nel primo.

Tutti coloro che hanno apprezzato il primo capitolo sono caldamente invitati a dare una chance alla demo disponibile su Steam. The Talos Principle 2 potrebbe spaventare chi desiderasse un gioco più simile al primo capitolo in tutti gli aspetti, sopratutto vista la grande quantità di personaggi con cui è possibile interagire sin dall’inizio contrariamente a quanto visto nelle precedenti iterazioni della serie, ma che non mancherà di conquistare con le sue tematiche profonde e mai banali e con i suoi puzzle di spessore.

Categorie
Società

The Textorcist: esorcizzare scrivendo – Videogiochi Italiani

The Textorcist: the story of Ray Bibbia è un gioco difficile da raccontare a parole. Ed è buffo, considerando come le parole siano proprio il fulcro del gameplay.
Si tratta, infatti, di una di quei giochi che è necessario provare con mano riuscire a catturarne l’essenza.

L’esperienza del team MorbidWare si presenta come una suggestiva fusione di generi ed esperienze: un bullet-hell, una boss-rush ed un corso avanzato di dattilografia.

Se già nelle premesse il gioco, partorito dalla mente di Diego Sacchetti, può apparire anticonvenzionale, le peculiarità non si limitano al puro gameplay. Caratteristiche principali del gioco sono personaggi irriverenti e grotteschi, una suggestiva ambientazione da B-Movie e una trama apertamente ironica e leggera.

Contesto

The Textorcist nasce da una demo del 2016 sviluppata per l’occasione della Global Game Jam. Con Diego Sacchetti nelle vesti di Lead Designer, in collaborazione con Daniele Ricci alla programmazione ed GosT per le musiche. La demo, dal titolo: Ray Bibbia: The exorcism of Lorem Ipsum è ancora oggi giocabile gratuitamente. Chiunque sia indeciso sull’acquisto del titolo può provarlo e decidere se il gioco rientri o meno nei propri gusti personali.

Il progetto riceve immediatamente feedback positivo da parte dell’utenza, nonostante la spiccata difficoltà generale dell’esperienza. Questo convince il team a dedicarsi alla realizzazione di un gioco completo, partendo dalle medesime premesse. Esce così nel 2019 The Textorcist, videogame dall’indubbio sapore da B-Movie, condito con uno spiccato senso dell’umorismo e dal gameplay stralunato ma appassionante.

Ray Bibbia è un esorcista privato, con valori tutt’altro che tipicamente cristiani: mostra infatti una malsana passione per l’alcol e per le prostitute. Dopo l’esorcismo di una ragazza, veniamo a catapultati nel bel mezzo di un concerto metal. Qui dopo aver esorcizzato il band-leader, veniamo a conoscenza di disonesti retroscena del Vaticano, la massima istituzione religiosa e politica nel mondo ideato da Diego. Sarà nostro compito controllare la fondatezza di queste accuse ed -eventualmente- fare giustizia.

Come da tradizione, il burrascoso prete si troverà ben presto coinvolto in questioni ben più grandi di lui, che lo coinvolgeranno personalmente. Questo va ad aumentare la partecipazione emotiva del giocatore e farlo sentire più coinvolto in una storia che, altrimenti, sarebbe troppo generica.

Il protagonista, già di per sé originale, è inserito in un contesto altrettanto creativo: una Roma distopica, popolata da malviventi, criminali e satanassi di varia natura. Come è facile immaginare, né la trama né l’ambientazione sono (né vogliono essere) i veri protagonisti dell’esperienza. Il centro del gioco è invece costituito principalmente dalle varie bossfight disseminate per tutta l’avventura.

Il gioco

Come già accennato poco sopra, The textorcist è un’insolita commistione di generi ed esperienze. Il modo più efficace per descriverlo è un mix fra un bullet-hell, una boss-rush e un corso intensivo di coordinazione occhio-mani e di dattilografia.

Sì, dattilografia. Perché per poter esorcizzare i demoni che affronteremo, non basterà schivare i proiettili con le freccette. Sarà invece necessario digitare sulla tastiera le preghiere (più spesso che no in latino) atte a espellere ed esiliare il demonio in questione.

La premessa può già di per sé dare idea di un gameplay complesso, spaventando i giocatori meno avvezzi alla sfida. Tuttavia, The Textorcist sorprendentemente riesce ad essere ancora più severo e difficile di quanto non si possa immaginare dall’incipit!

Venire colpiti una volta da un proiettile fa solo sfuggire di mano il testo sacro al prete ubriacone, costringendoci a recuperare il libro il prima possibile. Sia perché il testo è necessario per poter proseguire nella preghiera, sia per evitare di perdere una preziosa vita. Se infatti il giocatore viene colpito nuovamente senza avere le sacre scritture in pugno, perde definitivamente una delle vite. Come se non bastasse, dopo ogni colpo il giocatore deve ricominciare il sermone da capo.

Bisogna prestare massima attenzione anche nella digitazione delle singole lettere. Scrivere la lettera sbagliata, infatti, fa retrocedere di una lettera nella digitazione della parola complessiva.

Un gameplay arduo e complesso, sì, ma comunque sempre appagante, poiché i miglioramenti del giocatore sono evidenti ad ogni partita. Tuttavia ogni giocatore desidererà presto avere un altro arto, così da potersi muovere più agevolmente nella tastiera.

Contrariamente da quanto ci si potrebbe immaginare, The Textorcist è perfettamente compatibile col controller ed è disponibile anche sulle console di casa Sony, Nintendo e Microsoft. Tuttavia, mi sento di consigliare di provare il titolo su PC, in quanto giocarlo con tastiera mi sembra più efficace per trasmettere la sfida e in generale a rendere le meccaniche di gioco più coese con l’esperienza utente.

Conclusioni

Morbidware è un team innegabilmente giovane, e The Texorcist rappresenta il loro primo gioco completo.

Nonostante le origini italiche di Diego, il gioco non è disponibile in italiano. Questo è dovuto ad una evidente questione di marketing e costi, visto il pubblico relativamente di nicchia del genere di riferimento. Inoltre vi sono altrettante ovvie questioni di sviluppo. Se nel gioco scrivere è la meccanica principale, tradurre in diverse lingue avrebbe comportato rifare quasi per intero determinati scontri.

The Textorcist è un’ottima idea che trova compimento in una pregevole realizzazione, sia dal punto di vista tecnico, con un’esperienza complessiva praticamente libera da bug compromettenti, e un’interfaccia chiara e sempre leggibile, che consente di non perdere mai di vista il nostro Ray anche in mezzo a una miriade di proiettili. Anche dal punto di vista strutturale il gioco non delude, grazie ad una difficoltà crescente, senza ostacoli insormontabili, e ad una trama leggera ed accattivante, che riesce ad incuriosire al punto giusto, senza per questo risultare invadente.

The textorcist è un avventura unica nel suo genere. Nato da una demo, trova la sua identità fra una comicità irriverente, capace ampiamente di parlare a un pubblico italiano, e un gameplay difficile ma appagante, capace di appagare i videogiocatori più ostinati, regalando però attimi di soddisfazione a chi non è in cerca di una sfida, ma si limita a navigarlo più in superficie. Altamente consigliato.

Categorie
Editoriali

Armored Core VI: rigiocare la saga dopo 25 anni

Era il lontano 1998, settembre per la precisione. Da poco diciannovenne e felice possessore della prima Playstation, uscita qualche anno prima sul mercato, mi apprestavo a festeggiare il mio compleanno, rigorosamente posticipato poiché, cadendo in agosto, gli amici erano tutti in vacanza. Nel giorno del mio compleanno bis, i miei amici si presentarono a casa con una decina di giochi per la mia amata console: tra questi, non posso dimenticare, c’era un titolo che stuzzicò da subito la mia curiosità. Si trattava di Armored Core, AC per gli amici.

Genesi

Armored Core nasceva da un’idea di Shoji Kawamori, mecha designer di storiche serie di anime (una delle più note in Italia è Capitan Harlock), oltre che dall’amore sconsiderato dei giapponesi per i robot giganti.

La saga di FromSoftware era ed è formata da simulatori di combattimento tra Mech (o Mecha), enormi robottoni guidati da un pilota che se le danno di santa ragione in scenari più o meno realistici. L’aspetto migliore del primo Armored Core era il fatto che si trattava di un titolo 3D in cui era possibile spostarsi in ogni direzione, sparare ovunque e trovarsi contro nemici che provenissero da ogni angolo, con una fluidità al tempo inimmaginabile.

La caratteristica principale della serie è sempre stata la personalizzazione del proprio mech. Il gioco metteva a disposizione una marea di potenziamenti per gambe, braccia e armi; scalabili al massimo, altamente modulari, i mech potevano essere plasmati ad uso e consumo del giocatore per affrontare le varie missioni, a patto di avere abbastanza crediti per farlo. Come ottenere crediti? È presto detto: bastava concludere le missioni e ottenevate la giusta ricompensa, dopo aver scalato ovviamente il costo dei proiettili usati e le spese di gestione.

Caratteristiche di gioco

Esplorare quei mondi e quegli scenari mi teneva incollato allo schermo per ore. Armored Core aveva una grafica poligonale in 3D che non faceva gridare al miracolo, ma considerando l’anno di uscita e la piattaforma, non si poteva chiedere di più onestamente.

Il gameplay fu considerato ottimo dalla critica e piacque molto anche a me: lo trovai molto interessante e coinvolgente. Questo mio giudizio deriva dalle ore di divertimento che trascorsi e dalla buona struttura a missioni che From Software creò. Gli scenari infatti proponevano città piene di detriti, basi lunari e ambienti desertici. La base lunare, in particolare, attirò la mia attenzione poiché la missione che ospitava era caratterizzata dalla bassa gravità. Nello specifico, nel tentativo di salvare la terra da un attacco dalla luna, il nostro mech avrebbe dovuto fare i conti con la poca gravità che influiva sui salti e sui suoi movimenti.

Un piccolo appunto negativo sul gioco era la difficoltà nel controllare il mech con il pad: i tasti da utilizzare erano troppi, a volta anche contemporaneamente. A parte questo piccolo intoppo, il primo Armored Core risultava godibile sotto tutti i punti di vista, grazie alle missioni ben congegnate, alla fluidità dei movimenti e all’arsenale a disposizione. Infine, la longevità era un altro punto forte, con quasi 50 missioni da completare. Il gioco fu pubblicato nel luglio del 97 in Giappone per poi arrivare in Europa nel giugno dell’anno successivo.

Ti potrebbe interessare anche:

Final Fantasy XVI – Recensione

Approccio a Fires of Rubicon

L’università, la ricerca del lavoro e tante altre vicissitudini – naturali nella crescita di ogni individuo – mi hanno portato ad allontanarmi dal mondo videoludico (ma sono rientrato alla grande negli ultimi anni). Dopo 25 anni, in una calda giornata di fine agosto, mi imbatto in Armored Core VI Fires of Rubicon. Dopo una rapida ricerca mi rendo conto di essermi perso ben quindici capitoli (spin off inclusi), ma i ricordi suscitati dal gioco sono più forti del tempo perso. Così lo ordino senza troppo pensarci.

Il giorno dopo, al day one, Armored Core VI è nelle mie mani. Emozionato inserisco il gioco nella mia Xbox Serie X, ed eccomi di nuovo ai comandi di un mech, dopo tanto, tanto tempo. Quello che non avevo messo in conto è che si ha a che fare con From Software (Dark Souls, Elden Ring): la difficoltà di gioco è elevatissima e non “settabile”; inoltre, gli sviluppatori sono noti per gettare letteralmente il videogiocatore nel mezzo del gioco senza alcun preambolo. Complice la mia età avanzata e i riflessi non più pronti come una volta, mi sono ritrovato ad impiegare due giorni per sconfiggere il boss alla fine del tutorial, maledetta From Software!

Addentrandosi più nel gioco, comprendo che la struttura portante del gameplay è immutata, ma ovviamente abbiamo una storia che fa da contorno alle battaglie.

Caratteristiche narrative e tecniche

Sul pianeta Rubicon 3 è stata trovata una nuova fonte di energia che le varie corporazioni tentano con ogni mezzo di accaparrarsi. Il giocatore interpreta un mercenario che, combattendo ora per una ora per l’altra di queste fazioni, cambierà il destino della guerra e del pianeta. Niente di trascendentale o innovativo dunque. Forse però è proprio questa la forza di Fires of Rubicon.

Giocarci è sempre e maledettamente divertente. Le mappe sono credibili e varie, forse eccessivamente post apocalittiche, ma è la storia che lo impone. Peccato non aver implementato una specie di open world. Infatti, gli scenari sono delimitati da una banda rossa laterale che il mech non può oltrepassare. Una scelta che sicuramente limita la strategia di combattimento.

Voci confermate dicono che avremo ben tre finali diversi, quindi sarà obbligatorio effettuare almeno tre distinte run e fare scelte diverse per completare pienamente il gioco. Le missioni hanno alti e bassi, alcune sono troppo facili altre ai limiti dell’impossibile, con boss finali veramente duri a morire. Fortunatamente ci viene in soccorso la modularità dei mech e il loro collaudo, che è possibile effettuare prima di iniziare ogni battaglia. In questo modo è possibile rendersi conto della efficacia della configurazione adottata.

I combattimenti, infine, sono davvero spettacolari, con un arsenale molto vario da utilizzare che rende piacevole sparare missili di vario genere nei denti degli avversari!

Conclusioni

Armored Core VI è il videogioco che From Software avrebbe voluto sin dall’inizio, ma che i limiti tecnici della tecnologia a disposizione impedivano di creare a suo tempo. Fires of Rubicon è un titolo maturo con bellissimi modelli poligonali dei robot, un ambiente vivo e dinamico, una IA non eccelsa ma percepibile, una storia convincente e una personalizzazione del robot ancora maggiore.

La longevità è di circa 25 ore: si snoda tra 5 capitoli, 41 missioni e la possibilità di scegliere tra finali alternativi. Il gameplay di Armored Core VI – rispetto al primissimo del 97 – mantiene inalterato il divertimento introducendo, grazie a mappe ben strutturate, un’importante componente strategica che costringe il videogiocatore a sfruttare le caratteristiche ambientali per cercare di sorprendere i nemici e procurarsi un vantaggio su di loro.

In definitiva, Armored Core VI è un gran gioco, sia che siate fan della serie sia se non abbiate mai pilotato un mech prima d’ora. L’opera di From Software merita la vostra attenzione, poiché la soddisfazione ed il divertimento che può dare non è inferiore a qualsiasi soulslike di Hidetaka Miyazaki.

Categorie
Editoriali

Giocare a Starfield senza alcuna aspettativa, un’esperienza da 10 e lode

Io, su Starfield, non avevo aspettative, nel senso che non lo attendevo proprio. Forse per distrazione sono rimasto fuori da tutto quel susseguirsi di news e rumors che, come succede da anni, ogni titolo Bethesda si porta dietro in attesa del lancio ufficiale, generando quel mix di hype per un nuovo gioco che si sa, avrà tantissimo da offrire, e di critiche preventive da parte di chi si aspetta una marea di bug che probabilmente rimarranno irrisolti nei secoli.

Ecco, io da tutto questo ne sono rimasto fuori, oltretutto involontariamente, finché navigando nel negozio di Steam mi è arrivata la notifica (tardiva): “Ehi, è uscito Starfield, compralo”. Quel poco che avevo sentito a riguardo era estremamente negativo (e per alcune cose, a ragion veduta, ma ne parliamo tra un po’), eppure ho deciso di comprare lo stesso il gioco. Il risultato? L’ho trovato strabiliante.

Ora, di cose che non vanno ce ne stanno parecchie. Dalla grafica distante anni luce dagli standard odierni alla gestione dell’inventario rimasta immutata nel corso dei diversi Elder Scrolls e Fallout, caotica e poco intuitiva, così come accade per il quest tracker che accorpa tutto lasciando giusto la possibilità di raggruppare le missioni per tipologia o fazione (ma con oltre mille pianeti, non era forse il caso di aggiungere un organizer per località?).

Queste, in sintesi, sono le principali cose che non vanno, di cui probabilmente si è discusso ovunque e di cui ha parlato anche qualche Nostradamus prima di poter mettere le mani sul gioco. Eppure, come dicevo, sto trovando Starfield un gioco eccezionale. Mi sono chiesto perché, e questa volta il mio incarnare l’autentico spirito della contraddizione non c’entra nulla: Starfield mi piace come pochi altri giochi perché puoi fare una miriade di cose e io da questo titolo non mi aspettavo proprio nulla.

L’ultimo lancio di Bethesda prosegue a modo suo la piccola rivoluzione avviata da Baldur’s Gate 3: si tratta di un gioco completo, senza microtransazioni o dlc (al netto di future possibili espansioni, ovviamente) e una libertà di movimento infinita. Mi sono ritrovato subito a vivere le stesse vibes che mi hanno regalato i diversi Fallout, di cui ho un bellissimo ricordo e mi sono trovato bene nonostante l’assenza V.A.T.S. (ossia della mira assistita introdotta nel terzo capitolo, poi utilizzata anche in New Vegas, Fallout 4 e Fallout 76), essenziale per chi non è proprio un campione negli sparatutto.

La cosa che più mi piace in questo gioco sono le quest. Sono tantissime, così tante da mettere all’angolo un maniaco del completismo come me. Infatti, se Baldur’s Gate 3 (ormai metro di paragone di ogni titolo videludico) mi ha stordito per la vastità delle mappe, tanto da infastidirmi perché sapevo che mi sarei perso qualcosa, lo stesso non è successo con Starfield: i pianeti, gli avamposti e gli npc sono così tanti che mi sono felicemente arreso all’idea di non poter materialmente esplorare tutto in una sola run (e neanche in due, tre, forse dieci).  

Poi c’è la bella novità della personalizzazione della navicella spaziale: se ne può avere una o un’intera flotta e per ognuna di queste si può modificare ogni singolo pezzo. A questo si aggiunge la possibilità di costruire avamposti negli oltre 1.000 pianeti dislocati nei 100 sistemi solari della mappa. Insomma, una figata pazzesca.

Certo, non è tutto oro quello che luccica: c’è più di qualche elemento che ha fatto storcere la bocca anche ad un outsider come me. La cosa che più mi da fastidio è la gestione dei dialoghi: avviando una conversazione, l’inquadratura passa ad un primo piano dell’npc di riferimento, il quale non si muoverà più di tanto dalla posizione originale. Per farla breve, se avete interagito con un personaggio che era di spalle, è capace che questo vi parlerà senza guardarvi in faccia, che non è il massimo.

Stessa cosa vale per le interazioni dei seguaci, i quali ogni tanto proveranno ad inserirsi nei discorsi avviati dal personaggio con i vari npc, ma il 90% delle volte sono commenti a sé stanti e che non provocano alcuna reazione. Insomma, è come quando l’amico poco simpatico si mette in mezzo e fa una battuta che nessuno capisce e quindi tutti stanno in silenzio facendo finta di nulla. Il gelo.

Male anche la realizzazione degli npc privi di interazioni che popolano il mondo: sembra che sia stato fatto copia e incolla su una decina di modelli e che le varie città siano abitate da un’infinità di fratelli gemelli, oltretutto vestiti uguali. Su questo bisogna chiudere un occhio o si rischia di spegnere il pc o la console.

Pecche inaccettabili da un gioco così tanto atteso, ma se non ci si aspetta nulla non è un problema passarci sopra. Anche la tanto citata “ripetitività” dei pianeti è stata criticata forse ingiustamente: non è vero che gli ambienti sono tutti uguali. Anche le lune, prive di vegetazione e fauna, presentano differenze tra loro (e ho girato già parecchi sistemi). Sulla presenza di insediamenti nemici estranei a quest (ossia i mini dungeons) è vero, vige ancora la ricetta Bethesda che abbiamo tutti quanti sperimentato per anni sia negli Elder Scrolls che nei Fallout: si trova la base nemica dove ci sono pirati spaziali, contrabbandieri o un’invasione di insettoidi alieni, la si ripulisce e si torna a casa con il bottino generato casualmente. E che male c’è, soprattutto vista l’enorme mole di quest che ci si trova a dover affrontare, già alle prime ore di gioco?

In conclusione, Starfield è un titolo da consigliare assolutamente a tutti gli amanti del genere che hanno voglia di esplorare, di immergersi in un viaggio planetario in cui le scelte contano, in cui l’azione frenetica si alterna con meritati momenti di pausa ad esplorare pianeti nascosti o a modificare e migliorare la propria nave, oppure a riposarsi nel proprio rifugio costruito con tanto sudore.

Categorie
Recensioni

Immortals of Aveum – Recensione

L’uscita di Immortals of Aveum, verso la fine di agosto, è indubbiamente passata un po’ in sordina. Il gioco, infatti, non ha goduto di una campagna pubblicitaria particolarmente efficace. Inoltre l’essere uscito in concomitanza con giochi davvero di primo piano, come Baldur’s Gate 3 (di cui abbiamo già parlato sul blog) non ha certamente giovato alla causa di Immortals of Aveum.

Tuttavia, fin dalle prime immagini mostrate, lo sparatutto targato Ascendant Studios e Electronics Arts è riuscito a catturare la nostra attenzione. Questo soprattutto in virtù della sua natura ibrida, a metà strada tra uno sparatutto ed un’avventura.

In questa recensione passeremo al microscopio Immortals per mettere in mostra pregi e difetti di questo particolarissimo titolo. Recuperiamo il nostro equipaggiamento magico e lanciamoci all’esplorazione del mondo di Aveum!

Nelle terre di Aveum

Immortals of Aveum: magia rossa

Come facilmente intuibile dal titolo, Immortals è ambientato nel mondo magico di Aveum. Quest’ultimo è formato da cinque regni distinti, con al centro un’enorme voragine magica chiamata Lo Squarcio. Da millenni i cinque regni sono falcidiati da un conflitto per il controllo della magia, denominata Sempiguerra, che ha di fatto ridotto le forze in gioco ai soli regni di Lucium e Rasharn.

Protagonista assoluto di Immortals of Aveum è Jak, giovane abitante della periferia di Seren, nell’enorme città di Lucium. In seguito all’uccisione dei suoi cari a causa di un attacco del regno di Rasharn, ora guidato dal tiranno Sandrakk, Jak scoprirà di essere un Advenuto, ovvero un essere umano in cui si manifestano poteri magici. Questo porterà il nostro protagonista a venire arruolato dalla Gran Magus Kirkan, leader degli Immortali, l’esercito magico protettore di Lucium. Inizia così la missione di Jak per risolvere una volta per tutte i conflitti che devastano Aveum e comprendere fino in fondo i suoi poteri.

La trama di Immortals, pur non brillando per originalità, si presenta interessante e abbastanza coinvolgente. il mondo di Aveum è ben caratterizzato e ricco di dettagli e i personaggi che incontriamo godono quasi sempre di una buona caratterizzazione. Mi limito a citare Zendara, una delle comandanti degli immortali, davvero carismatica e a tratti spassosa con le sue battute.

La trama di Immortals ci terrà compagnia per circa 13 ore, che potranno essere almeno raddoppiate qualora il giocatore decidesse di dedicarsi a tutte le prove secondarie e all’esplorazione di ogni area di Aveum. Non si tratta di una longevità particolarmente elevata, ma l’abbiamo trovata adeguata ad un titolo di questo tipo.

Uno sparatutto avventuroso

Immortals of Aveum: magia blu

L’aspetto di Immortals of Aveum che maggiormente colpisce è costituito proprio dal suo gameplay. Il titolo di Ascendant infatti si presenta come un mix piuttosto ben riuscito tra un FPS ed una classica avventura action. Il gioco si svolge in prima persona ed ha il suo fulcro, oltre che nell’esplorazione, nei numerosi combattimenti che affronteremo. Naturalmente, nel corso di queste battaglie, non abbiamo a disposizione armi da fuoco o da lancio, ma tutta una serie di artefatti magici, coi quali scatenare una serie di devastanti attacchi contro i malcapitati nemici.

Tuttavia, in Immortals rivestono un ruolo molto importante anche l’esplorazione dell’ambiente e gli enigmi. Per progredire nell’avventura, infatti, occorre guardarsi sempre attorno con attenzione, dal momento che spesso e volentieri la chiave per aprire la strada consiste nell’interagire con l’ambiente utilizzando uno degli incantesimi a nostra disposizione. Per esempio, alcuni degli elementi dell’ambientazione possono essere modificati dalla magia verde, mentre alcuni trabocchetti vengono rallentati dalle nostre fide ampolle temporali.

A differenza della miriade di sparatutto presenti sul mercato, Immortals of Aveum è completamente dedicato single player (ad oggi è completamente assente una modalità multiplayer nel gioco), proprio per valorizzare al massimo la sua doppia natura di shooter e avventura.

Tre colori per domarli tutti

Immortals of Aveum: magia verde

Nel mondo di Aveum, la magia si manifesta attraverso tre colori principali. Il rosso, che rappresenta entropia e violenza, il blu, che incarna forza e manipolazione fisica della materia ed infine il verde, legato a crescita morte e transizione. Jak durante la trama, scopre di essere un Triarca Magnus, ovvero un mago in grado di utilizzare la magia di tutti e tre i colori.

Attraverso il bracciale di Jak, il giocatore ha la possibilità di passare da un colore all’altro con la semplice pressione del tasto triangolo. Ognuno dei tre colori si adatta meglio ad una determinata situazione; nello specifico: il rosso è pensato per il combattimento ravvicinato, il blu per la distanza e il verde per il fuoco ripetuto. Sebbene spesso i nemici presentino debolezze specifiche per un colore, il giocatore ha la possibilità di privilegiare l’uno o l’altro in base al suo stile di gioco.

Gli scontri in Immortals sono davvero frenetici e spettacolari e ricordano molto le dinamiche dei cari vecchi sparatutto arena. Il giocatore deve restare sempre in movimento, fare attenzione a dove si trova e contemporaneamente gestire al meglio le sue risorse offensive per riuscire ad aver ragione della miriade di avversari che si trova via via ad affrontare.

Il tutto risulta davvero piacevole e divertente e gli scontri raramente diventano troppo punitivi e frustranti. Unica nota un po’ stonata sono le boss battle, un po’ troppo sempliciotte e ripetitive.

Incantesimi per tutte le occasioni

Oltre agli incantesimi di attacco, Jak dispone anche di varie abilità magiche di supporto. Queste abilità sono davvero molte e hanno un’ottima varietà di effetti. Abbiamo anzitutto a disposizione quattro artefatti magici, il primo dei quali è una frusta magica, utile sia per attirare i nemici che per arpionare alcuni specifici punti dello scenario. Abbiamo poi uno scudo di energia, capace di proteggerci da un numero limitato di attacchi nemici, una sorta di lente magica, utile per paralizzare alcuni nemici e soprattutto risolvere alcuni enigmi a base di raggi luminosi ed infine le pietre verdi, capaci di rallentare nemici e trappole.

Jak apprenderà inoltre una serie di abilità automatiche, tra cui la possibilità di levitare per brevi tratti, di appendersi ai flussi magici che attraversano Aveum e di generare un potentissimo raggio in grado di convogliare l’energia di tutti e tre i colori. Le varie abilità possono essere potenziate tramite una sorta di diagramma, che andrà a riempirsi attraverso una serie di pietre magiche. Queste pietre vengono raccolte da Jak dopo ogni battaglia.

In Immortals non esistono punti esperienza e level up. Il potenziamento di Jak avviene unicamente attraverso il suo equipaggiamento. Oltre ai tre bracciali, che possono essere creati e potenziati attraverso una serie di fucine, il nostro protagonista potrà essere equipaggiato anche con diversi anelli e potenziamenti magici. Ognuno di questi oggetti andrà a migliorare un diverso parametro di Jak.

Quindi, pur senza mostrare la profondità e ricchezza di uno strategico o di un gioco di ruolo, Immortals of Aveum presenta anche alcuni elementi tipici di un gestionale, che rendono l’esperienza più varia ed interessante.

Una festa per gli occhi

L’aspetto di Immortals of Aveum che maggiormente colpisce è senza dubbio il comparto grafico. L’Unreal Engine 5 fa davvero un ottimo lavoro e regala al giocatore ambientazioni davvero meravigliose, ben caratterizzate e ricche di particolari.

Anche i personaggi ed i nemici risultano ottimamente realizzati e dotati di un set di animazioni davvero fluide e credibili. Il gioco mostra il meglio di se durante i filmati di intermezzo, che su PS5 sfoggiano una risoluzione davvero altissima, anche se abbiamo notato un evidente calo di frame in alcune sequenze più brevi. Piuttosto anonima invece la colonna sonora, che presenta una serie di tracce non troppo ispirate ed anche un tantino ripetitive.

Conclusione

Immortals of Aveum si è rivelato davvero una gradevole sorpresa. Intendiamoci, non si tratta certamente di un capolavoro, ma il comparto grafico di primo piano, l’immediatezza dei controlli e la particolare natura del suo gameplay rendono lo sparatutto di Ascendant Studios un’esperienza davvero divertente e coinvolgente.

Unico vero difetto di Immortals è la sua longevità un po’ limitata, che tuttavia non va a intaccareil divertimento offerto da questa particolare avventura.

Consigliato sia agli amanti degli FPS che a tutti coloro che cercano un avventura immediata e non troppo lunga.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, Xbox Series S/X, PC
  • Data uscita: 22/08/2023
  • Prezzo: 79,99 €

Ho provato il gioco a partire dal day one su PlayStation 5 grazie a un codice fornito dal publisher.

Categorie
Editoriali

Starfield e Mass Effect: confronto tra videogiochi di ruolo spaziali

È arrivato il momento: dal 6 settembre finalmente ci siamo avventurati nel nuovo universo Bethesda, quello di Starfield che tanto aspettavamo. Man mano andando avanti nel gioco, scopriremo se l’hype altissimo che si è creato attorno al gioco avrà avuto senso. In questo articolo, però vogliamo rispondere a un’altra domanda: Starfield è il gioco di ruolo ambientato nello spazio definitivo? Per farlo, abbiamo messo a confronto Starfield con una trilogia epica simile per ambientazione: Mass Effect.

Caratteristiche di Starfield

Dopo le prime ore di gioco su Starfield, le differenze tra l’opera di Bethesda e Mass Effect sono state sin da subito evidenti, sia a livello di gameplay che di narrazione. Starfield, ovviamente, si basa su un motore grafico avanzato ma anche su una fisica accurata che rendono l’ambiente spaziale credibile ma soprattutto dinamico.

Il giocatore può viaggiare ed atterrare su circa un migliaio di pianeti (queste le cifre comunicate più o meno ufficialmente), esplorarli liberamente a piedi o con veicoli ed interagire con la flora e fauna locale, a volte ostile, a volte no, tramite lo scanner oltre che con gli abitanti in loco.

Per poter viaggiare nello spazio è necessario che l’utente modifichi a proprio vantaggio le caratteristiche della nave per dare più energia agli scudi piuttosto che al salto gravitazionale in caso di scontro e viceversa ad esempio. Una volta attraccato poi, in un porto interspaziale, sarà possibile acquistare modifiche per la propria nave potenziandola o comprarne una completamente nuova.

La storia non ha una trama lineare ma lascia al giocatore la possibilità di creare il proprio personaggio e la propria storia secondo le sue inclinazioni morali ed etiche.

Allo stato attuale ad esempio, mi trovo ad essere un pilota dell’Avanguardia della UC, Unione Coloniale, pronto a difendere i perimetri delle città protette dalla UC con la mia nave che purtroppo ancora è una “Suzuka baracca” di Aldo, Giovanni e giacomiana memoria. Non è ancora all’altezza di poter affrontare scontri a fuoco complessi. Ma tranquillamente sarei potuto essere un pirata spaziale che invece la UC la combatte per intenderci. Il tutto fermo restando la trama principale che, al momento, resta difficile seguire viste le numerose missioni secondarie che pullulano l’universo di Starfield.

Caratteristiche di Mass Effect

Le opere di BioWare (Recensione Mass Effect Legendary Edition) compongono una celebre saga spaziale iniziata nel 2007 e conclusasi nel 2017 con Mass Effect Andromeda. La storia ha come protagonista il comandante Shepard, a capo di un cast di personaggi memorabili e con una trama avvincente e ramificata.

La serie di Mass Effect si può collocare tra i “GDR anomali”. Sin partendo dal primo capitolo, Bioware ha si mantenuto le caratteristiche narrative tipiche di un GDR ma nel contempo ha reso gli scontri a fuoco più simili ad un Gear of War per intenderci. Anche la visuale è la stessa, parliamo della terza persona. Inoltre il nostro protagonista potrà, come in ogni classico GDR che si rispetti, scegliere la propria squadra prima di ogni missione.

Con il secondo capitolo, nonostante Bioware avesse da poco rilasciato Dragon Age: Origin, uno tra i GDR più classicamente intesi, continua nell’opera di rinnovamento del genere con un gameplay più orientato al combattimento ed al dialogo.

Nel terzo capitolo, Mass Effect 3, il gioco è ancora più spiccatamente una commistione di generi, dallo sparatutto in terza persona, al gioco di ruolo di tipo occidentale passando per l’avventura grafica con enigmi da risolvere. e questa caratteristica lascia intuire l’enorme lavoro svolto dagli sviluppatori teso a rendere la saga un’epopea, di carattere epico.

Infine: Mass Effect Andromeda, spin off del 2017 della serie, ambientata 600 anni dopo gli eventi narrati nella trilogia, Bioware si lascia scappare di mano durante la ricerca di riconquistare il proprio pubblico che aveva storto il naso per i finali un pò arrangiati del secondo e del terzo capitolo; infatti, gli sviluppatori si lasciano andare ad una massificazione del genere rendendolo più che altro uno sparatutto, oltre al fatto, ben più grave, che in Andromeda non sono presenti la maggior parte delle risposte alle conseguenze delle azioni del comandante Shepard compiute nella trilogia.

Personalmente, dell’intera saga mi è piaciuta particolarmente la forte componente emotiva e relazionale che permette di interagire coi propri compagni di squadra oltre che instaurare rapporti di amicizia ed amore, prendendo, spesso, delle decisioni morali difficili.

Prendiamo ad esempio la Missione suicida del secondo capitolo, dove le scelte del giocatore influenzano addirittura con quali personaggio continuare l’avventura e quali sacrificare; insomma un gioco di ruolo coi fiocchi nella maggior parte dei casi che però rimane troppo legato alla trama principale secondo me, nonostante alcune scelte modifichino pesantemente e permanentemente la narrazione, come già accennato.

Punti di contatto

Le analogie tra i due titoli sono perlopiù legate al genere e al tema. Sia Starfield che Mass Effect sono dei GDR spaziali che offrono al giocatore la possibilità di vivere fantastiche avventure in ricchi e variegati mondi sconosciuti, incontrando personaggi incredibili e tenendo incollati a schermo i videogiocatori per ore.

In comune poi hanno una forte componente sci-fi che si riflette nell’aspetto tecnologico e nelle varie razze aliene incontrate.

Sia il titolo Bethesda che quello Bioware hanno una forte componente artistica che si esprime nella colonna sonora e nel design dei personaggi e delle ambientazioni. Pensate che per l’uscita di Starfield, Bethesda ha addirittura collaborato con la band statunitense Imagine Dragons che ha composto una canzone dedicata al gioco.

Infine, entrambi concentrano le proprie forse sulla sfida, sulla scoperta e sul combattimento.

Conclusioni

Starfield non è Mass Effect e viceversa. I puristi dei GDR probabilmente si troveranno più a proprio agio con Starfield dovendo scegliere una moltitudine di aspetti durante il gioco, persino il tipo di lavoro del personaggio ma soprattutto in che modo vivere la propria vita e in che modo essere percepiti dagli altri. Fondamentalmente quello che mi è piaciuto del gioco, almeno per quanto ho giocato finora, è proprio questa libertà data al giocatore di scegliere chi essere, che comportamenti adottare, creare la propria storia in definitiva.

In Mass Effect, il personaggio è già un eroe, riconosciuto da molti come tale, che per quanto possa effettuare determinate scelte morali o immorali, impopolari o no, la trama segue comunque una direzione lineare modificandosi in base alle scelte del giocatore ma non creandola da zero. Benchè, come accennato nel corso dell’articolo, la storia dell’intera saga, sia una delle più belle del panorama videoludico mai scritte.