Di rado mi è capitato di dovermi prendere una pausa da un gioco perché ci sono troppe cose da fare. Poi è arrivato Baldur’s Gate 3, che per me è stata una grande scommessa: temevo che Larian Studios, autore di quei capolavori di Divinity Original Sin 1 e 2, avrebbe risentito del peso di un’eredità così grande, quella di dover dare un degno sequel ai titoli BioWare del 1998 e 2000. E invece, anche questa volta, hanno colpito nel segno.
Un mondo aperto
Dicevamo: Baldur’s Gate 3 è enorme, con un’infinità di cose da fare e di possibilità. Già al primo atto sembra di aver giocato due giochi anziché uno. Tantissime quest, tutte risolvibili (e fallibili) in svariati modi e che aprono a numerosi finali: si ha davvero la percezione di essere il protagonista di un mondo “aperto”, nel senso che tutto ciò che circonda il nostro personaggio e i suoi compagni (che si tratti di ambiente, npc e creature) reagisce alle nostre decisioni, sia nel breve periodo che a lungo termine.
E la cosa pazzesca, sicuramente una novità per chi non ha provato i precedenti titoli di Larian, è che si può veramente interagire con qualsiasi elemento nei modi più disparati. I dungeon hanno almeno un paio di entrate (se dice bene), se si hanno le magie o le pozioni giuste si può parlare con gli animali e aprire altre quest o scoprire segreti, si può provare a rubare ad un vendor e darsi alla fuga prima che si venga scoperti e così via.
Ma ancora più importante, è che il personaggio diventa realmente un’estensione giocatore. Anche i personaggi pregenerati, che hanno un loro background, vedranno la propria storia evolversi in base alle decisioni prese dall’utente. Volete essere dei paladini che aiutano i più deboli o dei ladri menefreghisti il cui solo interesse è il vil denaro? O addirittura dei malvagi warlock che si fanno gioco di innocenti? Sì, potete fare tutto questo, anche mescolando le parti.
Il peso di Dungeons & Dragons
La prima domanda che mi sono posto, quando ho iniziato il gioco, è stata: quanto bisogna conoscere la quinta edizione di Dungeons & Dragons per poter viversi questa avventura alle porte di una delle più grandi città del Faerun? La prima risposta è stata: se non conosci D&D, non ci capisci niente.
Ne parlavo con Alessandro, che era con me su Discord mentre ognuno giocava la sua partita in single player. Lui, della quinta edizione, ne sa molto più di me, visto che io ho virato su altri giochi di ruolo cartacei quali Pathfinder, per citarne uno. E infatti lui andava spedito. “Ai barbari l’armatura praticamente non serve”, mi ha raccontato, così come mi ha spiegato che un’arma versatile può essere impugnata sia a una che a due mani.
Insomma, se proprio vogliamo trovare un neo, bisogna ammettere che Larian è stata un po’ avara di spiegazioni, rendendo il tutorial una vera e propria sintesi delle regole del gioco cartaceo di cui Baldur’s Gate rappresenta una trasposizione estremamente fedele. La prima impressione è che si trattasse di un gioco di nicchia, solo per nerdoni da tavolo come me.
Poi è arrivato Sabba, un altro amico, anche lui su Discord per condividere la sua esperienza di gioco con noi altri. Era preso, anzi presissimo, e la cosa bella è che lui, di D&D, ne avrà sentito parlare per sbaglio mezza volta. Insomma, mi sbagliavo: Baldur’s Gate 3 può essere giocato da chiunque, anche se bisogna andarsi a leggere qualche spiegazione qua e là sul web, ogni tanto.
Paladino, sempre e per sempre
Ho passato un’ora buona a pensare al personaggio che mi sarei fatto. I pregen? Bellissimi, ma non mi convincono quanto Ifan, Principe Rosso o Fane (i personaggi di Divinity Original Sin). Allora ho puntato all’Oscura Pulsione, l’unico pregenerato personalizzabile di origine e classe. Spulcio tutte le classi, ma niente da fare: non riesco a non giocare il paladino.
Sono Kaldor, un dragonide d’argento, che segue la via della Vendetta. Armi a due mani, ovviamente, perché il Punire il Male deve arrivare chiaro e forte al nemico. Inizio a girare, speravo di ritrovarmi subito dentro Baldur’s Gate, come accadeva nel secondo capitolo della saga, ma niente: sembra che dovrò attendere un po’.
Non so se la cosa mi piace: l’idea di poter girare sin da subito nella metropoli, con la possibilità di uscire ed esplorare le terre selvagge mi stuzzicava alquanto, invece Larian ha deciso di mantenere la formula dei Divinity: grandi mappe, tra loro suddivise, ognuna delle quali rappresenta un diverso atto della storia. E se la cosa mi era piaciuta nei precedenti giochi della Larian, questa volta mi ha un po’ scombussalto.
Questo non significa, però, che il gioco non mi piaccia. E’ bello, bellissimo, enorme. Ero arrivato anche a buon punto nella prima run, quando ho deciso di ricominciarlo, perché pensavo che lo stessi rushando troppo (e sono tutt’altro che uno speed runner).
E quanto avevo ragione: mi ero perso un mondo di segreti e di dialoghi. Insomma, togliamoci dalla testa il “minmaxare” e qualsiasi altra forma di pro-playing: Baldur’s Gate 3 va goduto. E il tasto skip dovrebbe essere vietato.
Lunga vita ai gdr
È un po’ che gli amanti del genere aspettavano un nuovo titolo di questa portata. Dopo i già stracitati Divinity o i Pillars of Eternity, senza contare gli “extra fantasy” come per esempio Wasteland 3, gli amanti del turn based combat miscelato all’esplorazione libera e alla scoperta di segreti erano rimasti a bocca asciutta da troppo tempo.
Si tratta di una platea che adesso è sicuramente aumentata a dismisura: basti pensare che Larian Studios, che di gdr di questo tipo ne sa qualcosa, si aspettava un bacino di utenti pari a centomila giocatori al lancio, e invece se n’è trovata otto volte tanti.
L’effetto hype lo conosciamo tutti: è successo anche con Diablo IV (Recensione) dove però, a mio modesto avviso (purtroppo non solo mio, in realtà), si è spento subito, ancor prima della stagione 1.
Con Baldur’s Gate le cose cambiano, perché oltre all’hype c’è anche della sostanza. Un numero incredibile di possibilità, che rende ogni nuova run un’esperienza quasi del tutto nuova. Evviva Baldur’s Gate 3!
Si è conclusa da poco la settimana più calda per il gaming internazionale. Dopo la dipartita dell’E3, il Summer Game Fest – coadiuvato dalle kermesse di svariati publisher – è ormai il massimo evento estivo in cui scopriamo i videogiochi che giocheremo nell’immediato futuro, o quasi. In questo articolo ho raccolto le impressioni, certezze, speranze e dubbi sugli eventi di maggior spessore: il Summer Game Fest, l’Xbox Games Showcase, l’Ubisoft Forward e il Capcom Showcase 2023.
Speranze e certezze
Le conferenze di queste ultime settimane non hanno mostrato tantissimi videgiochi superlativi, ma quando lo hanno fatto sono rimasto positivamente colpito.
Il videogioco su cui ho maggior certezze, nonostante siamo appena agli inizi, è Final Fantasy VII Rebirth. Il secondo capitolo della trilogia è ancora lontano – la data d’uscita è un generico 2024 – ma la sua presenza è pesante: Rebirth è l’unico gioco che già vedo con almeno una sfilza di nove nel suo background. Qualsiasi altro risultato sarebbe insoddisfacente. Il trailer del Summer Game Fest con Cloud, Tifa, Aerith ma soprattutto Sephiroth ha mostrato la volontà di Square Enix di continuare quanto ben fatto con il primo capitolo della triologia: Rebirth ha la mia completa fiducia.
Il secondo posto del meglio che ho visto va a Starfield. Ovviamente l’evento dedicato al gioco è di gran lunga migliore dei tre minuti di Final Fantasy, ma qualche dubbio ancora mi attanaglia: l’opera magna di Todd Howard è così bella da non sembrare reale. I diversi video di Starfield mi hanno detto che in questo videogioco si può fare letteralmente tutto: esplorare, combattere in prima e terza persona, costruire basi, avere dialoghi significativi e una personalizzazione unica del proprio personaggio. Sì, sembra il gioco definitivo non solo per gli appassionati di Xbox ma per qualsiasi videogiocatore. L’esperienza mi ha insegnato che fare qualcosa di così enorme, che non si limita a un open world ma bensì a intero universo, è veramente difficile; non sono ancora sicuro che sia veramente possibile. Ho bisogno di toccarlo con mano e per fortuna non mancata tanto: il 6 settembre potrò farlo.
Tra le solide certezze invece inserisco tre titoli che mi convincono sempre di più, trailer dopo trailer. Oggi voglio avere vita facile: al terzo gradino del podio metto Baldur’s Gate 3. Ormai in accesso anticipato da un bel po’ e in arrivo il 31 agosto, il gioco di ruolo di Larian Studios non è una novità, ma un videogioco che sicuramente giocherò. Scelta banale? Sì, ma sono sicuro che sarà vincente. Discorso simile, ma con meno certezze invece per Marvel’s Spider-Man 2 e Mortal Kombat 1. L’uomo ragno di Insomniac Games arriverà il 20 ottobre 2023 e credo che sarà un bel gioco. Durante il Summer Game Fest 2023 ho visto un gameplay solido e una resa grafica soddisfacente. Purtroppo ho qualche dubbio sull’innovazione che possa portare al genere, ma sarà un’opera da seguire e successivamente giocare. Sono del medesimo avviso per Mortal Kombat 1: la scelta di creare un universo parallelo non mi affascina e non mi aspetto grandi cambiamenti dal reboot: però è sempre MK e il trailer ha mostrato tutto quello che i fan vogliono: violenza, sangue e un macabro humor.
Anche se l’usato sicuro dei titoli appena citati ha avuto la meglio su di me, pongo comunque grandi speranze su Senua’s Saga: Hellblade 2. Sono uno dei pochi che non ha mai veramente amato il primo capitolo. L’ho giocato, l’ho trovato originale ma ho avvertito il senso di confusione della protagonista come un eccessivo ostacolo al gameplay. Discorso diverso per Hellblade 2; guardando il trailer ho provato un profondo senso di angoscia: non so se avrò voglia di provare queste sensazioni, ma ho percepito enormi passi in avanti nel suscitare emozioni, che alla fine è tutto quello che conta in un videogioco.
In fondo alla mia personale lista delle speranze, e in questo caso mi sento di dire “certezze”, posiziono Dragon’s Dogma 2: sono convinto che il nuovo capitolo del gioco di ruolo di Capcom ci sorprenderà. Un mappa più grande e un’intelligenza artificiale definita di “ultima generazione”. I fan avranno delle aspettative altre, ma al di fuori della propria nicchia non c’è tanta pressione: un enorme vantaggio perché questi ragionamenti hanno fatto passare in secondo piano un trailer convincente ma soprattutto ricco di parole importanti. L’intelligenza artificiale è fondamentale per i videogame. Ci potremmo svegliare al day one e scoprire che Dragon’s Dogma 2 ha rivoluzionato un pezzo di storia videoludica: sinceramente lo ritengo possibile.
Dubbi estivi
Può un open world su Guerre Stellari generare dubbi? In teoria no; in pratica voglio veramente andarci con i piedi di piombo con Star Wars Outlaws. Così come Starfield, l’open world di Ubisoft sembra essere il gioco definitivo. Nel video di presentazione all’Ubisoft Forward c’è tutto: esplorazione di pianeti, gunplay ricercato, viaggi nello spazio e combattimenti nello spazio. Se mi dovessi basare solamente sui video gameplay, Star Wars Outlaws finirebbe sul podio. Purtroppo però Ubisoft annacqua ormai da anni i suoi giochi con mondi aperti privi di carisma: temo che anche Outlaws venga sacrificato sull’altare dell’accessibilità a tutti i costi. Spero di sbagliarmi, ma oggi non mi voglio impegnare.
Un discorso simile mi sento di fare per Prince of Persia: The Lost Crown. In questo caso però ho voglia di credere nella rinascita del franchise. I miei dubbi nascono soprattutto dallo stile artistico scelto: a me piace, tanto, ma ricorda clamorosamente il ritorno di Crash Bandicoot con il quarto capitolo. E questo mi preoccupa: Prince of Persia non ha bisogno di prendere spunto da nessuno se non sé stesso. Il trailer non dice ancora molto, quindi per adesso è un interessante ma importante dubbio.
Prima di aprire l’antro delle paure personali, provo a respirare e parlare di un limbo che non mi dice ancora molto e che purtroppo temo non finirà bene. Vado sul sicuro affermando che il trailer di Avatar: Frontiers of Pandora è stato tremendamente scialbo. Mi è sembrato di tornare indietro di 20 anni e rivedere opere anonime come Harry Potter e La Camera dei Segreti. Un ragionamento simile ma più complesso invece va fatto per Lies of P. Il soulslike di Round8 Studio è sulla carta una gemma piena di carisma. In ogni trailer mostra il suo fascino ma puntualmente qualcosa mi dice che non sarà un’opera indimenticabile. Bioshock, Final Fantasy, Elden Ring: Lies of P mi ricorda i più grandi, ma le fasi di combattimento stanno sempre passando in secondo piano. Stiamo già mettendo mani alla demo, ma nonostante la resa stilistica, il carisma dei personaggi e le ambientazioni mozzafiato, preferisco prendere questo titolo con le pinze, ancora per un po’.
Dopo 10 anni di sviluppo, assenze importanti e rinvii lunghissimi, Ubisoft ha annunciato una closed beta di Skull & Bones, che si terrà dal 25 al 28 agosto 2023. Non è quantomeno curioso che un videogioco con queste vicessitudini si presenti in sordina a fine estate? Una decade di lavoro si presenta a Natale, se proprio vogliamo andarci leggeri possiamo pensare di venderlo in primavera. Ma agosto può significare solamente che anche Ubisoft ha forti dubbi. E anche io la penso come loro perché Skull and Bones, durante il Forward, è stato presentato con un trailer alle spalle di una band che cantava canzoni piratesche. Tutto si è visto e sentito fuorché il gioco, in una conferenza sui videogiochi. Strano? Decisamente.
Ora passiamo ai dolori: quei due videogame che ho visto e che mi fanno temere che l’attesa non sarà ripagata.
Partiamo dal primo: Alan Wake 2non mi ha convinto. L’opera di Remedy dovrebbe essere un mix bilanciato tra i survival horror di fine anni 90, Stephen King e film e telefilm cult tra horror e investigazione. Il risultato del breve gameplay del Summer Game Fest invece mi ha ricordato una versione annacquata di un qualsiasi remake di Resident Evil. Non è necessariamente un male, ma non è neanche un bene perché ho sentito mancare tante, troppe sfumature angoscianti che il primo Alan Wake mi ha saputo dare. Ripongo in Remedy ancora delle speranze, ma il 17 ottobre 2023 è vicino: spero solo che si tratti di una cattiva scelta di marketing, ma le premesse non mi hanno fatto impazzire.
Dulcis in fundo, o quasi: Avowed è ben lontano dall’essere pronto. Lo sapevo, ma non mi aspettavo nemmeno un trailer così mediocre. Da grande appassionato di Pillars of Eternity, l’idea di vedere una specie di The Elder Scrolls ambientato nel mondo di Eora è un sogno che si avvera, ma da quanto si è visto, Avowed sembra letteralmetne una mod di Skyrim, cioè un videogioco di 12 anni fa. Texture scarne, animazioni povere e ambientazioni disadorne. Sono cosciente che il piatto forte della casa è la trama, ma essa passa anche attraverso un mondo che la sappia valorizzare. In questo momento Eora è anonima, adesso come non mai il 2024 sembra troppo vicino.
“Bioshock”. Avrei potuto anche scrivere questa unica parola, chiudere qui l’articolo e non aggiungere altro. Già, perché per qualunque amante dei videogame di qualità Bioshock è storia, anzi, è leggenda.
Quello che leggerete d’ora in avanti sarà il variopinto elogio di una saga, “Bioshock”, “Bioshock 2” e “Bioshock – Infinite”, che mi ha appassionato come quasi nessun’altra e che mi ha piacevolmente costretto a giocarla e rigiocarla fino a scoprire ogni più piccolo segreto, ogni sfaccettatura, ogni singolo passaggio. Con “Bioshock” e i suoi sequel, infatti, non si vive semplicemente una storia, non si vestono soltanto i panni del protagonista di turno ma si affrontano i propri demoni, ci si interroga, spinti dalla trama, a fare i conti con sé stessi e ad interrogarsi su cosa, fino in fondo, sia la nostra natura umana.
La nascita del mito
Ma andiamo con ordine. Nel 2007, sviluppato da Irrational Games e pubblicato da 2K Games, arriva “Bioshock”, un FPS destinato a cambiare la storia degli sparatutto in prima persona e non solo. Il titolo ebbe l’effetto deflagrante di una bomba atomica in un mondo video ludico che attendeva con ansia un nuovo capolavoro di cui cibarsi con voracità. Il lavoro dei ragazzi dello “Scoiattolo Cieco” si rivelò subito un gioiello preziosissimo, sia per il comparto tecnico e la programmazione perfetta sia per il design dei livelli e degli straordinari personaggi. Fu così che tutte le riviste di settore non poterono far altro che dare votazioni altissime tanto da raggiungere la media di 97/100. L’acclamazione di “Bioshock” fu unanime, così come la soddisfazione dei videogiocatori di tutto il mondo che si trovarono per le mani uno dei migliori titoli mai realizzati.
Successore “spirituale” di System Shock 2, Bioshock venne ideato per stupire la platea videoludica e trasportarla in una realtà distopica in cui il giusto e lo sbagliato vanno a fondersi in un’ipocrisia generale e folle.
Il capostipite della serie inizia con il protagonista Jack intento ad affrontare il dramma di un disastro aereo rimanendo miracolosamente illeso. Precipitato al largo nell’Oceano Atlantico, scorge un faro poco distante. Entrato poi in una batisfera, viene trasportato suo malgrado all’ingresso della città di Rapture obbligato così a scoprire i tremendi segreti di un mondo sommerso intriso di pazzia, disumanità e degrado sociale da cui dovrà evitare di essere inghiottito.
La prima avventura si dipana proprio all’interno di questa stupefacente e affascinante città sottomarina in cui, prima del decadimento, si erano riunite menti illuminate e geniali che avevano come discutibile scopo quello di poter sperimentare senza freni, slegati dalla morale e dalle leggi terrestri.
Scopriamo, ben presto, che l’inizio della fine fu la scoperta di una sostanza estratta da alcune lumache di mare, l’Adam. Tale sostanza agisce sull’organismo umano come una sorta di tumore benigno che sostituisce le cellule presenti con cellule staminali potenziate e instabili. Risultato? Tanti poteri ma anche demenza e follia. Questi poteri vengono chiamati “Plasmidi” e donano a chi li possiede (i ricombinanti) le capacità, tra le altre, di congelare, bruciare, fulminare e generare api assassine. Tali poteri vanno costantemente rimpinguati dalla droga Adam che, come ogni sostanza stupefacente, causa dipendenza. Ed ecco che Rapture, nata come città utopica con lo sguardo rivolto al futuro e alla tecnologia, diventa in breve tempo un enorme calderone di morte e pazzia in cui umani dissennati vagano senza meta per procurarsi una dose.
E già così, ammettiamolo, potremmo parlare di un’idea originalissima alla base di Bioshock. Già così potremmo parlare di capolavoro. Per fortuna, però, Bioshock non si limita ad essere uno sparatutto in soggettiva tecnicamente e visivamente splendido ma anche un gioco in cui la trama ci lascia a bocca aperta e che ci regala chicche splendide come i Big Daddy e le Sorelline a cui non possiamo che dedicare una sezione più in basso.
Tralasciando i risvolti di trama, per i quali il sottoscritto vi consiglia caldamente di recuperare i titoli e giocarli, i due sequel procedono nel solco tracciato da “Bioshock”, regalandoci in Bioshock 2 la possibilità di vestire i panni di un possente Big Daddy senziente e, nel terzo, di vivere un’avventura splendida tra l’onirico e il magico, il tutto sapientemente curato da una regia politica che ne fa, probabilmente, il titolo più maturo dei tre.
Big Daddy & Sorelline, terrore e genialità
Come abbiamo detto, gli abitanti di Rapture sono ormai perduti, vittime dei loro stessi vizi e perennemente alla ricerca di Adam. E la loro ricerca si estende, in modo macabro e purulento anche nei cadaveri disseminati qui e lì per una città senza freni. Già, perché con uno strumento terrificante simile ad una pistola con un lungo aculeo finale è possibile estrarre i residui di Adam che scorrono nelle vene del defunto. I cadaveri, però, restano incustoditi e a disposizione di tutti solo per pochissimi minuti perché, a pochi minuti dalla morte, ecco arrivare le visioni più agghiaccianti e terribili che Rapture proponga: i Big Daddy e le Sorelline. I primi sono dei robot corazzatissimi e armati di trivella meccanica che hanno un solo scopo: difendere le bimbe che li accompagnano. Queste creaturine a prima vista sembrano delle dolci e innocenti bambine che però si rivelano esseri mutati geneticamente e riprogrammati per “fiutare” l’Adam ed estrarlo dai cadaveri con i loro arnesi.
Non nascondo che quando le incontrai per la prima volta restai pietrificato e provai una sensazione di terrore misto a fascinazione. È indubbio che, pur silenti, i Big Daddy siano personaggi straordinari, non a caso diventati ultra-famose icone pop più volte rappresentate e ben presenti nell’immaginario videoludico attuale.
Quando le parole “bene” e “male” non hanno più senso
Non starò qui a raccontare minuziosamente le trame di questi capolavori senza tempo a distanza di così tanti anni dalla loro uscita ma è necessario trovare all’interno di essi un filo conduttore dell’intera l’epopea di Bioshock: la difficoltà di distinguere il bene dal male. Cosa è giusto e cosa è sbagliato. Durante tutti i tre i giochi, infatti, saremo spesso chiamati a fare delle scelte difficili che potranno o non potranno rendere il nostro personaggio più forte e, di conseguenza, l’incedere tra i livelli più agevole. Saremo chiamati a scegliere se liberare le sorelline del loro mostruoso fardello regalando loro una nuova infanzia umana oppure ucciderle prosciugandole del tutto del prezioso Adam. Detta così, potrebbe essere semplice dire quale sia la scelta giusta ma, in realtà, siamo ben oltre i limiti dell’ovvio.
Le sorelline non sono biologicamente umane, anzi, sono completamente prive di umanità nel loro stato e ciò, convenzionalmente, non le porta allo status di esseri umani. Non sappiamo i risvolti reali della loro “redenzione” che, per mano nostra, potrebbe lasciarle in una sofferenza perenne e con enormi problemi di carattere psicologico e sociologico. Neanche la dottoressa che le ha create, Brigit Tenenbaum non sa realmente cosa le sorelline siano in realtà né tantomeno conosce la loro origine. Vale la pena rischiare la propria vita per salvare questi soggetti che potrebbero essere stati creati artificialmente in laboratorio? Sta a voi deciderlo… dilemmi etici di tale portata saranno ben presenti anche nei sequel in cui potremo o non potremo forzare la legge di Rapture e quella etica per andare avanti, oppure partecipare ad un golpe che possa favorirci. E’ tutto nelle nostre mani e i vari finali disponibili, che cambiano in base alle nostre scelte, rappresentano il giudizio finale sulle nostre azioni. Provare per credere.
Sono ambidestro e ve lo dimostro!
Spero che a questo punto via sia passato il messaggio che “Bioshock” e fratelli siano dei capolavori visionari e senza tempo ma non potevi esimermi dal parlarvi di una delle meccaniche di gioco più importanti nonché più iconiche e riconoscibili del gioco: il doppio attacco combinato.
Abbiamo detto in incipit che a Rapture abbiamo la possibilità di acquisire poteri straordinari chiamati Plasmidi e che questi siano alla base di tutti e tre i titoli. Ciò non implica, però, che i nostri protagonisti non possano farsi largo tra selve di nemici a colpi di armi da fuoco, anzi. L’innovazione della saga di Bioshock è proprio rappresentata dal doppio attacco Plasmide/Arma da fuoco che possiamo sfruttare anche in base all’ambientazione. Per fare un paio di esempi banali, ma si può eliminare il nemico con enorme eleganza e in tanti modi diversi, se il nostro avversario si trova con i piedi nell’acqua sarà certo una buonissima idea utilizzare la scarica per fulminarlo per bene prima di finirlo con fucile o pistola mentre se si trova a camminare sul cherosene o sulla benzina, la fiamma ci aiuterà ad arrostirlo a puntino.
Ecco, la possibilità di utilizzare la mano destra per sparare e la sinistra per utilizzare il potere fu un vero colpo di genio dei creatori che regalarono, così, ai posteri una saga da cui, successivamente, hanno attinto un po’ tutti a piene mani.
Una saga oltre il tempo e la tecnica
Degrado sociale, psicologia, cieca follia e lucida crudeltà sono gli ingredienti che, uniti ad un comparto tecnico di altissimo rilievo e da un level design degno di essere studiato nelle università di settore, fanno della saga di Bioshock una delle più importanti e ricordate dell’intera storia videoludica. Tre titoli che non sentono quasi per nulla il peso degli anni e che possono essere tranquillamente giocati anche al giorno d’oggi senza il timore di vivere un’esperienza vintage e poco appagante. Provare per credere.
Se si guarda all’attualità del mondo dei videogiochi, il nome diLara Croft non figura certamente tra quelli dei personaggi più popolari. La stessa saga di Tomb Raider, nonostante la buona qualità degli ultimi episodi usciti, non è certamente tra le IP più “forti” e rilevanti del momento. Tuttavia, tutti coloro che, come il sottoscritto, hanno vissuto la fine degli ormai mitici anni novanta, ricorderanno che la bella archeologa era diventata uno dei volti più famosi e riconoscibili dell’intera industria del videogioco.
Pubblicità, apparizioni su numerose riviste, merchandising, serie a fumetti, cartoni animati e persino varie apparizioni durante i concerti degli U2 del PopMart Tour del 97. Il nome di Lara sembrava davvero sulla bocca di tutti e non era esagerato definire la bella eroina una vera e propria icona pop. Questo successo, oltre che al carisma e al fascino di Lara, fu senz’altro dovuto all’incredibile qualità del gioco di cui l’archeologa era protagonista. Il primo Tomb Raider, infatti, fu un titolo davvero sorprendente, sia per la sua altissima qualità che per le innovazioni che seppe portare nel panorama dei giochi di avventura.
In questo articolo andremo a riscoprire questa piccola gemma e cercheremo di spiegare perché il primo Tomb Raider è stato tanto amato, come abbia saputo lasciare ricordi così indelebili nei cuori di numerosi giocatori, compreso il sottoscritto, e perché ha fatto la storia dei videogiochi. Recuperiamo le nostre pistole e lanciamoci alla riscoperta di questo classico!
Un fulmine a ciel sereno
Quando Tomb Raider uscì, tra il 1996 e il 1997, lo fece in punta di piedi. Il gioco, sviluppato dalla veterana Core Design e prodotto da Eidos per Saturn, Playstation e PC, non fu infatti accompagnato da una campagna pubblicitaria particolarmente forte. Tuttavia, non appena i giocatori misero le mani su Tomb Raider, compresero subito di essere di fronte a qualcosa di davvero speciale.
Tomb Raider ricevette un’accoglienza estremamente positiva da parte delle riviste del settore, cosa che rese il gioco estremamente popolare tra gli appassionati. Anche le vendite iniziarono ben presto a lievitare, al punto che l’avventura di Lara divenne uno dei giochi più venduti in assoluto per la prima Playstation.
La strada per il successo
Le ragioni del successo di Tomb Raider furono molteplici. Anzitutto, il setting e le ambientazioni. La trama del gioco vede l’avventuriera e archeologa Lara Croft venire assoldata dall’infida Natla per rintracciare lo Scion, un misterioso artefatto dalle origini ignote. La ricerca dello Scion porterà Lara a visitare antiche rovine sudamericane, un tempio sotterraneo di ispirazione greco-romana, l’antico Egitto e una misteriosa piramide, legata all’antica Atlantide.
Il gioco si sviluppa attraverso quindici immensi livelli, ambientati all’interno delle macro-aree nominate in precedenza. La trama viene sviluppata attraverso una serie di filmati, che si sbloccano all’inizio o al termine di determinati livelli.
Pur senza far gridare al miracolo, la storia di Tomb Raider era interessante e coinvolgente, soprattutto grazie all’incredibile carisma di Lara, che seppe subito conquistare i cuori dei videogiocatori.
Il gioco inoltre seppe subito catturare l’attenzione dei giocatori grazie al suo comparto grafico. Certo, ai giorni nostri la grafica di Tomb Raider appare molto datata e “cubettosa”. Negli anni in cui il gioco uscì, tuttavia, le ambientazioni completamente tridimensionali e le eccellenti animazioni fecero letteralmente gridare al miracolo.
Una vera avventura tridimensionale
Il più grande punto di forza di Tomb Raider, tuttavia, si rivelò essere la natura stessa del gioco. Intendiamoci, non stiamo certamente parlando della prima avventura 3D ad uscire sul mercato (basti citare giochi come Alone in the Dark o Myst, usciti ben prima di Tomb Raider). Ma nessun gioco fino a quel momento aveva saputo creare quella sensazione di assoluta libertà di movimento che l’avventura di Lara sapeva regalare.
Fin dal primo livello di gioco, il giocatore non avvertiva mai la sensazione di trovarsi su un binario, ma veniva letteralmente immerso in un enorme e realistico ambiente tridimensionale. Stava a lui e alle sue capacità di orientamento e osservazione trovare la soluzione per raggiungere l’uscita del livello.
Altro punto di forza del gioco era il gran numero di azioni a disposizione di Lara. La nostra archeologa infatti era in grado di camminare, correre, saltare in ogni direzione (sia da ferma che in corsa), spostarsi lateralmente e persino nuotare in profondità. Oltre a questo, naturalmente, Lara poteva utilizzare le sue fide pistole, alle quali si sarebbero affiancate altre tre armi.
Nel corso dei livelli, infatti, Lara era chiamata ad affrontare un gran numero di combattimenti. Si trattava principalmente di animali feroci, ma non sarebbero mancate le sorprese (qualcuno ha detto dinosauri?). Durante gli scontri Lara puntava automaticamente i nemici nelle vicinanze, in modo che il giocatore potesse concentrarsi solo sul movimento e le schivate. Le munizioni delle pistole di Lara non si esauriscono mai, mentre le armi aggiuntive andranno ricaricate tramite apposite munizioni sparse per i livelli.
Questa scelta, apparentemente molto semplicistica, rendeva gli scontri estremamente dinamici e divertenti, evitando un sistema di combattimento troppo complesso e macchinoso.
L’altro aspetto che sancì il successo di Tomb Raider fu sicuramente la struttura dei livelli. Questi ultimi, con pochissime eccezioni, erano infatti stati pensati e progettati alla perfezione. Attraverso l’uso di blocchi da scalare, gallerie, porte segrete e passaggi acquatici, gli stage di Tomb Raider si sviluppano in ogni direzione, sia in altezza che in profondità.
Quasi mai il giocatore doveva affrontare un percorso lineare, ma si trovava all’interno di enormi ambienti aperti, che andavano visitati in ogni angolo per poter essere superati. Questo rendeva l’esplorazione davvero varia, coinvolgente e divertente.
Oltre a questo, i livelli erano estremamente diversificati tra loro. Le ambientazioni di ognuno di essi, infatti, risultavano quasi sempre molto differenti l’una dall’altra, riuscendo a risultare ogni volta fresche ed interessanti.
Il brivido della scoperta
Per rendere le cose ancora più interessanti, ogni livello, per essere superato, proponeva una sfida particolare. In St. Francis Folly, per esempio, Lara ad un certo punto raggiungeva un’enorme stanza con un pilastro centrale. Nelle varie estremità dello stanzone erano posizionati quattro templi, dedicati ad altrettante divinità antiche. Per superare il livello occorreva esplorare tutti i templi, superare le prove al loro interno e raccogliere quattro chiavi nascoste all’interno del tempio.
Nelle miniere di Natla, invece, Lara iniziava il livello priva delle sue armi. L’obiettivo primario del giocatore era rintracciare tre fusibili sparsi per la miniera che davano a Lara l’accesso ad una stanza in cui erano custodite le sue fide pistole.
Questa varietà di situazioni, unita ai numerosi combattimenti, rese Tomb Raider un’esperienza di gioco davvero ricchissima, in grado di accontentare sia i fan dei giochi di azioni che gli amanti degli enigmi e dell’esplorazione ragionata.
Come ciliegina sulla torta, i livelli di Tomb Raider proponevano spesso momenti davvero forti ed iconici, in grado di lasciare i giocatori a bocca aperta o di farli letteralmente saltare dalla sedia.
Senza dare troppi spoiler a chi non ha mai giocato a questo gioco, mi limito a citare il raggiungimento dell’enorme sfinge nel santuario dello Scion o la scoperta della mano del re Mida, ma potrei fare davvero decine di altri esempi.
L’eredità di Tomb Raider
Visto il successo ottenuto, era inevitabile che le avventure di Lara proseguissero. Eidos tuttavia fece la scelta di spremere la sua gallina dalle uova d’oro oltre l’inverosimile. Tra il 1997 e il 2001 uscirono addirittura quattro nuovi Tomb Raider, tutti su Playstation e PC.
Sebbene la qualità di questi titoli fosse generalmente molto buona (Tomb Raider 2 in particolare venne molto ben accolto), questi giochi risultarono davvero troppo simili tra loro e aggiunsero davvero troppo poco alla formula vincente del primo gioco. Questo causò, a lungo andare, un certo disinteresse per la saga.
Dopo il terribile Angel of Darkness, del 2003, Eidos realizzò due nuove trilogie dedicate a Tomb Raider. La prima fu inaugurata da Tomb Raider: Legend del 2006 e terminò nel 2008 con Tomb Raider: Underworld. Nel 2013 uscì Tomb Raider, vero e proprio reboot della saga, che ebbe a sua volta due sequels, Rise of the Tomb Raider e Shadow of the Tomb Raider. Per il 2023 è prevista l’uscita di un nuovo capitolo della serie, su cui sembra che Crystal Dynamics e Amazon stiano puntando davvero forte.
Finora però tutti questi seguiti, pur ottenendo sempre buoni risultati in termini di vendite e ricevendo vari apprezzamenti dal pubblico, non sono stati in grado di replicare l’incredibile successo dell’avventura originale. Chissà, probabilmente Tomb Raider è stato l’equivalente di una cometa, un fenomeno tanto bello ed emozionante da vedere quanto difficile da replicare. Quello che è certo, però, è il fatto che la prima avventura di Lara ha regalato ore ed ore di divertimento a migliaia di giocatori, che ancora oggi la ricordano con piacere e nostalgia. Ed è stato un piacere anche per il sottoscritto condividere con tutti voi i ricordi e le emozioni che Tomb Raider ha saputo regalarmi. Alla prossima avventura!
Star Wars Jedi: Survivor può considerarsi una versione aggiornata e migliorata del suo predecessore. Le meccaniche souls-like non stancano, come non stancano i meravigliosi scorci e ambientazioni creati dagli abili artisti di Respawn Entertainment. Salvo difetti di ottimizzazione, questo titolo risulta godibile e intrattenente. Consigliato a tutti gli appassionati dell’universo di Star Wars, persino a coloro che non hanno giocato il primo capitolo.
8.5
Star Wars Jedi: Survivor si presenta come successore di Star Wars Jedi: Fallen Order, calcando la mano sulle caratteristiche che hanno reso il capitolo precedente un ottimo gioco. Ma si sa, talvolta mettere un “2” alla fine del titolo non basta ad accertarne la qualità. Essendo quindi in una posizione così rischiosa, Star Wars Jedi: Survivor sarà riuscito ad alzare l’asticella della qualità? Andiamo a scoprirlo.
La forza non è nella trama
In questo secondo capitolo vestiamo nuovamente i panni di Cal Kestis – uno dei pochi jedi a essere sopravvissuto all’Epurazione – il quale continua strenuamente la sua lotta contro l’Impero, con la speranza di rifondare il perduto Ordine Jedi.
Sono passati 5 anni dagli eventi di Star Wars Jedi: Fallen Order e le strade dei nostri protagonisti si sono divise. Cal Kestis, durante tutto questo tempo, è diventato un vero e proprio Cavaliere Jedi. Di lavoro in lavoro, aiutato dal suo fido droide BD-1, Cal cerca nuovi modi per sfidare e abbattere il famigerato Impero Galattico; nel fare ciò, Cal risveglia un antico jedi del tempo delle guerre dei cloni, il quale potrebbe non essere troppo grato della nostra gentilezza.
Nel corso della nostra avventura, oltre a incontrare personaggi creati appositamente per il gioco – come per esempio Bode Akuna, mercenario che formerà un legame speciale con il nostro protagonista – ritroviamo anche volti noti della serie. Scopriremo cosa è successo a Greeze Dritus, ex-pilota della Mantis, vedremo come si evolverà il rapporto tra Cal e Merrin, la quale potrà essere utilizzata come compagna in combattimento, e incontreremo Cere Junda, nostra mentore durante il primo gioco.
In generale la trama è solida, ma alquanto lineare e tremendamente simile a quella del primo capitolo. Probabilmente gli appassionati ameranno perdersi nella galassia, incontrando facce nuove e vecchie, unendo i puntini temporali delle vicende dell’universo di Star Wars. Ma per chi è estraneo a tutto ciò, potrebbe risultare faticoso legarsi a una narrazione così poco avvincente, preferendo concentrarsi unicamente sul gameplay.
More of the same
Chi ha giocato il primo capitolo si troverà subito a casa. La maggior parte delle abilità acquisite in precedenza sono infatti disponibili sin da subito e il combattimento non sarà affatto dissimile dal precedente titolo. Sono ancora presenti gli elementi Souls-like e Metroidvania che hanno caratterizzato la saga (anche se forse sarebbe meglio dire Sekiro-like, visto che condivide molte più similarità con quest’ultimo che con un Souls).
Ma allora cosa cambia? Questa domanda potrebbero farla in molti, stizziti del fatto che non sia cambiato nulla a livello di gameplay. Ed effettivamente la formula principale rimane la stessa: esplorazione, combattimento e caccia ai collezionabili; tutto sembra prendere a piene mani da un modus operandi già visto e rivisto. Star Wars Jedi: Survivor è quindi un more of the same?
Pur non cambiando il nucleo principale della serie, Star Wars Jedi: Survivor implementa moltissimi cambiamenti e miglioramenti all’intera struttura di gioco. Molte meccaniche fastidiose sono state velocizzate o reinventate. Sono state aggiunte diverse nuove modalità di movimento, come per esempio il rampino o lo scatto aereo. Per non parlare delle miriadi di nuove personalizzazioni disponibili. Un’evoluzione insomma, di ciò che già funzionava. In definitiva, sì, Star Wars Jedi: Survivor è un more of the same.
Esplorazione: meravigliosa e faticosa
Le mappe di Star Wars Jedi: Survivorsono davvero gigantesche e talvolta questo non è un bene. In questo caso invece, la grandezza delle mappe non sarà affatto un problema. Ogni luogo pullula di flora e fauna, insenature nascoste, luoghi inaccessibili e collezionabili segreti. Per non parlare dei meravigliosi paesaggi che non ci stancheremo mai di guardare a bocca aperta.
I mondi esplorabili sono cinque e ognuno di loro ha un suo differente ecosistema: un mondo desertico; una stazione spaziale segreta; una luna infranta. Questi sono solo alcune delle meravigliose ambientazioni che potremmo esplorare. Tutto ciò anche grazie all’implementazione di un richiestissimo viaggio rapido, che renderà il viaggio decisamente più piacevole.
Purtroppo, anche se ogni location ha caratteristiche diverse, la sensazione è che in fondo sono estremamente simili tra loro. Sia chiaro: le ambientazioni sono molte, basti solo pensare alla palude di Koboh, al deserto rosso di Jedha o alle luci al neon di Coruscant, ma sembrano tutte mischiarsi in una grigia macchia di colore desaturato. Probabilmente questa scelta è stata fatta per incentivare il realismo, ma tale decisione rende sicuramente più difficile far imprimere questi stupendi scenari nella memoria a lungo termine dei videogiocatori.
Come se non bastasse, la nostra voglia di esplorare sarà presto recisa dalla componente Metroidvania, la quale limiterà molto i luoghi esplorabili, almeno a inizio gioco. E anche quando otterremo le abilità richieste, sarà comunque difficile ricordarsi i luoghi lasciati indietro, perché le mappe sono talmente intricate da risultare quasi dispersive. La mini-mappa 3D proverà a venirci incontro, ma non sempre è facile orientarsi.
L’affascinante Lato Oscuro
I nemici sono il cuore pulsante di Star Wars Jedi: Survivor e fortunatamente il loro numero è aumentato rispetto a Fallen Order: sono infatti tre le fazioni principali con cui andiamo a scontrarci. Partiamo con delle facce già viste: l’Impero. I nemici con la testa a secchio sono leggermente aumentati in numero: tra le loro fila troviamo i classici Storm Trooper, ma anche i temibili Purge Trooper e i micidiali droidi da combattimento. Il loro pattern di combattimento è molto semplice e sono tra gli avversari più prevedibili per chi ha già giocato il primo capitolo.
La novità risiede nei Predoni del Caos. La loro peculiarità è l’utilizzo di droidi della vecchia repubblica per combattere; di conseguenza, fanno la loro comparsa Droideka, Droidi da Battaglia B-1e B-2, Droni Sentinella, e persino Droidi Separatisti da Battaglia. Un piacevole tuffo nel passato per tutti gli appassionati, anche se il loro sistema di combattimento non è troppo dissimile da quello imperiale, rendendoli quasi mere skin alternative.
Ovviamente, abbiamo anche la fauna galattica. Creature da ogni pianeta che non esiteranno ad attaccarci a prima vista. Ognuna di loro ci obbliga a differenziare il nostro approccio rispetto ai nemici umanoidi. Anche qui però non troveremo troppa varietà nel gameplay, potendo riassumere il tutto in un para e attacca. Fortunatamente non tutti gli animali ci vorranno fare la pelle, anzi alcuni potremo anche cavalcarli grazie al nuovo sistema di cavalcatura, che ci permette di viaggiare in groppa ad alcune creature così da muoverci più velocemente negli estesi spazi aperti.
Infine, fanno il loro ritorno i mercenari. Nemici speciali che potremo rintracciare nei vari mondi di gioco e sconfiggere per intascare la loro taglia. Completare una taglia ci ricompensa con crediti speciali che possiamo scambiare per nuovi pezzi di arma e abilità uniche per il blaster. Il combat system dei mercenari è sicuramente il più caratteristico della norma: mercenari focalizzati sull’uso dei blaster o magari rintanati dietro a un fastidiosissimo scudo ci hanno messo alla prova.
Souls-like o quasi
Parlando del combattimento non si può fare a meno di trovare somiglianze con i titoli From Software: sono infatti molte le meccaniche prese in prestito da quest’ultimi. Star Wars Jedi: Survivor riesce però ad essere unico nel suo stile e non può essere accusato di plagio o pigrizia, poiché ci regala un sistema di combattimento semplice e soddisfacente, anche se non privo di difetti. Purtroppo, bisogna far notare che gli input non risultano molto reattivi. Non è raro venir colpiti in combattimento per colpa di un tasto premuto, ma non registrato.
In questo secondo capitolo il sistema di combattimento è stato aggiornato con nuove abilità e stili disponibili; nello specifico sono tre i nuovi stili di combattimento implementati: doppia spada, blaster, e guardia incrociata. Gli stili non sono altro che le modalità d’uso della nostra spada laser: cambiarli nel bel mezzo del combattimento sarà fondamentale per adattarsi a ogni tipo di situazione.
Lo stile doppia spada non è in realtà così nuovo: era già presente nel capitolo precedente, ma ora gode di uno stile e di un albero delle abilità tutto suo. Stile poco difensivo, incentrato sull’aggressività, utile per i duelli in solitaria, dotato persino di un sistema di parry. Lo stile blaster, invece, è uno dei migliori, poiché ci permette di utilizzare in coppia sia la spada laser che appunto un blaster che si ricaricherà a ogni fendente della nostra lama. Stile elegante ed equilibrato, incentrato sul combattimento a distanza. Infine, lo stile guardia incrociata, il quale avvera il sogno di molti fan della saga. Permette infatti di aggiungere una guardia laser all’impugnatura, proprio come quella di Kylo Ren nella nuova trilogia. Tale modifica aumenta il danno dei colpi, a discapito della loro velocità. Adatta ai duelli, ma difficile da maneggiare. Praticamente la modalità berserkdi Cal.
Saper scegliere lo stile giusto al momento giusto è la chiave per vincere ogni scontro. Per esempio, potremmo decidere di equipaggiare uno stile aggressivo, avendo la meglio su bersagli singoli, ma potremmo trovare difficoltà con gruppi di nemici o avversari volanti. Il tutto si riassume in un sistema equilibrato, che si adatta allo stile favorito dal giocatore. Peccato non si possano equipaggiare più di due stili di combattimento alla volta, tale decisione avrebbe giovato la libertà di gameplay e sarebbe stato più divertente sperimentare.
Alti Livelli di Personalizzazione
Se non saremo impegnati ad eliminare nemici, staremo probabilmente andando a caccia di collezionabili. È inutile farlo? No, infatti racimolare oggetti opzionali ci ricompensa con maggiori informazioni sulle creature e sul luogo intorno a noi, ma non solo. Il comparto di personalizzazione si è veramente allargato, dando massiccia libertà di azione a tutti gli appassionati.
Menzione d’onore va anche alla personalizzazione delle armi in nostro possesso, avanti anni luce rispetto al suo predecessore. In questo modo l’esplorazione è incentivata, poiché le modifiche alla spada laser (e non solo) sono sparse dappertutto. È però un gran peccato che nessuna di queste modifiche influenzi il combattimento, rimanendo stanziata al mero lato estetico.
Tecnicamente accettabile
Sono tristemente note le gravi problematiche di ottimizzazione per PC e Xbox, problematiche che potrebbero impattare negativamente molti giocatori. Star Wars Jedi: Survivor permette a inizio gioco di scegliere tra due modalità: “prestazioni” e “qualità“. Quindi, in un certo senso, avevano già previsto che il titolo non sarebbe stato alla portata di tutti. Ma un lancio del genere è a dir poco imbarazzante.
Su Playstation 5 – la versione da noi provata – invece la situazione cambia: il numero di cali di frame è di gran lunga minore. Sono presenti dei momenti di indecisione ma nulla che rovini l’esperienza di gioco in modo significativo. Al momento della recensione sono già state messe in atto patch risolutive che ammorbidiscono il problema, speriamo in una totale equità delle console in un futuro prossimo.
Conclusione
Star Wars Jedi: Survivor prende tutto quello che era presente nel capitolo precedente e lo migliora nettamente, talvolta a discapito della fluidità e dell’ottimizzazione. Il titolo non presenta ammirabili innovazioni, ma potrebbe comunque essere una buonissima esperienza per qualsiasi appassionato del genere.
Gli sforzi degli artisti si sentono parecchio: soltanto il loro lavoro vale il costo del biglietto. Se si fossero concentrati anche sul lato tecnico e di game design probabilmente il titolo avrebbe raggiunto vette altissime. Riponiamo grande speranza nel prossimo capitolo (perché ci sarà un terzo capitolo… vero?).
Lifeweaver è la tanto agognata nuova aggiunta al comparto support di Overwatch 2, un eroe controverso che ha diviso la community in due, tra chi lo vede come la rovina del divertimento, chi invece crede sia stata un’aggiunta ammirabile. Voci di corridoio a parte, Lifeweaver risulta un eroe che fa del gioco di squadra la sua chiave di volta. Difficile per chi è alle prime armi, ma incredibilmente affascinante per chi ha la voglia di conoscerlo, andiamo subito a vedere come utilizzarlo al meglio.
Bocciolo Curativo
Il fuoco primario consiste in un proiettile guidato che, caricato nel tempo, aumenta le cure apportate agli alleati. Questa modalità di fuoco è perfetta per chi non eccelle in precisione, poiché basta puntare nella generale direzione di un alleato e la cura andrà a buon fine. Quello di cui dovrete preoccuparvi sarà il giusto tempismo di utilizzo. “Spammare” cure non rientra nella filosofia di questo eroe, il quale preferisce caricare del tutto il colpo prima di lanciarlo.
Cure migliori a cadenza ridotta, o cure minori a cadenza rapida? Il tutto si decide nella situazione di gioco. Bisognerebbe ricordare inoltre, che il solo fuoco primario di Lifeweaver non completa il suo kit da curatore, costringendolo a trarre il meglio da tutte le sue abilità per avere la meglio.
Raffica di Spine
Il fuoco secondario è l’unica alternativa offensiva a nostra disposizione. Una vera e propria raffica di proiettili dalla stretta rosata, la quale però, non è particolarmente efficace nello scontro ad ampia distanza. Per quanto scenica, quest’arma non è un micidiale strumento di morte. Il suo potenziale di danno è infatti basso, e fare molteplici uccisioni sarà piuttosto raro.
Allora come usare la raffica di spine? Ovviamente è possibile utilizzarla per difendersi da flankers fastidiosi o per finire nemici con poca vita, ma esiste un modo forse più efficace per sfruttare al meglio quest’abilità. Caricare l’ultra di Lifeweaver di Overwatch 2 è piuttosto facile se si alterneranno cure e danni. Curate chi ne ha bisogno e subito dopo tempestate di colpi la squadra avversaria, non importa se otterrete uccisioni, l’importate sarà alternare le due modalità di fuoco così da ricaricare velocemente l’Ultra.
Piattaforma di Petali
L’occhio pigro potrebbe osservare questa abilità e pensare non abbia effettiva utilità, ma sarebbe un’osservazione a dir poco superficiale. La piattaforma di petali è un’abilità unica nel suo genere, capace di essere efficace sia in offesa che in difesa. È scontato inoltre dire che il suo potenziale può essere apprezzato solo se chi la utilizza possiede una grande mentalità di squadra.
Utilizzate la piattaforma per portare alleati con poca mobilità (come Ana o Reinhardt) in luoghi cui altrimenti non potrebbero arrivare. Posizionatela anche in luoghi ove i vostri DPS alleati possano godere di postazioni di tiro sopraelevate (eroi come Widowmaker e Soldato 76 possono più di tutti sfruttare queste posizioni vantaggiose) Incredibile ma vero, questa abilità, se posizionata correttamente, può essere usata per contrastare Ultra nemiche, come ad esempio “Impeto terrestre” di Orisa o “Bomba gravitronica” di Zarya.
Se non trovate occasioni di sinergia né con la vostra squadra né con la squadra avversaria, potrete sempre utilizzare la piattaforma per voi stessi. Se posizionata ai vostri piedi può darvi una visuale migliore per curare e riposizionarvi velocemente. Potrete anche utilizzarla per fuggire da situazioni complicate. Molti eroi non saranno in grado di colpirvi da quella distanza, ma fate comunque attenzione: l’altitudine da sola non vi renderà invincibili!
Scatto Rinvigorente
Questa abilità è la vostra migliore amica quando la situazione volgerà contro di voi. Lo scatto vi permette di: schivare attacchi; allontanarvi da luoghi spinosi; rincorrere avversari in fin di vita, ma soprattutto recuperare una piccola quantità di salute nel mentre. Scatto Rinvigorente si ricarica abbastanza celermente, quindi usatela ogni volta ce ne sia bisogno, persino per recuperare quei pochi punti salute che, in situazioni di emergenza, faranno sempre la differenza tra la vita e il respawn.
Presa Vitale
L’abilità spartiacque. Colei la quale, in mani sbagliate, potrebbe sancire la sconfitta di un’intera partita. La famigerata arma dei sabotatori. Esagerazioni a parte,quest’abilità è estremamente potente ed è di vitale importanza saper padroneggiarla. Da tempo si sentiva la mancanza di un’abilità che permettesse di tirare a se alleati sconsiderati per salvarli da morte certa e “Presa vitale” fa esattamente questo.
Quante di quelle volte avete osservato Tank imbizzarriti o Flanker irragionevoli venire eliminati con facilità perchè non attenti alla situazione di svantaggio in cui si sono messi. “Presa vitale” sarà la loro (e la vostra) salvezza, poichè oltre ad attirarli alla vostra posizione, li renderà invulnerabili per tutto il tragitto.
Oltre a salvare i vostri alleati dalle più disparate situazioni, potrete sfruttare questa incredibile abilità in molteplici altri modi. Portate a voi alleati lasciati indietro così da accelerare i contrattacchi, riposizionate eroi con poca mobilità, oppure fate sfrecciare i vostri compagni nel campo di battaglia mentre eseguono la loro Ultra per dare vita a combo inaspettate. Le alternative sono tante, siate creativi e riuscirete a comprendere a pieno lo spirito di questo eroe.
Albero della Vita
In conclusione parliamo dell’Ultra caratteristica di questo eroe: l’albero della vita. Il suo utilizzo è piuttosto semplice: ad Ultra pronta vi basterà puntare un luogo accessibile e far crescere l’enorme albero, il quale inizierà subito a curare voi e i vostri alleati. Anche se le cure non raggiungono i livelli della “Trascendenza” di Zenyatta, l’albero ci permetterà di respirare per qualche istante, sempre che i nostri alleati riescano a combattere dentro la sua aura.
Come ogni abilità di questo eroe di Overwatch 2, anche l’Ultra di Lifeweaver nasconde un utilizzo secondario. L’albero sarà infatti tangibile, il che significa che potrà essere utilizzato per bloccare passaggi stretti o per contrastare Ultra nemiche, ma ricordatevi: l’albero non è indistruttibile. Anche in questo caso la creatività e l’inventiva la fanno da padrona. Sperimentate con le mappe e sarete un passo avanti a tutti.
Consigli Finali
Se avete letto la guida finora, avrete certamente capito la natura altruista di questo eroe; ciò significa che se volete giocare un personaggio che sia in grado di eccellere individualmente, allora dovreste spostare la vostra attenzione altrove (e la nostra guida dei migliori healer fa proprio per voi). Se invece il lavoro di squadra è il vostro pane quotidiano Lifeweaver è l’eroe di Overwatch 2 che fa per voi. Comunicazione, comprensione delle situazioni di gioco, capacità di mantenere il sangue freddo, creatività: vi servirà tutto ciò per riuscire a sbloccare le favolose potenzialità che questo eroe ha in serbo per voi.
Spoiler Alert Questo articolo contiene dettagli rilevanti sulla trama di God of War
Quella di God of War è indubbiamente una delle saghe videoludiche più importanti e di successo dell’intera industria del videogioco. Fin dall’uscita del primo episodio sulla ormai leggendaria Playstation 2, le avventure di Kratos hanno saputo conquistare l’interesse e l’apprezzamento di un enorme numero di giocatori. Basti pensare che l’episodio più recente, God of War Ragnarok, è riuscito in breve tempo a raggiungere la ragguardevole cifra di ben 11 milioni di copie vendute.
In questo articolo andremo a ripercorrere le tappe fondamentali della saga di GoW, cercando di mettere in luce le principali ragioni del successo del franchise.
Le origini di God of War
Il primo God of War vide la luce nel 2005 in esclusiva per Playstation 2. Si trattava del secondo gioco prodotto da Santa Monica Studio. Nonostante la poca esperienza della software house, il gioco si rivelò un enorme successo di pubblico e critica.
Il motivo principale di questo apprezzamento fu un mix vincente di numerosi elementi. Anzitutto la realizzazione tecnica, davvero di ottimo livello per i tempi e la console su cui girava. Anche il gameplay propose una combinazione vincente tra azione, combattimenti, esplorazione ed enigmi. GoW attingeva a piene mani da titoli come Devil May Cry e Prince of Persia, riuscendo a mettere insieme il meglio da ognuno di essi.
Infine, furono molto apprezzati sia l’ambientazione del titolo, collocata nella Grecia mitologica, sia la scelta del protagonista. Kratos, il tenebroso personaggio principale, è infatti ben lungi dallo stereotipo dell’eroe senza macchia e senza paura. Si tratta invece di una sorta di anti-eroe tormentato, violento e mosso solo da un disperato desiderio di redenzione.
Una redenzione che sembra arrivare al termine del gioco, quando, dopo essersi liberato dal giogo di Ares, Kratos riesce ad uccidere la malvagia divinità e si sostituisce a lui come nuovo dio della guerra. Come scopriremo, però, questa redenzione sarà solo apparente.
Un sequel all’altezza
Se il successo del primo GoW fu per molti una sorpresa, ancor più sorprendenti furono i risultati ottenuti da God of War II. Uscito nel 2007, sempre su Playstation 2, il seguito delle avventure di Kratos riuscì nel difficile compito di migliorare praticamente ogni aspetto del gioco originale.
God of War 2 spinse le capacità di Playstation 2 fino al limite regalando una grafica, un sonoro e un set di animazioni mai viste prima, che raggiungevano il culmine della spettacolarità nelle incredibili battaglie coi boss. Anche il gameplay risultò potenziato: i controlli erano più fluidi e precisi; i combattimenti godevano di un maggior equilibri; le sezioni erano più esplorative e riflessive.
La trama risultava molto più interessante e ricca di colpi di scena, mettendo in scena il sorprendente tradimento degli dei dell’Olimpo ai danni di Kratos. Il successivo percorso di vendetta del nostro spartano lo porta prima a scoprire le verità nascoste sulle sue origini fino a un epico scontro contro lo Zeus.
Tutti questi elementi resero GoW 2 un successo enorme, sia di critica che di pubblico, con milioni di copie vendute, voti altissimi e numerosi premi e riconoscimenti nel settore. I programmatori, tuttavia compirono la scelta ardita di interrompere il gioco con un gigantesco cliffhanger, lasciando il giocatore proprio un attimo prima dell’inizio dell’assalto finale di Kratos e dei titani all’Olimpo.
Una lunga attesa
La scelta di Santa Monica fu ancora più difficile da digerire dai fan a causa della lunga attesa che dovettero sopportare prima di potersi godere il proseguo delle avventure del loro spartano preferito; infatti, il terzo episodio della saga uscì direttamente su Playstation 3 per sfruttare le maggiori potenzialità offerte dalla macchina e allo stesso tempo regalare alla nuova console Sony una potenziale killer application.
Betrayal: un God of War alternativo
Per addolcire l’attesa ai fan, Sony nel 2007 realizzò un simpatico spin off di GoW dedicato alle piattaforme mobile, intitolato God of War: Betrayal. Ambientato poco prima dell’inizio di God of War 2, Betrayal narra una serie di eventi che portano Kratos a commettere il suo secondo deicidio dopo quello di Ares.
Betrayal, nonostante le enormi limitazioni tecniche, cerca di riproporre in salsa 2d lo stesso mix di combattimenti ed enigmi presente nei due titoli della saga principale. L’esperimento ha dato vita ad un titolo simpatico e divertente, in grado di regalare ai fan di Kratos un nuovo tassello del mosaico di GoW
Il primo God of War per PSP
Nel marzo 2008 fu la volta di God of War: Chain of Olympus, primo God of War uscito su PSP. Ambientato poco prima degli eventi dell’originale, CoO narra il viaggio di Kratos nel profondo degli inferi, nel tentativo di sventare un perfido piano ordito dalla dea Persefone e dal Titano Atlante per gettare il mondo nel caos e vendicarsi degli dei dell’Olimpo.
La trama del gioco offre varie occasioni per approfondire il passato di Kratos e comprendere ancora di più il suo legame con la moglie e la figlia, da lui uccise involontariamente a causa di un inganno di Ares. Dal punto di vista tecnico, CoO fu un vero e proprio miracolo: il gameplay e la fluidità tanto del comparto grafico che di quello sonoro risultavano indistinguibili dai capitoli per PS2. La cura nella realizzazione del gioco e l’ottima trama resero CoO l’ennesimo successo del brand e regalarono ai fan un’altra grandiosa avventura.
Ciò che i fan volevano davvero però era solo e soltanto God of War 3 e nel marzo 2010 i loro desideri vennero finalmente accolti.
God Of War 3: l’ascesa
Il terzo episodio di GoW riuscì a rispettare tutte le attese dei fan e forse persino a superarle. God of War 3 era più bello da vedere, più spettacolare, più vario, più giocabile e più epico di entrambi i suoi predecessori. Inoltre era molto, molto più violento. In questo gioco la furia di Kratos si abbatte sull’Olimpo come un fiume in piena e niente e nessuno è in grado di fermarlo o placarlo. Abbattendo una divinità dopo l’altra, il nostro eroe si farà strada fino alla resa dei conti con Zeus.
Oltre alle ormai mitiche lame con catena, Kratos usufruirà di un ottimo set di armi divine, ognuna con le sue caratteristiche e magie specifiche. Questo, insieme alla frenesia e alla spettacolarità delle battaglie (in particolare quelle coi boss) e alla già citata realizzazione tecnica davvero sopraffina, contribuì a rendere GoW III la consacrazione definitiva per santa Monica e la sua saga.
Nell’epilogo di God of War 3 Kratos, dopo aver fatto piazza pulita degli dei dell’Olimpo, decide di sacrificarsi per donare la speranza, confinata dentro di lui, agli esseri umani. Sembrava dunque che l’epopea di GoW fosse giunta alla sua conclusione. Eppure, l’ultima scena dopo i titoli di coda mostra una scia di sangue allontanarsi nel luogo in cui era disteso lo spartano!
Le storie mai narrate
Come prevedibile, il marchio God of War era una fonte di guadagni troppo sicura perché Santa Monica potesse rinunciarvi del tutto. Ecco dunque uscire, già nel novembre 2010, God of War: Ghost of Sparta, secondo episodio della serie dedicato alla portatile Sony.
In questo gioco, ennesimo prequel della saga principale, collocabile tra Betrayal e GOW2, Kratos partirà alla volta della leggendaria Atlantide alla ricerca del fratello scomparso, Deimos, lasciandosi dietro la consueta scia di morte e distruzione.
Il gioco, pur ricevendo numerosi apprezzamenti e recensioni positive, risultava essere molto simile ai predecessori. Riuscì comunque a ritagliarsi un posto nei cuori dei fan grazie alla sua trama e alle rivelazioni sul passato di Kratos, che aggiungevano molti particolari interessanti.
Nel marzo 2013 è la volta di God of War Ascension, questa volta per Playstation 3, primo episodio in assoluto della saga dal punto di vista cronologico. Ascension narra infatti la dura lotta tra Kratos e le furie, che si rivelerà essere alla base dell’odio che lo spartano nutre per Ares.
Ascension ripropone tutti gli elementi vincenti dei precedenti giochi di GoW, aggiungendo tutta una serie di elementi gestionali nella personalizzazione di armi e armature, e soprattutto un’inedita modalità online. Sarà infatti possibile giocare in multiplayer sia in modalità competitiva sia cooperativa. Questa modalità ricevette reazioni miste dal momento che i giocatori lamentarono un bilanciamento non perfetto dei vari stili di combattimento.
In generale, Ascension ricevette un’accoglienza più tiepida rispetto ai predecessori, sia per la trama meno interessante che per la mancanza di novità degne di nota. Era chiaro che, se voleva tener vivo l’interesse per la sua serie, Santa Monica doveva progettare con attenzione i prossimi passi.
L’attesa che i fan dovettero sopportare questa volta fu davvero lunghissima. Per quasi cinque anni infatti Santa Monica si limitò a produrre una serie di collection dedicate ai primi giochi della serie, che per l’occasione vennero anche rimasterizzati in alta definizione. Lo stesso God of War, 3 nel 2015, venne rimasterizzato per PS4, in una versione ancor più spettacolare e graficamente al passo coi tempi.
Le attese dei fan ebbero finalmente fine il 20 aprile del 2018, quando il nuovo episodio della saga di Kratos sbarcò su Playstation 4. Intitolato semplicemente God of War, questo gioco segnò davvero un nuovo inizio per la saga. Le innovazioni furono molteplici. Anzitutto l’ambientazione: dalle lande della Grecia il nostro eroe si stabilisce nei ghiacci del nord, in un ambientazione legata ai nove regni e alla mitologia norrena.
Anche il gameplay risulta profondamente cambiato, grazie ad una nuova visuale dinamica posta alle spalle di Kratos e a uno stile di gioco che sembra puntare più sull’esplorazione e sulla profondità della trama che sui combattimenti; quest’ultimi restano comunque estremamente spettacolari e bilanciati, e continuano a rivestire un ruolo di primissimo piano nell’economia dell’avventura.
Nel nuovo God of Warviene implementato anche l’aspetto gestionale, dal momento che il giocatore ha la possibilità di forgiare e potenziare un gran numero di rune magiche e armature. Kratos inoltre sfoggia una nuova arma: l’ascia Leviatano alla quale, senza fare spoiler, andrà ad aggiungersi una seconda arma. Kratos non sarà più solo nelle sue peregrinazioni. Il nostro spartano infatti è inaspettatamente diventato papà. Il figlio di Kratos, di nome Atreus, fungerà da personaggio di supporto e disporrà di una serie di abilità utili sia in battaglia sia per sbloccare tesori o vie precedentemente nascoste.
Tutte queste innovazioni, unite ad una realizzazione tecnica inceccepibile e a una trama ancora più profonda e innovativa rispetto ai titoli precedenti hanno reso il nuovo God of War un successo assoluto, con oltre 23 milioni di copie vendute e la vittoria ai Game Awards come gioco dell’anno.
Il presente di God of War
Arriviamo ai giorni nostri e a quel God of War Ragnarok che, fin dalla sua uscita, avvenuta nel novembre 2022 su PS5, ha saputo ancora una volta mietere un numero enorme di consensi e riconoscimenti.
Il gioco ripropone tutti gli elementi del titolo precedente, potenziandoli all’inverosimile. Nuove armi, ambientazioni enormemente più vaste, nuove possibilità di personalizzazione grazie all’amuleto runico e l’inedita possibilità di controllare Atreus.
Completano il quadro un comparto grafico e sonoro a dir poco sontuosi e una trama risulta estremamente ben scritta e curata; nello specifico, Kratos e Atreus si trovano sull’orlo dell’inizio del Ragnarok, il colossale scontro tra i nove regni che secondo le leggende segnerà la distruzione e la successiva restaurazione di essi. Tra profezie, inganni e continui pericoli, i nostri due protagonisti dovranno compiere un’ardua scelta tra il desiderio di evitare conflitti e la volontà di fare quello che è giusto.
Anche in questo caso il finale di Ragnarok (su cui non diremo assolutamente nulla) sembra dare una netta conclusione alla vicenda. Tuttavia, abbiamo già imparato come sia difficile per Santa Monica rinunciare alla sua IP più redditizia.
Non vediamo davvero l’ora di scoprire quale sarà il futuro della saga. Il setting verrà di nuovo spostato verso un nuovo Pantheon mitologico? Assisteremo al ritorno nell’Antica Grecia? O forse i programmatori hanno in mente qualcosa di ancora diverso? Possiamo solo aspettare.
Ora come sempre la parola passa a voi lettori! Conoscevate tutta la saga di God of War? Quali sono i vostri giochi preferiti? Fatecelo sapere nei commenti!
Per metroidvania si intende un’avventura bidimensionale che unisce elementi tipici dei platform con caratteristiche provenienti dalle avventure action. Come si può intuire, il termine è nato dalla “fusione” tra le serie di Metroid e Castlevania.
Inizialmente, la saga Nintendo e quella Konami avevano ben poco in comune (più lineare e action la seconda, più vasta ed esplorativa la prima). Fu solo nel 1997, con l’arrivo di Castlevania:Symphony of the Night, che il termine Metroidvania prese piede.
Ancora oggi, nonostante l’enorme avanzamento tecnologico e sebbene siano i giochi 3D a farla da padrone, il genere Metroidvania risulta molto amato dai videogiocatori; in particolare, alcune serie recenti, come Hollow Knight, sono riuscite a ottenere un ottimo successo e contribuiscono a mantenere questo genere in ottima salute.
Ma quali sono i dieci migliori Metroidvania in assoluto? In questo articolo proveremo a rispondere a questa fatidica domanda. Naturalmente sia la scelta dei titoli che l’ordine di inserimento sono frutto del gusto personale di chi scrive, ma credo potremo tutti concordare sull’incredibile valore di queste dieci opere. Raccogliamo le nostre armi, addentriamoci nel dungeon e iniziamo!
Bloodstained: Ritual of the Night
Uscito nel 2019 per PS4, Xbox One, Switch e Steam, questo titolo di ArtPlay è, a tutti gli effetti, un grande tributo alla saga di Castlevania. L’ambientazione gotica e medievaleggiante, le musiche estremamente ricercate e soprattutto le orde di demoni che affronteremo sembrano davvero uscite direttamente da un titolo della saga Konami.
Anche la trama di gioco, che vede la nostra eroina Miriam fronteggiare un’evocazione infernale causata dall’unico sopravvissuto di una gilda di alchimisti, si richiama palesemente alla saga dei Belmont. Di conseguenza, ogni fan di Castlevania non potrà che amare Bloodstained.
Un’ambientazione piacevole e ispirata, una mappa ben strutturata, boss battle impegnative e una miriade di armi e abilità. Il tutto condito con un comparto grafico moderno e musiche davvero tenebrose.
Bloodstained ha davvero tutto quello che serve per essere un ottimo titolo (pecca forse un po’ in carisma e originalità) e si merita di diritto di entrare nella nostra classifica.
Axiom Verge
Se per Bloodstained l’ispirazione a Castlevania era evidente, Axiom Vergeattinge a piene mani dalla saga di Metroid. In questa godibilissima avventura controlleremo lo scienziato Trace, sballottato dall’esplosione del suo laboratorio in un mondo sconosciuto. Sotto la guida dell’enorme testa Elsenova, Trace dovrà tentare di salvarsi la vita e risolvere i molteplici misteri del mondo in cui è stato catapultato.
Punti di forza di questo titolo sono la sua atmosfera a metà strada tra l’horror e l’high tech (che ricorda molto la saga di Alien), l’incredibile precisione dei controlli e il numero davvero enorme di armi ed equipaggiamenti.
Anche la trama, portata avanti da vari dialoghi testuali, è molto ben curata; il comparto tecnico invece si ispira palesemente agli action degli anni 90: il risultato è decisamente piacevole, anche se alcuni lo troveranno fin troppo datato. Se siete fan del genere, non fatevelo sfuggire!
Metroid Fusion
Uscito a cavallo tra il 2002 e 2003 su Game Boy Advance, Metroid Fusion ebbe l’ingrato compito di fare da sequel a quel Super Metroid che molti considerano tutt’oggi il miglior metroidvania mai uscito. Incredibilmente, però, Fusion si rivelò assolutamente all’altezza della sua eredità.
Il giocatore controllerà nuovamente la cacciatrice di taglie Samus, stavolta alle prese coi temibili parassiti X: organismi in grado di infettare e mutare le forme di vita con cui entrano a contatto. Grazie alla sua tuta “Fusione”, Samus sarà in grado di assorbire i parassiti sconfitti assimilandone le abilità.
La straordinaria giocabilità, le durissime sfide coi boss, l’incredibile comparto grafico (quasi miracoloso considerato che il gioco gira su GBA) rendono Fusion uno dei migliori titoli dell’intera saga di Metroid.
L’ambientazione può risultare piuttosto monotona, ma la bellezza degli scontri, soprattutto quello con SAX (su cui non faccio alcuna anticipazione) compensano ampiamente. Nessun fan della saga può in alcun modo farselo sfuggire.
Ed ecco il primo esponente della saga di Castlevania a comparire nella nostra classifica! Uscito nel 2003 per Game Boy Advance, Aria of Sorrowripropone stile e meccaniche di Symphony of the Night, trasportandole in un contesto futuristico.
Il gioco è infatti ambientato nel 2035 e racconta le vicissitudini del giovane Soma Cruz (la cui vera identità sarà un grande colpo di scena), che si troverà suo malgrado risucchiato nel castello di Dracula, apparso a Tokyo durante un’eclissi.
Aria of Sorrow mette a disposizione del giocatore un enorme numero di armi e abilità e introduce il sistema delle anime tattiche. Sconfiggendo i nemici, infatti, Soma potrà assimilare le loro anime, sbloccando potenziamenti, abilità e persino nuove armi.
Nonostante l’accoglienza tiepida ottenuta all’uscita, Aria of Sorrow è riuscito a guadagnarsi un posto nel cuore di tutti i fan di Castlevania, ed è tutt’oggi considerato uno dei migliori capitoli della saga. Pronti ad affrontare di nuovo il castello di Dracula?
Monster Boy and the Cursed Kingdom
Uscito nel 2018 per praticamente qualsiasi sistema di gioco, Monster Boy ci trasporta in una coloratissima e divertentissima avventura.
Alla guida del giovane Jin, il giocatore sarà alle prese con una maledizione scagliata dallo zio Nabu, che tramuterà gli abitanti del regno in animali. Lo stesso Jin non sarà immune all’incantesimo e, nel corso della sua avventura, otterrà la capacità di trasformarsi in ben cinque forme animali distinte, ognuna con attacchi e abilità uniche.
Monster Boy si ispira palesemente a un classico dell’era 8 bit, ovvero Wonder Boy 3: Dragon’s trap, a cui si rifà sia per trama che per stile di gioco. Rispetto ai giochi fin qui analizzati, Monster Boy propone uno stile più scanzonato e divertente, ma non per questo meno profondo e impegnativo.
La varietà delle ambientazioni, la bellezza dello stile grafico, le enormi possibilità fornite al giocatore dalle trasformazioni in animale, unite a una giocabilità eccezionale, rendono questo gioco una vera gemma nel panorama dei metroidvania.
Metroid Dread
Ed eccoci all’episodio più recente della saga di Metroid. Uscito nel 2021 su Nintendo Switch, Metroid Dread mette nuovamente il giocatore nei panni di Samus. La nostra cacciatrice dovrà vedersela ancora una volta coi parassiti X e soprattutto coi terribili E.M.M.I., robot colorati controllati dai parassiti.
Rispetto ai titoli precedenti della saga, Dread vanta un comparto grafico assolutamente moderno e d’impatto, con modelli poligonali, sfondi e animazioni di primissimo livello. Principale novità del gioco sono le battaglie contro gli E.M.M.I., a cui Samus dovrà dapprima sfuggire attraverso una serie di meccaniche Stealth per poi finirli dopo aver potenziato al massimo il suo raggio.
Queste sezioni aumentano notevolmente la varietà del gioco, già molto alta grazie alle numerose aree del pianeta che Samus può esplorare. Sono ancora una volta davvero memorabili gli scontri coi boss, sempre molto impegnativi e coinvolgenti.
Tutte queste caratteristiche, unite agli ottimi controlli e alla varietà delle armi, fanno di Dread un must per ogni possessore di Switch.
Ori and the Blind Forest
Uscito nel 2015 su Xbox One e giunto nel 2019 anche su Nintendo Switch, Ori and the Blind Forest narra le avventure dello spiritello Ori, caduto dall’albero sacro da cui ha origine.
Dopo una sequenza introduttiva strappalacrime, in cui assisteremo al ritrovamento di Ori da parte di Naru e alla morte di quest’ultimo causata dal deperimento della foresta, il giocatore avrà il compito di guidare Ori verso il salvataggio dell’albero sacro e di tutta la foresta.
La cosa più incredibile di Ori and the Blind Forest è la straordinaria atmosfera che riesce a creare. Lo stile grafico fiabesco, forte di un design dei personaggi assolutamente originale e di un uso sapiente degli effetti di luce, ci avvolgerà letteralmente, guidandoci dolcemente nei meandri della foresta accanto a Ori e al suo piccolo aiutante Sein.
Anche il sonoro, curatissimo e incredibilmente armonioso, contribuisce a coinvolgere totalmente il giocatore, che si trova più volte a provare la sensazione di trovarsi all’interno di un sogno.
Anche il gameplay è assolutamente all’altezza della situazione, con sezioni platform impegnative e un buon numero di attacchi e abilità, sbloccabili tramite l’accumulo di esperienza.
Sebbene il suo sequel, Ori and theWill of the Wisp, risulti nettamente superiore, abbiamo deciso di premiare l’episodio originale della saga. Se non lo avete giocato, recuperate assolutamente questo piccolo capolavoro.
Castlevania: Symphony of The Night
Non poteva certo mancare in questa classifica il gioco che ha praticamente inventato il genere dei Metroidvania. Symphony of The Night ha infatti dato una profonda svolta alla saga di Castlevania, unendo i suoi elementi action a fasi di esplorazione e potenziamento del personaggio.
Alla guida del tenebroso Alucard, figlio di Dracula, il giocatore ha il compito di investigare su un misterioso potere demoniaco emanato dall’antico castello del nostro malvagio genitore.
Nell’esplorare i meandri dell’antica magione, Alucard avrà la possibilità di raccogliere un gran numero di armi, potenziare i suoi parametri e sbloccare un enorme numero di abilità, tra cui la possibilità di trasformarsi in lupo, nebbia e pipistrello.
Il comparto tecnico di SOTN risulta ancora oggi davvero sontuoso, con eccezionali brani musicali di stampo gotico e una grafica che, pur senza far gridare al miracolo, mostra come anche la cara vecchia prima Playstation fosse in grado di realizzare ottimi titoli in 2d.
La longevità è notevole grazie alla presenza di finali multipli e di ben due versioni del castello da esplorare. Un titolo imprescindibile per ogni videogiocatore che si rispetti.
Hollow Knight
Medaglia d’argento per il capolavoro di Team Cherry. Uscito nel 2017 e ora disponibile per ogni piattaforma possibile, Hollow Knight ci mette nei panni di un misterioso cavaliere impegnato in un viaggio nel regno decaduto di Nidosacro.
La trama del gioco, in maniera simile a quanto visto nella serie Dark Souls, è estremamente criptica e sarà compito del giocatore unire i puntini per comprendere appieno la storia del regno e di quanto sta accadendo.
Come Ori, anche Hollow Knightvanta un registro artistico di altissimo livello, con personaggi e ambientazioni che sfoggiano una personalità e un’originalità davvero invidiabili. Le musiche malinconiche e misteriose contribuiscono a creare un alone di mistero e a coinvolgere ancor di più il giocatore nel viaggio del nostro cavaliere.
L’altro incredibile punto di forza di Hollow Knight è la sua giocabilità. I movimenti del cavaliere sono di una tale precisione e fluidità da rasentare la perfezione e rendono sia le battaglie che le sezioni platform incredibilmente piacevoli e divertenti, nonostante la loro difficoltà decisamente elevata.
Gli scontri coi boss saranno davvero impegnativi (ma mai frustranti) e regaleranno ai giocatori grandi soddisfazioni una volta superati. La struttura della mappa risulta davvero ben studiata e metterà alla prova la capacità del giocatore di orientarsi e sfruttare al meglio tutte le abilità sbloccate durante il gioco.
Completano il pacchetto un’enorme quantità di oggetti, artefatti extra e la presenza di finali multipli, che donano al gioco una longevità enorme. Un capolavoro assoluto, che ogni giocatore degno di questo nome dovrebbe avere nella sua libreria.
Super Metroid
Potrà sembrare una scelta banale; potrà essere poco credibile mettere in cima alla classifica un gioco così vecchio. Sarà l’effetto nostalgia. Saranno i ricordi, ma per chi scrive Super Metroid è tuttora il miglior Metroidvania di sempre (e trovate sul blog anche la nostra recensione contemporanea).
Fin dalla sua uscita, nel lontano 1994, la terza avventura di Samus fu considerata una delle migliori opere per SNES ed è spesso inserita nelle classifiche dei migliori giochi di sempre.
Super Metroid ha praticamente tutto. Una grafica 2d avveniristica per i tempi e tutt’oggi di buonissimo livello. Un sonoro maestoso e coinvolgente. Una giocabilità praticamente perfetta e un numero elevatissimo di abilità e armi nascoste. Si aggiunge a questo una world map praticamente perfetta in cui ogni area del pianeta Zebes risulta credibile e ben caratterizzata.
La cosa più appagante di Super Metroid è il senso di progressione che si avverte nel corso dell’avventura: gli enigmi, le zone nascoste e i nemici diventano via via più impegnativi man mano che aumentano le abilità a disposizione di Samus. Ultima menzione meritano gli incredibili Boss, davvero enormi e a tratti spaventosi.
Super Metroid è una vera opera d’arte. Uno di quei videogiochi che hanno segnato la storia del medium. Consiglio caldamente, soprattutto ai più giovani, di recuperarlo. Credetemi, non ve ne pentirete!
Eccoci giunti al termine della nostra panoramica. Come sempre, la parola passa a voi lettori. Conoscevate tutti i titoli della classifica? Avreste inserito altri giochi? O avreste posizionato diversamente quelli inseriti qui? Fateci sapere!
Il gaming sta sempre di più assumendo l’aspetto di esperienza di vita a tutto tondo, sia come mezzo capace di indurre una riflessione su ciò che ci circonda sia come specchio della realtà. Questo processo ha man mano scardinato il vecchio stereotipo del gioco come solo mezzo di divertimento fine a se stesso: la rappresentazione della realtà è il nodo cruciale di ogni videogioco di successo, quello che fa da spartiacque fra capolavoro e titolo mediocre. E l’elemento più influente nella rappresentazione della realtà è l’intelligenza artificiale: di conseguenza, conoscere i videogiochi con la migliore IA è d’obbligo.
Ecco dunque i tre videogiochi con la migliore intelligenza artificiale, dal nostro personalissimo punto di vista.
3. La Terra di Mezzo: L’ombra della guerra
L’ombra della guerra è un action RPG ispirato da IlSignore degli Anelli e sequel diretto di La Terra di Mezzo: L’ombra di Mordor. Il videogioco è stato sviluppato da Monolith Productions, casa nota agli appassionati di intelligenza artificiale per la serie F.E.A.R. La Terra di Mezzo: L’ombra della guerra uscì nel 2017 per PC, PS4 e Xbox One.
Il Nemesis System – già presente nel primo capitolo ma migliorato in quest’opera con la possibilità di prendere il controllo degli orchi – è il motivo per cui L’ombra della guerra è un baluardo dell’intelligenza artificiale nei videogiochi; infatti, il sistema Nemesis funziona su due contesti: il primo è garantire l’unicità di ogni nemico; il secondo è far agire gli avversari come una società all’interno della mappa.
Ogni singolo orco che popola la regione è quindi generato proceduralmente. Questo implica che tutti gli orchi hanno un aspetto unico, una classe, dei tratti con relativi punti di forza e debolezza.
Allo stesso tempo, gli orchi si muovono in un contesto sociale gerarchico diviso in Grunt, Capitan, Warchief e Overlord con la possibilità di salire di rango uccidendo i propri simili. Con queste regole, i nostri nemici sviluppano la propria società; infatti, ogni volta che moriremo sul campo di battaglia, la società nemica si evolverà: ogni Capitano ucciso sarà rimpiazzato e se tutti i posti sono occupati, alcuni orchi potranno decidere di farsi spazio tra i loro simili con la forza.
Infine, i nostri nemici tengono a mente quello che è avvenuto nel passato ricordandosi in particolare del nostro alter-ego. Per esempio, nel caso in cui un orco ci uccida sul campo di battaglia, quando lo inconteremo nuovamente, si prenderà gioco di noi ricordandoci come ci ha sconfitto.
Alien: Isolation è stato un punto di rottura per il franchise. Dal punto di vista dell’IA in particolare, ha visto un salto qualitativo enorme. Questo non solo per l’innovatività dell’intelligenza realizzata, ma anche e soprattutto per il radicale cambio di gameplay. L’intera esperienza di gioco e la peculiarità horror del titolo è dovuta quasi in toto dal comportamento imprevedibile, sempre diverso, quasi per nulla scriptato dell’alieno. L’IA è infatti concepita con una struttura a due componenti: director-AI, una “macro” intelligenza che fa da coordinatore; alien-AI ,una “micro” specializzata nel dare comportamento all’alieno.
Il direttore sa sempre dove si trovano giocatore e alieno: il suo compito è guidare il mostro verso il giocatore tramite indicazioni di massima. Con l’ausilio di un indicatore sul livello di “tensione” percepito dal giocatore inoltre, l’IA può anche fuorviare l’alieno indicandogli una locazione errata. In questo modo il giocatore viene messo alla prova cercando però di non portarlo all’esasperazione, per evitare che smetta di giocare per l’eccessiva tensione.
L’intelligenza aliena invece è strutturata come una serie di “nodi”, in una struttura ad albero, in cui ogni sotto-nodo è accessibile al solo verificarsi di certe condizioni. I nodi determinano le azioni che il mostro può compiere mentre le condizioni sono rappresentate da ciò che esso percepisce. Le condizioni che determinano le azioni compiute dall’alieno sono verificate tramite l’ausilio di sensori, rappresentati in questo caso da udito e vista. I “sensi” vengono utilizzati dall’alieno per sentire eventuali rumori e per identificare il giocatore, nel caso in cui sia nel campo visivo. Ultimo ma non meno importante, con l’avanzare del gioco vengono sbloccate azioni disponibili per l’alieno. In questo modo si riesce a simulare una specie di “apprendimento” del mostro, rendendo l’esperienza interessante anche all’aumentare della bravura del giocatore.
Come si può dedurre il mix di direttore e alieno si rivela perfetto per un gioco horror. L’alieno si scoprirà essere difficilmente prevedibile (non essendo scriptato il comportamento) e sempre più capace, senza però raggiungere livelli insostenibili di difficoltà. Anche giocabilità e gameplay ne giovano, grazie al delicato equilibrio di tensione e capacità aliena stemperati tramite il direttore.
1. The Elder Scrolls IV: Oblivion
Oblivion non ha bisogno di presentazioni. Si tratta di uno dei GDR più influenti della storia, capace di imporre un nuovo standard per i videogiochi PC in generale. Sviluppato da Bethesda Game Studios e distribuito da Bethesda, entrambi ora parte di Microsoft, fu anche tra i pionieri di un nuovo modo di concepire l’intelligenza artificiale nei videogiochi.
Il sistema di IA sviluppato si chiama Radiant AI ed è stato alla base, seppur con miglioramenti ed estensioni, di titoli come Skyrim, Fallout 3 e Fallout 3: New Vegas. La sua peculiarità è quella di personalizzare l’esperienza del giocatore in base alle sue azioni e alle caratteristiche impresse al suo personaggio. Ciò permette di garantire un’esperienza unica ad ogni partita, grazie alle diverse reazione dei vari NPC e alla risposta dell’ambiente di gioco alla nostra presenza.
In particolare nei GDR il focus è sul personaggio, di cui scegliamo abilità, tratti ed affiliazioni a varie organizzazioni nel mondo di gioco. Questo consente a Radiant AI di essere il compagno ideale di ogni avventura. Ad esempio creando un personaggio di “dubbia moralità” come il ladro, non sorprendiamoci se le guardie ci trattano con diffidenza, intimandoci di girare alla larga. Altro esempio possono essere i dialoghi fra i personaggi non giocanti stessi, conseguenti ad azioni e scelte da noi fatte sul mondo di gioco.
Gli atteggiamenti di questo tipo e le reazioni “personalizzate” del mondo di gioco verso il nostro passaggio, elevano Oblivion fra i pionieri di questo tipo di approccio al gameplay, ancora attuale e moderno. Questo sistema ha aperto la via del successo ai titoli sopracitati, imponendosi come uno degli standard a cui puntare per il gameplay offerto.
La sveglia era suonata presto quella mattina. Il servizio iniziava alle 5.13, dovevo portare la mia fida locomotiva da New York Penn a Trenton. Dovevo avviarla, assicurarmi che tutto funzionasse e approntarla per il servizio viaggiatori che da lì a poco avrebbe svolto con la consueta puntualità.
Le luci dell’alba risultano ritardatarie rispetto alla sveglia del ferroviere, l’odore del ferro, che solo chi vive la ferrovia può sentirlo, il rumore dei compressori che si avviano e del pantografo che si alza. Gli operatori di movimento scambi, pronti nelle rimesse, i capistazione al loro posto a garantire la sicurezza della circolazione ferroviaria, macchinisti e capitreno pronti a guidare e scortare treni su e giù per le reti sociali.
Vita sacrificata quella dei ferrovieri, ma ricca di soddisfazioni! Fortunatamente i nostri amati videogiochi ci danno l’opportunità di sperimentare anche mestieri, bypassando i sacrifici e facendoci provare solo il divertimento e lasciandoci tante soddisfazioni.
E’ questo il caso di Train Sim World 3 (TSW) della Dovetail Games. Simulatore di treni che conferma la bontà del lavoro svolto dopo già vari episodi, i primi due più TSW 2020 e Rush hour. Tutti ottimi titoli apprezzati sia per il comparto grafico che per la profondità simulativa. E TSW 3 non è da meno, uscito il 6 settembre scorso per PC, Xbox e PS, lascia a bocca aperta per la grafica, la cura dei dettagli, la maniacale riproduzione dei treni e delle cabine di guida.
Ogni dettaglio è lì, dove esattamente ce lo aspettiamo, addirittura, guidando il treno, ci si può rendere conto, tra l’altro, della direzione che il treno prenderà da lì a poco, verificando come è disposto lo scambio che si sta per superare (come avviene nella realtà in fin dei conti).
Il simulatore e le linee
Ma procediamo con ordine. Non vi aspettate un mondo libero tipo Flight Simulator. Non si può prendere il treno e girare per tutto il mondo conosciuto. Il simulatore è provvisto di scenari specifici, la versione standard ne prevede tre, il Cajon Pass, basato su trasporto merci con muscle-locomotive cazzute che trainerebbero anche Hulk su per i pendii.
Lo scenario ambientato sulla SouthEastern High, delicata ed altolocata ferrovia inglese a sudest di Londra, tra il Kent ed il Sussex per la precisione, sulla quale potrete provare, tra gli altri, il bellissimo Javelin, treno ad alta velocità che in base alla linea percorsa può sfruttare sia la corrente fornita dalla linea aerea sia quella fornita, in alcuni tratti, dalla terza rotaia.
Ed infine l’impressionante Schnellfahrstrecke Kassel-Wurzburg, certo, molti di voi penseranno che sia impressionante per l’impronunciabilità e lunghezza del nome, è vero, anche, ma la ferrovia appena poco più sopra citata è impressionante anche per la bellezza dei paesaggi che attraversa e per le mastodontiche opere di ingegneria civile da cui è composta: gallerie, ponti e viadotti. Sulle sue linee, sfrecciano i treni ad alta velocità Ice1 e Ice3 e guidarli è un vero piacere.
Le locomotive
I treni sono vari, locomotive straniere, ovviamente, purtroppo di italica produzione non è presente nulla. Tutti i treni, quelli presenti già nel gioco e tutti quelli eventualmente acquistabili successivamente sono fedeli alla realtà. Per chi si aspettasse qualcosa di arcade, farebbe meglio a rivolgere la sua attenzione ad altro, perché qui se non si sa “quali bottoni schiacciare” e quali checklist seguire (tra l’altro differenti per ogni treno), non si parte.
Anche se il funzionamento di ogni locomotiva, di massima è più o meno uguale, la combinazione delle due differisce da treno a treno. Una leva per dare “trazione” ovvero sfruttare la corrente della linea aerea oppure dare potenza ai motori, nel caso di trazione diesel, e una leva per applicare il freno, a volte anche più di un freno. Quello pneumatico e quello elettrico, ma ciò avviene solo nelle locomotive più “pesanti” come quelle cargo o i lunghissimi treni viaggiatori.
Nelle locomotive più moderne, di solito, la leva di acceleratore e freno coincide, semplicemente si tira la leva a sé per accelerare e la si spinge in avanti per frenare (questo è anche un motivo di sicurezza ferroviaria, poiché se il macchinista dovesse sentirsi male, accasciandosi, ad esempio, in avanti, la mano, che deve essere sempre sulla leva per un pronto intervento, andrebbe in avanti, frenando, di fatto, il convoglio).
Il Centro di Addestramento
Ma non abbattetevi, a guidarvi passo passo su come si guida un treno, o meglio, come si guidano le varie locomotive, oltre al manuale, in formato PDF of course, è presente un corposo centro di addestramento. Un tracciato, creato per l’occasione, che si può esplorare a piedi e dove si possono guidare tutte le locomotive presenti nel simulatore e, grazie ad una voce guida, scoprirne segreti e procedure.
È stato fatto un bel passo avanti rispetto ai precedenti episodi dove l’addestramento avveniva in linea, con orari da rispettare e viaggiatori da trasportare. Meno ansie, grazie al nuovo Centro di Addestramento.
Menù e clima dinamico
I menù di gioco sono puliti e gradevoli, accompagnati da una rilassante melodia ed intervallati da scrosci di pioggia e di vento. Questi suoni non sono messi lì a caso. La caratteristica infatti introdotta in questo terzo capitolo del simulatore è il clima dinamico. Che significa?
Significa che che mentre sarete in viaggio, il clima potrà variare casualmente. Partirete con cielo terso pomeridiano, potrete attraversare una perturbazione e arrivare a destinazione di sera, di nuovo con cielo limpido costellato di stelle.
Questa caratteristica, così come l’alternanza giorno/notte, contribuisce a fare percepire al giocatore il tempo che passa, il tempo che si passa alla guida più che altro. Ma vediamo con ordine cosa possiamo fare nel simulatore.
Il gioco
Il menù è diviso in più sezioni, a parte il centro addestramento, le cui “missioni”, divise per treno, possono essere giocate quante volte si vuole fino all’apprendimento completo. Abbiamo la sezione deposito treni, nella quale possiamo scegliere un treno e del quale giocare sia degli scenari predefiniti sia seguire una “tabella oraria” ovvero espletare dei “servizi” che impiegano dai 5 minuti fino anche all’ora di gioco o poco più e che coprono la giornata lavorativa da prima mattina fino a sera tardi.
Si spazia dal preparare un treno per il servizio, portarlo al lavaggio, trasportarlo vuoto fino alla stazione dal quale inizierà il servizio viaggiatori o ovviamente espletare direttamente il servizio al pubblico. Gli incarichi, così come sono divisi per treno, sono divisi anche per scenario.
Questo è il cuore del gioco, ovvero dove verranno sfruttati gli scenari e locomotive già presenti nel simulatore e/o quelle acquistate eventualmente in un secondo momento.
Poi abbiamo delle missioni predefinite, per chi vuole giocare subito senza troppi fronzoli. Il gioco chiede quanto tempo si ha a disposizione, fino alla mezz’ora o dalla mezz’ora in poi e, in base alla risposta, decide quale missione è più a noi congeniale.
Lo spiccato realismo
In game il feeling con la locomotiva è davvero molto forte. Si capisce subito che se non si sa dove mettere le mani, quel treno non partirà, vi ritroverete davanti una miriade di tasti, bottoni e luci, quasi tutti cliccabili ma, fortunatamente, per condurre un treno non vi serviranno proprio tutti quei tasti, ne basteranno alcuni specifici (benedetto sia il Centro di Addestramento).
In ogni caso, la completezza della cabina di guida, contribuisce ad un realismo generale molto spinto. Conducendo il vostro veicolo, vi renderete conto di quanto belli siano gli scenari, il realismo delle tratte percorse nonché il realismo del sistema di segnalamento, poiché nello scenario non sarete soli, ma in compagnia di altri treni che viaggeranno per conto loro e dai quali dovrete distanziarvi. Ma cerchiamo di capirne di più.
Il segnalamento
Normalmente le linee ferroviarie vengono delimitate da sezioni di blocco, di lunghezza variabile, dei segmenti di linea diciamo, che per la sicurezza della circolazione devono essere impegnate da un treno alla volta. I treni dovranno essere distanziati dai treni che li precedono quando viaggiano su doppio binario. Quando invece la linea è esercitata a semplice binario, essi dovranno essere distanziati sia dai treni che li precedono che da quelli incrocianti, essendo unica la sede ferroviaria.
Per il distanziamento vengono utilizzati i segnali, sia lungo la linea, sia all’interno delle stazioni. In Train Sim World 3 tutto il sistema di segnalamento è riprodotto fedelmente in base alla ferrovia rappresentata, che seppur avendo caratteristiche comuni al sistema di segnalamento italiano, a volte, differisce.
L’HUD
Nel gioco, fortunatamente, ci viene in soccorso l’HUD (Head Up Display) presente , che ci mostra, in forma sintetica, le principali informazioni. In alto a sinistra la distanza, in Km o miglia, dal prossimo punto di fermata o transito, in alto a destra viene mostrato l’aspetto del prossimo segnale (semplicisticamente: verde=via libera, rosso=arresto del convoglio prima di superare detto segnale e giallo=via libera al primo segnale incontrato, ma segnale successivo disposto a via impedita, quindi rosso) e la velocità di tracciato consentita.
In basso a destra infine, ci verranno mostrate le info necessarie a condurre la locomotiva, stato dei freni, velocità attuale, pendenza della linea.
Attività a corredo
Nel simulatore, superare un segnale a via impedita comporterà la conclusione dello scenario in corso e lo farà ricominciare, mentre superare i limiti di velocità comporterà un minore punteggio al giocatore.
Si perché mentre scorrazzerete con la vostra bella locomotiva nuova fiammante, il gioco vi attribuirà dei punti abilità/esperienza in base alla vostra conduzione del treno, in una sorta di gamificazione che sarà utile per mostrare ai vostri amici le vostre performance di guida.
A conclusione delle attività da svolgere nel simulatore, abbiamo piccoli incarichi che porteranno al giocatore più punti, da svolgere lungo le linee percorse, tipo ripristinare le mappe nelle stazioni, pulire, cestini sporchi, ripristinare gli estintori o riempire i dispenser di quotidiani. Tutte attività secondarie, alquanto inutili secondo chi scrive, ma che potranno invogliare i giocatori a “platinare” il gioco.
A corredo del tutto Dovetail Games ha introdotto anche un content creator, in particolare di livree e scenari, che potranno essere scaricati senza limitazioni da parte degli utenti, a patto di possedere i pacchetti giusti di locomotive.
Conclusioni
In definitiva un simulatore solido questo Train Sim World 3, forse pensato più per console che per PC, per il quale esiste Train Simulator sempre di Dovetail Games. Ma il livello di realismo in TSW3 è portato ad altissimi livelli.
Un simulatore sicuramente di nicchia, adatto per coloro che amano il mondo dei treni e della ferrovia in generale, non per tutti. Spesso, guidare per un’ora consecutiva, stanca. Ma questo è il mondo della ferrovia e lo si accetta per il fascino che lascia ai suoi cultori. E magari, se appassionati non lo siete, con TSW3 potrete diventarlo.
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