Passano gli anni, ma l’equazione non cambia: i videogiochi continuano ad essere considerati come la causa per cui i giovani sviluppano atteggiamenti violenti, mentre altre volte diventano il capro espiatorio per giustificare un basso livello di istruzione e di socialità diffuso, in quanto motivo di distrazione per ragazzi e ragazze dai libri e dalle attività all’aria aperta.
Una serie di luoghi comuni che nel tempo sono stati affermati più e più volte, non dal vicino di casa o dal conoscente al bar: lo hanno detto esponenti della politica, delle istituzioni, della Chiesa e delle associazioni nazionali e internazionali. Chissà se abbiano mai esplorato l’universo videoludico, viene da chiedersi. Anche perché stiamo parlando di un settore che non si riduce alla sola componente dettata dal rapporto diretto tra prodotto e utente, ma di un mondo che numerosi studi hanno confermato essere addirittura positivo per la crescita e lo sviluppo della persona (ovviamente, sempre se l’approccio avviene con criterio).
Poi c’è un’altra questione: ci sono una vagonata di studi scientifici che non solo hanno dimostrato che non è vero che i videogiochi fanno male, ma che addirittura hanno spiegato che l’attività videoludica aumenta le capacità cognitive dell’utente (sempre secondo il già citato utilizzo con criterio). Tutto questo non è bastato, perché i negazionisti esistono anche in un settore che dovrebbe essere divertimento, come per l’appunto quello videoludico.
Per questi motivi, abbiamo bussato alla porta dello studio del dottor Omar Bellanova – psicologo, psicoterapeuta, sessuologo, supervisore e docente, socio della Società Italiana di Terapia Cognitivo Comportamentale e Fondatore del Centro Romano di Psicoterapie Integrate, solo per citare qualche titolo conseguito – per chiedergli se i videogiochi fanno male e sfatare tanti altri luoghi comuni.
Un dibattito senza fine
Si tratta di una diatriba ormai obsoleta, talmente rarefatta che forse in pochi oggi fanno ancora caso alle accuse lanciate dall’alto spesso senza fondamento. Lo faccio anche io, che mi reputo una persona mentalmente stabile, che condanna ogni forma di violenza e razzismo, ma che accetta il fatto che, quando approcciandosi ad un videogioco, lo sta facendo per la sola voglia di affrontare una sfida, essere spettatore di una storia, alimentare la propria voglia di attività ludica.
Poi è successo che, nei giorni scorsi, scrollando Tik Tok, mi sono imbattuto nel canale di Save a Gamer, il quale ha catturato la mia attenzione con la rubrica “Quelle volte che hanno pensato che i gamer fossero degli idioti”. Una serie di contenuti dove il creator ha voluto sintetizzare, ironicamente, una carrellata di accuse paradossali lanciate negli anni nei confronti dei videogiochi e dei videogiocatori.
C’è per esempio la lettera di una mamma al Corriere della Sera che, nel 2014, parlava di prodotti che “allenano alla violenza e che stavo per regalare a mio figlio” (parlando di GTA V), dove “i ragazzini godevano e ridevano e si compiacevano di aver ucciso una prostituta e di averle anche rubato i soldi, che aveva appena guadagnato con una prestazione sessuale”. Senza contare la storia, raccontata dal Tg4, relativa all’operaio arrestato con l’accusa di terrorismo che si “stava allenando ad attaccare il Louvre con Assassin Creed Unity“, solo per citarne due.
E’ nato prima il gamer o il pregiudizio?
Una serie di accuse che, personalmente (e penso di non essere il solo) non posso che considerare infondate, in primo luogo perché sono certo che a lanciarle siano personaggi che di videogiochi non sanno nulla. Allo stesso tempo non riesco a fare a meno di pormi almeno un paio di domande: e se questo mio atteggiarmi a “superiore” nei confronti di tali affermazioni mi stesse allontanando da un problema reale? E se così fosse, i videogiochi hanno almeno qualcosa di buono da regalare agli utenti o sono soltanto un “male”?
La risposta a queste domande non me la darà né chi demonizza i gamer, tantomeno i gamer stessi. La devo cercare nel mezzo, magari da uno che sa cosa sia un videogioco e soprattutto cosa passa nella testa delle persone.
A tu per tu con il dottor Omar Bellanova
Conosco il dottor Bellanova da un po’ di anni e ricordo quella volta che entrai nel suo studio e lo trovai, tra una seduta e l’altra, con lo smartphone in mano mentre giocava a Diablo Immortal. Volevo dirgli che. quel titolo a cui stava giocando, a mio avviso non è un gran gioco, ma d’altronde quello passava in convento e soprattutto chi sono io per criticare i gusti degli altri?
Riparto quindi da questa immagine, quando decido di irrompere da lui (previo appuntamento, ci mancherebbe) per avere finalmente un punto di vista il più neutrale possibile, ma soprattutto diretto ed umano sulla questione.
IlVideogiocatore.it: Dottor Bellanova, ricordo quando l’ho incontrata smartphone in mano giocando a Diablo. Visto che parleremo di videogiochi, ho una curiosità: quanto gioca o ha giocato nella sua vita?
Dott. Bellanova: Non abbastanza. Avrei voluto e vorrei più temo per farlo. Mi piacerebbe farlo di più soprattutto oggi, che sento di possedere la capacità di comprendere l’utilizzo del gioco, che può servire per rilassarmi e per concedermi un momento di evasione consapevole.
IlVideogiocatore.it: Ha già risposto in parte alla domanda che volevo porle: ma i videogiochi, alla fine, fanno male?
Dott. Bellanova: Ovviamente non è il mezzo ad essere positivo o negativo. Come ogni cosa, l’approccio può essere sano o patologico e non mancano occasioni in cui il videogame viene utilizzato quale scappatoia per il ritiro sociale o per sfogare potenziali frustrazioni, ma è chiaro che le cause di tali atteggiamenti non sono da cercare nel prodotto videoludico.
IlVideogiocatore.it: C’è un’intera bibliografia di studi e di ricerche scientifiche che conferma come i videogiochi non siano causa di aggressività e, anzi, aumentino le capacità cognitive. Eppure, ciò non basta: vengono ancora demonizzati quali causa dello sviluppo di atteggiamenti aggressivi e violenti nei giovani. Cosa ne pensa?
Dott. Bellanova: Partirei dalla base: che cos’è la violenza? Parlare di violenza, in psicoterapia, equivale a parlare di copying disfunzionale, ossia di una strategia non molto sana e proficua che viene messa in atto per raggiungere un determinato obiettivo quando mancano basi più sane nella struttura di una personalità. Noi adottiamo costantemente strategie per segnare dei traguardi ed impariamo, nella nostra esistenza, che dobbiamo realizzarci proprio attraverso l’utilizzo di determinate strategie, si spera, sviluppandone di più sane ed adattive possibili. In questo scenario, però il copying è disfunzionale perché può derivare da una personalità non ben strutturata che non ha avuto esperienze sufficientemente buone e positive per evolversi. Quindi quello che avviene è che il copying della violenza è maladattivo, una forma di strategia più bassa, che viene utilizzata in situazioni di difficoltà, quando si è o ci si sente disarmati e non si possiedono strategie più sofisticate ed efficaci per affrontare una situazione. Fatta questa premessa, è ovvio che se si utilizza la violenza come strategia per raggiungere i propri obiettivi, significa che ci sono lacune importanti nel percorso di sviluppo dell’individuo come essere umano. Chi usa la violenza non possiede un’agentività sana e non è sicuramente colpa dei videogiochi. Le cause sono da cercare più in profondità.
IlVideogiocatore.it: Allora mi viene da chiederle: “Cos’è l’attività ludica?“
Dott. Bellanova: Quando parliamo di attività ludica facciamo riferimento ad un sistema interpersonale, grazie al quale possiamo sperimentare una vasta serie di esperienze in un contesto sociale e relazionale che ci permettono di sviluppare e raffinare la nostra agency, ossia il nostro potere di intervenire sulla realtà. Giocando posso imparare a sviluppare strategie, compreso il sistema competitivo nelle sessioni multiplayer, così come gli sportivi promuovono quello agonistico. Ma se ci si approccia al contesto del gioco senza una direttiva, senza un “tutorial” da parte di qualcuno che ha a cuore il nostro sviluppo intellettuale ed emotivo, si può arrivare a sperimentare realtà anche negative, tra cui il sadismo.
IlVideogiocatore.it: Quali sono invece gli aspetti positivi del videogioco per l’utente?
Dott. Bellanova: Come ho già accennato prima, con la presenza di una sana educazione, la persona sarà in grado di sperimentare attraverso il videogioco. Viviamo in un’epoca in cui l’utilizzo della realtà virtuale ha un larghissimo campo di intervento: oggi viene utilizzata anche in psicoterapia per affiancare i modelli terapeutici per fobie, ansia e il sostegno alle funzioni cognitive. Insomma, la realtà virtuale ha un’infinità di applicazioni, perché i videogiochi dovrebbero rappresentare un’eccezione? Personalmente ricordo bene quando da giovane giocavo a titoli come Monkey Island e affini: penso mi abbiano aiutato a sviluppare una capacità di problem solving che poi sono riuscito a sfruttare nel corso degli studi, per fare un esempio pratico.
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