Assassin’s Creed Shadows è il nuovo, attesissimo episodio della celebre saga degli assassini. Nel corso degli ultimi vent’anni questa serie è stata croce e delizia per moltissimi videogiocatori. Anche questo episodio è stato oggetto di numerose polemiche a causa dei continui rinvii. Ubisoft, dopo anni di richieste da parte dei fan, esplora il Giappone feudale, un “set” intriso di storia, mitologia ed intrighi.
Rilasciato il 20 marzo 2025, AC Shadows strizza l’occhio sia ai fan di vecchia data che ai nuovi giocatori, offrendo al pubblico un titolo altamente cinematografico…forse pure troppo! Durante l’intero prologo, di una mezz’ora scarsa, toccheremo il pad per appena cinque minuti.
Per carità, siamo dei fan di titoli con una scrittura coinvolgente ed una trama articolata, ma restare semplici spettatori di un prologo per la maggior parte del tempo ci ha fatto storcere il naso.
Samurai e shinobi in un caos feudale
La trama si svolge durante l’epoca Sengoku, più o meno dal 1467 al 1615, un periodo segnato da infinite lotte intestine, poiché il territorio era frammentato in miriadi di feudi perennemente in lotta fra loro.
Si seguono le vicende di due protagonisti principali: Naoe, una shinobi legata alla confraternita degli assassini che reclama vendetta per la morte del padre e Yasuke, un samurai di colore che deve confrontarsi con il proprio senso di onore e le sue alleanze.
Le storie personali vengono abilmente intrecciate sia fra di loro sia con il più ampio conflitto assassini-templari proprio della serie, introducendo anche i dilemmi morali dei protagonisti che mantengono l’interesse dei giocatori sempre vivo.
Come accennato all’inizio, la scrittura del gioco è il fiore all’occhiello della produzione, con dialoghi realistici e ben recitati. A proposito di questo, il titolo è completamente localizzato nella nostra lingua. Se fossimo in voi, però, un “giro” in lingua originale giapponese (con sottotitoli in italiano ovviamente, a meno che non siate conoscitori della lingua orientale) ve lo consigliamo.
Ogni incontro nel gioco, dai contadini oppressi ai daimyo ambiziosi (signori feudali giapponesi) contribuiscono a creare una narrazione efficace e ad immergere il giocatore nel periodo storico di riferimento.
Il Giappone in modalità stealth
Come ben sapete, la caratteristica principale dei vari titoli della serie è sempre stata la possibilità di approcciare ai combattimenti ed alle situazioni in modalità stealth. Questa caratteristica viene mantenuta in Assassin’s Creed Shadows e anzi, viene spinta alla sua massima espressione con il personaggio di Naoe (l’unica dei due personaggi che può realizzare questo tipo di approccio), che può sfruttare ombre dinamiche e nascondigli naturali come anfratti di rocce, alberi e tetti di paglia.
Anche le armi riescono nell’intento di cogliere di sorpresa gli avversari. Il gioco sfrutta bene la varietà delle armi a disposizione nel Giappone feudale. Parliamo di gadget quali, ad esempio, shuriken avvelenati e bombe fumogene che aggiungono quindi una varietà strategica agli attacchi.
Nel corpo a corpo i classici pugnali e la intramontabile katana rendono il combattimento fluido ed appagante. Il combattimento richiede una certa dose di precisione e tempismo. Ovviamente, come in ogni episodio precedente, sta al giocatore scegliere il tipo di approccio che più gli si addice o che più si addice alla situazione.
Le quattro stagioni
In AC Shadows, Ubisoft ha apportato delle innovazioni che sicuramente sono da ritenersi interessanti e che portano, finalmente, una ventata di freschezza al titolo. Viene introdotto infatti, in questo capitolo, un sistema meteorologico dinamico. Le condizioni climatiche, infatti, cambiano in modo del tutto casuale durante la partita. Come nella realtà.
Immaginate di essere ad un punto cieco. Siete nascosti dietro un muretto ed i nemici sono a copertura dell’obiettivo nei punti giusti. Una intensa pioggia improvvisa od una fitta nebbia potrebbero volgere a vostro favore le sorti dello scontro, permettendovi di approfittare dell’effetto sorpresa e dalla scarsa visibilità.
Ma Ubisoft non si è fermata a questo. Viene introdotto anche l’alternarsi delle stagioni. Eliminare un nemico in primavera non avrà lo stesso effetto che eliminarlo in pieno inverno, con neve e ghiaccio.
A completamento delle innovazioni apportate e degne di nota, troviamo l’introduzione di un sistema di scelte morali che ha un impatto diretto sulla storia e sugli esiti dei protagonisti. Le varie decisioni possono sbloccare alleanze e decidere la sorte di numerosi personaggi, in particolare quelli secondari.
Mappe che non aiutano
Ciò che invece non ci è davvero piaciuto è la gestione della mappa di gioco. Essa è mediamente grande, più ampia rispetto a quella dell’ultimo capitolo, AC Mirage, ma risulta decisamente meno ampia, ad esempio, di AC Odissey o Assassin’s Creed Valhalla. Viene introdotto un sistema di vedette, che vengono inviate per trovare gli obiettivi da seguire. Inoltre, sebbene vengano forniti una serie di indizi, abbiamo trovato piuttosto ostico il solo individuare sulla mappa la destinazione da raggiungere. Ci è capitato di restare impantanati per minuti non sapendo che direzione prendere. Secondo noi, si tratta di una vera caduta di stile. Non manca, naturalmente, anche il classico rifugio da fondare ed ampliare.
Purtroppo, Assassin’s Creed Shadows non è esente dal problema che ha attanagliato un po’ tutti i titoli precedenti, ovvero l’imprecisione nella gestione dei movimenti del/della protagonista. Ci è capitato di restare bloccati dietro un asse di legno, o tra le canne di bambù, oppure di non trovare la giusta angolazione per scalare le pareti e restare così, fatalmente, alla mercé degli attacchi nemici, incontrando, il più delle volte, morte certa.
Paesaggi e musiche giapponesi
Ciò su cui quasi nulla si può appuntare ad Ubisoft è la qualità grafica raggiunta. I paesaggi mozzafiato, le espressioni dei volti e i fluidi movimenti dei personaggi, risultano davvero convincenti. Le città brulicano di vita, con mercati affollati, templi maestosi e castelli imponenti che catturano decisamente l’atmosfera del Giappone feudale.
Il motore di gioco riesce a sfruttare appieno l’hardware a disposizione. Anzi, il gioco è stato testato su un mini pc da gaming con AMD Ryzen 9, scheda grafica integrata sempre AMD e 32 gb RAM. Più che nelle fasi di combattimento, il gioco ha rallentato nelle fasi a cavallo, nello specifico, in quelle a galoppo, dove il tutto sembrava procedere al rallenty. testando in seguito il gioco su un monitor più performante (da 144 a 170 Hz) le cose sono migliorate.
Dal lato audio, Abbiamo apprezzato le musiche, tutte a tema, che immergono i giocatori nell’atmosfera, diventando più concitate e drammatiche nel momento del combattimento o di un evento importante del gioco. Anche gli effetti sonori sono incredibilmente realistici, ma era il minimo che potessimo aspettarci da parte di Ubisoft.
Assassin’s Creed Shadows, in definitiva, è un grande titolo. Il gioco non è esente da difetti, ma risulta sicuramente degno di essere giocato. Quello che “stufa” un attimo è l’enormità delle cose da fare nel mondo. Mi spiego meglio. Già per sbloccare Yasuke ci vuole un congruo numero di ore di gioco con Naoe, che, da sole, basterebbero per un videogioco tripla A stand alone (calcolate solo sulla storia principale). Se ci mettiamo che la mappa è divisa in nove regioni, ognuna con le sue peculiarità, fedelmente riportate, alziamo le mani al lavoro mirabile degli sviluppatori. Tuttavia, per riempire questo mondo “immenso“ sono state pensate innumerevoli missioni secondarie. Sappiamo che la quantità non è sempre sinonimo di qualità e anche in questo caso è così, portando il giocatore medio a prediligere la storia principale e perdendosi così molto dell’esperienza di gioco.
7.5
Dettagli e Modus Operandi
Piattaforme: PS5, PS5 PRO, Xbox Series X/S, Microsoft Windows
Data uscita: 20/03/2025
Prezzo: 69.99 €
Ho giocato ad Assassin’s Creed Shadows a partire dal day one su Microsoft Windows
Rebellion, lo studio britannico noto per titoli come Sniper Elite ed Evil Genius 2, si prepara al lancio di Atomfall, un nuovo gioco d’azione e sopravvivenza ambientato nel nord dell’Inghilterra post-disastro nucleare. Il CEO Jason Kingsley ha recentemente discusso delle scelte strategiche dello studio, sottolineando come la loro audience tenda ad essere più matura e abbia altre responsabilità a cui badare.
In un’intervista con PC Gamer, Kingsley ha espresso ammirazione per i grandi studi che gestiscono team composti da migliaia di persone, creando giochi di enormi dimensioni. Tuttavia, ha evidenziato come Rebellion preferisca mantenere un controllo rigoroso su portata e costi dei propri progetti. Questa strategia non solo facilita la gestione interna, ma risponde anche alle esigenze del loro pubblico, spesso costituito da giocatori con impegni lavorativi e familiari.
Kingsley ha dichiarato: “Preferisco un piccolo gioco, ma davvero buono, piuttosto che un gioco molto grande che non sia focalizzato su ciò che è importante per il giocatore“. Questa filosofia si riflette in Atomfall, progettato per offrire esperienze di gioco soddisfacenti anche a chi dispone di tempo limitato. L’obiettivo è fornire un prodotto che dia la sensazione di realizzazione, con la concreta possibilità di essere completato senza richiedere un investimento di tempo eccessivo.
La scelta di sviluppare giochi di dimensioni più contenute non è dettata solo da considerazioni logistiche ed economiche. Kingsley ha sottolineato come questa strategia abbia permesso a Rebellion di evitare i licenziamenti di massa che hanno colpito altre aziende del settore dopo il boom legato alla pandemia. Mantenere un equilibrio tra ambizione e realismo nei progetti consente allo studio di garantire stabilità lavorativa al proprio team, evitando l’alternanza di assunzioni e licenziamenti in base alle esigenze dei singoli progetti.
Kingsley ha affermato: “Non vogliamo assumere e licenziare persone continuamente. Ci sono così tante perdite di lavoro nel settore, è spaventoso al momento.” Questo approccio prudente mira a mantenere un ambiente di lavoro stabile e sostenibile, focalizzandosi su progetti che possano essere gestiti efficacemente senza compromettere la qualità o la salute finanziaria dell’azienda.
Atomfall è ambientato cinque anni dopo il disastro nucleare di Windscale, nel nord dell’Inghilterra. I giocatori esploreranno una zona di quarantena immaginaria, interagendo con personaggi bizzarri, setti e agenzie governative corrotte. Il gioco combina elementi di sopravvivenza, combattimento e investigazione, offrendo un’esperienza coinvolgente che può essere apprezzata anche in sessioni di gioco più brevi.
Questa scelta di design rispecchia la volontà di Rebellion di creare giochi che si adattino alle esigenze di un pubblico adulto, che potrebbe non avere il tempo di dedicarsi a titoli estremamente lunghi e complessi. Kingsley ha evidenziato l’importanza di offrire ai giocatori la possibilità di sentirsi realizzati anche con sessioni di gioco più brevi, evitando che abbandonino i titoli perché troppo impegnativi o lunghi da completare.
Partiamo dalla tesi: Monster Hunter Wilds funziona. E funziona bene. Il gameplay, cuore pulsante della serie, resta fedele alle sue radici, mantenendo intatta quella struttura che ha reso il franchise un punto di riferimento per milioni di giocatori, dai fan più accaniti ai nuovi arrivati. Ma non si tratta solo di un’operazione nostalgia: le novità ci sono e si sentono, soprattutto nei nuovi counter attack, che non solo spaccano a livello visivo, ma regalano soddisfazioni anche a livello tecnico. Ad ogni colpo risposto con precisione corrisponde quella soddisfacente sensazione di pieno controllo sul gioco gioco. Peccato, però, che ancora una volta, si senta la mancanza di un vero e proprio endgame.
Un “quasi” open world, ma va bene così
L’approccio “open world” è un altro passo in avanti. O meglio, il gioco vuole farti credere di essere open world, e ci riesce abbastanza bene. Gli accampamenti sono accessibili senza caricamenti, persino le diverse macroaree sono tra loro collegale, mentre la vecchia base, che rappresentava una mappa a parte, è ormai un ricordo. Tutto è davvero molto fluido e coinvolgente. Peccato non poter ancora girare liberamente per il mondo in compagnia dei propri amici, se non durante specifiche missioni.
Meno convincente invece la scelta di permettere il trasporto di due armi durante la caccia, intercambiabili solo in sella alla cavalcatura. Bella idea sulla carta, ma in pratica? Poca roba. Non si sente davvero il bisogno di cambiare arma al volo, e l’utilità reale dell’opzione resta tutta da dimostrare. Perché non creare fight in cui l’unica opzione è quella di usare un’arma a distanza, così da “costringere” a cambiare arma anche i più fedeli alle armi da mischia? Signora Capcom, questo è solo un consiglio ovviamente…
Grafica bella, ma non perfetta
Sul fronte grafico, Wilds richiama da vicino Monster Hunter World, il titolo che ha consacrato il brand a livello globale. La resa visiva è ottima, con ambientazioni curate e mostri resi in maniera spettacolare. Peccato per qualche inciampo tecnico, con (pochi) bug qua e là e un adattamento non sempre impeccabile. Nulla di game-breaking, per carità, ma certi scivoloni si fanno notare. Vale la pena tenere d’occhio futuri aggiornamenti correttivi.
La trama di Monster Hunter Wilds
La trama? Come sempre, un contorno. Monster Hunter non ha mai brillato per la narrazione, e anche stavolta la storia è godibile ma non memorabile. Ma, parliamoci chiaro: il comparto narrativo non ha mai interessato veramente i giocatori del titolo, il cui unico scopo è spaccare mostri nella maniera più spettacolare possibile. La vera chicca, però, è la spiegazione, finalmente sensata, dei mostri temprati: non più solo versioni potenziate a caso, ma creature che sono sopravvissute a battaglie feroci, diventando più forti. Finalmente un po’ di lore che ha realmente senso.
Longevità: una tela bianca ancora vuota
E qui arriviamo al punto dolente: la longevità. Monster Hunter Wilds è una tela bianca, potenzialmente un capolavoro, ma per ora è tutto da dipingere. L’endgame è scarno, e si limita al solito farming di mostri forti per recuperare pezzi e gioielli. Ma poi? Dove li uso questi equip? Nei capitoli precedenti, salendo di Rank, si sbloccavano sfide vere, draghi anziani, mostri letali. Qui, niente. O almeno, non ancora.
Il futuro do Monster Hunter Wilds è ancora tutto da scrivere
La speranza è nei contenuti futuri: il fatto che sia già stato annunciato un nuovo mostro in arrivo è un buon segno, ma servono aggiornamenti costanti, livelli di sfida alti, contenuti che tengano vivo l’interesse. Altrimenti sarà una sconfitta, e grossa.
In sintesi: Monster Hunter Wilds ha le carte giuste, ma non ha ancora giocato la sua mano migliore. Se Capcom saprà sostenere il gioco con costanza e coraggio, ci troveremo di fronte a un altro colosso della serie. Se invece si accontenteranno di aver fatto “abbastanza”, ci ricorderemo di Wilds come l’occasione mancata più grande di tutta la saga. I presupposti, però, ci sono: nuove uscite sono già alle porte e si spera ne arrivino altre regolarmente.
Dare un voto al titolo non è per niente facile, perché il giudizio varia fortemente proprio a causa dell’incertezza dei futuri aggiornamenti. Pensare a Monster Hunter Wilds con l’ottica di nuove sfide contro draghi anziani e del ritorno di vecchie conoscenze, ecco che esce il sorriso e il ricordo dei bellissimi momenti passati su World. Riproporre la stessa esperienza in questo nuovo titolo significa dare a Wilds un 9 pieno: è proprio quello che desideravo (e non sono il solo). Se le cose invece resteranno così a lungo, il voto cambia e non può essere più di una sufficienza: un 6 basta e avanza vista l’attuale assenza di endgame. Ma noi siamo fiduciosi: Capcom ci regalerà tante nuove sfide e quindi si merita il 9… vero?
9
Dettagli e Modus Operandi
Piattaforme: PS5, PS5 PRO, Xbox Series X/S, PC
Data uscita: 28/02/2025
Prezzo: 79,99 €
Ho giocato a Monster Hunter Wilds su PC a partire dal day one.
Ah la prima PlayStation! Quanti bei momenti passati davanti a quello scatolotto grigio pieno di emozioni, che prendeva ognuno di noi per mano trascinandoci in nuovi mondi tutti da esplorare. E quanti titoli, quanti generi, quanta varietà! Non mancava proprio nulla, ce n’era per tutti i gusti. Almeno così mi hanno detto. Già, perché sono nato un pelo dopo gli anni d’oro del videogame: io infatti, classe 2001, ho vissuto gli albori della PlayStation 2 che reputo la miglior console di sempre (ma è un mio parere personale). Purtroppo, titoli come Tomb Raider, Metal Gear Solid e Resident Evil per me erano sconosciuti, me li sono dovuto recuperare poi una volta cresciuto. E tra questi, mi duole dirlo, persi persino il messia dei “giochi di botte”, colui che ascese dal cielo per mostrare all’umanità intera come si crea un picchiaduro, ovvero Tekken 3.
Tekken 3, un mito senza tempo
Sono molto affezionato alla serie di Tekken dato che è la mia “fighting saga” preferita. In particolare, all’epoca di Playstation 2, ero letteralmente in fissa con Tekken 5 (che rimane il mio capitolo preferito): tra le tante modalità presenti ricordo che Namco aveva inserito la possibilità di giocare ai primi 3 prequel, ma ai tempi ero ancora un bambino e li reputavo abbastanza brutti.
Ora che sono cresciuto e che i miei gusti sono cambiati, dopo aver giocato davvero a Tekken 3 posso dire che mi ha davvero stupito: una volta finito il capitolo precedente, mosso dalla curiosità mi sono lanciato subito sul suo sequel e sono rimasto davvero incredulo da quello che stavo vedendo, pur essendo un gioco con tanti anni alle spalle.
Cosa mi ha portato a rimanere così sbalordito per molti sarà evidente: chi lo ha giocato sa perfettamente quali sono state le innovazioni che questo capitolo ha portato, trasformandosi in un vero e proprio tormentone per parecchi anni. Ma, per parlarne meglio e per comprendere effettivamente cos’è stato rivoluzionato, bisogna spendere due parole su quello che la saga di Namco voleva diventare all’inizio.
Tekken prima di Tekken
Dopo l’uscita di Tekken 2, Namco sembrava aver deciso quale strada seguire per la sua saga. Il secondo capitolo, infatti, non era nient’altro che il primo limato dai suoi difetti. Nessuna scelta fu più azzeccata di questa. Namco riuscì a creare un’infrastruttura solida e divertente, oltre che rigiocabile più volte grazie all’aggiunta di diverse modalità.
I fan non potevano chiedere di meglio: certo, i personaggi erano un insieme di poligoni che si muovevano, ma è altrettanto vero che erano presenti molti più colori a schermo che donavano più dettagli. Ogni personaggio aveva uno stage dedicato e il roster era molto più vario rispetto al capitolo precedente.
Le musiche erano orecchiabili, le modalità di gioco erano accolte positivamente e i personaggi erano caratterizzati molto bene (è impossibile dimenticarsi del bellissimo King in cravatta o dei capelli stravaganti di Heihachi Mishima). Inoltre, il gameplay era fatto veramente bene per i tempi che correvano: le animazioni donavano al gioco una buona dose di realismo ed eseguire le combo è ancora oggi appagante.
Dalle stelle alle galassie, il manuale secondo Namco
Tekken 2, in un certo senso, appariva ancora troppo simile al competitor di Sega, ovvero Virtua Fighter. Il gioco di Namco divenne famoso principalmente grazie alla console di Sony, ma non era abbastanza. Per questo, un anno dopo l’uscita di Virtua Fighter 3, la casa nipponica decise di mostrare il suo nuovo Tekken 3 con un trailer dedicato ad un evento per giochi arcade, ottenendo il riscontro positivo desiderato.
La gente rimase sbalordita e, quando nel 1998 uscì tra gli scaffali, Tekken 3 tenne fede alle promesse fatte. La fluidità di gameplay era (ed è ancora) davvero stupefacente considerando che era un gioco Playstation 1: io, che l’ho giocato da poco, ho trovato ancora gratificante ogni singolo colpo, anche a distanza di quasi trent’anni dall’uscita.
La facilità con cui si possono concatenare tutte le mosse con così tanta fluidità dona una sensazione di realismo e di immedesimazione senza precedenti soprattutto per l’epoca. Tekken 3 sembrava capace di teletrasportare il videogiocatore all’interno di quello che sta accadendo a schermo in quel momento.
Tekken 3 è diventato famoso anche per la meccanica del sidestep: premendo due volte il tasto per saltare o per abbassarsi, il nostro PG può fare un passo in profondità verso di noi o dalla parte opposta, aggiungendo la possibilità di poter attaccare su più lati e non solo frontalmente.
Tutto ciò avviene in armonia con la telecamera dinamica, che segue i movimenti dei nostri personaggi anche durante le animazioni di grappling, donando delle azioni sempre in movimento per ogni livello che affronteremo.
Una struttura di gioco diversa
Gli avversari da battere sono sempre i classici dieci, ma con un’eccezione: chi ha giocato i primi due capitoli sa che per ogni personaggio che scegliamo è presente un rivale dedicato che troveremo negli ultimi livelli del gioco.
Tekken 3 invece ci propone dieci livelli come sempre, ma i primi otto avversari sono randomici mentre gli ultimi due, che sono i boss finali, sono sempre gli stessi. Questo perché la storia del gioco non è più incentrata sulle singole rivalità tra i membri del roster, ma tutti insieme dovranno unire le forze per sconfiggere i due nemici in comune.
Per quanto riguarda la difficoltà, non ci sono più tutti quegli stratagemmi usati per rendere il gioco più difficile, ma che in realtà facevano solo arrabbiare il giocatore. Ora infatti il nostro personaggio, se viene scaraventato a terra, si rialzerà quasi subito, in linea con la rapidità del gioco.
I combattimenti, oltre a essere veloci, risultano perfettamente bilanciati. Sin dalla prima partita si ha la sensazione di poter battere chiunque e che basti solo trovare il modo giusto per farlo. Ora infatti non troveremo più un Lee che spara calci a raffica senza mai fermarsi e senza poterlo mai interrompere.
Prendendo spunto da quello che è stato fatto nel precedente capitolo, Namco ha deciso di tenere le modalità che hanno contribuito a prolungare la vita del gioco, ma con alcune aggiunte.
Come nel prequel sono ancora presenti le modalità Sopravvivenza, Squadre e Pratica, ma viene aggiunta la Tekken Force Mode, una modalità alla Double Dragon dove camminando con il nostro personaggio dovremo sconfiggere i membri della Tekken Force. Abbiamo poi la modalità chiamata Tekken Ball Mode, dove dovremmo letteralmente fare una partita a pallavolo colpendo la palla con pugni e calci.
Cosa ha reso Tekken 3 memorabile
Se qualcuno ha buon gusto lo piò notare subito e Namco, all’epoca, ha dimostrato di averne a vagonate. Per esempio, vogliamo parlare di quanto sono belle le aree di combattimento? Come nel prequel, gli sviluppatori hanno creato per ogni personaggio un’arena dedicata. La cosa che mi ha sorpreso è la sensazione di unicità che ho provato nel vedere quei posti virtuali.
Infatti sono riusciti a creare delle mappe diversificate tra loro, inserendo degli elementi in grado di renderle facilmente distinguibili fin da subito. Inoltre, se si conosce la storia dei personaggi, risulta facile capire perché ad ogni personaggio è stata assegnata quella determinata zona, dando cosí una sensazione di coerenza.
Il tutto è accompagnato da una colonna sonora che ancora oggi risulta essere fuori di testa: Tekken 3 infatti ha un accompagnamento musicale di tutto rispetto che risuona ancora nelle memorie dei giocatori.
Tutto il merito va a Nobuyoshi Sano, che ci ha saputo davvero fare riuscendo a creare qualcosa che richiamasse lo stile rivoluzionario del gioco. Harada, il direttore di Tekken 3, racconta su Playstation Blog :
Ero un grande fan di Sanodg (Nobuyoshi Sano, ndr), per cui ho pensato di coinvolgerlo nel progetto ma a volte avevamo opinioni divergenti. Il concetto di Digital Rock era troppo alla moda e difficile da comprendere per noi. Disse che il suono digitale era il futuro e alla fine mi decisi ad affidargli l’intera direzione della musica, la quale si è rivelata una scelta giusta.
La bellezza del titolo si vede anche nei particolari più piccoli, come il vestiario dei personaggi: nessuno può dimenticare i pantaloni fiammeggianti di Jin Kazama, la tuta di Eddy o i pantaloni FILA abbinate a delle scarpe leggere e sportive di King. Gli sviluppatori sono riusciti nell’intento di creare un abbigliamento univoco, in linea con i tratti caratteriali dei personaggi, rendendoli così iconici.
Perchè Tekken 3 ha fatto la storia
In quegli anni il titolo di “miglior picchiaduro 3D” era conteso tra Tekken e Virtua Fighter di SEGA, ma alla fine degli anni ’90 il vincitore indiscusso fu il titolo di Namco. Chiedersi a questo punto il perché è assolutamente lecito, dato che le risposte sono molteplici.
Per quanto io sia un fan della serie di Tekken, devo ammettere che, graficamente, il titolo di SEGA è nettamente migliore, grazie al fatto che il Dreamcast era più potente della console di Sony. I fondali, i movimenti dei personaggi e il comparto tecnico generale sono alcuni degli aspetti su cui Virtua Fighter 3 predomina a mani basse su Tekken 3. Ma allora cosa ha spinto i fan a preferire il secondo rispetto al primo?
Il segreto del successo
La risposta è da ricercarsi tra diversi fattori: prima di tutto bisogna considerare come la Namco ai tempi prese la decisione di far uscire il suo titolo su PlayStation e non su Dreamcast. Infatti, per quanto potesse essere più potente, non era così popolare come la console di Sony, che era diventata un’icona pop.
A causa di alcune meccaniche, il gameplay di Virtua Fighter era molto più complesso di quello di Tekken. Per fare il famoso sidestep bisognava fare una combinazione di tasti molto più lunga e difficile rispetto a premere il tasto su (o giù) velocemente per due volte di seguito.
Il gameplay del titolo SEGA era indirizzato a chi aveva già famigliarità con i titoli precedenti, mentre Namco ha preferito fare un “piccolo reboot”, mantenendo comunque una certa continuità con i prequel.
Infine ecco il motivo più importante: ipersonaggi erano davvero caratterizzati al meglio, con delle musiche e delle arene che richiamavano sempre il combattente a cui erano dedicate. Tutto ciò ha contribuito, un po’ come Ryu di Street Fighter o Scorpion di Mortal Kombat, a rendere determinati personaggi veramente famosi e iconici, il tutto sulla console più venduta degli anni ’90.
Tutte ciò ha contribuito a rendere Tekken 3 quello che è diventato: un prodotto che è riuscito a far parlare di sè anche fuori dal mondo videoludico, diventando un’ icona POP riconosciuta da chiunque.
E questi sono i motivi che hanno portato Tekken 3 a fare la storia dei videogiochi. E voi cosa ne pensate? Lo avevate già giocato o non lo avete mai provato finora? Fatecelo sapere sotto nei commenti e ricorda di seguirci per non perdere i prossimi articoli! E già che ci sei, perchè non dai uno sguardo alla nostra recensione su Tekken 8?
Noi appassionati di videogiochi lo sappiamo bene, creare un videogioco ha mille sfaccettature, che vanno oltre la grafica ed il gameplay. La creazione di un gioco comprende una e cento arti, tanto da arrivare, almeno per i giochi tripla A, ad impiegare centinaia di persone per il suo sviluppo. Anche il doppiaggio svolge ormai un ruolo fondamentale.
Uno degli aspetti importanti nel processo di sviluppo, vista anche la trasformazione nel corso del tempo del videogioco da semplice passatempo a media da intrattenimento, in cui spesso abbiamo personaggi con caratteristiche ben definite e una storia a fare da sfondo, è il lavoro del doppiatore, che dona voce ai personaggi e che fa emozionare e coinvolgere i giocatori.
Proprio per questo, ho avuto il piacere di intervistare Alessandro Ambrosio, giovane emergente nel panorama del doppiaggio italiano. Alessandro ha all’attivo un bel po’ di esperienza fandub, ma è coinvolto già in alcuni progetti professionali.
I primi passi
IlVideogiocatore.it: Ciao Alessandro, benvenuto sulle pagine del nostro blog, grazie per aver accettato la nostra proposta di intervista, cominciamo subito.
Alessandro Ambrosio: È un grande piacere per me! È la mia prima intervista, cercherò di fare bella figura!
IlVideogiocatore.it : Com’è iniziato il tuo percorso nel doppiaggio? Quali gli studi e cosa ti ha spinto ad avvicinarti anche a quello dei videogiochi?
Alessandro Ambrosio: Già da quando avevo quattro anni avevo le mani sopra una tastiera e un mouse. Ho imparato tantissime cose giocando a quei vecchi giochi educativi su CD-ROM nei quali ti insegnavano tutte le varie parole e concetti per i più piccoli, includendo anche la lingua inglese, che ho ormai reso la mia seconda lingua continuando a crescere e a giocare, imparando una parola diversa ogni giorno che passava.
Creavo storie ispirandomi a quelle che vedevo nei videogiochi quando giocavo coi miei giocattoli. Mi piaceva dar loro voci diverse e fargli esprimere varie emozioni. Inconsciamente stavo già “doppiando” i miei primi personaggi! Col tempo mi sono avvicinato di più al concetto di doppiaggio: cominciavo a riconoscere le voci dei doppiatori e mi divertivo a ridoppiare scene di giochi, film o animazioni.
Dopo il liceo mi sono iscritto a un corso di recitazione e in seguito ho frequentato la Voice Art Dubbing, un altro corso di recitazione ma specifico per il doppiaggio, che consiglio vivamente a tutti quelli che sono interessati a questo mondo, o che vogliono solamente imparare a gestire meglio la propria voce e lavorare sulla propria timidezza.
È un team di grandi professionisti del settore che mi hanno aiutato a fare progressi incredibili. Mi sono infine iscritto a un sito di Freelance come Speaker, dove mi sono stati commissionati più di 400 ordini!
Giochi preferiti e sfide
IlVideogiocatore.it: Sei quindi anche un appassionato di videogiochi? Quali sono i tuoi preferiti?
Alessandro Ambrosio: I videogiochi sono parte della mia vita e devo davvero molto a loro. Ormai ho perso il conto di quanti ne abbia giocati e adoro scoprire titoli nuovi, ma ritorno spesso a giocare ad alcuni dei miei preferiti, come ARK, World of Warships… e poi Skyrim.
In qualche modo finisco sempre a rigiocarlo di nuovo. Ultimamente poi mi sto appassionando al mondo di Warhammer e ho finito Space Marine 2, che mi ha riportato parecchio indietro nel tempo con un’esperienza di gameplay di impatto che non si vedeva da molto in un titolo tripla A.
ARK: Survival Ascended
IlVideogiocatore.it: Quali sono state le maggiori sfide che hai incontrato o che stai incontrando e, se ce ne sono state, quali difficoltà hai superato?
Alessandro Ambrosio: Se riascoltassi i miei vecchi audio di quando ho iniziato mi verrebbe da piangere. Non per nostalgia, ma perché sono terrificanti! Ho fatto davvero enormi progressi dopo aver studiato e ne vado molto fiero.
A volte però mi capita di correre troppo e mangiarmi qualche parola. Questo è molto frustrante per me, ma so che è solamente questione di pratica costante e prima o poi mi perfezionerò. Ora non mi resta che fare il mio primo turno di doppiaggio in un vero e proprio studio. Dopo aver fatto un grosso giro per Roma, potrei aver scoperto qualche contatto per cominciare!
IlVideogiocatore.it: Come ti prepari per il ruolo da doppiare in un videogioco?
Alessandro Ambrosio: Prima di iniziare cerco di ottenere tutti i dettagli possibili da chi mi sta commissionando, dall’aspetto fisico alla storia, ma mi è stato insegnato che per conoscere un personaggio basta rispondere a due domande: “Chi è” e “Qual è il suo scopo”. Poi segue un riscaldamento vocale di qualche minuto, preparo l’interfaccia audio, avvio la registrazione ed entro nella mia cabina.
IlVideogiocatore.it: C’è un ruolo oppure un personaggio che ti piacerebbe doppiare in futuro?
Alessandro Ambrosio: Ti dirò la verità, non c’è mai stato un “personaggio preferito” su cui avrei voluto sentire la mia voce. Ho sempre pensato che qualsiasi opportunità che potessi ricevere in questo settore sarebbe stata preziosa per me. Per questo non vedo l’ora di potermi mettere in gioco.
Forse mi piacerebbe essere un Astarion da Baldur’s Gate 3. Neil Newbon ha conquistato il pubblico con la sua performance e il suo personaggio iconico, e anche a me piacerebbe lasciare un segno del genere prima o poi!
Astarion, Baldur’s Gate 3
Prospettive per il doppiaggio
IlVideogiocatore.it: Da esperto del settore come vedi il presente del doppiaggio di videogiochi in Italia e come ne vedi il futuro?
Alessandro Ambrosio: Il doppiaggio in Italia viene preso molto sul serio, ed è ormai diventata una tradizione che va avanti da generazioni. Posso dire che facciamo un ottimo lavoro, ma ci sono tante persone che preferiscono godersi i titoli in lingua originale e non possiamo biasimarli. Spesso capita che nel doppiaggio italiano l’adattamento modifichi eccessivamente le frasi, dandone un senso completamente diverso.
Infatti, se poi vai a risentire quella stessa frase in lingua originale, ti viene solo da dire “Ma come ci sono arrivati a dire ‘sta roba?!”. Poi noi eliminiamo completamente gli accenti, mentre in lingua originale ce n’è quasi sempre una grande varietà. Ciononostante, il doppiaggio italiano è in grado di regalare emozioni se non addirittura più potenti di quelle originali, e continuerà a farlo. È questione di gusti in fondo!
Esperienza sul campo
IlVideogiocatore.it: Invece, parlaci ora della tua esperienza. So che hai partecipato ad un progetto indie in uscita su Steam, ma anche di un ingaggio fortuito in un noto gioco free to play, raccontaci un po’.
Alessandro Ambrosio: Hanno richiesto la mia voce in vari progetti indie. Uno dei più recenti è stato Days of Defiance, un progetto in sviluppo di Robo Poets (Demo disponibile su Steam ndr) nel quale la nazione di Escalia è governata da due tiranni, e il giocatore ha il compito di fondare una resistenza assemblando una squadra di professionisti, portare a termine varie missioni, gestire le proprie risorse e il benessere della squadra.
Questi ultimi infatti potrebbero accumulare stress durante le operazioni, addirittura rifiutandosi di seguire gli ordini o scappare in preda al panico. Insomma, un po’ come se X-COM e Darkest Dungeon si fondessero. È stato molto divertente recitare la parte di uno dei professionisti. Ho dovuto registrare i vari “bark”, ovvero le risposte degli NPC a varie azioni del giocatore, come ad esempio quando vengono selezionati, quando gli vengono dati ordini ecc.
Ho dovuto registrarle proprio in base alle emozioni del personaggio in questione, da motivato ad arrabbiato, ed è stato molto divertente! Per quanto riguarda l’altro gioco, forse più di un anno fa mi è stato commissionato un lavoro su un gioco di guerra, dove il mio ruolo era quello di un caricatore su un carro armato, ma non mi era stato detto di quale gioco si trattasse.
Al tempo ero ancora a metà dei miei studi e non avevo ancora la mia cabina di registrazione. Avevo il microfono messo su uno stand nel mio armadio! I vestiti attutivano le onde sonore, cancellando una buona parte del riverbero, così da non dover fare troppe modifiche a livello tecnico (se volete iniziare, è un ottimo metodo!).
In ogni caso, qualche mese dopo aver concluso questo ordine, ripresi a giocare a War Thunder, perché ho una fissa con i veicoli da guerra e questo gioco riesce a darmi sempre un’ottima esperienza. Dopo aver selezionato l’Italia come nazione ed essere entrato in gioco, la partita inizia sempre con un “ready check” dei vari operatori del carro. Infatti ad un certo punto sento la frase “Caricatore pronto!” e penso tra me e me: “Questa voce mi è un sacco familiare…”.
Dopo che mi si ricarica la mitragliatrice del carro, sento di nuovo: “Mitragliatrice pronta!”. Allora mi fermo e mi dico “Aspetta un attimo… ma sono io!”. Ed ecco come ho scoperto di essere finito su War Thunder!
War Thunder (2012)
Il bello del doppiaggio
IlVideogiocatore.it: Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
Alessandro Ambrosio: La cosa più bella è che io non lo considero nemmeno un lavoro. Per me è come se fosse uno dei miei hobby, e mi diverto tantissimo a farlo. E nel momento in cui il tuo lavoro ti diverte, credo tu abbia raggiunto un grande obbiettivo nella tua vita. Immaginate che mondo sarebbe se tutti quanti ci divertissimo ad andare a lavoro!
IlVideogiocatore.it: Quali consigli daresti a coloro che vogliono intraprendere una carriera nel doppiaggio di videogiochi?
Alessandro Ambrosio: Comincerò dal dire che è un settore molto difficile dove inserirsi. Prima era molto più facile accedere a uno studio per assistere a un turno e farsi poi sentire, ma dopo il COVID si è chiuso un po’ tutto. Io che di recente ho fatto un giro a Roma, avrò chiesto a più di una decina di studi e quasi tutti mi hanno detto di no.
Fortunatamente però ho trovato un paio di studi che ricontatterò a breve, e ho avuto modo di fare amicizia con un doppiatore che era disposto ad aiutarmi se mai avessi avuto bisogno.
Perciò i miei consigli sarebbero: dedicatevi anima e corpo a questo lavoro, oppure non fatelo, perché dovrete allenarvi costantemente e perfezionarvi, e dedicare buona parte del vostro tempo a quello una volta che sarete nel giro; non scoraggiatevi, ma continuate a provare e riprovare. Questo vale sia per le vostre registrazioni e allenamenti, sia per quanto riguarda il cercare opportunità di lavoro.
IlVideogiocatore.it: Progetti per il futuro?
Alessandro Ambrosio: Dato che mi trovo più vicino a Roma, sto attualmente cercando lavoro lì, e se tutto va bene mi ci trasferirei direttamente, così da facilitare i miei spostamenti. Ho un piano B, ovvero Milano, dato che insieme sono le capitali del doppiaggio, e spero di riuscire finalmente ad inserirmi nel giro, conoscere tante nuove persone e poter dare la mia voce a tantissime opere diverse.
IlVideogiocatore.it: Bene Alessandro, l’intervista è conclusa, grazie mille per il tuo tempo, ti auguriamo tanto successo per il futuro!
Alessandro Ambrosio: Grazie per avermi dato l’opportunità di dire la mia, a presto!
Gioco ai videogame da oltre 30anni e, crescendo, è nata la passione per i titoli strategici e per i gestionali più impegnativi. Curiosissimo per natura, ero affascinato dall’idea di poter fondare e far fiorire imperi virtuali. Già dai tempi dei primi capitoli di Civilization, opera nata dal genio di Sid Meier agli inizi degli anni Novanta e sviluppata originariamente da MicroProse, mi sono trovato catapultato in un universo ricco di sfide: un mondo in cui si parte con una singola città per poi costruire un impero prospero, facendo i conti con la diplomazia, la scienza, la guerra e la cultura. Nel corso del tempo la serie si è evoluta sotto l’egida di Firaxis Games (che Sid Meier stesso ha co-fondato) e la pubblicazione di 2K, arricchendosi di nuove meccaniche e approfondimenti, ma mantenendo sempre l’ossatura tipica del “4X”: Explore, Expand, Exploit, Exterminate. E ora, finalmente, è arrivato il momento di parlare di Civilization 7. Ho avuto l’opportunità di provarlo in anteprima e, da giocatore di lunga data, posso dire con fermezza che questa nuova incarnazione sa come tenerti incollato allo schermo, ammaliandoti con la sua complessità e la sua profondità strategica. A patto che…
Un’eredità importante e un nuovo capitolo che sa stupire
Iniziare a parlare di Civilization 7 significa anche ripercorrere, in parte, la storia di questo franchise. Per questioni anagrafiche, non ho giocato al capostipite della serie, datato 1991, ossia quando Meier sperimentava con l’idea di trasformare la storia umana in un gigantesco board game digitale. Ho vissuto di più il passaggio a Civilization II, con grafiche migliorate e le prime vere battaglie che regalavano un senso di realismo, sebbene fossimo ancora nelle prime fasi della grafica bidimensionale. Con Civilization III si è aperta una nuova stagione di tradizione mista a innovazione, e Civilization IV ha segnato l’epoca della colonna sonora epica (chi non ricorda la traccia iconica all’avvio?) e di un miglioramento generale del sistema di gioco. Civilization V, poi, ha introdotto l’innovazione dell’esagono nelle caselle di mappa e lo spostamento delle unità, mentre Civilization VI ha continuato a innovare aggiungendo la suddivisione delle città in distretti e ulteriori migliorie in campo diplomatico e artistico.
Arriviamo a Civilization 7: un titolo che, pur mantenendo la medesima struttura a turni e lo stile “crea e gestisci il tuo impero dalla preistoria all’era moderna (e oltre)”, aggiunge ulteriore complessità a un sistema che, a ogni nuova iterazione, diventa più ampio e ricco di sfaccettature. Non a caso gli sviluppatori di Firaxis tengono a sottolineare la profondità delle meccaniche, l’importanza della diplomazia (con nuovi accordi e opzioni di interazione tra leader) e la possibilità di personalizzare ulteriormente lo sviluppo della propria civiltà, dal punto di vista culturale, scientifico, militare e religioso.
Un piccolo gioiello, ma… per chi ha molta dedizione
Civilization 7, come i suoi predecessori, non è un gioco che si “apre e si gioca” in pochi minuti giusto per passare il tempo. È un titolo che pretende passione e dedizione, capace di fagocitare intere giornate se ci si lascia assorbire dalla pianificazione necessaria per progredire in tutte le aree cruciali dell’evoluzione della propria civiltà. Le differenze rispetto a Civilization VI si notano soprattutto a livello di micromanagement: la gestione dei distretti urbani e delle infrastrutture è stata ampliata ulteriormente, con la possibilità di specializzare sempre di più le città verso determinati output (cultura, produzione, commercio, scienza o addirittura turismo e intrattenimento). Se a questo si aggiunge un’IA migliorata nelle trattative diplomatiche – per quanto perfezionabile, come da tradizione – ci si ritrova a dover studiare ogni mossa con estrema attenzione.
Quando descrivo Civilization 7 come un “piccolo gioiello”, voglio dire che è un gioco dalle tante sfaccettature e che brilla sotto diversi punti di vista. Offre una gamma incredibile di scelte al giocatore, regalando una sensazione di controllo onnipotente sul proprio destino digitale. Tuttavia, come tutti i gioielli preziosi, va maneggiato con cura e con calma. Non aspettatevi di lanciare la partita e di capire tutto in un paio d’ore: io, che credevo di conoscere bene la serie, ho dovuto fare i conti con numerosi cambiamenti e nuove meccaniche che mi hanno costretto a rivedere le mie strategie abituali. La bellezza di Civilization 7, però, è proprio questa: la costante scoperta di nuovi equilibri, di sinergie tra edifici e distretti, di scelte politiche che influenzano le relazioni internazionali e di sentieri tecnologici che portano a vantaggi inaspettati.
La mia prima disfatta: gli Stati Uniti mi soffiano la vittoria
Nonostante la mia lunga esperienza, la prima partita a Civilization 7 è andata in modo sorprendentemente… disastroso. Avevo puntato tutto su un obiettivo ben preciso, convinto che nessuno dei miei avversari avrebbe potuto competere con me in quel settore. Invece, gli Stati Uniti si sono dedicati silenziosamente a un altro tipo di vittoria – la diplomatica, nello specifico – e hanno concluso tutti i passaggi necessari per ottenerla prima che io potessi dire “Ho vinto!”. Ebbene sì, ho perso la partita. Ho assistito a una schermata di sconfitta che, nonostante la comprensibile frustrazione del momento, mi ha spinto a riflettere su quanto Civilization 7 sia un titolo tanto affascinante quanto spietato.
Questo insuccesso ha riacceso in me la voglia di giocare “un altro turno”, classico mantra del fan di Civ. Finita la partita, mi sono trovato a ricominciare, testardo, deciso a non farmi fregare di nuovo dalla diplomazia altrui. Ma proprio questa è la grande forza di Civilization: ogni volta che ci si trova di fronte a una sconfitta, non ci si sente ingannati dal gioco, ma piuttosto si avverte la necessità di studiare nuove strategie, di pianificare diversamente e di non lasciare spazi agli avversari. Insomma, un perfetto esempio di come un videogame possa stimolare la creatività e le capacità di analisi del giocatore.
Leader e bonus: un menù da veri gourmet della strategia
Uno degli aspetti che trovo più interessanti di Civilization 7 è la selezione dei leader, ancora più varia che in passato (e in continua espansione, se consideriamo i DLC futuri che senza dubbio arriveranno). Firaxis ha da sempre puntato sul proporre personaggi storici provenienti da ogni parte del mondo, ognuno con il proprio bagaglio di bonus e malus che vanno a influenzare radicalmente lo stile di gioco. Stavolta, ho deciso di sperimentare due leader che mi incuriosivano particolarmente: Franklin e Napoleone.
La scelta di Franklin per la mia civiltà è stata motivata dalla volontà di spingere sull’acceleratore dello sviluppo tecnologico. Immaginate la scena: mi sono ritrovato a capo di un esercito che, almeno all’inizio, doveva essere l’esercito dell’antica Roma, guidato però dall’illustre statista americano. La sensazione è, a dir poco, straniante: un Franklin in toga che tiene discorsi di ispirazione alla corte romana lascia presagire un contesto quasi distopico. Ma è una distopia affascinante e, nonostante il paradosso storico, efficace dal punto di vista ludico. I bonus di Franklin, infatti, favoriscono la produzione di scienza e la fondazione di nuove città in maniera equilibrata, consentendo un rapido progresso tecnologico e un discreto miglioramento della produzione industriale con l’andare dei secoli.
Napoleone, invece, è tutto l’opposto: un condottiero carismatico, che offre vantaggi militari e diplomatici nei confronti delle civiltà confinanti. Giocare con Napoleone significa abbracciare una strategia aggressiva, basata sullo sviluppo di un esercito potente e sull’espansione territoriale rapida. Naturalmente, non bisogna sottovalutare le conseguenze diplomatiche: se attaccate a ripetizione i vostri vicini, rischierete sanzioni, alleanze avversarie e boicottaggi commerciali. Eppure, se ben gestita, l’aggressività militare di Napoleone può garantire un vantaggio tattico insormontabile, specialmente nelle prime ere, quando i confini si delineano e si definiscono le sfere d’influenza.
Tra epoche, distretti e meraviglie: il fascino del passare del tempo
Un altro aspetto che mi ha sempre rapito di Civilization è la transizione tra le varie epoche storiche. Dalla preistoria si passa gradualmente all’età classica, al medioevo, al rinascimento, all’età industriale, moderna, contemporanea e persino al futuro prossimo. Questa progressione segna dei passaggi quasi rituali, in cui ogni era porta con sé nuove tecnologie, nuovi edifici e nuove sfide, come l’accesso a risorse strategiche che prima non erano disponibili o la necessità di aggiornare le proprie strutture.
In Civilization 7, il passaggio tra un’epoca e l’altra è ulteriormente enfatizzato dalla possibilità di potenziare i distretti cittadini in modo sempre più specifico. Se ad esempio volete puntare tutto sulla cultura, potete costruire e ingrandire i vostri distretti teatrali, con musei, grandi opere e così via. Se preferite la scienza, potete dedicare intere zone urbane alla creazione di campus, laboratori e meraviglie naturali convertite in centri di ricerca. Oppure, ancora, potete specializzare alcune città verso la produzione bellica, erigendo caserme avanzate e poligoni di tiro per velocizzare l’addestramento delle unità militari. Tutto si incastra come un enorme puzzle, che richiede di valutare le risorse sul territorio, la posizione geografica, la presenza di fiumi, montagne, coste e altre caratteristiche che possono influenzare la resa dei vostri distretti.
Scelte difficili: cooperare o dominare?
Uno degli elementi più intriganti di Civilization 7 è il continuo doversi porre domande cruciali: collaborare con i vicini o dichiarare guerra? Firmare trattati di non belligeranza o stringere accordi commerciali e culturali per rafforzare le proprie linee di rifornimento? Soprattutto a difficoltà più elevate, gli avversari controllati dall’IA si rivelano piuttosto smaliziati, pronti a prendere decisioni che massimizzano i loro interessi. Di conseguenza, non è raro vedere alleanze inaspettate o tradimenti clamorosi. In una delle mie partite, ad esempio, avevo stretto un accordo di cooperazione scientifica con un’altra civiltà, che sembrava condividere il mio interesse per la ricerca. Mi sentivo al sicuro, finché non mi sono accorto che quel patto serviva ai miei “amici” solo per guadagnare tempo, potenziare i propri distretti scientifici e infine lanciarsi nella corsa a una vittoria basata sulla scienza, tagliandomi fuori sul traguardo finale. Ho perso la partita anche in questo frangente, e ammetto di aver trattenuto a stento una risatina nervosa, perché il gioco sa essere crudele e geniale allo stesso tempo.
La sfida della difficoltà e il “bello” di un gioco complesso
Spesso mi viene chiesto: “Ma come fai a divertirti con un gioco così complesso? Non è meglio qualcosa di più immediato, che non richieda di leggere venti schermate di tutorial?” La mia risposta, da giocatore appassionato di gestionali e strategici, è che la complessità può essere uno stimolo enorme per la mente, una sfida che dà soddisfazione proprio perché non si limita a premiarti se premi un paio di tasti a caso. Civilization 7 è un titolo che va studiato, capito e interiorizzato, e il percorso di apprendimento è parte integrante del divertimento. All’inizio si commettono errori, si trascurano determinati aspetti e si perde la partita senza neanche rendersene conto.
Con il passare delle ore, però, iniziamo a comprendere come funziona il motore del gioco: come combinare i distretti in modo efficiente, quando è il momento di avviare un trattato commerciale, come gestire al meglio le risorse strategiche e così via. È in questa curva di apprendimento che risiede la magia di Civilization. Ognuno di noi, appassionati del brand, ha avuto la sua “prima volta” con un capitolo della serie e ha sperimentato quel senso di spaesamento misto a curiosità che ti spinge a migliorare turno dopo turno. Civilization 7 porta avanti questa tradizione di “profondità”, e la eleva grazie a un’interfaccia più pulita, a indicatori più chiari delle varie risorse e a un sistema di consigli e suggerimenti che, seppur non infallibile, cerca di guidare i neofiti.
La mia esperienza con Franklin e Napoleone: due modi di dominare il mondo
Tornando alla mia esperienza più recente, voglio raccontarvi come ho gestito le partite con i due leader che ho scelto di provare in maniera approfondita: Franklin e Napoleone. Con Franklin, come accennato, mi sono concentrato principalmente sulla ricerca scientifica, puntando a una rapida esplorazione di quelle tecnologie che potessero assicurare un salto di qualità alle mie unità e alle mie strutture produttive. Ho cercato di mantenere un buon rapporto con i vicini, stipulando contratti commerciali vantaggiosi e patti di non belligeranza che mi permettessero di crescere in pace. Il percorso scientifico, però, non è privo di ostacoli: se non si costruisce un esercito minimo per la difesa, si rischia di diventare un bersaglio facile per le civiltà più aggressive. Quindi ho dovuto bilanciare la corsa alla ricerca con la realizzazione di un apparato militare almeno accettabile.
Con Napoleone, invece, ho calzato l’elmo del conquistatore. Ho iniziato la partita consapevole che avrei dovuto crescere velocemente da un punto di vista territoriale, per assicurarmi più risorse e un vantaggio geografico sugli avversari. Ho scelto di fondare città in prossimità di giacimenti di ferro e di cavalli, necessari per costruire un esercito imponente già in epoca classica e medievale, e poi ho premuto l’acceleratore sulla produzione militare. Devo dire che la sensazione di spadroneggiare sul campo di battaglia con Napoleone è molto appagante: i bonus militari permettono di formare battaglioni più potenti e di sferrare attacchi rapidi, cogliendo di sorpresa le civiltà che si basano sulla diplomazia. Certo, un approccio del genere comporta un continuo rischio di escalation: attacchi un vicino, l’altro si insospettisce, si creano alleanze difensive e potresti ritrovarti a combattere su più fronti. Eppure, l’adrenalina di veder crescere il mio impero di turno in turno, sottraendo città cruciali ai rivali, è stata impagabile.
Diplomazia avanzata e trattati internazionali
Un punto di forza di Civilization 7 è l’evoluzione del sistema diplomatico. Già in passato, la serie introduceva concetti come la religione e la vittoria culturale, ma qui è tutto portato a un livello più raffinato. Le coalizioni nascono e muoiono a seconda delle pressioni geopolitiche, e la possibilità di organizzare congressi mondiali o conferenze internazionali per decidere il futuro delle risorse, delle meraviglie o dei diritti umani può davvero cambiare l’esito di una partita. Ho visto nazioni apparentemente amiche voltarmi le spalle all’ultimo minuto, magari costrette da pressioni esterne, e altre invece offrirmi aiuto per ragioni di interesse comune. Ed è proprio qui che ci si sente come un direttore d’orchestra, cercando di armonizzare le note di politica interna ed esterna, mentre le nazioni rivali cercano di dare un tocco diverso alla sinfonia.
Il bello è che non c’è un’unica strada vincente: potete scegliere di restare neutrali e di farvi i fatti vostri (puntando su scienza o cultura), oppure potete essere i pacificatori del mondo cercando di convincere tutti a firmare patti di non belligeranza, o ancora potete abbracciare la via del militarismo per sottomettere i popoli rivali prima che possano danneggiarvi. Ogni scelta comporta vantaggi e svantaggi, e non esiste una strategia che funzioni in tutte le partite, perché molto dipende da quali civiltà vi trovate di fronte e dalla conformazione geografica della mappa, che può favorire uno stile di gioco rispetto a un altro.
Le sconfitte: inevitabili ma formative
Un altro elemento che può colpire i nuovi giocatori (e che può scoraggiare chi si aspetta un titolo immediato) è la frequenza con cui ci si trova in situazioni di disfatta. In Civilization 7 non è raro perdere una partita, a volte dopo diverse ore, per un obiettivo mancato o perché un alleato, senza che voi lo sapeste, ha lavorato sodo per ottenere una vittoria diplomatica, religiosa o culturale. Ricordo ancora quella partita in cui mi ero focalizzato sullo sviluppo marittimo, costruendo flotte potenti per difendere le mie rotte commerciali e tenere lontani i pirati dall’oceano. Ero così concentrato su questo aspetto che non ho notato come una civiltà amica, con cui avevo buoni rapporti, stesse accumulando pian piano punti per la vittoria culturale, diffondendo la sua influenza grazie a grandi artisti e musicisti. Quando me ne sono accorto, era troppo tardi: nel giro di pochi turni, il “mio amico” ha trionfato, mentre io mi ritrovavo con una poderosa marina militare ma un pugno di mosche in termini di obiettivi.
Non nego di aver provato un po’ di frustrazione, ma questa è anche la bellezza di un gioco che non regala nulla. Serve costanza per imparare a vigilare su tutti gli aspetti contemporaneamente, e ogni sconfitta diventa un’occasione per perfezionare le nostre abilità da strateghi.
Tecnicamente solido
Dal punto di vista tecnico, Civilization 7 si mostra solido, ben ottimizzato e con una grafica rinnovata: gli scenari sono ancora più dettagliati, le città si animano di luci e movimenti in tempo reale, e i vari modelli dei leader sono resi con grande cura. Quando si zooma sulla mappa, si notano particolari come le strade, i campi coltivati e i distretti specializzati. L’interfaccia utente è migliorata rispetto ai precedenti capitoli: i menu sono più ordinati e i suggerimenti contestuali aiutano i giocatori a prendere decisioni consapevoli, anche se talvolta la mole di informazioni da gestire può risultare soverchiante. Per chi ama gli strategici a turni, tuttavia, questa abbondanza di dati è quasi una carezza, perché amplia la gamma di scelte possibili.
Da giocare e rigiocare
Dopo tutte queste ore trascorse ad affrontare partite mozzafiato e a studiare strategie nelle varie epoche, ho raggiunto una conclusione piuttosto netta: Civilization 7 merita un voto di tutto rispetto. È un titolo che, a mio avviso, stupisce per varietà e profondità, per la cura con cui Firaxis ha ulteriormente perfezionato la formula, ma richiede di essere capito, apprezzato e, soprattutto, di essere “giocato parecchio” prima di poterne cogliere tutte le sfumature. Non è un gioco adatto a chi cerca immediatezza o a chi vuole intrattenersi per mezz’ora, magari in modo spensierato. Qui siamo davanti a un’esperienza che pretenderà ore su ore della vostra vita, ma che saprà ripagarvi con momenti di autentica soddisfazione, quando riuscirete finalmente a completare un obiettivo epocale o a stringere un’alleanza cruciale che vi permetterà di rovesciare i rapporti di forza.
Civilization 7 è un prodotto che si inserisce con onore nella serie, portando avanti il DNA di Civilization in modo coerente e affascinante. Consiglio a chiunque sia incuriosito di provare, magari partendo a un livello di difficoltà medio-basso, così da familiarizzare con le meccaniche prima di lanciarsi nelle sfide più ardue. Ma siate pronti a impegnarvi e a leggere qualche guida o suggerimento online, perché la strada per diventare grandi leader è lunga e tortuosa.
Conclusione
Civilization 7 si conferma il “piccolo gioiello” di cui parlavo, un titolo complesso che farà la gioia di noi eterni amanti della strategia e che potrà far innamorare anche chi non ha mai provato un gestionale di questa portata, a patto di metterci la giusta dose di pazienza e di entusiasmo. D’altronde, come appassionato di vecchia data, so bene che la formula di Civilization ha sempre richiesto tempo e applicazione, ma è proprio in questa “lentezza” e ricchezza di sfaccettature che il gioco riesce ancora a brillare, rendendo ogni singolo turno un passo verso la gloria… o verso il baratro, se qualche leader avversario dovesse sorprendere con una strategia inaspettata. In ogni caso, non c’è niente di più esaltante che dire “ancora un turno” alle due del mattino, mentre la vostra civiltà entra trionfante in una nuova, fantastica, era.
Dettagli e Modus Operandi
Piattaforme: PS5, PS5 PRO, Xbox Series X/S, Nintendo Switch, PS4, Xbox One, PC
FromSoftware e Bandai Namco hanno finalmente svelato la data di uscita di Elden Ring Nightreign, il nuovo titolo multiplayer cooperativo action survival ambientato nell’universo di Elden Ring. Il gioco sarà disponibile dal 30 maggio su PlayStation 5, PlayStation 4, Xbox Series X/S, Xbox One e PC. Contestualmente, sono stati aperti i pre-ordini Elden Ring Nightreign, con diverse edizioni tra cui scegliere.
Standard Edition (digitale per tutte le piattaforme, fisica per PS4, PS5 e Xbox Series X/S)
Include il gioco base.
Deluxe Edition (solo digitale)
Contiene la Standard Edition.
Codice per il DLC.
Artbook digitale e colonna sonora digitale.
Seekers Edition (Fisica per PS4, PS5, Xbox Series X/S)
Include i contenuti della Deluxe Edition.
Steelbook esclusiva.
Collector’s Edition (Fisica per PS5, Xbox Series X/S e PC)
Include i contenuti della Deluxe Edition.
Statua da 25 cm del “Selvaggio”.
Steelbook e artbook con copertina rigida (40 pagine).
Set di 8 carte dei Crepuscolari.
Bandai Namco ha inoltre annunciato una replica in scala 1:1 dell’Elmo del Selvaggio, realizzata in edizione limitata (9999 pezzi) con certificato di autenticità.
Con l’uscita sempre più vicina, l’hype per Elden Ring Nightreign è alle stelle. Riuscirà FromSoftware a replicare il successo del suo acclamato predecessore? Lo scopriremo il 30 maggio.
Sid Meier’s Civilization 7 è ora disponibile sul mercato videoludico, e con lui anche un aggiornamento che risolve alcune problematiche segnalate dai giocatori durante l’accesso anticipato. Sono previsti molti altri aggiornamenti per Civilization 7 nelle prossime settimane e mesi, come confermato dalla road map ufficiale.
Civilization 7 è stato lanciato a livello internazionale l’11 febbraio. Tuttavia, chi ha acquistato le edizioni Deluxe o Founders ha potuto iniziare a giocare fino a cinque giorni prima.
Durante la fase di accesso anticipato di Civilization 7, Firaxis – lo storico team di sviluppo – ha pubblicato tre aggiornamenti, l’ultimo dei quali è stato rilasciato lunedì 10 febbraio. La Patch 1.0.1, risolve numerose lamentele degli early adopters di Civilization 7. Una dozzina di correzioni riguardano l’interfaccia utente del gioco di strategia, che alcuni giocatori avevano descritto come poco rifinita. Ad esempio, ora le icone delle risorse vengono visualizzate correttamente quando si trasforma un villaggio in una città. Inoltre, le azioni di Spionaggio sono ora più facili da monitorare grazie alle nuove notifiche che informano il giocatore sul loro completamento.
L’aggiornamento del 10 febbraio introduce anche una varietà di modifiche al gameplay. Le Città Stato non scompariranno più durante una Transizione d’Era, ma diventeranno invece potenze indipendenti amichevoli. Nel frattempo, il combattimento navale è stato migliorato per garantire un comportamento più coerente delle unità.
Purtroppo la Patch 1.0.1 è stata rilasciata solo su PC. Per questo motivo, Firaxis ha temporaneamente disabilitato il multiplayer cross-platform. Infine vi ricordiamo che l’ultima opera di Sid Meier è disponibile per PC, PlayStation 4 e 5, Xbox One e Series X/S e Nintendo Switch.
Kalypso Media e Claymore Game Studios hanno annunciato ufficialmente la data di uscita di Commandos Origins. Il tanto atteso prequel della leggendaria serie di strategia in tempo reale arriverà su PlayStation 5, Xbox Series X/S e PC il 9 aprile 2024. Per i possessori di PlayStation 4 e Xbox One, il titolo sarà disponibile successivamente nel 2025. Inoltre, le edizioni fisiche per PlayStation 5 e Xbox Series debutteranno il 22 maggio 2024.
La data di uscita di Commandos Origins non è l’unica novità. Il publisher ha svelato i dettagli sulle varie edizioni del gioco, che saranno disponibili sia in formato digitale che fisico. Ecco la suddivisione dei prezzi:
Edizione Digitale
PC
Standard: 49,99 €
Deluxe: 59,99 € (Include sei skin iconiche da Commandos 2, un modello 3D stampabile del Green Beret, un calendario digitale e la colonna sonora ufficiale con 15 tracce sinfoniche)
PlayStation 5, Xbox Series X|S
Standard: 59,99 €
Deluxe: 69,99 € (Stessi contenuti della Deluxe Edition per PC)
Edizione Fisica
PlayStation 5, Xbox Series X/S
Standard: 59,99€ (Include tutti i contenuti della Deluxe Edition)
Gameplay e ambientazione
Commandos Origins offrirà oltre dieci missioni ambientate in scenari autentici della Seconda Guerra Mondiale, dall’Artico fino ai deserti africani. Il gioco proporrà un mix di infiltrazione, azione tattica e coordinazione di squadra, con ogni personaggio dotato di abilità uniche. I giocatori potranno scegliere diversi approcci per completare gli obiettivi, sfruttando un gameplay moderno e controlli ottimizzati per una maggiore precisione.
Una delle caratteristiche più attese è la modalità cooperativa per due giocatori, disponibile sia online che in split-screen locale. Questo permetterà di affrontare le missioni con un amico, aumentando le possibilità strategiche e rendendo l’esperienza ancora più coinvolgente.
Commandos Origins promette di riportare i giocatori agli albori del genere stealth tattico in tempo reale, raccontando la formazione dell’unità speciale della Seconda Guerra Mondiale. Jack O’Hara e i suoi cinque compagni affronteranno missioni impossibili, combinando strategia, azione furtiva e distruzione mirata per contrastare l’occupazione nazista.
Dragon Ball Sparking Zero ha raggiunto l’obiettivo delle cinque milioni di copie vendute. Questo risultato, ottenuto in relativamente poco tempo, ha permesso gioco di Bandai Namco di consacrarsi come il titolo di Dragon Ball più venduto in minor tempo. Pubblicato lo scorso ottobre, il videogioco ha ricevuto grande apprezzamento dalla critica e dai fan, consolidando la sua posizione nel genere dei picchiaduro in arena.
Disponibile per PlayStation 5, Xbox Series X/S e PC tramite Steam, il titolo ha attirato milioni di giocatori grazie al suo comparto grafico e al gran numero di personaggi giocabili disponibili, oltre 180. L’enorme successo di Sparking Zero dimostra la forza del brand Dragon Ball nel mondo videoludico. Non a caso, Bandai Namco ha già annunciato aggiornamenti futuri, con nuovi DLC, tornei ufficiali e contenuti inediti per mantenere vivo l’interesse dei giocatori.