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Serious Sam: Tormental – Recensione: il breve passo tra FPS e roguelite

Recensione in BREVE

Serious Sam: Tormental è un titolo strano. Tecnicamente è valido, il gameplay funziona, e sulla carta ha quel che serve ad un roguelite. Ritengo che però i videogiochi non vadano valutati sezionandoli in compartimenti stagni. Un titolo è più della somma delle sue parti, o in questo caso banalmente meno di ciò che i singoli elementi valgono. Divertente ma al tempo stesso derivativo, banale e poco ispirato. Non aiuta il fatto che risulti ripetitivo abbastanza in fretta. Visto il prezzo budget a cui è proposto, valutatene l’acquisto se siete appassionati del genere e non avete grosse pretese

6.5


Se venisse fatta la domanda “Davide, cosa ne pensi tu di Serious Sam?” io risponderei prontamente “Guarda mamma, sono un taglialegna!”. Ma lasciamo perdere vecchie citazioni per vecchi videogiocatori – come il sottoscritto – e torniamo ai giorni nostri. La saga di Serious Sam di spinoffs ne conta davvero parecchi, anche se ad esser sincero sono davvero pochi quelli apprezzati dal sottoscritto. Oggi andiamo ad analizzare Serious Sam: Tormental, titolo rimasto nel “limbo” Early Access per un bel pò di tempo. Sviluppato da Gungrounds in collaborazione con Croteam, e distribuito da Devolver Digital, Tormental vuole trasporre la storica saga fps in roguelite, impresa non proprio semplice.

Che storia!

Questa volta Sam Stone, dopo aver utilizzato uno strano artefatto, viene catapultato all’interno della mente del suo storico avversario, Mental. Il lobo frontale funge da base/hub della nostra “operazione”, e pian piano dovremo farci strada nei meandri della coscienza di Mental, così da sconfiggerlo “dall’interno” una volta per tutte. Se tutto ciò vi sembra assurdo non preoccupatevi, avete fatto centro.

Serious Sam: Tormental, tanti tipi di armi

Come da tradizione anche qui ci ritroviamo con una trama totalmente accessoria. Chiariamoci, il viaggio mentale di Sam potrebbe anche suonare lontanamente interessante, ma si rivela subito essere un pretesto per far casino, né più né meno. I personaggi non hanno praticamente alcuna caratterizzazione, e stanno lì solo per dispensare il tipico humour di cui Serious Sam si fregia da tempi immemori. Almeno questo aspetto risulta parzialmente riuscito, con battute che strappano più di una risata.

Viaggi mentali

Bene, dopo aver introdotto il delirante background narrativo direi di spostarci subito alla sostanza. Come avevo già accennato Tormental è un roguelite con visuale topdown, ed in questi titoli quel che conta non è una trama da oscar o personaggi di spessore, ma level design, gameplay e rigiocabilità.

Abbiamo davanti quanto di più classico si possa trovare in questo genere; se avete giocato titoli come Enter the Gungeon o Nuclear Throne sapete già cosa aspettarvi. Ogni partita inizia nel lobo frontale, ed a noi toccherà affrontare una sequenza di livelli generati in maniera procedurale. Livelli che idealmente dovrebbero rappresentare la mente, la coscienza o qualcosa del genere.

Serious Sam: Tormental, un mondo colorato

In realtà ci troviamo davanti ad una sorta di foresta, poi quella che sembra un’area acquatica, una caverna, una zona lavica. I livelli sono quanto di più generico possiate immaginarvi, e non avrei mai pensato di aggirarmi nella mente di un individuo se non fosse stato il gioco stesso a specificarlo. Il tutto è aggravato dalla struttura “a loop” del gioco, che quindi ci vedrà affrontare sempre e solo quei pochissimi stage senza alcuna variazione visiva.

Anche i nemici soffrono della stessa problematica. Pochi, e soprattutto visivamente molto poco ispirati. Un cubo con le corna, un cubo con 8 zampe, un cubo con le ali, un cubo con la coda e via così. Da uno spinoff di Serious Sam, che vanta un bestiario iconico e fuori di testa, ci si aspetterebbe ben altro, ecco. Più di una volta mi sono chiesto “ma sto giocando a Serious Sam quindi?”.

Tecnicamente alcuni “nemici storici” sono presenti ma risultano letteralmente irriconoscibili, con giusto un paio di eccezioni. Un peccato poiché meccanicamente gli avversari funzionano discretamente bene, con pattern di attacco e comportamento diversificati.

La solita pioggia di proiettili

Un aspetto che Gungrounds ha centrato in pieno è sicuramente quello del gameplay, mica poco per un roguelite. Come già detto ci troviamo di fronte ad un topdown shooter (o twin stick shooter, se lo giocate col pad) che sì, non reinventa assolutamente nulla, ma sulla carta funziona. Crivellare i malefici cubetti colorati è divertente, lo shooting è soddisfacente ed i controlli sono precisi, cosa si può voler di più allora?

Meccanicamente tutto è dove dovrebbe essere, ma il risultato è tanto, troppo derivativo. Prendiamo ad esempio l’arsenale a disposizione di Sam (o degli altri 4 personaggi giocabili). Abbiamo un’arma primaria fissa, che può essere potenziata con svariati perk, come proiettili perforanti, rimbalzanti e tanti altri. E poi abbiamo le armi secondarie, o armi “serie”, come mitragliatore, lanciafiamme, lanciarazzi. Insomma, l’artiglieria pesante.

Come avrete notato ci troviamo davanti a i soliti potenziamenti visti e rivisti in qualsiasi roguelite appartenente al genere. Nessun guizzo, nessuna peculiarità, semplicemente perk o armi già declinati in altre centinaia di titoli. Discorso identico per i potenziamenti passivi del personaggio, tecnicamente validi ma tanto banali.

Conclusione

Serious Sam: Tormental è un’ottima base di partenza, e può risultare divertente per qualche ora, soprattutto se siete appassionati del genere. Ma non aspettatevi tanto di più. Già dopo qualche run la sensazione di ripetitività e di già visto fa capolino, ed in un titolo del genere, basato sulla rigiocabilità, non è affatto piacevole.

A questo voglio aggiungere che Tormental sembra tutto tranne che un Serious Sam. Stile grafico carino e colorato, nemici storici non presenti o irriconoscibili, livelli anonimi ed una colonna sonora che è l’esatto contrario di quel che ci si aspetterebbe in un’avventura di Sam Stone. Insomma, oltre ai personaggi ed un po’ di humour di Serious Sam c’è davvero poco qui. Sembra più una skin di Serious Sam applicata ad un roguelite, ecco.

Visto il prezzo budget a cui è proposto potrebbe comunque meritare l’acquisto, soprattutto se avete già consumato i capisaldi del genere e siete in cerca di un topdown shooter tutto sommato divertente. A patto di tenere basse le aspettative.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Shooter Roguelite
  • Lingua: Inglese
  • Multiplayer: Locale
  • Prezzo9,99€
  • Piattaforme: PC/Steam
  • Versione provata: PC/Steam

Ho vagato tra i deliri di Mental per circa 15 ore grazie ad un codice gentilmente offerto dal publisher.

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WWE 2K22 – Recensione: la Road to Redemption inizia qui

Recensione in BREVE

WWE 2K22 redime la storica serie e pone le basi per il futuro. Dopo la debacle degli ultimi anni, Visual Concepts ha rinnovato il gameplay con un concept che ricalca, in salsa estramemente arcade, i picchiaduro più o meno moderni. Il risultato è un sistema di combattimento maggiormente profondo rispetto al passato, anche se ancora impreciso. Le modalità sono tante e tutte divertenti. 2K può serenamente ripartire da questo capitolo per riportare in auge il pro-wrestling digitale, anche se bisogna smussare tanti angoli.

7.5


Gli storici del wrestling ricorderanno il 2021 come un anno memorabile, nel bene e nel male. L’avvenimento più importante è probabilmente causato dalla pandemia da Covid-19: anche lo sport entertainment ha dovuto programmare i suoi match senza il pubblico. Inoltre, CM Punk è tornato a calcare il palcoscenico in AEW. Per quanto riguarda il settore videoludico, invece la storica serie di videogiochi WWE ha un buco cronologico. Il fallimento dell’opera del 2020 di Visual Concepts ha portato alla luce quello che gli amanti del pro-wrestling digitale ripetono da svariati anni: la serie WWE 2K ha bisogno di ammodernarsi e migliorarsi. Il carico di questa responsabilità è passato a WWE 2K22 e questa recensione risponde alla domanda più importante: esiste ancora un gioco di wrestling divertente?

John Cena e The Rock in WWE 2K22

It’s a Showcase!

La macchina WWE del marketing si è mossa verso un’unica direzione: promouovere 2K Showcase con protagonista Rey Mysterio. E come dargli torto; Rey Mysterio è il luchador più famoso al mondo e, personalmente, lo ritengo il cruiserweight più talentuoso e più importante dell’intera storia del pro-wrestling mondiale. La sua carriera è costellata da enormi successi con l’apice nel 2006, quando dopo il controverso feud con Randy Orton, Rey Mysterio conquista il World Heavyweight Championship.

Lo Showcase di WWE 2K22 è un documentario in cui Óscar Gutiérrez racconta la sua gloriosa carriera. Il primo match è una vera chicca degli anni 90: Rey Mysterio vs Eddie Guerrero in un Title vs Mask Match (WCW Halloween Havoc 1997). Lo scontro digitale racconta perfettamente il duro lavoro che Visual Concepts ha portato avanti dopo l’anno sabbatico. La cura dei dettagli sui costumi e il move set di Rey ed Eddie è veramente elevato e dimostra come la software house abbia imparato dagli orrori commessi in WWE 2K20.

La modalità mi ha intrattenuto per 12 match, ma mancano importanti sfide che avrebbero potuto sostituire alcuni degli incontri inclusi. Un solo match in WCW non rende giustizia all’importanza che la compagnia di Eric Bischoff ha avuto per il luchador e la mancanza del feud tra cruiserweight nelle puntate di Smackdown del 2003, cancella un pezzo di storia che gli appassionati italiani del wrestling ricordano bene, in quanto parte fondamentale dell’ascesa di inizio 2000 del wrestling nella penisola.

Un’altra nota dolente sono le missioni all’interno di ogni match; infatti, per ottenere ulteriori ricompense, ho dovuto effettuare delle mosse specifiche eseguite durante il match reale. Sfortunatamente, alcune di queste missioni mettono in difficoltà l’IA di gioco, o sono spiegate molto male, tanto da far sfociare nella frustrazione e l’abbandono.

Rey Mysterio in WWE 2K22

Tante modalità

WWE 2K22 offre diverse possibilità di menar le mani. La Mia Ascesa permette di creare un personaggio da zero e iniziare la propria strada verso la gloria. Ho vissuto questa modalità con l’eccesso di socialità che contraddistingue gli ultimi titoli di Visual Concepts: smartphone alla mano, ho portato avanti feud e amicizie con una buona fluidità e missioni secondarie. In modo analogo, e ugualmente corposo, ho condotto alla vittoria diversi wrestler WWE nella modalità Universe, ormai ben nota ai fan.

Un tanto voluto ritorno è la modalità General Manager. Ho vestito i panni di un vero GM della WWE e creato feud a partire dai wrestler ingaggiati durante la prima fase del gioco: il draft. Un punto a favore per WWE 2K22 che ha voluto accontentare i fan che hanno richiesto a lungo la MyGM mode, ma anche due punti negativi. La categoria Tag Team non è presente e la stagione dura al massimo 50 settimane, terminando di fatto nel bel mezzo del divertimento. La sensazione è che MyGM sia stata re-inserita all’ultimo minuto solo per far felici i fan, ma senza tarare a dovere il contenuto.

Infine, la modalità più controversa: la Mia Fazione, che consiste nel creare la propria stable a partire da alcune carte acquistabili nello store di gioco. Esattamente come già visto in tanti gatcha e la celebre modalità FUT di FIFA, la mia Fazione è un ingegnoso espediente che Visual Concepts ha pensato per aggiungere le microtransazioni nell’end-game della serie WWE 2K. Rispetto alla sua controparte calcistica, La mia Fazione è una modalità single player, ma ha l’obiettivo di farti aprire continuamente il gioco per completare le Torri settimanali, la guerra tra fazioni, i terreni di prova e, ovviamente, spendere denaro.

La Mia Fazione di WWE 2K22

Un picchiaduro all’americana

Yuke’s ha abbandonato il campo del pro-wrestling digitale con WWE 2K19 e il suo impatto è stato tremendo, tanto da condurre Visual Concepts a ragionare sul futuro della serie. Il brainstorming non ha potuto non coinvolgere anche il gameplay, eccessivamente semplificato nel corso del tempo. WWE 2K22 rimane ancora un videogioco troppo semplice, ma aggiunge diverse meccaniche che pongono le basi per guardare avanti con ottimismo.

Il gameplay si basa sul concept dei picchiaduro: due pugni e due calci, leggeri e potenti; questi possono essere concatenati tra loro per ottenere delle combo che puntano ad atterrare e danneggiare l’avversario. Le combo si eseguono in una serie di quattro colpi, tutte uguali per ogni personaggio nella combinazione, ma molto variegate nelle animazioni. A questo, si aggiungono le prese che possono essere leggere e forti, le mosse speciali e le finisher. Le mosse speciali, dopo aver caricato l’apposita barra e se eseguite con successo, permettono di eseguire una finisher, che si può usare anche dopo aver caricato un’ulteriore barra, più lenta da riempire.

Il gameplay prevede una maggior probabilità di schienare l’avversario, se è stata eseguita con successo una finisher. Questa scelta è vincente, perché rende WWE 2K22 più coreografico e simile alla realtà; infatti, i match scorrono fluidi e le animazioni sono migliorate così tanto da far sembrare che i wrestler danzino sul ring esattamente come avviene nella realtà.

Novità e vecchi problemi

Tutte le mosse sono counterabili con la pressione di un unico tasto (Y su Xbox Series X). Per essere precisi, Visual Concepts ha aggiunto anche un counter sulle prese in cui bisogna premere lo stesso pulsante che sta per schiacciare l’avversario. Purtroppo, questa meccanica non mi ha convinto in quanto molto confusionaria. Molto più utile, invece è stata l’aggiunta della capriola laterale, base fondamentale del pro-wrestling. Questa schivata, così come la fuga fuori dal ring quando si è a terra, permette di uscire da situazioni complicate.

Nonostante abbia apprezzato il nuovo gameplay, alcuni vecchi problemi sono ancora presenti e lontani dalla risoluzione. In particolare, l’intelligenza artificiale è spesso fallace e le collisioni soffrono di quel no-sense che da sempre accompagna i titoli WWE. Se i piacchiaduro moderni prevedono un pareggio in caso di esecuzione della stessa mossa nello stesso momento (ad esempio, Dragon Ball FighterZ), questo non accade in WWE 2K22; infatti, un doppio dropkick al centro ring, mossa spesso vista nei recenti match (mi viene in mente Daniel Bryan), porta a una non collisione particolarmente vetusta nei tempi e nelle modalità.

Tecniche vintage

Dopo il disastro di WWE 2K20, è semplice dire che è stato fatto un enorme passo avanti, soprattutto sul piano grafico. Purtroppo, il livello era così basso, che siamo ancora lontani da standard accettabili, soprattutto su next-gen. Graficamente il gioco è migliorato, tanto che alcuni personaggi importanti (non abbastanza rispetto ai 160 disponibili) mostrano un’ottima resa, a cui si aggiungono delle animazioni molto più fluide rispetto al passato. In generale, però WWE 2K22 ha un dettaglio grafico decisamente basso con una qualità sulle texture dozzinale. Come già detto per altre componenti del titolo, anche la grafica è un discreto punto di ripartenza, che però stona quando paragonata con i competitor. La colonna sonora è formata da alcuni pezzi orecchiabili, che ben accompagnano il mood del gioco. Il commento è molto fedele alla realtà, nel bene e nel male.

Infine, il vero punto dolente del comparto tecnico sono i caricamenti. Su Xbox Series X sono abituato a tempi di attesa praticamente nulli sulla maggior parte dei giochi, molti dei quali di gran lunga più pesanti di WWE 2K22. Purtroppo, l’opera di 2K non ha un’ottimizzazione volta a ridurli e ti dovrai sorbire lunghe e frequenti attese, anacronostiche per un videogioco del 2022.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Wrestling, Sportivo
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: Si
  • Prezzo79,99€
  • Piattaforme: PlayStation 4, Xbox One, PlayStation 5, Xbox Series X/S e PC
  • Versione provata: Xbox Series X

Ho conquistato lo sport entertainment dopo circa 20 ore grazie a un codice fornito dal publisher.

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GRID Legends – Recensione: l’era dell’ibrido è divertente

Recensione in BREVE

GRID Legends è un more of the same del precedente capitolo, che risente, in senso positivo, del boost che EA ha fornito ai ragazzi e alle ragazze di Codemasters. L’opera si pone perfettamente tra arcade e simulazione, con un cuore che batte soprattutto per la prima componente. Il gioco offre elementi che appartengono al mondo sim racing, senza mai essere totalmente realistico. La modalità Driven to Glory ha un grande potenziale, purtroppo mal sfruttato, mentre la Carriera e l’online potranno tenerti compagnia per centinaia di ore, a patto di essere alla ricerca dell’ibrido perfetto.

7.5


Sopravvivere nello scenario videoludico per oltre trent’anni è un vanto riservato a pochissimi. Chi ci riesce però rimane nella storia dei videogiochi e il suo nome riecheggia più forte del publisher, anche se quest’ultimo si chiama Electronic Arts. Non a caso, GRID Legends sarà ricordato come un racing game di Codemasters, prima che di EA che ha acquisito la software house inglese nel 2021. Continuo diretto della serie, GRID Legends vuole essere il principe dei racing game ibridi ampliando quanto già visto in Grid del 2019.Ci è riuscito? Scoprilo in questa recensione di GRID Legends, provato su Xbox Series X.

Drive to Survive in salsa Codemasters

GRID Legends è strettamente legato al documentario Netflix molto apprezzato dagli amanti dei motori: Drive to Survive. La serie TV racconta una stagione di Formula 1 dal punto di vista dei protagonisti: costruttori e piloti. Codemasters ha emulato il format nella modalità Driven To Glory, in cui attori reali interpretano in alcune cut-scene sia piloti sia chi sta al muretto per raccontare la rivalità tra Seneca, di cui impersoneremo il Pilota 22, e Ravenwest, due costruttori che si danno battaglia sia in pista che fuori.

L’idea di usare attori in carne e ossa è di grande impatto, poiché volti noti come Ncuti Gatwa (Eric Effiong di Sex Education, la serie targata Netflix) mostrano sin da subito il proprio carattere vulcanico. Purtroppo, le aspettative vengono presto deluse in un canovaccio lineare e dei personaggi che si scoprono essere statici e fortemente stereotipati, tanto da lasciar l’amaro in bocca; infatti, nella prima gara, la nostra compagna di squadra, Yume Tanaka, fa un incidente così brutale da perdere l’uso di una gamba. Questo evento pone al centro dell’attenzione il problema della disabilità alla guida. Uno spunto decisamente interessante, considerando anche gli eventi passati ad icone come Alex Zanardi. Purtroppo la trama non approfondirà mai a dovere i dettagli.

Per quanto concerne l’azione, invece Driven to Glory ci conduce all’interno del circuito di GRID, composto da gare che ti mettono alla guida di diverse vetture: gran turismo, monoposto, auto elettriche, truck e probabilmente altri modelli che arriveranno in futuro. Un tuffo variegato che dimostra come Codemasters abbia cercato di potenziare soprattutto la quantità, piuttosto che la qualità delle opere precedenti.

La carriera e l’online

Terminata la Driven to Glory, il gioco basa il proprio end-game single player sulla modalità Carriera, dove il fulcro saranno le gare. Partendo dalle basi, ho scalato le divisioni, e passando attraverso le categorie semi-pro e pro, sono arrivo al Gauntlet, l’apice del professionismo. Per arrivare fino in fondo, ho dovuto maneggiare diverse vetture, ma anche diverse tipologie di gare e prove. Quest’ultime mi hanno riportato indietro allo stile dei primi Gran Turismo, mentre le tipologie di corse sono principalmente tre:

  • Gara: dovrai essere il primo a tagliare il traguardo.
  • Eliminazione: si attiva un timer e l’ultimo della griglia viene eliminato finché non ne rimarrà solo uno.
  • Time Attack: bisogna fare il tempo più veloce facendo attenzione a non rimanere imbottigliato nel traffico.

Ovviamente, le stesse esperienze possono essere vissute nella modalità multiplayer di Grid Legends, fondata sul principio della velocità e facilità di accesso. L’ultima opera di Codemasters prevede il cross-platform, cioè la possibilità di affrontare utenti che provengono da altre piattaforme. Inoltre, ogni gara ha sempre lo stesso numero di veicoli, eventualmente pilotati dal compuer. Questo comporta due vantaggi: la sensazione di sfidare omogeneamente sempre qualcuno e la possibilità di entrare subito all’azione prendendo una vettura, che fino a quel momento era mossa dall’intelligenza artificiale.

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Fonte: Electronic Arts

Un pizzico di simulazione

GRID Legends ha al suo interno alcuni elementi tipici dei sim, ma appartiene al mondo del racing game arcade; infatti, il gioco propone danni solo estetici, il cambio automatico e scontrarsi contro un’altra auto non significa ricevere una penalità. L’unico momento in cui potrebbe succedere è nelle gare Track Day, dove nel momento in cui si vai fuori strada puoi incorrere in penalità; non c’è nemmeno la gestione gomme o del carburante. In pratica, GRID Legends ha la fisica e la potenza di F1 2021, ma non il suo realismo. Questo lo rende perfetto per coloro che vogliono solamente l’azione, senza pensare troppo ai dettagli. D’altro canto, se cerchi invece un simulativo profondo, dovrai necessariamente virare su altri competitor, attività abbastanza semplice data la gran mole di videogiochi di corsa usciti nell’ultimo periodo, come Gran Turismo 7 o Forza Horizon 5 (i cui dettagli li puoi trovare nella nostra recensione).

Gli aspetti tipici dei sim di cui parlavo sono presenti nelle impostazioni di gioco; infatti è possibile attivare la marcia manuale, aggiungere i danni fatali all’auto – che sono davvero difficili da raggiungere – oppure aumentare le capacità dell’intelligenza artificiale, che è davvero agguerrita: spesso scambierai vernice e darai sportellate per riuscire a effettuare un sorpasso. Nello specifico, nel caso in cui la tua guida aggressiva ti condurrà alla collisione, si attiva la Nemesi. Già presente anche nel precedente Grid, Nemesi rende l’avversario colpito particolarmente ostile nei tuoi confronti, tanto da mettere a repentaglio la tua corsa.

L’intelligenza artificiale di Grid Legends è un ibrido tra arcade e realismo, esattamente come tutto il gioco. Nei livelli di difficoltà più bassi, non è raro vedere gli avversari digitali commettere errori, non prendere sempre bene le curve e fare incidente. Questo aggiunge quel pizzico di imprevedibilità che rende ogni gara diversa, divertente e un po’ più realistica, anche se alcuni scivoloni degli avversari sono così imbarazzanti che sembrano volutamente scriptati per portare alla vittoria l’utente.

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Fonte: Electronic Arts

Farming e vintage

Le gare alla quale potrai partecipare si dividono in base al tipo di auto da portare in pista, che sono tutte potenziabili. Ogni singola vettura può essere potenziata fino al livello 3, che garantisce maggiore accelerazione, frenata e/o manovrabilità.

Ovviamente sono presenti anche eventi multiclasse e non mancano le sfide di drifting, dove bisogna accumulare più punti per vincere. Ogni singola gara può essere giocata in modalità singleplayer o in compagnia di altri giocatori, ma le prima volte è meglio giocare da soli, così da abituarti al sistema di gioco.

Similmente all’upgrade dei bolidi, puoi creare una tua scuderia e migliorare sia il compagno di squadra che il meccanico, così da poter avere miglior possibilità di vittoria. Ad esempio, puoi impartire l’ordine di attaccare e difendere al tuo secondo pilota. Il sistema economico è basato sulla vittoria delle gare e ovviamente guadagnare di più significa anche sbloccare altre auto più potenti. Il parco auto di GRID Legends non è da sottovalutare: per esempio, è possibile salire a bordo di auto che hanno vinto recentemente, come la Ferrari 488 GTE, vincitrice della 24 ore di Le Mans, ma anche la Renault R25 di Fernando Alonso e Giancarlo Fisichella.

Infine, una è presente un editor denominato Crea Gara, dove poter decidere tutti i dettagli della competizione.

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Fonte: Electronic Arts

Correre su next-gen

Su Xbox Series X, GRID Legends ha tempi di caricamento realmente minimi. La grafica è realmente piacevole grazie anche alla risoluzione 4K. L’ultima patch ha inoltre fixato anche gli FPS. Adesso anche su Xbox Series X, GRID Legends permane sempre su 60 FPS, senza alcun tipo di rallentamento.

Una delle cose che mi ha dato personalmente fastidio è sentire la musica sovrastare il suono del motore. Sì, perché è davvero ben realizzato e sentirlo soffocato dalla colonna sonora – comunque ben realizzata – mi ha fatto decidere di eliminare la musica in favore del motore. In particolare, il suono del motore cambia in base al tipo di telecamera che decidi di usare. Anche questo è un dettaglio che aggiunge realismo a un titolo che non vuole essere simulativo. Le animazioni sono di qualità e il pubblico offre un buon contorno al gioco. Ovviamente, il cuore di GRID Legends sono le auto, che hanno dei modelli favolosi e mi dispiaciuto non poterle osservare in una modalità “showroom”.

Dal punto di vista del multiplayer, posso dirti che funziona decisamente meglio rispetto a quello di F1 2021, in quanto esistono delle lobby alla quale puoi accedere facilmente scegliendo tramite dei filtri. Durante le partite non ho avuto problemi di lag o disconnessioni e tutto ha funzionato perfettamente e con la massima fluidità.

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Fonte: Electronic Arts

Conclusione

GRID Legends è una via di mezzo, tra chi non vuole il realismo e la simulazione di un Assetto Corsa Competizione, ma nemmeno l’arcade pure di Forza Horizon 5. Se sei un utente che si ritrova con questa descrizione, GRID Legends ti permette di godere delle piste più belle del mondo (come Suzuka o Brands Hatch), ma anche di circuiti cittadini originali con il giusto livello di sfida per il grado di difficoltà che stai cercando. In caso contrario, il panorama del racing offre diverse possibilità, soprattutto se sei un utente PlayStation, dove il peso di Gran Turismo 7 è certamente rilevante.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Racing Arcade
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: Sì
  • Prezzo69,99€
  • Piattaforme: PC, PlayStation 5, Xbox Series X, PlayStation 4, Xbox One
  • Versione provata: Xbox Series X

Ho girato tra i circuiti per circa 40 ore esplorando ogni dettaglio del gioco, grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher

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The King of Fighters XV – Recensione: un picchiaduro per pochi

Recensione in BREVE

The King of Fighters XV è un piacchiaduro riammordenato, ma ancora fedele alla tradizione dello stile nipponico. La curva di apprendimento è ripida e la CPU sa essere molto punitiva. Anche se poco consigliato per chi si approccia per le prime volte ai picchiaduro, KoF XV può dare comunque grandi soddisfazioni se affrontato con la dedizione che richiede il genere di cui il titolo SNK è ancora un esponenete di spicco.

7.5


I picchiaduro sono la quintessenza degli esport e The King of Fighters XV è il miglior esempio di quanto sia arduo farsi spazio in questo genere. Il mio primo incontro con The King of Fighters risale ai tempi dei cabinati tra i lidi in spiaggia. Ne è passata di acqua sotto i ponti e oggi la competizione online rende tutto molto diverso, ma nel bene e nel male il fighting game di SNK non è mutato così tanto.

Dopo il fallimento nei primi anni duemila di SNK, difficilmente avrei immaginato di vedere un vero capitolo di King of Fighters come il 14esimo capitolo della serie. Fortunatamente, questo è avvenuto nel 2016 e dopo sei anni sono contento di scrivere in questa recensione degli sforzi dei ragazzi e delle ragazze del Nuovo Progetto Giapponese, che sono prepotentemente tornati sul mercato con The King of Fighters XV, dopo svariati anni di misero sfruttamento delle IP per il gioco d’azzardo.

The King of Fighters XV:  Shun'ei

Una storia in bianco e nero

The King of Fighters XV riprende tanto dal glorioso passato nipponico. Gli aspetti positivi si possono trovare in una sceneggiatura basata sulla mitologia shintoista. L’aspetto meno interessante è che tutto sa di già visto e viene affrontato in modo eccessivamente marginale, anche per un picchiaduro. La modalità storia è un pretesto per confrontarsi in otto battaglie e presentare i diversi team dell’ampio roster.

L’ultimo capitolo di King of Fighters vanta ben 39 personaggi, una mole importante per un picchiaduro al day one, anche per un gioco come KoF XV basato su sfide tre contro tre. Ormai da anni i fighting game vivono di DLC e nemmeno l’opera di SNK sarà da meno. Di conseguenza, un numero così ampio di personaggi giocabili è apprezzabile. Per quanto concerne la trama, invece si fonda sulla volontà di evocare nuovamente Verse e poco altro che la modalità svelerà attraverso video che si intervellano tra gli scontri.

Nonostante i picchiaduro siano un genere che non richiede una vera e propria storia, The King of Fighters XV pecca non solo per la mancanza di una vera e propria trama, ma anche per le troppe analogie con un gioco tanto storico quanto obsoleto come Tekken 3. Un gioco nel gioco potrebbe proprio essere trovare le tante similitudini con il terzo capitolo del picchiaduro di Namco.

La difficoltà è nei dettagli

La prima volta che ho aperto la lista delle mosse dei personaggi di KoF XV, ho creduto di trovarmi di fronte a un titolo che potesse avere una curva di apprendimento morbida; infatti, il tutorial è così minimale che mi ha fatto ben sperare. Purtroppo, il tutorial è semplicemente obsoleto in quanto costituito da una serie di mono attività da eseguire in sequenza e una terminate mi sono sentito solamente spaesato; infatti, una volta sceso in campo contro la CPU, mi sono accorto che non bastano le semplici basi per vincere. Il computer è un osso duro e non basta eseguire qualche mossa speciale per avere la meglio.

Pillole di apprendimento

La prima vera cosa da imparare in KoF XV è comprendere le distanze e capire come aprire la difesa avversaria. Nonostante il sistema di combattimento sia basato su due tipi di pugno e calcio, leggero e forte, le combinazioni di apertura in aria e in basso sono tante. Questo implica la necessità di apprendere velocemente il range tanto del proprio personaggio quanto dell’avversario per evitare veloci debacle.

Successivamente, ho introdotto le novità che offre questo nuovo capitolo del picchiaduro, sia in attacco che in difesa. King of Fighters XV ha aggiunto un nuovo sistema difensivo denominato Shatter Strike, che permette di counterare e stordire l’avversario con un solo colpo. Per quanto concerne l’attacco, invece la modalità MAX è stata modificata. Ora, lo status MAX si attiva con due barre di potenza e permette di aumentare i danni di tutti i colpi. In più, le mosse speciali più semplici, cioè le abilità EX possono essere eseguite anche fuori da questa modalità, al costo di mezza barra di potenza. Le altre combinazioni offensive, invece sono tra loro scalari in termini di danni e costi: le Super Special Moves costano una barra, le MAX due barre e le devastanti Climax ben tre barre (è possibile caricare fino a cinque barre).

Pulizia e combo

Questo mix ridotto di abilità rende il gioco molto difficile grazie a due particolarità: la necessità di essere pulitissimi nell’esecuzione e il sistema di collegamento delle mosse tra loro. The King of Fighters XV richiede che le mosse siano eseguite con estrema precisione, pena la mancata attivazione con l’ovvio risultato di una guardia scoperta. Inoltre, non tutte le abilità si legano tra loro in combo. Questo ci pone in due difficoltà: una di conoscenza, perché dovrai studiare molto bene il tuo personaggio; la seconda è che le mosse che si prestano meglio alle combo sono solitamente le più complesse da eseguire.

SNK ha provato a semplificare la curva di apprendimento attraverso le auto combo già presenti in altri titoli contemporanei come Dragon Ball FighterZ; infatti, basta premere ripetutamente (quattro volte) lo stesso pulsante per eseguire una chain con danno ridotto. Un tentativo apprezzabile, ma non sufficiente per far appassionare i nuovi giocatori.

Rollback netcode

Ogni genere ha le sue novità. Per i piacchiduro, la nuova tecnologia si chiama rollback netcode ed è presente anche in King of Fighters XV. Il rollback netcode tratta i giocatori come entità offline con l’aggiunta del supporto di una macchina predittiva, che ipotizza la prossima mossa dell’avversario. Di conseguenza, se la macchina indovina la mossa, il gioco continuerà a scorrere in modo fluido; mentre se si sbaglierà, il sistema invierà al giocatore la mossa eseguita dall’avversario. Tutto questo per evitare il problema più annoso dei picchiaduro, cioè la latenza (o lag). Nella mia esperienza di gioco online, il netcode ha mostrato il fianco a diversi rallentamenti, ma siamo una prima fase del gioco in cui bisogna tenere conto dell’assestamento iniziale.

Tecnica discutibile

I picchiaduro giocano un campionato a parte. Gli appassionati del genere non sono troppo interessati alla componente grafica, spesso esagerata nelle forme e nei colori. The King of Fighters XV è piacevole da guardare, ma non fa sicuramente gridare al miracolo. All’interno del suo genere è accettabile, ma se sei un novizio dei fighting game considererai la grafica di KoF XV probabilmente vetusta e ben lontana dalla bellezza di Dragon Ball FighterZ o dagli eccessi di Mortal Kombat 11 e Street fighter V.

D’altro canto, gli amanti dei piacchiaduro danno molto più valore a una buona colonna sonora e stage diversificati tra loro. King of Fighters XV risponde a questa esigenza con musiche e ambientazioni particolari e in alcuni casi brillanti, come l’amatassimo stage di Metal Slug, altra opera di SNK.

The King of Fighters XV:  Special Moves

Conclusione

La mia recensione di The King of Fighters XV può concludersi solamente con un vedetto: si tratta di un videogioco per pochi. Se acquisterai KoF XV, probabilmente sei già cosciente di quanto ripida sia la curva di apprendimento, di gran lunga più complessa di altri picchiaduro più moderni. D’altro canto, se sei un novizio dei piacchiaduro, devi tenere a mente che il gioco non farà nulla per aiutarti. Gli errori saranno pagati a caro prezzo anche contro la CPU, ma la soddisfazione di masterare un titolo come KoF 15 non ha prezzo. Di conseguenza, se cerchi picchiaduro entry level, questo titolo non fa per te. King of Fighters 15 è un titolo rimasto ancorato alle sue radici, nel bene e nel male, molto solido, tanto da sembrare eccessivamente duro. In altre parole, un gioco per veterani, veri Re del combattimento.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Picchiaduro
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: Si
  • Prezzo59,98€

Ho lottato per il titolo di Re per circa 20 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Recensioni

Diplomacy is Not an Option per PC – Recensione

Recensione in BREVE

Diplomacy is Not an Option si dimostra un titolo molto fresco, sotto vari punti di vista. Unisce ai classici elementi RTS, come la componente militare spinta, altri elementi innovativi come la gestione sociale. Questo unito anche alla leggera ironia del titolo, aiuta a rendere le sessioni interessanti e positivamente “leggere”(seppur equilibrate ed impegnative). La parte tecnica audio-visiva ha ampi margini di miglioramento, ma con i dovuti accorgimenti questo titolo può rivelarsi una vera gemma ed una novità per il genere. Da tenere sotto osservazione.

8


Diplomacy is not an Option è un’interessante gioco di strategia in tempo reale atipico; infatti, si hanno dei toni già dall’inizio marcatamente ironici, a differenza dei classici RTS che non si presentano affatto come scherzosi. Cosa che rappresenta, se ben dosata, un gradevole elemento di contorno. Dei tentativi in tal senso si erano provati anche nei The Settlers, a mio avviso però con risultati altalenanti(sebbene siano davvero ottimi titoli). Ultimo appunto, ma non meno importante, dobbiamo tener presente che si tratta di un gioco in fase di sviluppo, un Early Access.

Se già in questa fase il gioco riesce a suscitare emozioni positive con dinamiche innovative, un buon gameplay (sempre cruciale) ed una discreta varietà di azioni da compiere, ci troviamo davanti ad un inizio promettente. Anche se sicuramente ci toccherà seguire lo sviluppo successivo, ma le premesse sono più che buone.

Il cattivissimo signore feudale

Orda ribelle
Una folla decisamente poco felice di ribelli

La trama del gioco è abbastanza chiara, impersoniamo un signore feudale ricco e annoiato, arrivato alla mezza età. Nessun eroe e regno da salvare per combattere il cattivone di turno, ma solo uno stanco signore alle prese con i suoi primi veri problemi. Sarà la noia, saranno i cittadini arrabbiati per le troppe inutili tasse per mantenere la corona, fatto sta che ad un certo ci si troverà a dover fronteggiare, letteralmente, orde di nemici.

L’elemento non puramente tecnico ma interessante che ho trovato, è soprattutto questo. Mi sembra importante ribadirlo. Nessuna buona causa da perseguire ma solo semplici e crudi interessi di chi non vuole rinunciare ai propri privilegi. Questo pone sotto una lente diversa lo spettacolo offerto, che suggerisce il titolo stesso non permette di esercitare diplomazia ed è assolutamente necessario ed obbligatorio sporcarsi le mani. Divertendosi magari.

Parlando del comparto tecnico, mi sento di segnalare un po di mancanza di un audio o colonna sonora a supporto veramente coinvolgente. Chiaro che questo è un elemento non essenziale, soprattutto per la tipologia di gioco, ma buone musiche non guastano mai e creano atmosfera. Per la parte grafica non si grida al miracolo, seppur allo stesso modo dell’audio, questa non è una componente cruciale in un RTS. Come si dice solitamente però, una grafica leggermente più dettagliata non avrebbe guastato.

Tirando le somme ci si trova davanti ad una trama decisamente interessante, con una parte tecnica non eccellente ma capace di fare il suo dovere. Tenendo saldo in mente che si tratta comunque di un Accesso Anticipato. Per questo mi sento di dire che sarà importante la strada che gli sviluppatori decideranno di imprimere nel tempo. Le condizioni per fare bene sembrano esserci tutte, con i dovuti accorgimenti.

La vittoria ama la preparazione

Invasione
La situazione non sembra delle più rosee…

Per quanto riguarda la giocabilità e le tattiche, devo ammettere che il titolo è proprio ben strutturato. Assieme ad una trama scherzosa ed a tratti ironica, troviamo elementi strategici importanti.

Iniziamo con le strutture messe a disposizione ed il contesto offerto in generale. Risulta molto interessante la presenza di un gigantesco tech tree, che si dimostra fondamentale nel medio lungo termine, per sopravvivere alle orde. Il poter costruire edifici più velocemente, così come renderli più resistenti agli attacchi nemici, sarà quel che farà la differenza tra vittoria e sconfitta.

Gli elementi tattici si possono dividere in due macro categorie, lungo termine e breve termine. A questo si aggiungono inoltre altre due categorie se vogliamo, gestione ordinaria e gestione di guerra.

Quando parlo di breve termine intendo tutto l’insieme di movimenti ed azioni che possono essere compiute nell’immediato, con vantaggi subito visibili. Il lungo termine invece è composto azioni e movimenti con vantaggi che si notano con il passare del tempo e possono non essere evidenti. Tutta la parte di ricerca si può assimilare agli elementi a lungo termine e le opzioni disponibili sono davvero tante.

Si passa dal potenziare l’esercito al potenziare la cittadella, piuttosto che abilitare l’università e le gilde. Seppur non sempre evidenti, le ricerche permettono di ottenere un vantaggio sul lungo termine, come la possibilità di espandere il tipo di truppe disponibili.

Il mix di questi due elementi permette di andare avanti, se non agevolmente, perlomeno con qualche possibilità di farcela. Il titolo permette molte di queste azioni, dal posizionamento truppe (arcieri nelle retrovie, macchine da assedio ancora più lontane, fanti in prima linea) fino alla scelta di chi attaccare. In definitiva il gameplay ci regalerà lunghe sessioni di gioco, interessanti ed abbastanza avvincenti.

Albero ricerche
L’albero di ricerche di Diplomacy is Not an Option

I due tipi di gestione citati sopra, ordinaria o di guerra, caratterizzano invece le attività svolte durante le diverse fasi del gioco. Ad esempio senza un’oculata gestione economica e sociale, si perde facilmente la battaglia nel lungo termine. Concentrandoci solo sulle spese militari rischiamo di finire il cibo o le risorse, andando incontro a probabili carestie o epidemie. Inoltre questo ci impedisce di crescere e permetterci una civiltà più avanzata, che anche militarmente può essere un limite. Non avere magazzini per le riserve di materiali, come ferro e pietra, può rivelarsi fatale nella costruzione di truppe, nella riparazione e la crescita degli edifici più importanti.

Allo stesso modo se non investiamo affatto sull’esercito, la partita avrà durata relativamente breve. D’altronde le battaglie sono la componente fondamentale, come lo stesso titolo ci ricorda.

La varietà di truppe e tipi di edifici è davvero buona. La possibilità inoltre di poter utilizzare la magia è davvero interessante. Pensavo potesse essere un elemento troppo invasivo ma risulta ben dosato. La presenza di edifici come cimiteri ed ospedali aiuta a creare un vero feudo da gestire ed è un’idea che anche spero più titoli riprendano. Qui troviamo quel pizzico di realismo necessario ad un vero gestionale che ponga qualche tipo di sfida. Oltre che non essere un elemento prettamente collegato alla parte militare.

attacco al nemico
All’attacco degli insediamenti nemici

Conclusioni

Per essere un titolo ancora in fase di sviluppo, Diplomacy is Not an Option è un gioco considerabile come già maturo. Ha poco da invidiare a titoli ben più grandi e blasonati. Unisce infatti una serie di elementi classici ad altri innovativi, come quelli di gestione della vita sociale.

Pecca magari un po per la realizzazione tecnica, con una resa visiva non troppo gradevole ed un audio forse troppo spoglio. Per tutto quel che concerne però giocabilità, elementi tattici e divertimento la strada sembra spianata. Di questo passo potremmo trovarci davanti ad una piccola gemma. Sicuramente da considerare e tenere sott’occhio.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: RTS
  • Lingua: Inglese, Italiano
  • Multiplayer: No
  • Prezzo20,99€

Ho affrontato orde di paesani infuriati per circa 12 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Recensioni

Infernax – Recensione

Recensione in BREVE

Infernax: un titolo che preannuncia demoni e fiamme e non ci delude. Avrei scommesso fosse un gioco breve e divertente e nulla più. Avrei perso la mia scommessa. Questo titolo mi ha sorpreso positivamente per la sua rigiocabilità e varietà. La storia è divertente e l’esperienza di gioco è impegnativa ma non frustrante. Divertente e molto curato, un prodotto indie che merita di essere giocato.

8


Il gioco segue la storia di Alcedor, il duca di Upel che torna da una crociata. Viene poi a sapere che nella sua terra è stato introdotto un artefatto maligno di immenso potere ed è così che inizia la sua avventura. Darsov, la città di partenza, è attaccata da una bestia ripugnante e subito il duca deve porre rimedio a questo pericolo. La storia però non ha un solo risvolto. Infatti si può decidere di intraprendere la via del bene o del male assecondando o meno le varie richieste che ci vengono fatte durante il nostro percorso. Il sistema morale del gioco è ben fatto, di per se non è quindi difficile capire che risposta si deve dare per intraprendere il destino dell’eroe o quello del corrotto. Alcedor ha un fascino alla Rambo in versione medievale ed imbraccia una mazza e uno scudo ma non è l’unico design che il protagonista può assumere. Completando i diversi finali disponibili infatti potrete, grazie a dei velati consigli degli sviluppatori, sperimentare un tipo di Alcedor diverso.

Alcedor saving village

La pixel grafica che non passa mai di moda 

Dopo aver completato tutti i finali e platinato il titolo posso dire che mi è piaciuto molto. Sicuramente è un gioco da cui non mi aspetta­vo una così vasta rigiocabilità. Infernax mi ha veramente stupito su tutti i fronti, si tratta di un Metrodivania non molto complicato e dai toni medievali e demoniaci. Si presenta come un gioco con grafica retrò e nonostante l’aspetto da vecchio gioco da cabinato, mi ha offerto una giocabilità degna di un suo contemporaneo. Infatti anche se ne ha tutto l’aspetto non eredita i problemi dei giochi Arcade. Le hit box delle armi e dei nemici sono ben fatte e non rendono snervante il gioco. Anche il platforming è calcolato al millimetro per non diventare mai noioso o snervante. 

Spesso la grafica a pixel pecca di scarsità di particolari che può portare ad una monotonia estetica e ad una limitata varietà di nemici. Non in Infernax. Per quanto ripetitivi come move set di attacco, i nemici base sono numerosi e disparati. Tutti rigorosam­ente trafugati dall’immaginario horror e demoniaco come zombi, spettri e lupi mannari. 

Paimon fight

Un discorso a parte sono i boss, molto più numerosi di quanto mi aspettassi, ma mai troppi da rendere il gioco troppo impegnativo. Ogni boss è diverso ma tutti hanno un punto debole comune che non vi svelo. Su questo però devo fare un appunto, il mortal point è sempre in una posizione sopraelevata e quasi mai raggiungibile senza saltare. A lungo andare questo diventa un po’ frustrante. Con l’avvicinarsi della fine del gioco, quando la situazione si fa sempre più difficile, spesso per riuscire a colpire il boss si è costretti a subire danno. 

I sei destini di Infernax 

Fatti non foste a viver come bruti… 

Canto XXVI dell’Inferno, Divina Commedia

…ma per seguir tutti i sei finali di Infernax. Dopo aver brutalizzato le parole del poeta Alighieri possiamo dedicarci alla rigiocabilità di Infernax. Devo dire che la più grande sorpresa di questo gioco, e anche il suo più grande pregio, è la sua grande quanti­tà di contenuti. Come accennato sopra, la lunga lista di nemici e boss impedisce al gioco di diventare monotono. Se questo non vi basta però troverete numerose quest secondarie che aiutera­nno a decidere il destino del protagonista.

Lo svolgersi della storia infatti è lineare ma dipende dalle scelte che facciamo e prende tutta un’altra piega a seconda del finale a cui stiamo andando incontro. Bene o male? Sta a noi decidere quale percorso seguire e a quale destino condannare il nostro duca di Upel. 

Se dovessi trovare un difetto a Infernax direi che alcune quest e alcuni trofei risultano un po’ criptici e senza una guida sono davvero difficili da conquistare. Due parole sulla casa produttrice 

Due parole sulla casa produttrice 

Come ho potuto imparare dalle parole del maestro Kojima nel suo libro dietro ad ogni videogioco ci sono degli artisti per cui è giusto spenderci su due parole. Infernax è prodotto dalla Arcade Crew, una casa produttrice specializzata su indi game in stile retrò. 

La Arcade Crew collabora con molti piccoli studi di sviluppo tra cui Berserk Studio responsabile appunto della creazione di Infernax 

Vale la pena giocare ad Infernax?  

Ebbene per me è sì. Un gioco che è una sorpresa continua e che mi ha allietato e fatto ridere durante tutto il percorso. Inoltre come resistere al richiamo di demoni, mostri all’epoca delle crociate?

ProContro
Finali multipli Boss scomodi da colpire 
Varietà di nemici e questAlcuni finali e trofei difficili da conquistare senza guida 
Personaggio maneggevole 

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Metroidvania
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: No
  • Prezzo19,99€

Sono stata un crociato che faceva ritorno a casa e salvava la sua gente ma anche un crociato corrotto dal male per circa 7 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Hearthstone Antro di Onixya – Meta tra divertimento e fantasia

Ho potuto provare Hearthstone Antro di Onixya e con questo articolo vorrei andare ad analizzare questo mini-set e scoprire se vale davvero la pena oppure se si tratta solo di buone carte. Ti posso già dire che solo una carta è davvero potente: Kazakusan. Nonostante fosse quasi ovvio che questa carta fosse un portento, ciò che la rende tale è il modo in cui può venire utilizzata. Senza ulteriori indugi, approfondiamo l’argomento e scopriamo il nuovo mini-set Hearthstone Antro di Onixya

“Spacchettando” Hearthstone Antro di Onixya

Il mini-set Hearthstone Antro di Onixya è stato rilasciato il 15 febbraio scorso e include al suo interno ben 66 carte. Per ottenerle dovrai o essere estremamente fortunato, spacchettando i pacchetti Divisi nella Valle d’Alterac oppure potrai acquistare il set interno spendendo 2.000 Oro o 14,99 euro. Se ti interessano le carte dorate, invece, potrai acquistare il set Dorato a 69,99 euro. Purtroppo quest’ultimo non è disponibile tramite l’oro.

Hearthstone Antro di Onixya dorate
Fonte: Blizzard

Tra le tantissime carte disponibili con Hearthstone Antro di Onixya troviamo 4 Leggendarie, 1 Epica, 14 Rare e 16 Comuni, ma come già detto all’inizio di questo articolo, la carta più forte è proprio Kazakusan. Sì, è talmente forte da poter essere un game changer per il gioco di carte collezionabili. Ovviamente è anche craftabile grazie alla polvere, così come qualsiasi carta. Una delle cose che lo rendono davvero speciale è il Grido di Battaglia (cioè l’effetto che viene attivato una volta posizionata la carta sul campo, ndr). Questo recita:

Se tutti i servitori nel tuo mazzo sono Draghi, crea un mazzo personalizzato di Tesori.

Questi Tesori non sono altro che delle Carte aggiuntive che vengono mescolate nel tuo mazzo prima che la partita inizi. C’è un limite a quanti ne puoi avere: normalmente sono 5. Quando, però, avrai acquistato Hearthstone Antro di Onixya e riuscirai a mettere le mani su Kazakusan, questo ti mostrerà tutta la sua forza draconica. Infatti, nel momento in cui lo piazzerai sul campo di battaglia, il gioco ti farà scegliere uno fra 3 Tesori… Cinque volte! Dalla tua scelta riceverai una doppia copia di ciascun tesoro. Ma attenzione: non potrai più utilizzare il tuo mazzo, ma “solo” queste 10 carte che saranno estremamente potenti. Se leggi bene il suo Grido di Battaglia, scoprirai che dovrai avere un mazzo fatto solo per questo scopo. Sì, perché dovrai schierare solo Draghi nel tuo deck. In caso contrario il suo effetto non si attiverà. È anche vero che puoi essere paziente e utilizzare tutte le carte non draconiche che possiedi.

C’è anche da dire che questa nuova carta di Hearthstone Antro di Onixya ti farà pensare parecchio. Il motivo è presto detto: dovrai scegliere con parsimonia i Tesori che vorrai ottenere nel tuo deck. Una scelta sbagliata potrebbe rovinarti la partita, mentre scegliere i Tesori giusti ti permetterà di vincere in modo veloce ed efficace. Ovviamente ci sono delle combo che possono essere vittorie al primo turno (chiamate in gergo One Turn Kill, più comunemente OTK, ndr). 

Infine ti posso dire che questa carta è adatta a quasi tutte le Classi, anche se ovviamente due sono decisamente avvantaggiate. Una di queste è certamente il Druido. Ma anche il Sacerdote fa funzionare Kazakusan davvero bene. Inoltre è possibile utilizzarla in vari deck diversi: che tu ti concentri sull’uso dei Miracoli o sugli Incantesimi da Druido, il Drago farà spesso e volentieri al caso tuo. Queste due Classi sono efficaci poiché ti permetteranno di castare Kazakusan più velocemente, ma niente ti vieta di creare dei deck ad hoc. 

Possibilità di creare un nuovo meta

Hearthstone Antro di Onixya ti farà sicuramente divertire e Kazakusan può davvero colpire e cambiare il meta. Non è un caso che questo mini-set sia già utilizzabile nei tornei. Ma ciò che importa di più è la capacità di adattamento della carta. Sì, perché non dovrai necessariamente “piegarti” al meta e copiare un deck dai numerosi siti web che te lo permettono, ma potrai utilizzare le carte che hai per realizzare un deck che si adatti davvero al tuo stile di gioco. Così da poter scalare i rank di Hearthstone. Sì, perché competere può essere divertente, e se hai un drago che aiuta, lo è ancora di più!

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Getsu FumaDen: Undying Moon – Recensione

Recensione in BREVE

Sarò sincero, avevo grandi aspettative per Getsu FumaDen: Undying Moon. Aspettative che sono state quasi completamente disattese, e lo dico a malincuore. Ammirare la direzione artistica del titolo è una gioia per gli occhi, ma una bellissima presentazione estetica non riesce a nascondere le tante, troppe ingenuità che Undying Moon porta con sé. Segreti, sfide opzionali, un mondo interessante, stage che offrono ogni volta qualcosa di nuovo. Proprio questo manca al titolo Konami, e per un roguelite è un enorme difetto. A ciò uniamo un loot quantitativamente eccezionale, ma che qualitativamente risulta insipido. E poi un gameplay senza infamia né lode, con qualche buona idea ma mal bilanciata. Se siete fan accaniti dei roguelite potreste anche divertirvi per qualche ora, a patto di tenere basse le aspettative.

5.5


Chi non conosce “La grande onda di Kanagawa”? Opera del maestro giapponese Katsushika Hokusai, questa è senza dubbio una delle immagini più conosciute al mondo, e chiunque di voi l’avrà vista almeno una volta. Amo quello stile, denominato Ukyio-e, di cui Hokusai era il più famoso esponente, tant’è che in salone ho appeso una riproduzione della Grande Onda. Una tela dalle dimensioni ragguardevoli, 160x110cm, poi accompagnata da altre piccole tele facenti parte della stessa serie, “Trentasei vedute del Monte Fuji”, di cui vi consiglio caldamente la visione.

Capirete quindi che ho accettato al volo la recensione di Getsu FumaDen: Undying Moon, roguelite che somiglia ad una tela più che ad un videogioco. Sviluppato da Konami, questo è il seguito di Getsu Fuma Den, adventure a scorrimento rilasciato nel lontano 1987 per Famicom, e che non ha mai lasciato la terra del Sol Levante.

Quando avvio titoli con comparti artistici tanto interessanti ciò che mi chiedo sempre è “bene, ma oltre una bella copertina c’è altro?”. Oggi tenterò di rispondere proprio a questo quesito.

A spasso per l’inferno

Noi incarniamo Fuma, 27° leader del clan Getsu e difensore del mondo in superficie. Ryukotsuki, signore dei demoni – e final boss del prequel – è risorto e vuole scatenare ancora una volta le sue orde sul mondo dei vivi. Toccherà quindi a noi la discesa negli inferi, pronti a sconfiggere ancora una volta la minaccia demoniaca, e sperare di trovare Getsu Rando, il nostro fratello da tempo disperso.

Questo l’incipit di Undying Moon, che come potete immaginare si rivelerà essere un mero pretesto per menare le mani. La trama risulta di fatto completamente assente o quasi, con una brevissima sequenza iniziale che in realtà non spiega nulla. I pochissimi dettagli sull’universo di gioco vanno ricercati su delle lapidi sparse per gli stage. Vi anticipo che sono giunto dinnanzi al final boss senza sapere chi o cosa fosse e perché si trovasse lì, traete voi le conclusioni.

Di norma non do troppa importanza alla narrativa quando si parla di roguelite, ma qui ci ritroviamo al di sotto del minimo sindacale. Nel titolo è presente ben UN NPC con cui dialogare, che per altro ha poche e banali linee di dialogo. Un po’ poco, visto che un certo Hades ci ha dimostrato come anche un roguelite può offrire decine di npc interessanti e migliaia di dialoghi qualitativamente notevoli.

Insomma, il comparto narrativo non è sicuramente la parte meglio riuscita di Undying Moon, ma procediamo.

Un dipinto in movimento

Quel che balza subito all’occhio di Getsu Fumaden: Undying Moon è sicuramente la straordinaria direzione artistica. Ogni singolo elemento a schermo urla Giappone a gran voce, il tutto in un delizioso stile ukyio-e, tant’è che spesso sembrerà di guardare un’opera d’arte piuttosto che un videogioco. Fondali 2d animati, ricchi di dettagli e davvero tanto ispirati fanno da sfondo allo stage vero e proprio, colmo di creature del folklore giapponese. Menzione d’onore per lo stage Il bestiario è ben nutrito, e si spazia dai classici Oni all’enigmatica Kyūbi, meglio conosciuta come volpe a nove code. Per non parlare dei boss di fine livello, davvero spettacolari e ben animati.

Undying Moon però presenta un brutto difetto, ovvero pone la forma prima della sostanza. Gli stage sono visivamente spettacolari, ma lo stesso non si può dire della loro struttura. Ogni livello è generato in maniera procedurale, e si compone di tante piattaforme orizzontali da attraversare, fine, non c’è letteralmente nulla con cui interagire se non i nemici ed eventuali scrigni. Tutto quel che contraddistingue un buon roguelite è totalmente assente. Stanze segrete, eventi casuali, sfide opzionali, nulla di tutto ciò è presente in Undying Moon. Ciò che ne consegue è una ripetitività che si fa prepotente già dopo una manciata di run, e questo non è mai un bene per titoli del genere.

Anche il level design è poco brillante. La struttura di base degli stage non soffre di particolari problemi, seppur risulti molto elementare, mentre la creazione procedurale degli stessi scade spesso in delle ingenuità. Ad esempio non è raro trovare numerosi vicoli ciechi che non portano letteralmente a nulla, né ad un nemico né ad uno scrigno, e fanno solo perdere tempo. Anche il posizionamento dei nemici non aiuta, con questi ultimi che spesso potranno attaccarci fuori schermo; ho letteralmente odiato lo stage delle Colline Nebbiose, e vi sarà chiaro il perché non appena lo raggiungerete.

Il samurai demoniaco

Veniamo ora a quel che conta, il gameplay. Controllare Fuma mi lascia sensazioni contrastanti. Se da un mero lato visivo il tutto risulta molto piacevole – anche grazie alle splendide animazioni del samurai – lo stesso non si può dire dal punto di vista prettamente meccanico. Non so se il problema sia della sola versione Switch, ma ho costantemente avvertito una legnosità generale nei comandi, o per meglio dire, un – seppur minimo – input delay. Fortunatamente il gameplay di Undying Moon non è particolarmente frenetico, quindi l’esperienza di gioco non viene totalmente compromessa; ci tengo però a precisare che qui siamo ben lontani dall’estrema responsività di un Dead Cells, ecco.

Il combattimento vero e proprio è quello tipico di un qualsiasi hack ‘n’ slash, con però qualche meccanica in più. Abbiamo l’attacco leggero, l’azione speciale differente per ogni arma e la schivata di Dark Souls memoria. A ciò si vanno ad aggiungere gli attacchi di sfondamento, i contrattacchi e la demonization. I primi servono a spezzare l’equilibrio del nemico, per poi effettuare una soddisfacente finisher, i secondi sono dei semplici contrattacchi, qui definiti Lampo. La demonization è invece una sorta di demon trigger, e ci permette di potenziare attacco e velocità per ogni colpo assestato in rapida sequenza. Voglio precisare che il titolo fa di tutto per rendere ciò che ho scritto il più ermetico possibile, relegando la spiegazione di meccaniche fondamentali a voci situate nei meandri dei sotto menù. Una scelta abbastanza discutibile

Queste aggiunte al gameplay sono interessanti sulla carta, ma anche qui ho notato più di una ingenuità. A livelli di difficoltà più alti lo sfondamento è decisamente troppo forte, essendo in grado di giustiziare qualsiasi nemico previa rottura del suo equilibrio. La demonization invece è, senza mezzi termini, una meccanica mal implementata; di fatto è praticamente impossibile “demonizzarsi” se non si utilizzano le doppie lame, la lancia o i pugni. E così 3 armi principali su 6 risultano quasi totalmente estromesse da questa dinamica di gioco.

Devo precisare che Fuma può trasporate due armi principali alla volta, quindi si potrebbero sfruttare delle doppie lame per demonizzarsi e poi passare alla katana, ciononostante ritengo che relegare una parte del core gameplay a certe armi senza un particolare motivo sia una bella svista.

L’arsenale del clan Getsu

Ed eccoci qui a parlare del loot, degli sbloccabili, la linfa vitale di qualsiasi roguelite ed ossessione di noi fan del genere. Partiamo col dire che Fuma ha a sua disposizione 6 diversi tipi di armi primarie, ovvero katana, mazza, lancia, doppie lame, ombrello e tirapugni. A ciò si vanno ad aggiungere le armi secondarie, generalmente ranged, tra le quali si annoverano kunai, archi, archibugi e bombe. Queste funzionano come dei consumabili, ed una volta esaurite le “cariche” disponibili entrano in cooldown.

Se c’è una cosa che non manca ad Undying Moon, quella è proprio la quantità spropositata di equipaggiamenti e potenziamenti per il nostro eroe. I nemici da noi massacrati droppano infatti delle risorse e, più raramente, dei “progetti” che ci permetteranno di creare nuovi strumenti di morte. Ogni singola arma va poi potenziata tramite un sistema di upgrade che, sebbene sia presentato in maniera davvero tanto confusionaria, risulta in realtà abbastanza semplice ed intuitivo dopo poco tempo.

Quindi abbiamo visto che la quantità di loot sicuramente non manca ad Undying Moon, ma possiamo dire lo stesso della qualità? Anche in questo aspetto ci ritroviamo davanti ad un sistema potenzialmente interessante, ma che a conti fatti non risulta mai brillante. Le armi principali sono solamente 6, e nonostante ognuna di esse abbia 5 varianti, a conti fatti parliamo sempre di 6 armi dai moveset striminziti. Ogni katana è uguale all’altra da un punto di vista prettamente tecnico, e poco vi cambierà utilizzare la katana affilata o una ammazzademoni. Sì, a livello parametrico sono differenti, ma all’atto pratico non cambia praticamente nulla tra le due, ed anzi, spesso le armi presenti sin dall’inizio del gioco risultano anche essere le più forti.

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Il drop rate delle armi più “esotiche” è davvero basso, mentre le armi “base” piovono giù in continuazione, e 9 volte su 10 il tutto si riduce ad equipaggiare l’arma con il parametro d’attacco più alto. Il problema è proprio l’impossibilità di creare una qualsivoglia build, poiché non vi è sinergia tra le varie primarie e secondarie, se non in qualche raro caso. Quindi le vere statistiche desiderabili sono l’attacco e lo sfondamento, mentre tutto il resto passa in secondo piano.

Anche il personaggio va potenziato tramite risorse, e pure qui ci ritroviamo davanti a potenziamenti funzionali, ma estremamente banali. Aumentare la vitalità o le pozioni trasportabili va più che bene, ma mancano opzioni davvero interessanti, come nuove abilità di movimento – per snellire la navigazione degli stage – o nuove tecniche per le armi primarie, ad esempio. E non voglio entrare nel dettaglio, ma sappiate che servono davvero tanti, oserei dire troppi materiali per potenziare armi e personaggio.

Insomma, abbiamo sì una quantità davvero alta di sbloccabili, ma questo non equivale a qualità come un pò tutto in Undying Moon.

In conclusione

Che dire di Getsu FumaDen: Undying Moon? Devo essere onesto, avevo grandi aspettative per il titolo, anche e soprattutto per l’ottima direzione artistica che lo contraddistingue. Peccato che qui si sia curata quasi unicamente la forma a discapito di ciò che conta veramente in un roguelite. Il gameplay è accettabile, ma tra un level design scialbo, comandi non proprio precisissimi e scelte di gameplay spesso ingenue mi viene davvero difficile consigliarne l’acquisto.

A ciò aggiungiamo che mancano tutti quegli elementi che rendono memorabile un roguelite; segreti da scovare nei livelli, building del pg durante la run, loot vario e diversificato, eventi casuali ed npc che ci rivelano dettagli del mondo di gioco. Qui troviamo giusto le fondamenta per un buon roguelite, ma nulla di tutto ciò che ho appena elencato.

Spero vivamente che Konami supporti il titolo e lo migliori, perché le potenzialità ci sono. Ma allo stato attuale è impossibile consigliarne l’acquisto quando un certo Dead Cells – che fa letteralmente tutto meglio di Undying Moon – è già disponibile, e probabilmente più economico. Se siete fan incalliti del genere potreste pure divertirvi per qualche ora, a patto di tenere basse le aspettative.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Hack and slash
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: No
  • Prezzo24,99€

Ho tenuto alto l’onore del clan Getsu per circa 15 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Editoriali

Zombie: dalle origini ai videogiochi

Morti viventi, cadaveri ambulanti, redivivi: sono molti i modi in cui li hanno chiamati ma il più diffuso è sicuramente zombi. Cogliamo l’occasione dell’uscita di Dying Light 2 per scoprire qualcosa di più sulla misteriosa figura dello zombi. Partendo dalle sue origini caraibiche ripercorriamo alcuni capisaldi dei tre settori che più hanno permesso la sua diffusione.

Quando non c’è più spazio all’Inferno, i morti cammineranno sulla Terra

L’alba dei morti viventi (1978) di G. Romero

Le origini del termine

Per quanto riguarda il termine “zombi” dobbiamo ricercare le sue origini tra le spire della magia haitiana: nasce infatti per indicare persone riportate indietro dalla morte dagli stregoni voodoo dei Caraibi. I soggetti venivano resuscitati in uno stato di coscienza parziale per essere asserviti allo stregone che li ha richiamate. I redivivi erano utilizzati per lavori umili e, al contrario della figura classica dello zombi, non erano aggressivi verso le persone.

L’antropologo Wade Davis si confronta con questa realtà quando si trasferisce ad Haiti alla ricerca della verità sugli zombi. Davis si rende conto che gli abitanti del posto non temono i ritornati ma bensì il diventare tali e asservirsi al volere del bokor, lo stregone.

Il ricercatore svolge le sue numerose ricerche per arrivare ad una verità scientifica sugli zombi, una spiegazione che sveli il mistero dietro la magia. Pagata a caro prezzo ad uno stregone locale la realtà dietro all’inspiegabile fenomeno sembra portare all’uso di sostanze stupefacenti e allucinogene. La creazione delle zombi sarebbe quindi da imputare ad un miscuglio tra suggestione e tossine.

Wade Davis scoprì degli stregoni che usavano la tetrodotossina, un veleno estratto dal pesce palla. Tale tossina poteva in qualche modo indurre, nella vittima designata, uno stato simile alla morte. Dopo la sepoltura lo stregone poteva quindi recupe­rare il corpo e con l’uso di stramonio rendere la vittima facilmente manipolabile e suggestionabile. Questa sostanza, ricca di scopolamina, ha infatti effetto allucinogeno. Essa riduce la persona a cui viene somministrata a uno stato di semicoscienza che non la rende in grado di rispondere di sé stessa.

La zombificazione sarebbe quindi il risultato di un’interazione ben riuscita tra tossine, allucinazioni e suggestione culturale.  Una spiegazione certamente meno eccitante di quella data dal mito o dai numerosi film, libri e giochi di genere.

La figura dello zombi in Occidente

Zombie a caccia

Il termine zombi arriva in Occidente probabilmente grazie alla scoperta dell’America e con l’inizio di scambi commerciali con essa. Ci vorrà però ancora molto tempo prima che la figura del morto vivente cominci a popolare l’immaginario comune europeo.

Anche se inizialmente fu accumunato al revenant e al vampiro, lo zombi prese pian piano forma attraverso le opere letterarie di genere. Si potrebbe considerare come un primo zombi vero e proprio il mostro di Frankenstein di Mary Shelley. Esso infatti è un cadavere che poi ha preso vita, anche se il metodo di resurrezione non è quello classico. Ancora però non siamo arrivati allo zombi che noi tutti conosciamo.

L’esordio della figura del morto vivente viene assistita da molti maestri dell’horror che ne parlano nei loro libri. Tra loro il celebre Edgar Allan Poe col suo “La verità sul caso Valdermar” del 1845 in cui un uomo ipnotizzato muore mentre l’effetto è ancora attivo e si risveglia proprio grazie a quella. Nell’opera di Poe la figura del redivivo resta legata ad un fattore ipnotico e non virale, il che la porta ad essere più congruente con le sue origini di quanto non sia lo zombi putrescente contemporaneo.

Altre citazioni importanti di autori celebri che hanno trattato il tema del morto ritornato si trovano negli scritti di H.P. Lovecraft ad esempio “Herbert West rianimatore”. Lovercarft parla di molti mostri nei suoi racconti, tra cui ghoul e altri incubi dell’immaginario di certo non poteva farsi mancare lo zombi.

Ultima citazione letteraria e forse uno degli autori più sconosciuti tra quelli riportati è William Seabrook. Col suo libro “L’isola magica” porterà alla fine, nel 1929, il termine zombi nel linguaggio occidentale.

Il virus

Nella maggior parte dei giochi, così come nei film, ciò che trasforma le persone in zombi è un virus. La provenienza del patogeno varia da opera ad opera. Per alcuni si tratta di un virus sfuggito da un laboratorio, per altri di un’arma biologica sviluppata dal governo. Ci sono teorie sempre diverse così come sono diversi tra loro gli zombi dei vari film e giochi. A volte corrono a volte no. La malattia può uccidere l’infetto e trasformarlo, o può essere che la trasformazione avvenga solo dopo la morte naturale del soggetto.

Una cosa però sembra mettere tutti d’accordo, il tramite del contagio. Un morso. Da dove venga questa credenza non è chiaro, forse perché è necessario che due fluidi corporei vengano a contatto (saliva e sangue). Io credo invece che la spiegazione più plausibile sia quella che la figura del vampiro, nata prima di quello dello zombi, l’abbia in qualche modo influenzata. Dato che le due figure inizialmente non erano così ben definite e distinte l’una dall’altra, penso che una volta indipendizzato lo zombi abbia portato con sé la caratteristica del morso.

Zombi nei libri e film

Locandina de “L’alba dei morti viventi”

La storia ci insegna quanto il cinema e la letteratura siano legati l’uno all’altro. Spesso ispirandosi a vicenda o completandosi come le tessere di un puzzle. Quando si parla della figura dello zombi questo legame diventa ancora più evidente. I romanzi citati sopra infatti sono quasi tutti diventati successivamente film più o meno di successo.

Il successo dei morti viventi, iniziato col celebre film di Romero “L’alba dei morti viventi” ha avuto seguito in altre opere come Io sono leggenda, World War Z o La notte dei morti viventi. Gli zombi però non sono solo protagonisti di film horror. Data la loro figura grottesca e la camminata sconnessa, si prestano molto bene anche a film più ironici come Zombieland o a rivisitazioni alternative di classici come Orgoglio Pregiudizio e Zombie.

Il genere zombi ha ricevuto una nuova impennata di successo grazie alla seguitissima serie tv The Walking Dead tratta dall’omonima serie di fumetti.

Il mondo videoludico: il vero regno degli zombi

Penso che, a discapito di libri e cinema, il panorama videoludico sia quello più adatto ad ospitare gli zombi e ad esaltarli. Nei libri si perde lo stimolo visivo del cadavere putrescente mentre nel gioco questo non accade. Anche se i libri riescono a descrivere le sensazioni molto meglio delle opere su schermo, quando si tratta di zombi, credo sia preferibile addentarsi personalmente nella paura e nell’ansia. Giocare una storia zombi infatti non ci descrive ciò che dovremmo provare ma ce lo fa sentire direttamente.

Nei film le sensazioni vengono filtrate dalla figura del protagonista e anche se non si perde l’impatto visivo, si ha sempre la sensazione di seguire la storia di qualcun altro. Quest’impressione che abbiamo rischia quindi di rovinarci l’esperienza, cosa che non accade nei videogiochi sugli zombi. La decisionalità dei videogiochi infatti lascia più spazio a ciò che prova il giocatore anche se giocato in terza persona. Compiendo noi stessi le azioni della storia infatti abbiamo la sensazione di viverla appieno. Concluso questo citiamo qualche classico videogame e parliamo del suo zombi.

Il redivivo di Resident Evil

Resident Evil

Una saga che non si può non conoscere. Non si tratta del primo gioco sugli zombi ma di sicuro è il più longevo. Conta ben otto titoli principali e molti altri aggiuntivi. Il tipo di redivivo adottato da Resident Evil segue a tutti gli effetti la figura dello zombi tradizionale. Abbiamo quindi a che fare con un cadavere ambulante dai movimenti sconnessi e le braccia protese avanti in cerca di prede. L’illusione di avere a che fare con lo zombi lento dei film rimane intatta finché non si incontrano i primi cani zombi.

Il virus T è una parte fondamentale del gioco in quanto crea gli zombi e altri nemici che si devono affrontare. Scopriamo il patogeno e le sue conseguenze avanzando nel gioco, attraverso video e file della Umbrella Corporation. La nascita del virus T non è lasciata ad una spiegazione grossolana né le sue caratteristiche scientifiche sono improvvisate. La cura dei creatori di Resident Evil nel creare un virus verosimile ha forse decretato il successo della serie e la sua longevità. Si tratta infatti dell’unica saga zombie ad aver attraversato 5 generazioni Playstation e 4 generazioni Xbox senza contare che è sempre stata presente anche su PC.

L’infetto di The Last of Us

Clicker The Last of Us

Un titolo sicuramente più recente ma molto apprezzato dai videogiocatori è sicuramente The Last of Us. La storia emozionante e ben costruita ci parla di un’umanità già abituata alla presenza degli zombi, se così si possono chiamare gli esseri di questo gioco. Infatti i redivivi in questione hanno la particolarità di essere generati da un fungo che li deforma rendendoli ancora più inquietanti. Il Cordyceps è il fungo parassita che crea gli infetti, quelli che nel gioco possiamo considerare come zombi: esiste realmente, ma colpisce soltanto gli insetti crescendo dentro di loro fino ad ucciderli, gli effetti sulle vittime sono inquietanti e affascinanti allo stesso tempo.

The Last of Us sceglie quindi di innovare non solo sulla causa della zombificazione ma anche sull’aspetto. Inoltre dà agli infetti caratteristiche evolutive coerenti con la loro mutazione, come ad esempio i Clicker, una specie di zombi privi della vista, che hanno sviluppato l’udito per cacciare gli umani. Dando ai redivivi queste nuove capacità, riusciamo a considerare gli zombi non più come cadaveri ambulanti ma una vera propria specie evolutasi da quella umana.

Lo zombi di Dying Light

Dying Light

Un altro gioco che ha saputo sfruttare il contesto zombi al massimo è sicuramente Dying Light: i redivivi in questo titolo fanno da contorno a una storia che come protagonista incontrastato ha l’umanità in tutte le sue sfaccettature (I valori di Dying Light). Siamo qui però per parlare della figura dello zombi perciò spendiamo due parole a riguardo.

Il tipo di redivivi che abbiamo in questo videogioco è abbastanza classico ma non per questo noioso. Ci sono anche qui, come in quasi tutti i giochi di zombi, vari tipi di nemici: quelli che esplodono, quelli enormi e i nemici standard. Quelli con le pustole verdi sono però i più interessanti. Per chi ha giocato Dying Light è facile sapere che questo ultimo tipo di zombi rappresenta l’unica speranza per gli abitanti di Harran. In essi infatti si cela il segreto per trovare la cura al virus.

I creatori di Dying Light decidono di non svelarci molto sulla malattia se non che potrebbe essere una mutazione della rabbia. Il gioco sceglie di soffermare la sua attenzione così sulla lotta per la sopravvivenza e non su ciò che minaccia l’umanità compiendo così una scelta inaspettata a livello narrativo. Altra decisione particolare è quella di non rendere il fenomeno della zombificazione globale ma mantenerlo rinchiuso in una sola città. Harran infatti sembra essere il soggetto di un esperimento governativo per l’arma biologica che risulta appunto essere il virus.

La conclusione degli zombi

Ci sono stati periodi in cui il genere zombi sembrava ormai al tramonto e anni in cui i prodotti del cinema e del mondo videoludico non parlavano d’altro. Così com’è successo con altre figure della credenza popolare o del mito, anche gli zombi non tramonteranno mai. Nonostante il saliscendi del loro successo infatti la figura del redivivo affascinerà sempre l’immaginario comune. Finché ci sarà il mistero della morte, lo zombi non perderà mai il suo fascino putrescente: faremo nuove scoperte, e finché non sapremo come riportare in vita le persone, resteranno nel registro dei mostri e continueranno a mutare. Chissà, magari tra vent’anni la figura del zombi non sarà più come la conosciamo noi.

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Recensioni

Serious Sam Siberian Mayhem per PC – Recensione

Recensione in BREVE

Serious Sam Siberian Mayhem si dimostra essere un gioco decisamente interessante. Fa divertire con il suo ampio parco armi, di cui può sicuramente farsene vanto. Gli elementi da GDR lo caratterizzano ulteriormente, aumentandone la giocabilità e le possibilità di personalizzazione del personaggio. Paga il non aver fatto il salto di qualità per essere considerato una pietra miliare, ma rimane certamente un gioco molto valido e divertente.

8.5


Serious Sam Siberian Mayhem è un FPS sviluppato da Croteam e Timelock Studio. Non ha generalmente bisogno di tante presentazioni il titolo, facendo parte della storica saga del mitico Sam Stone. Per chi fa parte della vecchia guardia come me, questo rappresenta lo sparatutto in prima persona per antonomasia. Se c’é un videogame da non prendere troppo sul serio, dinamico, divertente e decisamente frenetico è questo.

Quel che mi lascia stupefatto è la capacità degli sviluppatori nel cambiare pelle completamente alla saga, più volte, senza mai snaturarne la natura FPS. Negli anni infatti si sono susseguiti capitoli VR della serie, mini-giochi, remake dei primi due capitoli storici (First e Second Encounter) e nuovi episodi (come questo). La sottile linea che li ha caratterizzati tutti è la continua innovazione tecnica e lo sforzo nell’introdurre nuovi elementi, riuscendoci ogni volta con successo! Ciò non è da ignorare, considerando il fatto che remake di saghe alla Mass Effect Legendary Edition hanno riguardato solo la parte tecnica, dopo anni di stallo ed un unico nuovo capitolo.

Serious Sam rimane una delle poche pietre miliari del genere che, seppur in ripresa, da un pò di tempo soffre la mancanza di nuove idee. Il genere degli sparatutto in particolare ha vissuto momenti di difficoltà dovuti al massivo impiego del multiplayer. Questo a discapito del caro vecchio singleplayer, con conseguente abbassamento delle qualità tecniche e ludiche dei giochi stessi. Considerato come il gameplay è cruciale in ogni videogame, lo scarso investimento da questo punto di vista ha fatto ristagnare un pò il genere nel recente passato. Per fortuna però questo gioco sembra non averne sofferto affatto, anzi. Che sia il tempo della rinascita degli FPS? Chissà.

Andiamo ora però ad analizzare il titolo nel dettaglio.

Buona grafica e resa tecnica

Desert Eagle Serious Sam
Una delle prime scene di gioco, con la nostra cara Desert Eagle!

A livello tecnico puro il gioco ha nelle grafica un punto di forza. Devo ammettere che in sede di recensione qualche problema di scarsa ottimizzazione è presente. Nonostante abbia una delle più performanti schede video in circolazione (Nvidia Geforce RTX 3070) il gioco soffre di qualche calo di FPS, rallentamenti ed a volte stuttering. Questa è comunque una cosa “normale” vista l’uscita recente del gioco, che presenta una resa grafica potenziale davvero ottima. Anche le texture per le armi, i nemici ed i personaggi sono ben realizzate, con qualche sbavatura nelle ambientazioni, dove si poteva fare di più.

Per quanto riguarda la parte di musica ed audio siamo nella media, niente colonne sonore alla Doom ma “solo” una buona OST di contorno. Menzione d’onore per la perenne ironia di Sam, che ha sempre caratterizzato la saga e continua a farlo. Si poteva osare anche un pò di più con i mini-dialoghi dell’eroe, ma perlomeno fanno da contorno alle sparatorie in maniera simpatica. Carine le citazioni durante i caricamenti.

Nel complesso dunque abbiamo un gioco godibile ma non eccelso nel comparto audio, con una resa grafica di pregio.

Armi, armi ed ancora armi

Slitta con lanciamissili
Gita in slitta con lanciamissili

La parte in cui il gioco si difende meglio, nonostante l’ottima grafica, è il gameplay. Finalmente si ha davanti un titolo che non è affatto semplice, non è banale e soprattutto non è ripetitivo. Dal punto di vista della difficoltà si ha un ottimo equilibrio, con sessioni di gioco impegnative a livello normale ma non proibitive alla Souls-like maniera. In questo modo si è obbligati ad utilizzare tutto l’arsenale a nostra disposizione, dal lanciamissili, al fucile a pompa, passando per le armi utilizzate in coppia. Il parco armi è ben nutrito, ed è inoltre presente una buone dose di mod che possono essere montate in modo fisso o a comando, davvero interessanti.

Ottima aggiunta la possibilità di pilotare mezzi di trasporto, che fanno da contorno alle azioni di gioco e permettono di aggiungere un pò di varietà al tipico shooting. Inoltre la quantità di avversari che possono attaccarci è davvero impressionante, altra caratteristica storica della saga, obbligandoci ancora di più a modificare il nostro stile di gioco. Se infatti ci troviamo davanti ad un kamikaze, non possiamo sperare di affrontarlo con il coltello o il fucile a pompa, pena una veloce dipartita. Al contrario, in caso di avversari che lanciano missili teleguidati, è consigliabile un approccio diretto avvicinandosi con armi a corto raggio.

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Vogliamo poi parlare della possibilità di sapere dove dobbiamo andare per seguire la missione principale? Non c’è problema, abbiamo anche questa funzione. Così sappiamo sempre dove dirigerci o, ancora meglio, dove non dirigerci. Si, perché se c’è un approccio che ho sempre utilizzato per scoprire i vari segreti, trovare subito le armi migliori, sopravvivere meglio agli scontri, è dirigersi in direzione opposta a quella che farebbe proseguire la trama. Anche questo aspetto è ben studiato e sono riuscito così a sbloccare vari segreti e missioni facoltative (con annessi potenziamenti e/o armi bonus).

Possiamo inoltre dire che la quantità di armi, mod, potenziamenti è davvero notevole. Unendo a ciò il fatto che sono ora presenti dei gadget, nella forma di potenziamenti funzionali particolari (rallentamento del tempo, vitalità aggiuntiva sopra la soglia dei cento punti, boost della forza) ed un sistema simil GDR per l’acquisto di determinate abilità, si capisce come la giocabilità ne giovi molto. Potremmo preferire un approccio più ignorante con armi da mischia, affrontando la maggioranza dei nemici di petto, piuttosto che imboccare la via delle armi con le abilità per impugnare due lanciamissili o due mitragliatrici. La scelta sta a noi.

Albero abilità Serious Sam
L’albero delle abilità in Seriuos Sam Siberian Mayhem

Dovrebbe a questo punto essere chiaro cosa intendevo prima quando parlavo del gameplay come punto di forza. Insomma, il titolo innova senza snaturare le tradizioni tipiche della saga. Sono stati fatti degli innesti anche importanti al titolo, è innegabile, senza cambiarne però la pelle da sparatutto divertente ed irriverente. Ed il risultato è godimento puro.

Conclusioni

Serious Sam Siberian Mayhem si è dimostrato un titolo eccezionale, con una resa tecnica buona ed interessanti elementi di innovazione al gameplay. È un titolo capace di divertire davvero tanto, con un parco armi molto ampio ed interessanti elementi da GDR. La frenesia tipica da FPS è intatta e la classica aura scherzosa e divertente del caro Sam Stone non si discute. D’altro canto le musiche non eccezionali, qualche difetto nell’ottimizzazione delle prestazioni grafiche e la mancanza di elementi davvero rivoluzionari non permettono il salto di qualità verso lo status della pietra miliare.

Questo se vogliamo essere davvero pignoli, perchè rimane comunque un gioco degno di essere giocato e su cui investire il proprio tempo, genuinamente ripagato in divertimento.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Sparatutto, Action
  • Lingua: Inglese
  • Multiplayer: No
  • Prezzo19,99€

Ho rincorso mentali in Siberia per circa 15 ore grazie ad un codice gentilmente fornito dal publisher.