Remedy Entertainment ha pubblicato un nuovo gameplay trailer di FBC: Firebreak, il suo primo titolo autopubblicato, in arrivo nell’estate 2025 su PC, Xbox Series X|S e PlayStation 5. Il gioco sarà disponibile sin dal lancio su PC Game Pass, Game Pass Ultimate e PlayStation Plus Extra e Premium.
Si tratta di un FPS cooperativo per tre giocatori ambientato nell’universo di Control, il celebre action-adventure del 2019. I giocatori vestiranno i panni di un’unità speciale della Federal Bureau of Control, incaricata di contenere una minaccia paranaturale che ha invaso l’Oldest House, il quartier generale dell’agenzia.
Missioni dinamiche e scontri adrenalinici
FBC: Firebreak è un’esperienza PvE basata su sessioni, con missioni altamente rigiocabili, chiamate Jobs. Ogni Job propone ambientazioni, obiettivi e sfide diverse, incoraggiando il gioco di squadra e la capacità di adattamento.
Il trailer mostra in azione Paper Chase, una missione in cui i giocatori dovranno affrontare un’invasione di sticky notes animate nell’Executive Sector dell’Oldest House. Quello che sembra un evento bizzarro si trasforma presto in una crisi paranaturale su larga scala, culminando in uno scontro finale contro un gigantesco ammasso di carta senziente.
Personalizzazione con i Crisis Kit
Prima di lanciarsi in missione, i giocatori sceglieranno un Crisis Kit, che definirà stile di gioco, armi e poteri speciali. Nel trailer sono stati mostrati tre Kit:
Jump Kit – Potenziato da abilità elettriche, perfetto per il controllo del campo di battaglia e la mobilità.
Fix Kit – Pensato per il combattimento ravvicinato, include attacchi a impatto devastanti con una chiave inglese gigante.
Splash Kit – Basato su abilità acquatiche, utile per manipolare l’ambiente e supportare gli alleati.
Espansioni gratuite e nessuna microtransazione invasiva
Remedy ha confermato che FBC: Firebreak riceverà aggiornamenti post-lancio gratuiti, con l’aggiunta di nuove missioni e contenuti. Saranno disponibili acquisti estetici, ma nessuno di questi influenzerà il gameplay. Inoltre, non saranno presenti rotazioni a tempo o accessi giornalieri obbligatori.
Con un lancio previsto per l’estate 2025, FBC: Firebreak promette un’esperienza intensa e originale, che espande l’universo di Controlin una nuova direzione.
L’ultimo Nintendo Direct dell’era Switch ci ha fornito tanti nuovi spunti su uno dei titoli più complicati della storia di Nintendo. Metroid Prime 4 Beyond è stato protagonista di un gameplay trailer di oltre 3 minuti in cui abbiamo nuovamente vissuto le vicende di Samus Aran in prima persona, come ci ha abituato quello che ormai è molto di più di uno spin-off.
In Metroid Prime 4 Beyond, Samus dovrà esplorare il pianeta di Viewros, un luogo ricco di vegetazione che è probabilmente alimentato dal Grande Albero al centro del Pianeta. Su Viewros non è presente solamente una flora lussureggiante, ma anche una fauna estremamente aggressiva.
Come sicuramente possono già immaginarsi i fan della serie però, nelle profondità di questo ambiente ostile si annidano segreti mitologici, che ben spesso si associano a religioni lontane. Questa volta sembra Samus andrà oltre al potenziamento della propria armatura. Nel trailer, qualcuno la definisce, o così ci è sembrato di capire, come l’eletta.
A questo importante titolo si aggiungono nuove abilità che trascendono l’armatura. Samus infatti otterrà durante l’avventura delle abilità Psiche, che gli permetteranno di spostare oggetti tra cui anche i proettili. L’analogia più recente mi porta a pensare a The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, anche se non mi aspetto la stessa esagerata libertà.
In generale, Rare Studios sembra aver unito le solide base della trilogia di Metroid Prime con diverse novità provenienti dai capitoli principali di Metroid e dal mondo Nintendo. La più lampante riguarda la femminilità di Samus Aran, che adesso ha un’armatura meno tozza rispetto ai primi capitoli e molto più vicina a quella vista nell’apprezzatissimo Metroid Dread.
Il contributo dei modder è stato fondamentale per creare l’universo di STALKER. GSC Game World, sviluppatore della serie, ha recentemente sottolineato l’importanza delle mod nel plasmare e arricchire l’esperienza di gioco.
Fin dal lancio del primo titolo, la community ha sviluppato numerose mod che hanno ampliato e migliorato il gameplay. Queste modifiche hanno introdotto nuove storie, missioni e ambientazioni, contribuendo a mantenere viva l’attenzione sul gioco nel corso degli anni. La dedizione dei modder ha permesso di superare i limiti tecnici e creativi imposti dal gioco base, offrendo ai giocatori esperienze sempre nuove e coinvolgenti.
Con l’annuncio di S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl, GSC Game World ha confermato l’intenzione di rendere il gioco ancora più aperto alle mod. Un portavoce dello studio ha dichiarato: “I modder hanno avuto un ruolo enorme nel plasmare l’universo di S.T.A.L.K.E.R., aggiungendovi le loro storie. Abbiamo sempre apprezzato questa passione della nostra comunità e siamo profondamente grati per il loro contributo”.
Per incentivare ulteriormente la community, GSC Game World sta implementando strumenti e risorse che faciliteranno la creazione e la distribuzione di mod. L’obiettivo è fornire un ambiente di sviluppo accessibile, in modo che sia i veterani che i nuovi modder possano contribuire all’espansione dell’universo di S.T.A.L.K.E.R.. Questa strategia mira a garantire una longevità al titolo, offrendo ai giocatori contenuti sempre freschi e diversificati.
Le mod non solo arricchiscono l’esperienza di gioco, ma svolgono anche un ruolo cruciale nella longevità di un titolo. Consentendo alla community di esprimere la propria creatività, i giochi possono evolversi oltre i confini stabiliti dagli sviluppatori. Questo fenomeno crea un ciclo virtuoso in cui i giocatori diventano parte attiva nello sviluppo del gioco, contribuendo a mantenerlo rilevante nel tempo.
GSC Game World ha recentemente distribuito la patch 1.3 per S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl, introducendo oltre 1.200 miglioramenti che toccano vari aspetti del gioco. Tra le modifiche più rilevanti, spiccano gli interventi sull’intelligenza artificiale (IA), un elemento che aveva sollevato critiche al momento del lancio.
In particolare, il sistema A-Life 2.0, progettato per gestire in modo dinamico NPC e creature all’interno della Zona, ha ricevuto correzioni significative. Al momento del debutto, molte funzionalità di questo sistema risultavano inattive o malfunzionanti. Con l’aggiornamento, i movimenti dei mutanti durante i combattimenti sono stati resi più fluidi e realistici. Inoltre, gli NPC ora reagiscono in modo più accurato ai suoni e ai passi del giocatore, migliorando l’esperienza stealth. Anche il comportamento dei mutanti è stato rivisto, con una maggiore attenzione alle strategie di imboscata.
Oltre agli interventi sull’IA, la patch 1.3 apporta numerosi altri miglioramenti:
Bilanciamento del gioco: sono stati effettuati aggiustamenti nella gestione del bottino, nella difficoltà degli scontri e nei danni inflitti da nemici e minacce ambientali.
Prestazioni tecniche: sono stati risolti numerosi bug e crash che potevano impedire la progressione in alcune missioni. Inoltre, sono stati migliorati gli effetti visivi, tra cui l’illuminazione delle torce nelle scene d’intermezzo e le ombre proiettate dalla torcia del giocatore.
Esperienza di gioco: sono state introdotte nuove tracce musicali per alcune aree e migliorate le animazioni facciali degli NPC, contribuendo a un’immersione più profonda nel mondo di gioco.
GSC Game World ha annunciato una notizia che rallegrerà i fan dello studio di sviluppo ucraino. Con un post su Steam, la software house ha festeggiato i 6 milioni di giocatori su STALKER 2. Non sono stati rivelati ulteriori dettagli su questa statistica, ma si tratta in ogni caso di un successo che vale la pena riportare.
Queste le parole di GSC Game World:
La Zona non è mai stata così rumorosa! Nelle aree di sosta, gli stalker cantano canzoni e suonano la chitarra. Le risate si sentono ovunque: da Zalissya a Wild Island e oltre! A un certo punto anche il Quiet’s Camp si è trasformato in un ingorgo.
Oggi festeggiamo i 6 milioni di stalker che sono venuti a giocare a S.T.A.L.K.E.R.2: Heart of Chornobyl. Sei milioni! Una cifra difficile da comprendere, ma reale grazie a voi. Siamo incredibilmente grati e orgogliosi che ognuno di voi abbia lasciato un segno unico nella Zona.
Da quando è uscito, nonostante tutte le sue difficoltà dovute dall’invasione russa in Ucraina, STALKER 2 ha raggiunto ottimi successi sia in termini commerciali che di critica videoludica. Sei milioni di giocatori sono un numero importante considerando il livello di difficoltà di STALKER 2.
Il prossimo capitolo della celebre saga, Doom: The Dark Ages, promette di ampliare la sua narrazione con un maggiore focus sulla trama. Gli sviluppatori hanno confermato che il gioco includerà più cutscene rispetto ai titoli precedenti, rispondendo così alla crescente richiesta dei fan di un universo narrativo più strutturato. Se finora la serie si è sempre concentrata sull’azione frenetica, questa volta la storia avrà uno spazio più significativo.
Fin dai primi capitoli, Doom ha messo il gameplay al centro dell’esperienza, lasciando la trama spesso sullo sfondo. Con The Dark Ages, questa tendenza cambia: il gioco introdurrà più scene d’intermezzo per sviluppare meglio la trama, offrendo ai giocatori uno sguardo più approfondito sulla mitologia e sugli eventi che plasmano il mondo di gioco.
Il direttore creativo ha spiegato che questa scelta deriva dalla volontà di arricchire l’universo di Doom, senza tuttavia appesantire l’esperienza con troppi elementi narrativi. L’obiettivo è trovare un equilibrio tra azione e storia, mantenendo il ritmo serrato tipico della serie.
Un’evoluzione dettata dai fan
A spingere gli sviluppatori verso questa direzione è stato l’interesse crescente della community per la lore della serie. I giocatori si sono dimostrati sempre più affascinati dai dettagli narrativi nascosti nei giochi precedenti, portando il team a dare maggiore spazio alla trama di Doom The Dark Ages. Questa evoluzione dimostra come il franchise continui ad adattarsi alle richieste del pubblico, senza snaturare la sua essenza.
Nonostante l’aggiunta di nuove cutscene, Doom: The Dark Ages rimarrà fedele alle sue radici: azione frenetica, combattimenti brutali e un’ambientazione oscura e coinvolgente. Il nuovo equilibrio tra gameplay e narrazione potrebbe rendere l’esperienza ancora più immersiva, attirando sia i veterani della serie che i nuovi giocatori.
Doom: The Dark Ages è atteso il 15 maggio 2025 su Xbox Series X/S, PlayStation 5 e PC.
Remedy Entertainment ha annunciato FBC: Firebreak, precedentemente noto come Project Condor. Il nuovo titolo, un gioco sparatutto cooperativo a tre giocatori, porta i fan nell’universo di Control, dove si uniscono all’enigmatico Federal Bureau of Control (FBC) per respingere una minaccia sovrannaturale in un assedio prolungato. Al centro dell’azione ci sono i Firebreakers, l’unità d’élite dell’agenzia, specializzata nel contenere crisi paranormali e ristabilire l’ordine tra le pareti infestate della sede dell’FBC.
Il lancio di FBC: Firebreak è previsto per il 2025, e il titolo sarà disponibile per PC tramite Steam ed Epic Games Store, per Xbox Series X/S e PlayStation 5. Il gioco debutterà sin dal primo giorno su PC Game Pass e Game Pass Ultimate, così come su PlayStation Plus Game Catalog per tutti i membri Extra e Premium. Questo sparatutto cooperativo di prezzo medio sarà anche il primo titolo pubblicato autonomamente da Remedy, segnando un importante passo per lo studio.
FBC: Firebreak si presenta come un’esperienza multiplayer PvE autonoma, focalizzata sulla cooperazione e con missioni ripetibili arricchite da sfide e sorprese. La strategia e il lavoro di squadra saranno fondamentali per avere successo: i giocatori potranno scegliere e personalizzare i loro strumenti attraverso i “Crisis Kits”, con armi e potenziamenti paranormali che permetteranno di alterare l’andamento dei combattimenti. Il team di sviluppo ha già pianificato aggiornamenti e contenuti post-lancio, di cui però non sono stati ancora rivelati i dettagli.
Mike Kayatta, Game Director di FBC: Firebreak, ha dichiarato che il team sta lavorando a un’esperienza focalizzata sul gameplay cooperativo, integrando gli elementi surreali tanto apprezzati dai fan. Questo titolo rappresenta un’opportunità per attrarre anche nuovi giocatori, offrendo loro un gameplay unico e pieno di azione nel mondo oscuro e intrigante di Control.
La creazione di S.T.A.L.K.E.R. 2 di GSC Game World è stata segnata da circostanze straordinarie, con il team di sviluppo coinvolto nel conflitto in Ucraina a causa dell’invasione russa. Ora, questa complessa storia viene raccontata in un documentario ufficiale, disponibile su YouTube, che offre uno sguardo dietro le quinte su uno dei progetti più sfidanti nel panorama dei videogiochi.
Il documentario su S.T.A.L.K.E.R. 2, diretto da Andrew Stephan, esplora le numerose difficoltà affrontate dallo studio ucraino, inclusi i trasferimenti forzati, gli attacchi informatici e soprattutto l’impatto devastante della guerra in corso. Nonostante queste avversità, il team ha mantenuto la propria visione creativa e la determinazione a completare il gioco. Come spiega Stephan, il film non riguarda solo lo sviluppo di S.T.A.L.K.E.R. 2, ma anche la resilienza dell’essere umano di fronte a ostacoli inimmaginabili.
Un tema centrale del documentario è la capacità del team di catturare l’essenza di Chornobyl e dell’Ucraina, non solo come luoghi fisici, ma come simboli di lotta e resistenza. La direttrice creativa, Mariia Grygorovych, sottolinea quanto personale sia il progetto per il team e quanto sia doloroso lavorare su un gioco in queste circostanze, ma anche quanto sia vitale raccontare questa storia al mondo.
Il documentario su S.T.A.L.K.E.R. 2offre uno spaccato unico dell’industria videoludica e del significato di creare in tempi di distruzione, mostrando come S.T.A.L.K.E.R. 2 sia diventato più di un semplice videogioco: è un atto di sfida, un’opera di resistenza culturale.
Alcune software house hanno l’onore di essere ricordate per il genere videoludico che hanno, di fatto, inventato. Tra queste, non può non esserci Looking Glass Studios. Fondata da Paul Neurath nel 1990 e fallita appena dieci anni dopo, Looking Glass è stata una delle aziende più importanti – e anche una delle più sfortunate – degli ultimi 40 anni grazie alla produzione di ben quatto opere che hanno rivoluzionato i videogiochi e ispirato tanti altri professionisti del settore qualche anno dopo. Ultima Underworld, Thief, System Shock e System Shock 2 ha definito un genere, gli immersive sim. Oggi, trent’anni dopo, vi parliamo di uno di questi giochi, System Shock la cui versione Remake è appena approdata anche su console: questa è la nostra recensione.
System Shock del 1994
Prima di affrontare il remake, vale la pena soffermarsi sulla travagliata storia di System Shock. Il gioco di Looking Glass Studios esce nel 1994, pochi mesi dopo Doom di Id Software, in un momento in cui vedono la luce tantissimi first–person shooter ambientati nello spazio più remoto e aggressivo. Il risultato è inaspettato: System Shock è acclamato dalla critica specializzata che lo definisce, a ragione, un’opera unica e innovativa; il pubblico lo snobba. System Shock non vende abbastanza, circa 170mila copie, e serviranno anni per capire l’importanza di un’opera seminale che ha permesso a giochi come Deus Ex e Bioshockdi essere anche solamente pensati.
I videogiocatori contemporanei molto probabilmente ben conoscono il sequel capolavoro System Shock 2, ma quasi certamente non hanno mai giocato il primo capitolo. Almeno fino al 2023, anno in cui Nightdive Studios, oggi sotto la bandiera di Atari, ha pubblicato System Shock Remake su PC, e da qualche settimana anche su console, così da permettere anche a questa generazione di videogiocatori di provare uno dei titoli più belli e sottovalutati della storia dei videogiochi.
Odissea nello Spazio
System Shock è ambientato nel 2072, anno in cui il nostro alter ego hacker, senza nome, viene catturato mentre cerca di accedere a file riguardanti la Cittadella, una stazione spaziale di proprietà di una corporazione: la TriOptimum. Ben presto falliamo nel nostro lavoro e siamo condotti davanti a un dirigente della stessa corporazione. Il patto è chiaro: l’azienda si offre di far cadere tutte le accuse in cambio di un hacking di SHODAN, l’intelligenza artificiale che controlla la stazione, per fini ben poco nobili.
Poco mossi dall’etica, ma interessati soprattutto ai beni materiali, accettiamo l’ultima proposta della TriOptimum: un prezioso impianto neurale militare. Già nell’incipit del gioco rimuoviamo i vincoli etici dell’intelligenza artificiale e finiamo in coma terapeutico per sei mesi. System Shock inizia quando ci risvegliamo dal nostro sonno e scopriamo che SHODAN ha preso il controllo della stazione. Tutti i robot a bordo sono stati riprogrammati per essere ostili e l’equipaggio è stato mutato, trasformato in cyborg o ucciso. E come se non bastasse, SHODAN vuole estendere il suo dominio sul pianeta Terra. Tocca a noi impedirlo e visto i danni che abbiamo fatto fino ad ora, sarebbe anche il minimo.
Immersive sim
I giochi di Looking Glass Studios sono così importanti che tutte le loro opere principali sono racchiuse sotto un unico sotto-genere dei videogiochi di ruolo: gli immersive sim. In questo sub-genere, il videogiocatore ha la libertà di scegliere come raggiungere il suo obiettivo in un mondo limitato (non open world quindi) ma ricco di percorsi diversi. Una scelta coraggiosa per il tempo, che oggi è invece molto popolare e possiamo ritrovare in opere simili come Dishonored e Prey di Arkane Studios (ma anche se in forma di open world sulla serie di The Elder Scrolls o Cyberpunk 2077).
System Shock è uno degli immersive sim più sofisticati: abbraccia oltre al genere dei GDR, anche, e soprattutto, lo sparatutto in prima persona e il survival horror, nato appena un paio di anni prima con Alone in The Dark. System Shock Remake ripropone quanto già visto nel 1994 sotto una veste più snella, semplificata nell’utilizzo, ma ben ancorata al design – nel bene e nel male – dell’opera originale. In altre parole, System Shock Remake è complesso, difficile e a tratti tedioso esattamente come l’opera originale di cui sono stati smussati diversi angoli per renderlo, con successo, godibile anche per un pubblico abituato a giochi tripla-A in cui si è accompagnati per mano durante tutta l’avventura.
Nightdive Studios si è concentrata su un’interfaccia più pulita e su controlli più precisi. L’opera di Looking Glass Studiosnasceva in un’epoca in cui le interfacce non avevano ancora uno standard ben delineato; di conseguenza, Doug Chuck e il suo team sperimentarono un sistema multi-tendina, così sovrapposte che causavono non pochi grattacapi ai videogiocatori. System Shock Remake rivede la user interface sostituendola con una tanto scontata per i giorni attuali quanto efficace: ogni cosa è al suo posto ed è possibile spostarsi tra mappa, inventario e registrazioni premendo, nel caso della versione console recensita, i dorsali del controller.
La console edition di System Shock Remake è particolarmente comoda. Il sistema di puntamento passa sui dorsali con il classico stile trigger-sinistro per puntare e trigger-destro per sparare. I comandi principali invece sono dedicati al salto, all’abbassarsi, al ricaricare le armi e ad attivare le interazioni (anche se la fantasiosa scelta di usare lo stesso tasto per attivare le batterie qualora presenti nel nostro inventario, è alquanto curiosa e dannosa).
Nightdive Studios ha reso i combattimenti meno noiosi rispetto al passato e decisamente più ostici, soprattutto se ci focalizziamo troppo velocemente verso la main quest senza esplorare la stazione spaziale con la calma e l’attenzione con cui è stata pensata l’esperienza videoludica. Nonostante non ci siano veri e propri cambiamenti nell’intelligenza artificiale, in questa versione del gioco i nemici sembrano più reattivi rispetto al passato. Questo rende il gunplay per nulla banale anche a livello di difficoltà normale (livello 2); nello specifico, System Shock Remake permette di impostare la difficoltà di gioco su tre livelli (1,2,3) modificando quattro parametri (combattimento, missione, cyber, puzzle).
Il gameplay di Sytem Shock si basa su un’esplorazione abbastanza spinta. Non avendo alcuna memoria degli ultimi sei mesi, dovremmo ricostruire l’intera vincenda della Cittadella ascoltando le registrazioni e leggendo e-mail di personaggi secondari ormai defunti. Questa scelta narrativarende il gioco realmente immersivo e ci costringe a seguire gli indizi all’interno di una mappa composta da vari piani con differenti ambientazioni che ben rappresentano un’azienda futuristica (con tanto di centro ricerca e zona executive). Nell’esplorazione, System Shock Remake è rimasto molto fedele al passato, invecchiando anche un po’ male: il backtracking può essere molto noioso (soprattutto se costretti a recuperare vita o consumabili) e particolarmente complesso se non balza subito all’occhio un oggetto utile ai fini della missione principale.
Per quanto concerne la parte ruolistica, il nostro personaggi ha due barre: una dei punti vita e una dell’energia. La prima ci mantiene in vita ovviamente, mentre la seconda viene consumata da determinate armi a lungo e corto raggio. A queste, si aggiungono pistole e fucili con tante, troppe forse, munizioni diverse, che offrono vantaggio se usate sul giusto nemico (mutanti, cyberborg e droni per la maggior parte).
Infine, una delle parte più iconiche è il cyberspazio, una dimensione “neurale” in cui ci muoviamo come se fossimo una navicella all’interno di uno spazio tra l’onirico e il concettuale. Il cyberspazio permette di raccogliere potenziamenti unici. In System Shock Remake questo spazio è stato nettamente migliorato rispetto al passato, in quanto adesso è molto meno caotico, più comprensibile, ma comunque ancora decisamente snervante in quanto il livello di difficoltà per arrivare fino in fondo è spesso decisamente elevato.
Remake all’avanguardia
Tecnicamente System Shock Remake è un ottimo lavoro. Il motore grafico è di assoluta qualità e la nuova veste grafica svecchia mantenendo le atmosfere horror sci-fi immaginate nel 1994. I colori e lo stile cyberpunk sono deliziosi e una menzione d’onore va fatta ai nemici, moderni e ben dettagliati. L’unica nota stonata che ci sentiamo di fare riguarda le animazioni e gli sprite: tutto molto ripetitivo e fin troppo legnoso.
D’altro canto il comparto sonoro ha ricevuto un deciso rework sia alle musiche, ma soprattutto ai rumori ambientali. Una mina piazzata dai nemici continua ad avvisarvi del pericolo emettendo un beep sempre più intenso man mano che ci avviciniamo, mentre tutti i (pochi) nemici hanno almeno una frase che li introduce.
La nostra prova è stata effettuata su Xbox Series X dove la resa grafica è particolarmente piacevole e i tempi di caricamento sono velocissimi. Giocare System Shock Remake con un controller è un’esperienza godibile e che ci sentiamo di consigliare a qualsiasi fan, anche a quelli che solitamente preferiscono giocare con mouse e tastiere, poiché l’esperienza rimane inalterata.
Conclusione
System Shock Remake è un titolo che siamo felici di aver giocato, perché ci ha permesso di rivivere le medesime emozioni di trent’anni fa con una veste tecnica decisamente moderna. Il remake è un successo sul comparto grafico e sonoro, ma anche le poche migliorie apportate sull’interfaccia e sui controlli hanno fatto la differenza, poiché trasformano il titolo da un videogioco del 1994 a un gioco contemporaneo.
La scelta di mantenere il gameplay così come quello originale ha i suoi pregi, perché permette di godersi il titolo con la lentezza con cui era stato pensato, ma ha il risvolto negativo di non essere adatto a tutti. Esattamente come l’originale, System Shock Remake è un gioco difficile, complesso e non adatto a tutti. Chi ha il coraggio di goderselo seguendo i tempi dell’opera però potrà scoprire, o riscoprire, una pietra miliare del genere e dei videogiochi in generale.
Dettagli e Modus Operandi
Piattaforme: PS5, Xbox Series X/S, , PC, PS4, Xbox One
Data uscita: 21/05/2024 su console
Prezzo: 39,99 €
Ho provato System Shock Remake a partire dal day one su Xbox Series X.
Era il lontano 1998, settembre per la precisione. Da poco diciannovenne e felice possessore della prima Playstation, uscita qualche anno prima sul mercato, mi apprestavo a festeggiare il mio compleanno, rigorosamente posticipato poiché, cadendo in agosto, gli amici erano tutti in vacanza. Nel giorno del mio compleanno bis, i miei amici si presentarono a casa con una decina di giochi per la mia amata console: tra questi, non posso dimenticare, c’era un titolo che stuzzicò da subito la mia curiosità. Si trattava di Armored Core, AC per gli amici.
Genesi
Armored Core nasceva da un’idea di Shoji Kawamori, mecha designer di storiche serie di anime (una delle più note in Italia è Capitan Harlock), oltre che dall’amore sconsiderato dei giapponesi per i robot giganti.
La saga di FromSoftware era edè formata da simulatori di combattimento tra Mech (o Mecha), enormi robottoni guidati da un pilota che se le danno di santa ragione in scenari più o meno realistici. L’aspetto migliore del primo Armored Core era il fatto che si trattava di un titolo 3D in cui era possibile spostarsi in ogni direzione, sparare ovunque e trovarsi contro nemici che provenissero da ogni angolo, con una fluidità al tempo inimmaginabile.
La caratteristica principale della serie è sempre stata la personalizzazione del proprio mech. Il gioco metteva a disposizione una marea di potenziamenti per gambe, braccia e armi; scalabili al massimo, altamente modulari, i mech potevano essere plasmati ad uso e consumo del giocatore per affrontare le varie missioni, a patto di avere abbastanza crediti per farlo. Come ottenere crediti? È presto detto: bastava concludere le missioni e ottenevate la giusta ricompensa, dopo aver scalato ovviamente il costo dei proiettili usati e le spese di gestione.
Caratteristiche di gioco
Esplorare quei mondi e quegli scenari mi teneva incollato allo schermo per ore. Armored Core aveva una grafica poligonale in 3D che non faceva gridare al miracolo, ma considerando l’anno di uscita e la piattaforma, non si poteva chiedere di più onestamente.
Il gameplay fu considerato ottimo dalla critica e piacque molto anche a me: lo trovai molto interessante e coinvolgente. Questo mio giudizio deriva dalle ore di divertimento che trascorsi e dalla buona struttura a missioni che From Software creò. Gli scenari infatti proponevano città piene di detriti, basi lunari e ambienti desertici. La base lunare, in particolare, attirò la mia attenzione poiché la missione che ospitava era caratterizzata dalla bassa gravità. Nello specifico, nel tentativo di salvare la terra da un attacco dalla luna, il nostro mech avrebbe dovuto fare i conti con la poca gravità che influiva sui salti e sui suoi movimenti.
Un piccolo appunto negativo sul gioco era la difficoltà nel controllare il mech con il pad: i tasti da utilizzare erano troppi, a volta anche contemporaneamente. A parte questo piccolo intoppo, il primo Armored Core risultava godibile sotto tutti i punti di vista, grazie alle missioni ben congegnate, alla fluidità dei movimenti e all’arsenale a disposizione. Infine, la longevità era un altro punto forte, con quasi 50 missioni da completare. Il gioco fu pubblicato nel luglio del 97 in Giappone per poi arrivare in Europa nel giugno dell’anno successivo.
L’università, la ricerca del lavoro e tante altre vicissitudini – naturali nella crescita di ogni individuo – mi hanno portato ad allontanarmi dal mondo videoludico (ma sono rientrato alla grande negli ultimi anni). Dopo 25 anni, in una calda giornata di fine agosto, mi imbatto in Armored Core VI Fires of Rubicon. Dopo una rapida ricerca mi rendo conto di essermi perso ben quindici capitoli (spin off inclusi), ma i ricordi suscitati dal gioco sono più forti del tempo perso. Così lo ordino senza troppo pensarci.
Il giorno dopo, al day one, Armored Core VI è nelle mie mani. Emozionato inserisco il gioco nella mia Xbox Serie X, ed eccomi di nuovo ai comandi di un mech, dopo tanto, tanto tempo. Quello che non avevo messo in conto è che si ha a che fare con From Software (Dark Souls, Elden Ring): la difficoltà di gioco è elevatissima e non “settabile”; inoltre, gli sviluppatori sono noti per gettare letteralmente il videogiocatore nel mezzo del gioco senza alcun preambolo. Complice la mia età avanzata e i riflessi non più pronti come una volta, mi sono ritrovato ad impiegare due giorni per sconfiggere il boss alla fine del tutorial, maledetta From Software!
Addentrandosi più nel gioco, comprendo che la struttura portante del gameplay è immutata, ma ovviamente abbiamo una storia che fa da contorno alle battaglie.
Caratteristiche narrative e tecniche
Sul pianeta Rubicon 3 è stata trovata una nuova fonte di energia che le varie corporazioni tentano con ogni mezzo di accaparrarsi. Il giocatore interpreta un mercenario che, combattendo ora per una ora per l’altra di queste fazioni, cambierà il destino della guerra e del pianeta. Niente di trascendentale o innovativo dunque. Forse però è proprio questa la forza di Fires of Rubicon.
Giocarci è sempre e maledettamente divertente. Le mappe sono credibili e varie, forse eccessivamente post apocalittiche, ma è la storia che lo impone. Peccato non aver implementato una specie di open world. Infatti, gli scenari sono delimitati da una banda rossa laterale che il mech non può oltrepassare. Una scelta che sicuramente limita la strategia di combattimento.
Voci confermate dicono che avremo ben tre finali diversi, quindi sarà obbligatorio effettuare almeno tre distinte run e fare scelte diverse per completare pienamente il gioco. Le missioni hanno alti e bassi, alcune sono troppo facili altre ai limiti dell’impossibile, con boss finali veramente duri a morire. Fortunatamente ci viene in soccorso la modularità dei mech e il loro collaudo, che è possibile effettuare prima di iniziare ogni battaglia. In questo modo è possibile rendersi conto della efficacia della configurazione adottata.
I combattimenti, infine, sono davvero spettacolari, con un arsenale molto vario da utilizzare che rende piacevole sparare missili di vario genere nei denti degli avversari!
Conclusioni
Armored Core VI è il videogioco che From Software avrebbe voluto sin dall’inizio, ma che i limiti tecnici della tecnologia a disposizione impedivano di creare a suo tempo. Fires of Rubicon è untitolo maturo con bellissimi modelli poligonali dei robot, un ambiente vivo e dinamico, una IA non eccelsa ma percepibile, una storia convincente e una personalizzazione del robot ancora maggiore.
La longevità è di circa 25 ore: si snoda tra 5 capitoli, 41 missioni e la possibilità di scegliere tra finali alternativi. Il gameplay di Armored Core VI – rispetto al primissimo del 97 – mantiene inalterato il divertimento introducendo, grazie a mappe ben strutturate, un’importante componente strategica che costringe il videogiocatore a sfruttare le caratteristiche ambientali per cercare di sorprendere i nemici e procurarsi un vantaggio su di loro.
In definitiva, Armored Core VI è un gran gioco, sia che siate fan della serie sia se non abbiate mai pilotato un mech prima d’ora. L’opera di From Software merita la vostra attenzione, poiché la soddisfazione ed il divertimento che può dare non è inferiore a qualsiasi soulslike di Hidetaka Miyazaki.