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Ana Amari: Guida all’eroe di Overwatch 2

Ana Amari, ex comandante di Overwatch, è considerata da molti la migliore cecchino di tutto il mondo. Reduce dei combattimenti della crisi Omnic nella sua terra natale, l’Egitto, Ana si finge morta per anni, per poi, mossa dal forte sentimento di proteggere i propri cari, riprendere le armi, e diventare una delle migliori healer in tutto Overwatch 2.

In questa guida troverai degli utili consigli per chi vuole iniziare a cimentarsi con questo straordinario eroe. Armatevi di una buona mira e di tanta capacità decisionale e iniziamo a capire le abilità del personaggio.

Ana Amari in Overwatch 2

Zzz…

Il dardo soporifero è l’asso nella manica di Ana, in grado di far addormentare e rendere inermi tutti i nemici (tranne Orisa in forma rinforzata). Gli usi sono molteplici, ma il filo conduttore è la possibilità di interrompere una qualsiasi azione del nemico se colpito.

Fate attenzione però: come ogni abilità potente, il dardo ci metterà molto tempo prima di ricaricarsi, quindi cercate di ponderare attentamente la situazione. Addormentare un Roadhog mentre si cura è un ottima occasione, mentre lanciare l’abilità in mezzo ad un vasto gruppo senza un piano è quasi inutile. Tenete l’abilità per le Ultra avversarie; far addormentare un Genji in fase di Ultra vi farà sicuramente guadagnare la stima di tutta la squadra.

All’inizio potrebbe essere difficile capire quando è il momento giusto per usarlo, ma con il passare delle partite svilupperete una sorta di sesto senso, e potreste persino riuscire a prevenire alcune tra le Ultra più potenti, come ad esempio l’impatto devastante di Reinhardt.

Ana Overwatch 2: Dardo
Quando avrete addormentato un nemico comunicatelo subito alla squadra, in questo modo li avvertirete della sua vulnerabilità.

Una granata è per sempre

La granata biotica racchiude in sé la forza delle cure di Ana: amatela con tutto il cuore poiché salverà voi e i vostri alleati di Overwatch 2 dalle situazioni più disparate.

Se lanciata sugli alleati, oltre a curargli una piccola quantità di salute, aumenterà le cure subite da tutte le fonti. Questo significa che le vostre cure saranno raddoppiate in efficacia e i vostri alleati avranno molte più possibilità di sopravvivere.

Se lanciata sugli avversari questi saranno impossibilitati dal ricevere cure, entrando in uno stato di estrema vulnerabilità. Una buon lancio può avere un forte impatto, rallentando, o persino fermando, un intero assalto nemico.

Cercate sempre occasioni dove unire questi due effetti e riuscirete a ribaltare parecchie situazioni in vostro favore.

Ana Overwatch 2: Granata biotica
Scagliare la granata su un folto gruppo darà sempre grandi soddisfazioni

Biostimolatore per essere inarrestabili

L’ultra di Ana è la regina di tutte le abilità di Overwatch 2. Una risorsa preziosa, in grado di potenziare i danni e la resistenza di un singolo nostro alleato. I seguenti sono i 3 migliori modi per utilizzare questa ultra in tutta la sua potenza:

  • il Biostimolatore usato in combinazione con potenti ultra (Reaper, Genji, Soldato 76, etc..) è quasi sempre una mossa vincente, vi basterà coordinarvi con i vostri compagni e usare la vostra ultra esattamente quando il vostro alleato usa la sua, dopodichè rilassatevi e godetevi lo spettacolo.
  • Siete nel bel mezzo di un combattimento decisivo, un vostro alleato è in fin di vita, ma data la situazione caotica non riuscite ad aiutarlo, a questo punto potete usare il boost di vita istantaneo del biostimolatore per salvargli la vita e contrattaccare. Talvolta far rimanere un alleato in vita è molto più conveniente che aspettare una potente combo.
  • Infine potete usare il Biostimolatore per ingaggiare o rinforzare un vostro attacco, potenziando un tank per guadagnare spazio o un dps per qualche kill facile, ma state molto attenti a dove mirate.

Non sarà raro sbagliare mira e potenziare un alleato che non centra nulla. Se vi trovate in difficoltà potete sempre usare la doppia conferma disponibile tra le opzioni di Overwatch 2, che ridurrà gli errori di bersaglio. Semplicemente andate su Opzioni > Comandi > Generale > Cambia eroe > Ana > Biostimolatore richiede conferma bersaglio. In questo modo ridurrete gli sbagli, riuscendo persino ad usare l’Ultra attraverso i muri, ma rallenterete il tempo di attivazione.

Pur essendo un’Ultra molto potente, essa non è però in grado di funzionare da sola, la coordinazione e l’abilità dei nostri alleati sarà sempre l’ago della bilancia di ogni uso.

Ana Overwatch 2: Biostimolatore
Il Biostimolatore è un ultra che si ricarica abbastanza velocemente, quindi non siate troppo parsimoniosi, sperimentate!

Mirino o Non Mirino?

L’iron sight (visuale da mirino) è utilissima per aumentare la precisione dei nostri colpi, ma ha un grandissimo difetto: riduce notevolmente la nostra visuale. Ciò comporterà il non curare i nostri alleati perché fuori dal nostro campo visivo, o il non vedere un nemico che ci sta prendendo di mira. Sembra una piccola inezia, ma questo problema può mandare in fumo tutti gli sforzi della squadra.

Quindi non dovreste più utilizzare il mirino? Assolutamente no. Ci vuole equilibrio: usate il mirino solo per un breve tempo, poi tornate alla visuale normale per controllare la posizione di alleati e nemici, e se ne siete sotto controllo, allora tornate a mirare per essere più precisi. Semplicemente non rimanete troppo attaccati al tasto di mira, anche perché ciò vi renderà estremamente lenti, prevedibili e vulnerabili.

Mobilità

Come forse avrete già notato, Ana non dispone di abilità di movimento. Questa sua mancanza la rende un healer che non può seguire ovunque i suoi alleati, che non può accelerare per una cura d’emergenza, ma soprattutto, è impossibilitata alla fuga rapida se attaccata. Per sopperire a questo problema dovremmo diventare dei maestri di posizionamento.

Attenzione: non si sta parlando di “riposizionamento” (materia in cui eccelle Mercy). Per posizionamento si intende l’abilità mentale di posizionarsi in un punto della mappa che abbia valenza strategica per tutta la squadra. Questo significa trovare il punto perfetto dove essere ugualmente efficace in cure, danni e fuga. Dove posso avere a schermo tutta la squadra alleata e nemica, ma anche dove posso trovare riparo in caso di pericolo.

La maggior parte delle volte questo significa trovarsi posizionati nella backline (una linea immaginaria che simboleggia la parte posteriore del team), da qui potrete coordinare le vostre azioni con maggiore efficacia, ma fate molta attenzione ai dps nemici che proveranno a fiancheggiarvi, loro saranno il vostro maggior nemico. Ricordate: in Overwatch 2 una brava Ana sarà sempre il bersaglio primario di un buon DPS.

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Overwatch 2: i migliori healer per iniziare

Overwatch 2 è un gioco di squadra, e come in ogni gioco di squadra bisogna sapere agire ed attenersi al proprio ruolo, per riuscire a vincere. In questa guida di Overwatch 2 sarà protagonista l’healer, un ruolo che potrebbe definirsi come le fondamenta di una squadra vincente, il quale avrà l’importantissimo compito di curare e supportare il proprio team.

Se credi che guardare le spalle ai propri alleati sia il tuo ruolo, o magari vuoi semplicemente provare una nuova prospettiva di gioco, allora continua a leggere per scoprire i 5 migliori healer e supporter per iniziare a capire la logica dietro la mentalità del curatore in Overwatch 2.

Lucio

Lucio è considerato un “off-healer”, ovvero un healer che non possiede una grande capacità di cura, ma si concentra su un altro tipo di supporto. L’abilità “Vibrazioni” permetterà di cambiare tra cura e velocità. Molti principianti tendono ad usare per la maggiorparte del tempo solo uno di questi boost, ma un buon Lucio sa giudicare la situazione e agire di conseguenza.

La mobilità di Lucio è impareggiabile, capace di sballare la mira dei giocatori meno esperti. Il suo wall-ride sarà il movimento che userete per la maggiorparte del tempo, ma non allontanatevi troppo dalla vostra squadra!

Usare l’Ultra “Barriera Sonora” per bloccare Ultra nemiche dal grande potenziale dannifico è efficace per un veloce contrattacco.

L’efficacia di Lucio si scopre solo quando sarete vicino ai vostri alleati, insegnando fin da subito l’importanza dello stare con la squadra. Fin troppi principianti fanno l’errore di giocare come se fosse un normale deathmatch a squadre, ma con Lucio non farete questo errore.

Il suo fuoco principale è una serie ripetuta di quattro colpi, ma è il suo fuoco secondario la vera chicca. Il “Boop”, o “Onda sonora” in italiano, è un colpo dal poco raggio che respingerà con grande impeto i nemici. Potete usare questa abilità per difendere i vostri alleati o per buttare giù dai precipizi i vostri, sicuramente imprecanti, nemici.

La sua velocità, il suo knockback e la sua mobilità rendono Lucio uno degli healer più divertenti da giocare su Overwatch 2, pur rimanendo però, un importante membro della squadra.

Moira

Moira è una scienziata che, per raggiungere la soddisfazione delle proprie tesi, non si fa certo frenare da metodi anti-etici e “controversi”. Tanto controversi quanto il suo ruolo da healer. Eh già, perché Moira è – più di tutti gli altri healer – un personaggio incentrato sul danno.

Il suo fuoco secondario è un raggio che segue e risucchia la vita dei nemici, rigenerando la nostra vita. Mentre l’abilita “Globo biotico” permetterà di scagliare un globo che, rimbalzando sulle pareti, danneggerà i nemici vicini, portando scompiglio e facili uccisioni tra le linee nemiche. Non fatevi troppo distrarre però, siete pur sempre degli healer!

Healer Overwatch 2: Moira
L’Ultra soprannominata “Il Raggio della Morte” tiene fede al suo nome, ma un uso equilibrato tra cure e danni è quasi sempre la scelta migliore.

Il metodo di cura è altrettanto semplice; uno “spray” con cui curare lentamente gli alleati e un medesimo globo che curerà, invece di danneggiare.

Questo personaggio è consigliato a chi preferisce supportare i propri alleati in maniera attiva. Sarà probabilmente apprezzata da chi avrà precedentemente provato il ruolo di DPS, o da chi ha uno stile di gioco equilibrato. Usare Moira insegnerà proprio l’importanza dell’equilibrio tra danni e cure e, se usata saggiamente, saprà rinforzare i punti deboli della squadra.

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Siamo tutti schiavi del Battle Pass

Kiriko

Kiriko, pur non avendo le risorse combattive di Moira, è sicuramente la più letale tra tutti gli healer di Overwatch 2.

Il suo fuoco primario sono dei piccolissimi kunai che se colpiranno il corpo dei nemici non faranno troppi danni, ma se lanciati verso la sua testa ricompenseranno con un danno critico, dimezzando la vita della maggiorparte degli eroi.

Premete il tasto Ultra e tenetevi pronti al caos, non lasciate che la velocità vi rovini la mira!

Nonostante ciò, Kiriko è un personaggio molto difensivo. Le sue cure ci metteranno molto tempo prima di arrivare a bersaglio, ma quando arrivano lo fanno con un buon boost di cure.

Il suo potenziale difensivo è incentrato sull’abilità “Suzu di protezione”. Un talismano che se lanciato permetterà di rendere invincibile se stessa e i suoi alleati per pochi istanti. Da usare con molta parsimonia e saggezza. Il suo kit è completato dall’abilità “Passo rapido”, un’abilità di fuga che potrà teletrasportarci da un nostro alleato, per una cura d’emergenza o una fuga rapida.

Kiriko è consigliata a chi dispone già di una buona mira, i suoi critici in testa sono veramente troppo preziosi per andare sprecati, ma non scordatevi di curare!

Ana

Ana è il cecchino degli healer, ma purtroppo non condivide la letalità di Kiriko, difatti Ana non sarà in grado di fare headshot, ma questa non è assolutamente un difetto, anzi.

L’assenza di critici permette ad Ana di concentrarsi completamente sul bersaglio. La troveremo spesso nelle retrovie proprio per avere un’ottima visuale su tutti i giocatori, sia attaccanti che alleati. Le sue cure sono veramente importanti, e possono aumentare ancora a dismisura grazie alla “Granata biotica”, una granata che raddoppierà le cure subite su se stessa e gli alleati, ma non solo!

Healer Overwatch 2: Ana
Ana possiede una delle migliori Ultra nel gioco, sfruttatela saggiamente.

La forza di Ana sta proprio nel suo effetto secondario, ovvero l’impedire le cure dei nemici.

Una buona granata potrà salvare alleati in situazioni disperate e contemporaneamente respingere un intero attacco nemico. La sua difesa invece, è contenuta nel “Dardo soporifero”, un proiettile che farà addormentare qualsiasi nemico per qualche secondo, interrompendo la maggior parte delle abilità. Ana è consigliata per chi ama stare nelle retrovie e avere l’intera situazione sotto controllo.

Una buona Ana possiede sempre l’intero controllo dei suoi alleati e dei suoi nemici.

Mercy

Mercy è l’healer per eccellenza, un personaggio in grado di compiere massicce e continue cure, muovendosi liberamente nel campo di battaglia.

Il suo supporto è straordinario, sarà infatti palese dai primi minuti di gioco che, pur essendo dotata di un’arma secondaria, il suo ruolo è fondamentalmente legato al continuo apporto di cure e boost di danni, un vero e proprio angelo custode.

Healer Overwatch 2: Mercy
Braccati? Troppo distanti? Nessun problema. Usate L’Ultra “Valchiria” per sfrecciare in aria ovunque voi vogliate.

La sua survive ability è proprio incentrata sull’abilità “Angelo custode”, che le permetterà di fuggire dalle situazioni più spinose, mentre la sua abilità più importante è sicuramente “Resurrezione”; usatela con saggezza, poiché consentirà di ribaltare la situazione in più di un combattimento, rianimando un alleato precedentemente sconfitto.

Mercy è sicuramente consigliata a quei giocatori che vogliono concentrarsi completamente sul supporto ai propri alleati. Preferendo un approccio meno bellico e più di squadra.

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Xbox Game Pass: 5 gemme nascoste da non perdere

Da quanto emerge da un documento spedito da Sony all’antitrust inglese in merito all’acquisizione da parte di Microsoft del celeberrimo publisher Activision-Blizzard, gli utenti di Xbox Game Pass ammonterebbero a 29 milioni, seppur in seguito Phil Spencer abbia più o meno ufficialmente ribassato la cifra a 25 milioni.

Qualunque sia la verità, è palese che il servizio in abbonamento della casa di Redmond abbia già preso posto nelle case di noi videogiocatori, grazie agli oltre 400 titoli presenti nel catalogo, tra cui spiccano i nomi di giochi del calibro di Deathloop, Persona 5, Dragon Quest XI, Assassin’s Creed Origins, i vari Battlefield presenti nel catalogo di Game Pass + EA Play ed il venturo Starfield.

Cionondimeno, ci sono anche videogiochi indie meno noti al grande pubblico, ma non per questo meno validi o intrattenenti. Stiamo parlando di cinque gemme nascoste da non lasciarsi sfuggire nello sconfinato catalogo del servizio di videogames in abbonamento più popolare del momento.

Donut County

Nato principalmente dalla fantasia di Ben Esposito, arriva su Game Pass direttamente dalle mani di un autore già celebre per aver lavorato anche a giochi come What Remains of Edith Finch, The Unfinished Swan ed il recentissimo Neon White. Donut County è un titolo dalle premesse semplici: “Un gioco carino in cui interpreti un buco nel pavimento”, per citare quanto riportato nel sito dello sviluppatore.

Se già l’incipit appare di per sé quantomeno originale, è il gameplay la colonna portante dell’esperienza che, richiamando senza vergogna avventure come Katamari Damacy, si basa su degli enigmi nei quali, interpretando il sopracitato buco, dovremo inghiottire elementi dello scenario via via più grandi in modo da poter passare al livello successivo. Dopo il nostro passaggio, infatti, sarà appagante constatare come non sarà rimasta che una distesa deserta (o in fiamme) laddove prima erano presenti costruzioni di varia natura.

La scrittura dei disparati dialoghi è davvero di pregevole fattura, e tiene incollati allo schermo per la durata delle circa due ore di durata del titolo, con buffi scambi tra i personaggi che intervallano le varie sezioni di gioco, sempre sagaci ed ironici, attraverso i quali conosceremo la storia del procione che per pigrizia ha scatenato l’inarrestabile buco e degli altri, sempre bizzarri e sopra le righe, abitanti della cittadina.

Manca tuttavia la localizzazione in italiano, per cui sarà necessario masticare un po’ di inglese per comprendere la divertente, ma non essenziale trama del gioco.

Pikuniku

Rileggendo la lista che ho stilato prima di scrivere questo testo, quando ho scelto i 5 giochi da consigliare, mi sono subito reso conto quanto semplice sia evincere da questa selezione diversi aspetti del mio carattere ed, in particolar modo, il mio senso dell’umorismo.

Sì, perché è senza dubbio necessario parlare di umorismo per descrivere il gioco sviluppato da SectorDub.

Apparentemente adatto a tutte le età, e nell’aspetto e nella difficoltà effettivamente lo è (classificato PEGI 7), cela in realtà un umorismo che farà molto piacere a chi, come il sottoscritto, è un amante del nosense.

A livello puramente ludico, si tratta di un misto tra un platform 2D ed un rompicapo con enigmi ambientali mai troppo complessi da affrontare in solo o in coop “da divano”.

Interpretando un mostro bipede, ci avventureremo in uno strampalato mondo popolato da creature ancora più bizzarre, in una trama che resta semplice, ma che si infittisce fino all’assurdo, anche grazie ai suoi irrazionali protagonisti, rivelando infine un misterioso complotto che avremo il compito di debellare.

Il gioco di per sé non ha molte pretese e fa poche cose ma buone, regalando anche dei minigiochi intrattenenti ma mai invadenti.

Consigliatissimo a grandi e piccini ed a chiunque abbia voglia di farsi delle grasse risate sulle spalle degli insensati e coloratissimi personaggi dell’altrettanto variopinto mondo di Pikuniku.

Prodeus

Prodeus è una delle gemme nascoste dell'Xbox Game Pass

Se siete appassionati di retro shooters, boomer shooters, doom’s clones o come preferite chiamarli, Prodeus è senz’altron pane per i vostri denti.

Alcune criticità sono da evincere: la ricarica un po’ troppo frequente di alcune armi e la pessima gestione dello shop per acquisire i diversi power-up e le nuove armi con cui fare fuori schiere di demoni.

Della trama non sto neanche a parlarne, l’fps ideato da Bounding Box Software e disponibile nel catalogo di Xbox Game Pass segue la filosofia un tempo descritta da John Carmack per cui la storia di un gioco è equiparabile a quella di un film porn: “Ci si aspetta che ci sia, ma non è così importante”. Prodeus sintetizza la trama riducendola a delle scritte facilmente skippabili su schermo, richiamando alla memoria vecchie glorie del passato degli fps, e consentendo al giocatore di passare subito all’azione.

Lo shooting è frenetico e soddisfacente, costringendo il giocatore a non rimanere mai fermo, pena la sconfitta. Le morti saranno abbastanza comuni, ma non estenuanti, in quanto si ripartirà dall’ultimo checkpoint.

Buono il comparto audio, che restituisce pienamente il feeling dei colpi andati a segno.

Complessivamente, un’esperienza appagante e non eccessivamente longeva (circa 8 ore), che saprà gratificare chiunque desideri del sano gore e spappolare una moltitudine di demoni a suon di proiettili.

Se avete già finito gli intramontabili classici IDSoftware presenti nel catalogo ed ancora non siete sazi di interiora di demoni, questo è senz’altro il gioco che stavate cercando.

The Pedestrian

The Pedestrian è una delle gemme nascoste dell'Xbox Game Pass

L’opera prima di Skookum Arts è una chicca a mio avviso imperdibile per tutti gli amanti dei puzzle 2D.

In questa curiosa avventura presente su Game Pass, impersoneremo un pedone, come suggerisce il titolo, ovvero l’omino (o la donnina, per così dire, in base ad una scelta iniziale) dei vari segnali stradali o delle indicazioni urbane. Questi ha infatti magicamente preso vita e necessita del nostro soccorso per spostarsi da cartello in cartello, da segnaletica in segnaletica.

Per la durata delle circa 4 ore di durata del titolo, si susseguiranno numerosi puzzle, quasi tutti validi ma con pochi “momenti wow” come amo definirli io (cioè rivelazioni, nuovi significati di meccaniche già conosciuti, epifanie), ma compensando con numerose meccaniche che si avvicendano al cambiare dell’ambientazione, come dover collegare elettricamente elementi di una parete con gli allacci elettrici di un cartello per aprire una porta, o dipingere un cartello per paralizzare gli elementi al suo interno, mettendo a dura prova l’ingegno e la capacità di problem solving dell’utente.

In particolare, proprio quando penseremo di aver già visto tutto quello che il titolo aveva da offrirci e i puzzle cominceranno ad apparire stantii, un finale a dir poco sorprendente ci sconvolgerà.

Sconvolgimento non da legare alla trama, che è praticamente assente (salvo fare un fumoso capolino nell’ultimissima parte dell’esperienza, pur rimanendo sempre solo accennata), ma legato a doppio filo a come The pedestrian va inteso come gioco, ribaltando le nostre idee sul titolo e costringendo l’utente per l’ennesima volta a doversi riadattare ad un importante cambiamento nelle meccaniche.

Gorogoa

Gorogoa è una delle gemme nascoste dell'Xbox Game Pass

Ennesimo pozzle di questa lista, ma data la sua qualità generale non potevo escluderlo.

Fra i titoli dell’elenco, Gorogoa, il gioco nato dai disegni di Jason Roberts e sviluppato da Buried Signals e pubblicato dall’ormai nota ed amata Annapurna Interactive è sicuramente il più avveniristico.

Catapultati da (quasi) subito in un interfaccia divisa in 4 blocchi, senza un vero e proprio tutorial, per procedere dovremo spostare e sovrapporre i vari elementi che compongono i quadranti per procedere in quella che è una storia disseminata nei secoli, dal significato fumoso e mai esplicito, che si lascia interpretare dal giocatore, senza imporre un messagio univoco.

Se per The Pedestrian i puzzle erano vari e diversificati tra loro, ma con pochi “momenti wow” come li ho definiti, qui le circostanze si ribaltano completamente: spostare i vari blocchi per i quadranti rimarrà una meccanica immutata dall’inizio alla fine: saranno infatti le risoluzioni degli enigmi ad essere di volta in volta diverse e sempre originali, costringendoci a pensare “lateralmente” e sorprendendo l’utente di volta in volta con intuizioni difficili da prevedere ma mai troppo ostiche.

Consigliato a chiunque sia alla ricerca di un’esperienza breve ma dalla forte personalità, capace di distinguersi ed eccellere nelle poche meccaniche date in pasto all’utente.

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Editoriali

DUNE: tutti i videogiochi ambientati nel Duniverse

Parlare di Dune è sempre impegnativo, poiché dal romanzo fantascientifico di Frank Herbert del 1965 è nato un vero e proprio universo: il Duniverse, tornato nuovamente alla ribalta dopo l’enorme successo del film di Denis Villeneuve. Chi scrive non è un purista, ma un fan affascinato dall’universo di Dune, che in questo articolo vi racconterà di tutti i videogiochi del Duniverse e di cosa ci riserverà il futuro del franchise.

I Videogiochi di Dune

La storia dei videogiochi di Dune comincia agli inizi degli anni ’90 ed è tuttora in continua espansione con la produzione di generi completamente diversi dal passato, ma anche dal presente. Chiunque sia alla ricerca di un videogioco ambientato su Arrakis, troverà sicuramente un gioco – anche dall’alto profilo tecnico – che possa adattarsi ai propri gusti videoludici.

Senza Dune, Guerre Stellari non sarebbe mai esistito

George Lucas

Prima di iniziare, se siete interessati alle “carrellate videoludiche”, date un occhio anche ad altri nostri articoli come: I 5 migliori videogiochi (veramente) ispirati a Lovecraft o I 4 migliori videogiochi sui pirati di sempre.

Dune – Cryo Interactive, 1992

Dune: frame del videogioco, fortemente ispirato al film di Lynch

Il primo videogioco di Dune è un mix di avventura e strategia sviluppato per Amiga, Sega Mega Drive (CD) e PC-MS-DOS. L’impianto del gioco è assai interessante e a suo modo innovativo – almeno per i giochi a cui ero abituato: si trattava infatti di una sorta di avventura grafica alternata a un gioco di strategia, non ancora in tempo reale.

Il titolo segue abbastanza fedelmente il libro e si rifà non poco alla controversa pellicola di David Lynch: fra l’altro lo si nota abbastanza chiaramente nelle sembianze di Paul e Jessica Atreides.

La trama di Dune di Cryo Interactive

La trama è incentrata sul novello duca Paul Atreides, impegnato a riconquistare il pianeta (Arrakis/Dune) dopo che la sua casata è stata massacrata dai cattivissimi Harkonnen.

Per raggiungere lo scopo, il protagonista crescerà nelle sue capacità e competenze (rpg) e dapprima si recherà presso diversi avamposti/caverne dei Fremen per convincerli a collaborare (inizialmente come forza lavoro per recuperare la spezia, poi anche a livello militare). La spezia infatti va sempre pagata all’imperatore, con tassi crescenti e, con quel che resta, si devono espandere le proprie capacità personali e militari, acquistando per esempio armamenti tipici dell’ambientazione, “mietitrici” e ornitotteri. Le unità hanno un certo grado di esperienza e si può influenzarne in vari modi il morale, così da renderle sempre più efficienti in battaglia.

I conflitti si svolgono principalmente come assedi alle basi nemiche e si possono subire contrattacchi; se i Fremen perdono vengono presi prigionieri, e se Paul vi prende parte di persona e viene sconfitto: game over!

Più avanti sarà possibile piantare vegetazione e prendersene cura (si ricava meno spezia ma sale il morale) e imparare a cavalcare i vermi della sabbia: più lenti dell’ornitottero usato normalmente per spostarsi ma esaltanti se portati in battaglia (aumentano il morale delle truppe).

Dune II – Westwood Studios, 1992

Dune 2 – Westwood Studios

Per un certo periodo sulla mia Amiga 500 girava solo Dune 2, con cui ho trascorso moltissime ore di puro divertimento. Il motivo? È il capostipite del genere strategia in tempo reale (RTS).

Alla fine del 1992, per le maggiori piattaforme compare Dune 2: The Building of a Dynasty – noto come Dune 2: Battle for Arrakis su Sega Mega Drive. L’opera è nota per aver fissato i capisaldi del genere RTS poi usati in molti altri celebri titoli: Command & Conquer, Warcraft, Starcraft e Age of Empires. È in Dune 2 che troviamo la fog of war, l’albero delle tecnologie, le fazioni asimmetriche e le campagne (missioni correlate a un unico obiettivo).

Nel gioco erano presenti tre campagne da nove missioni ciascuna, ognuna dedicata a una fazione (Atreides, Harkonnen e Ordos). Truppe, edifici e strategie da applicare erano diverse, ma i vermoni, per non far torto a nessuno, massacravano allegramente tutti quelli che incontravano. Come nella migliore (e innovativa!) tradizione degli RTS, si andava a raccogliere le risorse (la spezia poi convertita in crediti) e con esse si realizzavano strutture sempre più potenti e unità sempre più specifiche e forti. Poi si scagliava il tutto contro la base nemica e si sperava di farcela, intervenendo durante la battaglia per ottimizzarne il risultato.

Nelle mie partite, ammetto che l’unità che preferivo era una di quelle base, l’harvester: impiegarla non per raccogliere la spezia ma per spiaccicare i nemici era dannatamente divertente! E Carmageddon arriverà solo nel 1997!

Dune 2000 – Westwood Studios, 1998

Dune 2000 – Westwood Studios

Rremake di Dune 2, Dune 2000 è basato sullo stesso motore grafico di Command & Conquer.

Oltre a essere un buon remake di Dune 2, a partire dal rifacimento del filmato introduttivo di tale gioco ma dalla grafica aggiornata, introduce delle funzionalità da RTS moderno ignote al suo predecessore, per esempio la modalità multigiocatore e la schermaglia. Come piacevoli add-on possiamo notare la presenza di diversi full motion video interpretati da attori di rilievo che rendono l’esperienza di gioco più suggestiva e gradevole.

L’interfaccia presenta dei leggeri cambiamenti, eredità di Command & Conquer, ma oltre quanto evidenziato sopra, non ci sono grandissime innovazioni. Di fatto è un ottimo gioco, un aggiornamento agli RTS moderni con una trama raccontata tramite filmati di ottima fattura che si sbloccano via via durante la partita.

Infine, interessante è anche notare il rilascio di due patch, una per correggere errori minori, un’altra con una decina di nuove mappe per giocare in multiplayer, un bilanciamento più curato del gioco e l’introduzione di tre nuove unità, una per ciascuna casata.

Emperor: Battle for Dune – Westwood Studios, 2001

Emperor: Battle for Dune – Westwood Studios

Uno dei primi RTS dotati di motore 3D, Emperor: Battle for Dune è per la precisione il seguito di Dune 2000. Anche in questa opera sono presenti degli strepitosi filmati di intermezzo, almeno per i miei gusti, ma l’impianto grafico cambia radicalmente, avvalendosi per la prima volta nel mondo videoludico di Dune di un motore tridimensionale.

Le premesse alla trama sono differenti, ma di fatto, ancora una volta ci sono le solite tre fazioni a scontrarsi su Arrakis senza esclusione di colpi. Nonostante ciò, sono stati inseriti alcuni colpi di scena, come la presenza dei Tleilaxu (a voi scoprire chi siano) e un Verme Imperatore…

Un po’ sotto la media per la concorrenza dell’epoca (ma sempre divertente), il gioco presenta comunque alcune novità: altre unità specifiche per le varie fazioni, la possibilità di introdurre rinforzi in battaglia e una campagna non lineare.

Frank Herbert’s Dune – Cryo Interactive, 2001

Frank Herbert’s Dune (Cryo Interactive, 2001): impatto grafico opinabile

Purtroppo, Frank Herbert’s Dune fu un disastro commerciale, che contribuì al fallimento di Cryo Interactive. Cavalcando l’onda commerciale dell’ottima miniserie in tre puntate di Frank Herbert’s Dune del 2000, viene prodotto per l’anno successivo l’omonimo videogame, un gioco d’azione 3D.

Purtroppo, Cryo rilasciò un gioco che risultò essere un fallimento da ogni punto di vista, sia economico, sia di critica, tanto che fu uno degli ultimi che realizzò. Proprio tale insuccesso decretò la fine della casa di sviluppo.

L’unico merito del gioco potrebbe essere stato quello di aver voluto tentare una strada diversa da quella dell’RTS, che però non ha ripagato (visto soprattutto i limiti del motore di gioco e dell’aspetto grafico). Per quanto riguarda la trama, vestiamo i panni del solito Paul Atreides, erede della sua casata, che si dovrà guadagnare il rispetto della popolazione nativa di Arrakis per diventarne il messia e risollevare popolo e pianeta. Infine, il protagonista dovrà anche confrontarsi con lo spietato barone Harkonnen, responsabile del massacro della sua famiglia (con lo zampino dell’imperatore, ovviamente).

Come piccola nota conclusiva, possiamo aggiungere che il fallimento del gioco e della casa di sviluppo provocò la fine anche di Cryonetwork che all’epoca stava lavorando a Dune Generation, uno strategico 3D online, titolo che non vide mai la luce.

Dune Wars – Mod per Civilization IV, 2009

Dune Wars – Mod per Civilization IV

Anche se non è un vero e proprio videogioco, Dune Wars merita di essere citata in quanto amatissima mod per Civilization IV. Nel 2015 è stato rilasciato anche un update dal nome Dune Wars: Revival – che potete scaricare da Moddb.

Dune: Spice Wars – Shiro Games, 2022

Le casate del cartoonesco Dune: Spice Wars
Dune: Spice Wars; le prime quattro fazioni (cartoonesche) disponibili

Dopo il successo del film del 2021 di Dune, il franchise è tornato a mostrarsi anche sotto forma di opera videoludica con Dune: Spice Wars, un videogioco strategico 4X.

Con questo gioco torniamo allo stile di gioco di Dune II/2000, dalla grafica un po’ cartoonesca e con tutte le migliorie rese possibili dalla tecnologia moderna. Rilasciato a fine aprile del 2022, attualmente il gioco è in fase ad “accesso anticipato”, ma ha già ricevuto il plauso da parte dei giocatori.

Al solito, l’ambientazione di Dune la fa da padrona e sia il gioco che il gameplay sono abbastanza solidi (e consolidati), ma come sempre ci sono dei lati oscuri.

Suppur il gioco rappresenti una sorta di rivincita videoludica, a cancellare l’amaro in bocca lasciatomi dai titoli del 2001, la grafica accattivante e fumettosa taglia un po’ le gambe all’epicità innata della saga. Probabilmente è solo per una questione d’età anagrafica di chi scrive, ma provo la stessa (sgradevole) sensazione di quando paragono le immagini delle serie animate di Star Wars con quelle dei rispettivi film, in particolare dei capostipiti.

Spice Wars presenta al momento cinque fazioni invece delle classiche tre, che aumentano la varietà strategica, il numero delle unità, l’asimmetria e la longevità. E anche il sistema di politica/spionaggio/commercio appare più complesso e intrigante; infatti, offre alternative alla pura conquista e vittoria militare. Di fatto si incappa in situazioni un po’ castranti, quando per esempio, per connettere dei territori, vengono richiesti dei requisiti impossibili da soddisfare a causa di un cap imposto dal gioco; oppure quando si desidera sviluppare un potente esercito o far crescere al massimo le potenzialità della propria casata ma il processo risulta talmente lento e complesso (a volte impossibile) da renderlo poco divertente.

Dune: Awakening – Funcom, 2024?

Copertina ufficiale del gioco (in uscita nel 2024?) di Dune: Awakening
Dune: Awakening

Come indicato all’inizio di questo articolo, il franhise di Dune vuole essere appetibile al maggior numero di videogiocatori possibile. Funcom sta rispondendo a questa necessità con un titolo open world survival MMO, Dune: Awakening. Ecco, di questo gioco se ne sa ancora poco, dato che al momento è in fase di sviluppo.

Dagli stessi sviluppatori di Age of Conan e Samurai Showdown, Awakening è un open world survival MMO (probabilmente multipiattaforma), anche con meccaniche PvP; infatti, pare che il videogiocatore dovrà dominare e prevalere su Arrakis, obiettivo condiviso da tutti gli altri partecipanti.

Se si sopravvive al deserto e a tutte le insidie di Dune, si potrà esplorare il pianeta e scoprire, fra le altre cose, territori e luoghi non mappati (e che spariscono a causa delle tempeste si sabbia) con tesori e benefici unici; sicuramente ci sarà modo di gestire o avere a che fare con la spezia, e si potrà realizzare una propria fazione (gilda?), capace di svilupparsi per gestire il commercio, svolgere operazioni di sotterfugio, complottare con intrighi politici e, manco a dirlo, fare a mazzate.

Per chi volesse iscriversi e partecipare allo sviluppo della beta può raggiungere direttamente il sito ufficiale di Dune Awakening.

Ancora Dune… giochi da tavolo

Se l’articolo vi ha incuriosito e siete amanti anche dei giochi da tavolo, vi consiglio di leggere anche DUNE: tutti i giochi da tavolo ambientati nel Duniverse!

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Editoriali

Marvel Snap è un vero free-to-play

Sono trascorsi due anni e mezzo dall’ultima volta che ho pronunciato questa frase per un gioco di carte collezionabili – e mi riferivo a Legends of Runeterra – ma l’attesa è stata ripagata. Mai avrei pensato che un videogioco di carte collezionabili mobile – è presente anche per PC ma la sua dimensione è lo smartphone – basato sul mondo dei supereroi potesse essere veramente gratis. Marvel Snap è tutto questo ed è anche divertente! In questo articolo vi spiego come funziona Marvel Snap, la sua economia di gioco veramente free-to-play e perché vale la pena dargli una possibilità.

Veterani dei videogiochi di carte

Il nuovo titolo mobile dedicato ai supereroi Marvel è stato sviluppato da Second Dinner, neonata software house creata da Ben Brode e da diversi ex-sviluppatori di Activision Blizzard.

Ben Brode, designer dietro a Marvel Snap ora e Hearthstone fino a qualche anno fa, può vantare di essere uno dei pochissimi sviluppatori di videogiochi di carte collezionabili, dove la parola chiave è: “videogiochi”; infatti, la maggior parte dei GCC presenti sul mercato videoludico sono riproposizioni digitali di quanto già esiste in forma cartacea: Magic Arena e Pokémon GCC su tutti. I videogiochi di carte collezionabili, invece sono opere non riproducibili su carta, a causa delle loro meccaniche casuali, più o meno amate. Le due opere maggiormente innovative del genere sono due, entrambe nate dalla mente di Ben Brode: Hearthstone e Marvel Snap.

Marvel Snap: Ben Brode
Copyright: TheGamer

Come si gioca a Marvel Snap

Ogni videogiocatore di Marvel Snap gioca con un mazzo da 12 carte, raffiguranti eroi e anti-eroi del mondo Marvel, in monocopia. Ogni partita è composta da 6 turni in cui ogni giocatore pesca e gioca le carte che ha in mano.

Tutte le carte hanno un costo e un valore d’attacco. I videogiocatori partono da 1 energia al turno uno e arrivano fino a 6 energie, a meno di regole all’interno del campo di battaglia che possono stravolgere questa regola.

Gli eroi di Marvel Snap sono giocati in uno dei 3 scenari di combattimento (sinistra – centrale – destra). Vince chi ottiene il maggior valore d’attacco su 2 dei 3 scenari di gioco. In caso di parità, vince il giocatore che ha la somma totale di valore d’attacco maggiore.

Marvel Snap Gameplay

Scenari

Gli scenari sono attualmente più di 50 e ci mostrano il motivo per cui Marvel Snap può esistere solo in digitale. Esattamente come alcune abilità delle carte di Hearthstone basate sulla casualità, gli scenari di Marvel Snap contengono delle regole così casuali che possono essere applicate solamente da un calcolatore.

Ad esempio: “Sostituisci tutte le carte di ogni mazzo con 10 carte casuali”; oppure: “La mano di ogni giocatore è riempita da carte casuali”. Queste regole rendono il gioco sicuramente meno prono al competitivo, ma del resto Hearthstone ha una scena competitiva e vale anche parecchi dollari.

Parole Chiave

Quasi tutti gli eroi e antagonisti di Marvel Snap hanno dei poteri – o come si dice in gergo tecnico: parole chiave. In questa prima fase del gioco, le parole chiave presenti sono 6:

  • Alla scoperta: l’effetto è applicato nel momento in cui la carta è girata sullo scenario. Solitamente corrisponde al momento in cui è giocata, ma alcuni scenari possono ritardare la rotazione della carta che è sempre posta coperta sul campo da gioco.
  • Effetto continuo: l’effetto è continuamente aggiornato; di conseguenza, giocare una nuova carta può cambiare gli effetti del potere.
  • Scarta: le carte sono scartate dalla mano.
  • Muovi: le carte sono spostate tra gli scenari.
  • Distruggi: le carte sono rimosse dal gioco.
  • Nessuna abilità: alcune carte non hanno poteri speciali.

Il meta ha già i suoi archetipi, che sono praticamente tutti basati sulle parole chiave di Marvel Snap.

All-in: la meccanica Snap

Il videogioco prende il nome da una meccanica decisamente rischiosa presente nel gioco. Durante la partita, vi è un enorme cubo sopra l’area di gioco. I giocatori possono cliccare sul cubo una volta ciascuno per ogni partita: farlo aumenta i punti classifica che si possono vincere, o perdere, durante la partita in corso.

Terminare una partita, senza cliccare sullo Snap, implica giocarsi al massimo un paio di punti classifica, che possono diventare quattro se un giocatore clicca sullo Snap o addirittura otto. I punti classifica ci permettono di passare da un rango all’altro (in totale 12) in base al nostro livello: il livello più basso è il numero 1, mentre il più alto è il 100.

Infine, nel caso in cui pensiamo di non avere possibilità di vittoria, possiamo sempre fuggire dallo scontro e perdere solamente il valore di Snap attuale.

Perché Marvel Snap non è pay-to-win

L’economia di gioco di Marvel Snap prevede la presenza di contenuti a pagamento, che possono velocizzare l’ottenimento di carte, ma che non rendono il gioco un pay-to-win; nel mio caso, non ho ancora speso un euro su Marvel Snap e ho una percentuale di vittoria ben oltre il 70% – che per un gioco di carte non è nemmeno poco.

Pool

Quanto descritto sopra è possibile grazie al sistema dei Pool.

Ogni giocatore ha un proprio livello di esperienza, che può aumentare attraverso l’upgrade delle carte. L’aggiornamento degli eroi Marvel non porta alcun beneficio alla forza delle carta, bensì garantisce alle carte delle aggiunte estetiche visibili in-game. Aggiornare una carta ci permette però di aumentare il livello del nostro account e di ottenere premi: crediti per l’upgrade delle carte; potenziamenti delle carte, che sono un’altra valuta utile per l’upgrade delle carte; una carta casuale dal nostro pool di riferimento, che dipende dal livello del giocatore. In particolare:

  • Pool 1: dal livello 18 al livello 214.
  • Pool 2: dal livello 222 al livello 474.
  • Pool 3: dal livello 486 e oltre.

Per esempio, nel primo pool sono presenti 46 carte, mentre nel secondo possiamo aggiungere alla nostra libreria altre 25 carte per un totale di 71. Anche se la fortuna permetterà ad alcuni giocatori di avere carte veramente forti un po’ prima degli altri giocatori, in generale ogni player affronterà avversari che hanno – più o meno – lo stesso numero di carte nella propria libreria. Di conseguenza, Marvel Snap è un vero free-to-play – e soprattutto non un pay-to-win – perché anche se l’acquisto in-game può velocizzare il percorso di livellamento del proprio account, il videogiocatore si troverà ad affrontare sempre avversari che hanno una libreria formata da circa lo stesso numero di carte.

Marvel Snap Battle Pass

Battle Pass Stagionali

Ogni stagione, di circa un mese, avrà il proprio Battle Pass. Questo contenuto permette di sbloccare alcuni livelli del Pass che altrimenti sarebbero bloccati. In questi slot, bloccati agli gli utenti free, ci sono crediti, oro, ma soprattutto Varianti delle carte. Le varianti sono delle carte con un artwork diverso da quello base. Questo significa che se non abbiamo ancora trovato quella carta nel nostro Pool, possiamo prendere la sua Variante e usarla. Come già detto, questo velocizza il processo, ma non ci fornisce quel vantaggio tipico dei giochi pay-to-win.

Conclusione

Marvel Snap – free-to-play che potete scaricare dal sito ufficiale seguendo i link dei vari store – è un gioco di carte veloce (una partita dura circa 3 minuti), divertente, facile da imparare ma impegnativo da masterare. Da giocatore di Hearthstone, il mio maggior timore era quello di trovarmi davanti un bel titolo difficile da mantenere nel tempo, poiché i suoi costi possono essere seriamente proibitivi.

Marvel Snap invece ha dimostrato di essere un vero free-to-play grazie a un’economia di gioco onesta in cui è premiata la costanza e il talento prima del denaro. Una caratteristica che mi ha molto sorpreso, dato che la dimensione perfetta di Marvel Snap è lo smartphone e il franchise si offre a un gioco pay-to-win. Second Dinner invece ha combattuto questo mio pregiudizio con un’opera che vi consiglio caldamente di seguire e che mi auguro possa continuare su questa strada per sempre.

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Recensioni

One More Gate: A Wakfu Legend – Provato dell’Early Access

Wakfu è il sogno che tutti gli aspiranti sviluppatori di videogiochi vorrebbero realizzare. Ankama è una società francese nata nel 2001 da tre soci fondatori: ANthony, KAmille, MAnu. Dopo il primo successo, l’MMO Dofus, Ankama si espande in diverse divisioni dando vita anche al mondo di Wakfu. La prima opera della saga è una serie animata, oggi disponibile anche su Netflix, ma il maggior successo arriva con l’omonimo MMORPG con combattimenti a turni. Oggi, Wakfu conta: tre film di animazione (OAV); tre stagioni della serie animata – è in arrivo la quarta; uno spin-off, un gioco di carte deck-builder con meccaniche roguelike, che abbiamo provato: One More Gate: A Wakfu Legend.

One More Gate: A Wakfu Legend: combattimento

Trama

Uno dei focus principali di Ankama è mantenere una fludità nella trama delle varie opere del mondo di Wakfu, integrandoli in un unico vasto universo – collegato anche a quello di Dufus. One More Gate: A Wakfu Legend sfrutta l’ampia lore e ci mette nei panni di Orobo, un giovane combattente, che ha distrutto un portale passandoci attraverso. Il compito del nostro alter ego è sistemare i portali, sconfiggendo tutti gli avversari che incontrerà nel suo cammino.

Gameplay

One More Gate: A Wakfu Legend è un gioco di carte con elementi roguelike e una progressione che si basa su quello che chiamerei try and level, poiché molte run saranno utili solamente ad accumulare esperienza e denaro al fine di avere un mazzo sufficientemente forte per andare avanti nel gioco.

Living Card Game

Il videogioco di Ankama Studios è un Living Card Game (LCG). Orobo inizia con un mazzo predefinito e può ottenere nuove carte in due modi: attraverso l’aumento di livello (l’esperienza si ottiene dopo ogni run); acquistando carte nel villaggio in cui siamo catapultati dopo ogni tentativo. In aggiunta, le carte possono essere potenziate accumulando una valuta ottenuta sempre durante l’esplorazione.

Le carte si dividono in tre gruppi: attacco, difesa e potenziamento. Ogni carta presenta tre sezioni: valore del costo, valore del danno/difesa/ponteziamento e un testo che spiega i dettagli, cioè se è un attacco singolo piuttosto che multiplo o se contiene delle parole speciali -ad esempio: poison o stampede.

In generale, è possibile costruire i mazzi sulle diverse parole chiave presenti nel videogioco. Purtroppo, le sinergie non sono ancora così efficaci come ci si può aspettare e i maggiori risultati si ottengono mettendo insieme le carte visibilmente più forti. Uno dei compiti degli sviluppatori nel prossimo futuro è sicuramente creare delle carte che rendano effettivamente conveniente costruire dei deck su archetipi basati sulle parole chiave del gioco.

One More Gate: A Wakfu Legend: deck build

Combattimenti

One More Gate: A Wakfu Legend è un gioco basato sulla tattica, poiché durante i combattimenti, sopra la testa di ogni avversario, possiamo vedere la sua mossa successiva. Questo permette di prepararci in anticipo tanto in difesa quanto in attacco. Ragionare sulla scelta da fare è molto importante, perché gli avversari sono coriacei e fanno parecchio male. Basta sbagliare un turno per compromettere l’intera run.

In combattimento, il costo di ogni carta varia da -1 a +6, che è anche il numero massimo di energia accumulabile; infatti, Orobo comincia lo scontro con tre energie e arriva fino a sei, turno dopo turno. Una volta sbloccate tutte le energie, e se usate tutte nel turno, è possibile giocare una carta perfect, solitamente un potente attacco singolo o ad area.

Il lato negativo della grande resistenza dei nemici è la frustrazione di dover affrontare continuamente gli stessi combattimenti con tanti turni e senza particolari colpi di scena. In particolare, gli avversari sono ancora troppo pochi e con un numero ridotto di azioni: il risultato è un’eccessiva ripetitività e una noia certa che potrà essere risolta solo portando nuovi contenuti.

Roguelike

Orobo affronta le sue missioni muovendosi su una mappa con percorsi multipli, come già visto in giochi basati sulle carte come Inscryption – che abbiamo anche recensito – oppure Hand of Fate. Nonostante le diverse possibilità di scelta, i percorsi sono alquanto statici, poiché le avventure si dividono in tre macro-blocchi scanditi da check-point in cui poter recuperare una parte dei propri punti vita. In ogni macro-blocco, i nemici e le aree che forniscono premi o bonus sono sempre gli stessi. Andando avanti è anche possibile affrontare delle quest secondarie, che garantiscono delle rune permanenti alla singola run; nello specifico, ci sono già un buon numero di rune, alcune delle quali possono cambiare il corso di ogni tentativo.

One More Gate: A Wakfu Legend: roadmap

Conclusione

One More Gate: A Wakfu Legend è un videogioco in pieno sviluppo, che potrà essere un ottimo passatempo se arricchitto con tanti e diversi contenuti. Attualmente, l’opera pena di noiosità, poiché i combattimenti con così poche scelte durano troppo a lungo, risultando ripetitivi.

Preciso che ho provato One More Gate: A Wakfu Legend su personal computer, ma il gioco da il meglio di sé in condizioni più agili; infatti, su PC il titolo è eccessivamente statico, mentre avere la possibilità di giocarlo su Nintendo Switch sul divano o in mobilità ha sicuramente tutto un altro gusto. Personalmente, consiglierei agli sviluppatori di portare il titolo su mobile dove riceverebbe feedback sicuramente positivi.

Aldilà della piattaforma, gli sviluppatori hanno mostrato alcuni guizzi, basati soprattutto sulla caratterizzazione dei personaggi – mi riferisco alle quest secondarie e i primi boss – che mi fanno ben sperare. In definitiva, il sistema di gioco ha una sua logica, che mi fa venir voglia di riprenderlo in mano tra qualche mese per vederne i progressi.

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Editoriali

Return to Monkey Island è un’anacronistica necessità

“Salve, sono Guybrush Threepwood, temibile pirata”: quanti di noi sono cresciuti con questo tormentone nella testa, agli inizi degli anni ’90, quando le avventure grafiche spopolavano tra i videogiocatori di Amiga? Era il 1990 e la Lucasfilm, poi Lucasarts, nota casa di produzione cinematografica già autrice di pietre miliari nel genere videoludico come Zak McKraken, Indiana Jones e Loom, tirò fuori dal cilindro The Secret of Monkey Island, avventura grafica che innumerevoli notti insonni regalò ai giovani dell’epoca, almeno nel mio caso). Il recentissimo Return to Monkey Island riprendere esattamente da dove eravamo rimasti, con l’obiettivo di chiudere la trama.

La storia

Protagonista della serie è Guybrush Threepwood, temibile pirata o quasi, che in realtà di temibile il personaggio ha ben poco: lo si può definire tranquillamente un farfallone, ironico e rubacuori, un molto ma molto fortunato piratucolo trovatosi nel momento giusto e al posto giusto. Ed è su questa linea che Ron Gilbert, geniale creatore della serie, fa proseguire il suo “vero” terzo capitolo dopo ben 31 anni dall’ultimo episodio. Return to Monkey Island (sviluppato TerribleToyBox con la collaborazione della Lucasfilm). È un ritorno al passato, un cerchio che si chiude, la ciliegina sulla torta, un “padre di famiglia” che finalmente ha deciso di raccontare la fine della storia, a noi che avendo giocato ai primi due capitoli a suo tempo un po’ tutti figli di Gilbert lo siamo.

Return of Monkey Island è un toccasana in questi tempi, in cui le avventure grafiche non vanno più di moda e dove le nuove generazioni rincorrono sparatutto con grafica fotorealistica. Si tratta di un ritorno alla sana ironia e al filone dei videogiochi dove è ancora necessario usare il cervello per arrivare alla fine.

A dire la verità, per quanto Return to Monkey Island sia un gioco con una trama che può essere completata in circa una decina di ore in modalità difficile (RTMI ha anche una modalità “leggera” con meno enigmi che impedisce ogni tipo di frustrazione), il mio consiglio è di prendersela comoda, di conoscere tutti i personaggi, di sperimentare ogni dialogo perché signori, il tutto vale davvero il prezzo del biglietto!

Ok bello, ma tecnicamente?

Tecnicamente Gilbert non si è molto discostato dal concetto del vecchio SCUMM, innovandolo però con una nuova interfaccia che prevede che il cursore identifichi gli oggetti con i quali si può interagire “suggerendo” l’azione da intraprendere in base agli oggetti stessi. La grafica, per quanto in fase di anteprima sia stata criticata da buona parte della comunità videoludica di appassionati e non, risulta a mio avviso ben riuscita, centrando perfettamente la caratterizzazione dei vari personaggi, dai protagonisti alle comparse. Gli enigmi sono ben calibrati riuscendo, nel contempo, a rappresentare una sfida adeguata senza appesantire la storia di sfide troppo cervellotiche che porterebbero alla frustrazione del giocatore.

Gilbert tra l’altro lo aveva anticipato nelle sue varie interviste prima dell’uscita del titolo, il 19 settembre: ha dovuto, in fase di realizzazione, privilegiare enigmi quanto più possibili lineari per andare incontro alla generazione attuale di videogiocatori, non disposta a sacrificare più tempo del dovuto come magari nei primi anni ’90. In quest’ottica, altro supporto ai videogiocatori è dato dal libro degli aiuti, disponibile sin dai primi istanti nell’inventario di Guybrush e utilizzabile a piacimento. “Se il giocatore si barcamena cercando aiuti su internet, tanto vale che glieli diamo direttamente noi del team di sviluppo, che il gioco l’abbiamo creato” ha affermato Ron Gilbert.

Quella mente geniale di Ron Gilbert

La trama di Return to Monkey Island

La storia di Return to Monkey Island inizia esattamente dallo stesso punto in cui è finito il secondo capitolo, prendendo la piega che probabilmente aveva in mente Gilbert sin dal principio. Certo, ha dovuto fare i conti col passato e con il fatto che prima di RTMI sono usciti altri tre capitoli, ma grazie a dei flashback narrativi e al libro dei ricordi, il giocatore viene riportato immediatamente sui giusti binari della storia.

Sono passati anni da quando Guybrush ha cercato di mettere le mani sul Segreto di Monkey Island, di fatto non riuscendoci a causa del malvagio pirata fantasma Le Chuck che si è rivelato avere il suo stesso obiettivo. Ora si ritrova di nuovo sull’isola di Melee: tante cose sono cambiate ma non la voglia del nostro eroe di scoprire il Segreto. Venendo a sapere che Le Chuck sta mettendo su una ciurma per salpare verso l’Isola della Scimmia, trova il modo di salpare anche lui.

Tutto qui?

Le cose si complicano quando entra in gioco anche un trio di pirati improbabile, salito alla ribalta come nuovo comando pirata dell’isola di Melee e che, attraverso la magia oscura, cerca anch’esso il Segreto alleandosi a fasi alterne, con una spruzzata di un pò di sano doppiogiochismo piratesco, con Le Chuck. Ci saranno nuove isole da esplorare e nuovi personaggi da incontrare, ma anche alcune conoscenze di vecchia data: i riferimenti al passato sono numerosi lungo tutto il gioco, e avremo nuovamente a che fare con Carla, Stan, Otis, Herman.

Se una nota si può appuntare a Ron Gilbert è che, a volte, è davvero estenuante dover andare da un punto all’altro della mappa perché magari ci si rende conto di non aver preso un oggetto…ma d’altronde, è questo lo spirito di un’avventura grafica (peraltro i tempi di percorrenza vengono efficacemente ridotti), fino allo scontro finale, il faccia a faccia tra Guybrush e Le Chuck da tutti atteso, scontro in cui colui che ne uscirà vittorioso avrà finalmente in mano il desiderato Segreto di Monkey Island!

Conclusioni

RTMI è un gioco da provare, adatto sia a chi non ha mai avuto a che fare con un’avventura grafica e non conosce la saga, sia ai fan di vecchia data di Guybrush per i quali diventa un “must have”, imprescindibile prosecuzione (e fine?) del percorso fatto finora tra isole, spade, vascelli e zombie fantasma.

Return to Monkey Island è un gioco di altri tempi di cui si sentiva proprio il bisogno, un prodotto quasi anacronistico ma tremendamente attuale per chi lo aspettava da ben 31 anni. Sembra ieri aver lasciato Guybrush e affini in quel criptico finale di Monkey Island 2, e oggi eccoci qui, con in mano un bellissimo seguito in cui i dialoghi, la satira, l’ironia ci accompagnano nell’opera, forse, di commiato di Ron Gilbert. Saluteremo probabilmente Ron, ma in futuro credo proprio che la saga proseguirà. Monkey Island continuerà a vivere e quel piratucolo senza nessuna speranza con un nome più assurdo della sua ambizione avrà ancora altre avventure da affrontare.

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Recensioni

FIFA 23 – Recensione: Ultimate Team ha un nuovo Meta, ma scarso realismo

Recensione in BREVE

FIFA 23 prova a virare sul realismo, ma con scarso successo. La nuova tecnologia HyperMotion2 rende il controllo di palla dei calciatori più complicato, ma lo stile arcade dell’opera di Electronic Arts non subisce alcuna variazione. I videogiocatori di Ultimate Team troveranno interessanti gli stili di corsa introdotti dall’algoritmo AcceleRate, ma il solo cambio di Meta su FUT non è l’innovazione che mi aspettavo.

7.5


FIFA 23 sarà l’ultimo titolo calcistico di EA Sports a portare il nome della federazione internazionale di calcio. Solo il tempo ci dirà i reali motivi di questa scelta, ma se ma tre indizi fanno una prova, possiamo ipotizzare il movente. La motivazione – più o meno – ufficiale parla di richieste eccessive da parte della FIFA; a questa motivazione, possiamo aggiungere la nascita della Superlega e la presenza della Juventus di Andrea Agnelli in quest’ultima versione del gioco. Tre indizi che mi fanno pensare che la Superlega sia viva e stia tramando nell’ombra una rivoluzione. La stessa che promette FIFA 23, ma che come vedremo in questa recensione è solo un leggero passo avanti.

Nonostante il franchise di Electronic Arts contenga diverse modalità, la maggior parte delle analisi di questa recensione sarà dedicata al gameplay e alla modalità che è il motivo per cui FIFA 23 ha il maggior fatturato dell’industria: Ultimate Team.

Gameplay: tante aggiunte, nessuna novità

Il motore che porta avanti il calcistico di EA Sports passa inevitabilmente dall’hype che si genera ogni estate nella speranza di vedere un prodotto che sia più simile possibile alle utopiche aspettative di noi videogiocatori. FIFA 22 pensare di portare il realismo con HyperMotion (su next-gen), ma il risultato è stato un titolo in cui l’utente è eccessivamente aiutato dall’intelligenza artificiale.

FIFA 23 espande la sua tecnologia e la chiama HyperMotion2. Electronic Arts ha raccolta oltre 6.000 animazioni, le ha mischiate con un algoritmo di machine learning e ha provato a rendere gli atleti più reattivi e i loro movimenti più realistici. I risultati – positivi e negativi – si notano su due fronti: le animazioni e gli stili di corsa.

Recensione FIFA 23: HyperMotion 2

Le nuove animazioni

Durante le primissime partite, ho avuto l‘inquietante sensazione che l’HyperMotion2 avesse creato un gameplay molto, troppo simile a eFootball 2023. I giocatori manovrano il pallone con più lentezza rispetto al passato, quasi zavorrati da un pallone più pesante del solito; andando avanti mi rendo conto che non si tratta di una sensazione, ma di un vero e proprio peggioramento delle abilità tecniche di ogni giocatore, soprattutto i più agili. Anche i giocatori più tecnici e leggeri non possono più girarsi e rigirarsi continuamente sul posto – una delle azioni meno realistiche e più fastidiose delle precedenti edizioni del gioco. Per arrivare in porta, bisogna imbastire un’azione corale basata soprattutto sui passaggi di prima, che ho trovato eccessivamente precisi anche con giocatori di scarsissimo valore.

Purtroppo, la sensazione di realismo finisce qui; infatti, FIFA 23 si basa su repentini contropiedi in cui ritorna prepotentemente il tanto odiato lancio lungo sulla punta fisica e veloce (chi ha detto Kylian Mbappé?).

Le animazioni di FIFA 23 hanno anche un altro lato negativo: i rimpalli. Ho seguito la scena competitiva per qualche giorno e il feeling dei pro-player è la stessa che ho ravvisato anche io: le nuove animazioni hanno creato una serie di rimpalli inverosimili.

In questo momento, lo scenario su FUT è proprio quello che state immaginando: contropiedi fulminei, lanci lunghi e rimpalli fortunosi. Le partite su Ultimate Team sembrano sembrano dei flipper in cui la palla corre, ma i giocatori sono troppo macchinosi per seguire la sfera. Una dicotomia strana che rende il nuovo capitolo di EA Sports uno strano ibrido: i difetti dell’ex PES si uniscono all’arcade game di FIFA, in un mix strano, comunque ancora molto legato al passato del franchise dell’azienda di Redwood City.

Stili di corsa

Gli stili di corsa sono ancora un mistero per l’intera community, ma sembra possano cambiare radicalmente il Meta di Ultimate Team; infatti, potrebbero rendere giocabili alcuni calciatori che prima erano ingiustamente impacciati: tra gli attaccanti Erling Haaland e Robert Lewandowski; tra i difensori Virgil van Dijk.

Fino ad oggi, oltre alle statistiche, i calciatori di FIFA si dividevano per body type – la loro struttura fisica – che poteva cambiare completamente l’impatto delle statistiche del calciatore. A questa feature, adesso si aggiunge anche lo stile di corsa introdotta da un nuovo algoritmo; AcceleRATE modifica lo il modo di correre di ogni giocatore in tre categorie: controllato, esplosivo o prolungato. La formula prevede che un giocatore piccolo e agile sia veloce sul breve e perda terreno sul lungo (corsa esplosiva); un difensore alto e forte avrà meno accelerazione, ma guadagnerà terreno sul lungo periodo.

I veterani probabilmente ricordano che qualcosa di simile già esiste con la suddivisione in accelerazione e velocità scatto nella statistica della velocità, ma su FIFA 23 le cose sono molto più interessanti. Lo stile di corsa ha un impatto importantissimo nella struttura di un giocatore, così tanto da cambiare il Meta di Ultimate Team. In aggiunta, alcuni videogiocatori si sono accorti che lo stile di corsa cambia in base ai parametri del calciatore, al netto degli stili intesa. Una scoperta che potrebbe creare nuove scelte nella costruzione della propria squadra.

Recensione FIFA 23: Stili di Corsa

Power Shot e Calci Piazzati

Il tiro potente è una nuova feature, potenzialmente letale: premendo i dorsali (L1+R1) mentre si tira, il calciatore simula un vero e proprio tiro della tigre. Il nuovo tiro è molto forte, ma ha due malus: come insegna Kojiro Hyuga, richiede del tempo per essere caricato; inoltre, il tiro ha una direzione praticamente manuale, come i colpi di testa: svirgolare è veramente semplice. Vale la pena masterarlo? Sì, anche perché quando tirate la camera si stringe creando un effetto in stile “anime giapponese” che tanto abbiamo amato da piccoli.

Infine, gli sviluppatori di Redwood hanno messo mani anche ai calci piazzati, rendendoli meno dinamici e molto simili a quanto abbiamo già avuto modo di vedere sui vari capitoli di Pro Evolution Soccer; in pratica, decideremo l’effetto da dare al pallone prima di calciare, con l’utilizzo della levetta analogica destra.

Recensione FIFA 23: Tiro Potente

FUT: FIFA Ultimate Team

La modalità regina del nuovo modello di guadagni videoludico si aggiorna con diverse novità, tutte molto piacevoli.

Nuova intesa

Il maggior cambiamento di FUT 23 è il nuovo sistema di intesa tra i calciatori. Gli sviluppatori di EA Sports hanno rimosso il vincolo per cui l’intesa doveva essere creata tra giocatori contigui; ora, l’intesa può essere di tre livelli – indicati da altrettanti rombetti – e aumenta quando il team contiene, indipendentemente dalla posizione, calciatori che giochino nello stesso campionato, squadra o siano della stessa nazionalità. L’enorme vantaggio è la possibilità di avere i migliori giocatori di ogni squadra, senza dover portarsi dietro un intero reparto.

La limitazione imposta da FIFA 23 è sul ruolo di ogni calciatore. Finisce l’era di Mbappé centrocampista centrale: ogni membro della squadra può ricoprire un numero limitato di ruoli, solitamente molto simili a quelli di origine. Fortunatamente, non tutti i mali vengono per nuocere; infatti, alcuni esterni possono giocare su entrambe le fasce mantenendo la massima intesa. Questo crea maggior realismo, che aumenta ulteriormente quando Pierluigi Pardo scandirà l’intera formazione, con ogni calciatore nel proprio ruolo.

Cross-Play

Il tanto desiderato cross-play è finalmente arrivato anche su FIFA. Nel mio caso, giocando su Xbox Series X, la nuova feature mi ha fatto incontrare soprattutto utenti provenienti dal mondo PC. Durante queste partite, il gameplay è sempre stato piacevole; inoltre, avere un unico mercato (console) aumenta ulteriormente la godibilità della modalità. Purtroppo, il competitivo è ancora relegato a un’unica console: PlayStation 5, con buona pace degli utenti Xbox e PC.

Infine, un’interessante aggiunta per i try harder sono i Momenti: una nuova modalità di Utimate Team, che prevede il completamento di diverse mini-sfide. Rispetto alle Squad Battles, in cui si ricevono pacchetti ogni settimana, le sfide dei Momenti permettono di accumulare delle stelline scambiabili nell’apposito negozio per pacchetti – al momento solo “normali”.

Recensione FIFA 23: Momenti

Grafica: manca ancora qualcosa

Anche se la recente debacle ne ha ridimensionato la fama, Pro Evolution Soccer è sempre stato un passo avanti in termini di qualità visiva, soprattutto nei volti degli atleti. Lo stesso vale quest’anno: FIFA 23 è carino da vedere, ma non scatena mai l’effetto wow che ci si aspetta da una produzione di Electronic Arts.

I volti di FIFA 23 sono a tratti eccezionali, ma troppe facce famose del panorama europeo che non hanno ricevuto la giusta attenzione. Il problema si accentua ulteriormente in tutto il contorno stilistico: dallo stadio al pubblico, tutto sembra ancora ben lontano dal realismo che eFootball riesce a fornire, nonostante tutto.

Le tracce audio invece sono sempre di altissimo livello, anche quest’anno.

Le altre novità

La modalità Carriera non offre particolari sussulti. Equamente divisa tra Allenatore e Giocatore, la modalità Carriera di FIFA 23 permette di impersonare i più famosi allenatori come Pep Guardiola o Antonio Conte.

L’unica novità della modalità Pro Club e Volta Football è il loro accorpamento in un’unica entità.

Per quanto riguarda i contenuti, invece Electronic Arts ha già portato nel suo nuovo titolo i club di calcio femminile e aggiungerà nei prossimi mesi anche l’evento dell’anno: la FIFA World Cup Qatar 2022.

Conclusione

EA Sports punta ancora sulla sua tecnologia basata su dati e l’intelligenza artificiale. HyperMotion2 porta dei cambiamenti, ma il risultato è ben lontano dal realismo preannunciato. FIFA 23 è il solito titolo arcade, reso un po’ più ibrido, sicuramente più macchinoso, ma non troppo diverso dai sui predecessori.

I maggiori cambiamenti dell’HyperMotion2 si riscontrano nel Meta della modalità Ultimate Team, che potrà fare a meno dei giocatori molto agili e sembra aver dato una dignità a calciatori di grande spicco del calcio mondiale fino ad oggi ignorati dai pro player. I giocatori di FUT che già apprezzano la modalità, troveranno FIFA 23 interessante. Chi non ha mai amato Ultimate Team invece non ha grandi motivi per provare questa nuova annata calcistica.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Sportivo, Calcio
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: Si
  • Prezzo: 79,99€
  • Piattaforme: PlayStation 5, PlayStation 4, Xbox One, Xbox Series S|X, PC
  • Versione provata: Xbox Series X

Ho solcato i campi nazionali e internazionali per oltre 25 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Recensioni

Soulstice – Recensione: dinamico orgoglio italiano

Recensione in BREVE

Soulstice mi ha stupito. La trama originale e l’ottima caratterizzazione dei personaggi principali sono dei buoni punti di forza. La “sinergia” che si crea in campo di battaglia fra le sorelle, sia nel gameplay che nella narrazione, lo rende un titolo credibile. Il set di armi, i comandi disponibili e le modalità presenti fanno in modo che il gameplay risulti innovativo e fresco. Tecnicamente l’aspetto grafico è buono seppur migliorabile e la colonna sonora risulta godibile ma non miracolosa. Videogioco di qualità, che farà parlare di sé nonostante non rivoluzioni il genere.

8.5


Soulstice è la prima avventura, tutta italiana, di Reply Game Studios e si è rivelata di assoluta qualità; un hack-n-slash con un volto da action RPG, dalle tinte orientaleggianti che strizzano l’occhio ai classici del genere, come la saga Devil May Cry, opera che, come vedremo in questa recensione, ha sicuramente ispirato gli sviluppatori di Soulstice.

Questo genere di giochi ha degli elementi classici che li caratterizzano, primo fra tutti le spettacolari scene d’intermezzo, caratterizzate da atmosfere intense e colori vivi. Elemento di spicco è anche il combat system, che in un gioco del genere deve essere passato sotto la lente d’ingrandimento, essendone il punto cardine del gameplay. Già, perché ogni gioco che vuole essere considerato importante deve porre la giocabilità alla base, così da legare insieme tutti gli elementi di trama e tecnici in un unico corpo.

L’assenza di bug infine è diventata una caratteristica desiderabile ed assolutamente non scontata, per evitare potenziali terremoti – come i recenti disastri che hanno colpito titoli importanti come Cyberpunk 2077.

Tecnicamente solido

La Breccia di Ilden in Soulstice
La Breccia nella città della Portatrice della Fiamma

Il comparto grafico è di discreto impatto anche se si deve ammettere che, rispetto a titoli blasonati, pecca di qualità. Impostando infatti i dettagli al massimo, non si ottengono effetti sbalorditivi ma solo di buona qualità. Con le texture, ombre, antialiasing e risoluzione al massimo si notano comunque le scalettature dell’immagine, anche se i dettagli dei volti e della fisionomia delle due protagoniste rimangono godibili e di buona fattura.

Discorso a parte meritano i video, che hanno una discreta resa grafica, sono interessanti e godibili. Aiutano molto bene a spiegare la trama e si riescono a seguire senza essere troppo concitati, riuscendo a cogliere anche i dialoghi.
Ciò fa pensare che nonostante i buoni video, la resa grafica finale sia mediocre. Si poteva fare meglio, decisamente.
Per quanto riguarda l’audio abbiamo musiche di discreta qualità, che fanno da buon accompagnamento durante i combattimenti ed i video. Fa il suo lavoro il comparto audio dunque, senza infamia e senza lode, non facendo gridare di certo al miracolo.

Il Caos e gli Dei come non gli avete mai visti

Briar e Lute di Soulstice
Briar e Lute, le due sorelle protagoniste

L’universo di gioco è basato su un mondo costruito da tre combattenti che hanno imbrigliato e dato forma al Caos, creando l’uomo. Una premessa originale, seppur presenti più di un richiamo a giochi storici.

Di sicuro è anche molto interessante la storia delle nostre protagoniste, Briar e Lute. Briar è la cinica combattente bendata e Lute la sua Ombra, una sorta di fantasma guida per ogni Chimera.

L’intera avventura è incentrata sulla scoperta del misterioso fenomeno che ha provocato una sorta di enorme squarcio nel cielo, da cui stanno uscendo creature malvagie capaci di impossessarsi delle persone e distruggere tutto ciò che incontrano. Ma il viaggio non è solo questo, è anche una scoperta dell’intimo legame presente fra le sorelle. Questo elemento è fondamentale durante la storia, poiché capace di rendere interessante e profonda l’avventura, dando quel qualcosa in più alla solita distruzione di mostri vari.

Il connubio trama/gameplay è un collante non da poco, rendendo il gioco più divertente ed appetibile.

Combattimenti dinamici ed innovativi

Boss Fight
Uno degli scontri con un boss

Parliamo del combat system, la base di ogni action RPG ed hack-n-slash che si rispetti. Devo dire che sono rimasto anche qui piacevolmente stupito. Le due sorelle hanno abilità nettamente distinte e complementari, entrambe fondamentali da padroneggiare. Se da una parte questa è una pecca, in quanto obbligano ad un certo grado di familiarità con i comandi e switch fra gli stessi durante i combattimenti, ne è anche l’elemento di forza.

Le capacità di Briar di padroneggiare varie armi, in numero peraltro affatto limitato, con varie combo associate ed intercambiabili in corso d’opera, già arricchisce molto le possibilità di combattimento. A questo si deve aggiungere la capacità di intervallare azioni di attacco con quelle complementari della sorella Lute, non necessariamente solo di difesa.

Ci si trova per questo spesso a non dover attaccare forsennatamente ma anche difendersi con le abilità di Lute, da utilizzare al momento giusto. Sì, perché se non si agisce con il giusto tempismo si subisce un attacco, e questo oltre al danno contribuisce al ridurre la sintonia fra sorelle. E la sintonia non è solo un elemento di contorno, ma è anche ciò che permette di compiere attacchi in modalità furia, se caricata a dovere.

Briar in modalità Furia
Primo piano di Briar in modalità Furia

Che cos’è la furia? È un modalità in cui le abilità di Briar e Lute vengono amplificate, votando però tutto sull’attacco per un breve lasso di tempo. La finisher, ovvero l’attacco al culmine e poco prima del termine della modalità, dipende dall’allineamento di Lute.

Qui entra in gioco l’albero delle abilità di Lute. Anche Briar ha il suo, orientato alle armi e relative combo da sbloccare con i punti. Per quanto riguarda l’Ombra però, dipende tutto da che stili di attacco e difesa si prediligono. Si, perché scegliendo attacchi che provocano danni enormi, si favorisce uno stile di combattimento Caotico, con diretti effetti sugli attacchi furia e relative conseguenze. Con stile Caotico ad esempio si perde una certa quantità di salute ad ogni attacco finale di Furia, mentre con un orientamento Equilibrato si ottiene un attacco più contenuto ma senza arrecare alcun danno a Briar.

C’è infine la padronanza di Lute dei campi di Esilio ed Evocazione. I campi sono delle “bolle” dove combattere determinati tipi di nemici e rompere blocchi simili a rocce, che impediscono l’accesso a determinate aree di gioco. Per questo i campi hanno duplice funzione di elementi di contorno fuori dal combattimento ed elementi attivi nel combat system, in cui si deve swithcare tra le due protagoniste per affrontare certi tipi di nemici. Se si utilizzano per troppo tempo i campi senza abbassare l’entropia, si rischia il sovraccarico e si perde Lute per qualche secondo. Dunque, il combat system mi sembra decisamente innovativo ed a mia memoria non mi pare di aver visto nulla di simile. Complimenti agli sviluppatori davvero!

Ottimo lavoro made in Italy

Briar in combattimento
Briar in un momento di difficoltà

Come elemento di menzione speciale, non si può non far presente che la casa di sviluppo è tutta italiana. Comincia ad essere maturo il mondo del gaming nostrano, con giochi di primo ordine ormai abbastanza consolidati all’orizzonte. Di sicuro Soulstice entrerà a far parte di questo Pantheon di titoli, con merito.

Il combat system merita attenzione per innovatività e capacità di essere coinvolgente, nonostante la non troppa facilità di padronanza. Unito al legame fra trama e combattimento, ci si trova davanti a davvero un ottimo titolo action che sono sicuro farà parlare di se.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Hack-n-Slash, Action RPG
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: No
  • Prezzo39,99€
  • Piattaforme: PC, Xbox Series X/S, PlayStation 5
  • Versione provata: PC

Ho attraversato le lande del Sacro Regno di Keidas per circa 20 ore, grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Recensioni

Cult of the Lamb – Recensione: una dissacrante liturgia

Recensione in BREVE

Cult of the Lamb è divertente nella sua semplicità. L’idea di trovare un punto di contatto tra un roguelike in stile The Binding of Isaac e un gestionale alla Harvest Moon è vincente, ma durante le ore passate a giocare, ci si aspetta un climax di crescente difficoltà che non arriva mai. I giocatori meno esigenti troveranno il titolo soddisfacente, mentre i fan dei roguelike non saranno mai messi veramente alla prova.

8.5


Il calendario annuale dei videogiochi ha dei dogmi ben precisi: se un gioco esce durante la settimana di ferragosto, non sarà memorabile. Questa dottrina, unita alla voglia di spiaggia, ha posticipato la mia recensione di Cult of the Lamb. Un peccato mortale.

Cult of the Lamb è il terzo titolo, non mobile, di Massive Monster. La software house australiana, che ha accumulato esperienza con i platform, ha unito le forze con l’ormai celebre publisher Devolver Digital per portare sul mercato un irriverente roguelike con accentuate meccaniche gestionali dalla grafica dolce e dai toni cupi.

Rinascere profeta

Il protagonista dell’opera è un agnello, letteralmente, sacrificale. Cult of the Lamb inizia con il nostro eroe pronto per essere sacrificato sai quattro vescovi simil-lovecraftiani. In realtà, il sacrificio è reale e la vita del povero agnello, apparentemente, termina; almeno fino a quando non ha un incontro onirico con The One Who Waits: una divinità imprigionata alla ricerca di un profeta che possa dare il via alla sua nuova ascesa. Ovviamente per farlo sarà necessario demolire l’attuale religione a favore della nostra.

Come altri videogiochi moderni – per esempio, Fire Emblem: Three Houses di cui abbiamo già parlato in passato – Cult of the Lamb si dirama su due piani: combattimenti e gestione.

Ogni credo che si rispetti ha un cospicuo numero di fedeli. L’agnello, cioè il videogiocatore, li recupera all’interno dei dungeon più pericolosi, uno per ognuno dei quattro vescovi. Solitamente si tratta di povere creature pronte per il sacrificio, che prima l’agnello salva e poi li converte alla nostra religione, facendogli spesso fare una fine anche peggiore.

Cult of the Lamb: i sermoni

Gestionale

La gestione del credo prevede mantenere un villaggio pieno di fedeli basato su tre indicatori: fame, malattie e fede. La fame si attenua cucinando cibo per i nostri credenti, mentre le malattie si curano facendo riposare i malati e mantenendo pulito il villaggio. Infine, la fede può essere tenuta alta esercitando rituali. Come dicevamo però, il nuovo profeta non è necessariamente migliore dei suoi predecessori e l’agnello può sacrificare i suoi discepoli per un bene maggiore, molto spesso molto conveniente per il proseguo del gioco.

Durante la fase gestionale, ho passato per la maggior parte del tempo all’interno del villaggio dove l’agnello può, o incaricare i suoi adepti, di raccogliere risorse (legno e pietre) o pregare per aumentare la devozione. Sotto le vesti dell’agnello possiamo anche creare nuove strutture ed eseguire una serie di riti all’interno del Tempio; in particolare, le liturgie sono tre: sermon, per aumentare i bonus quando entriamo all’interno di un dungeon; crown, per instaurare nuove dottrine che aumentano la nostra forza in combattimento e aggiungono nuovi rituali; rituals, liturgie di vario genere, tra cui i sacrifici, per migliorare lo status del villaggio e dei suoi abitanti.

Cult of the Lamb: il villaggio

L’esplorazione

Una volta usciti dal villaggio è possibile raggiungere due luoghi: i dungeon e altre zone della mappa in cui alcuni NPC incontrati durante le missioni ci permettono di completare una serie di quest secondarie.

Nella parte bellicosa di Cult of the Lamb, il numero quattro si ripete più volte. Quattro sono i vescovi, quattro sono le tipologie dei dungeon e quattro sono le volte che bisogna ripetere le zone di guerra prima di affrontare il boss finale dell’area.

Una volta dentro i dungeon – come già visto in tantissimi roguelike come Darkest Dungeon – una mappa permette all’agnello di scegliere il percorso sino alla battaglia finale. Ogni luogo d’interesse può avere diversi incontri, più o meno positivi, tra cui gli, ovviamente, gli scontri.

I combattimenti

I combattimenti sono abbastanza basilari. Qunado l’agnello entra in una stanza, deve essere l’ultimo, e unico, a uscirne. Per farlo, può attaccare con la sua arma o con una maledizione (una magia): le armi si differenziano per velocità e danni causati; le maledizioni sono scelte casualmente all’inizio di ogni dungeon da un pool ampliabile con perk ottenuti con i sermoni. Infine, si può schivare e saremo invulnerabili in quel momento.

I nemici, così come i dungeon, sono pochi, ma ogni avversario ha i suoi pattern da imparare pressoché a memoria. I boss, e mini-boss, hanno degli schemi d’attacco più complicati rispetto ai normali nemici, ma a livello normale – difficoltà consigliata dal gioco – ho terminato il gioco morendo soltanto una volta durante l’ultimo boss del videogioco.

Conclusione

La recensione di Cult of the Lamb non può non considerare la dissacrante satira rivolta alle religioni. Non ci sono giri di parole: la vita dell’agnello è stata risparmiata e gli sono stati donati enormi poteri. Non c’è alcun bonus se si trattano bene i propri discepoli; anzi, più si è senza scrupoli, più si progredisce velocemente. L’agnello è in realtà solo un travestimento per il lupo. Nonostante l’intera trama contenga tante, troppe, similitudini con Death’s Door – un’altra opera indie di Devolver Digital che abbiamo anche recensito – Cult of the Lamb ha molto carattere e una veste grafica 2.5D originale.

Cult of the Lamb non è un gioco perfetto, poiché troppo semplificato nelle meccaniche, tanto quelle gestionali quanto nei combattimenti. Però è dannatamente assuefacente. Il roguelike di Massive Monster mi ha fatto continuamente pensare: “Ancora una stanza” oppure: “Ancora un sermone”, cioè qualcosa di assolutamente non necessario perché il quick resume di Xbox Series X permette di riprendere da qualsiasi punto ogni volta che si vuole.

Ancora una volta, Devolver Digital è riuscita ad attirare la mia attenzione. Questa volta non è un must-have, ma un videogioco che riesce a mettere insieme tutte le meccaniche più amate dei titoli recenti in un videogioco immediato, divertente e dissacrante.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Azione, Roguelike, Gestionale
  • Lingua: Inglese
  • Multiplayer: No
  • Prezzo: 29,99€
  • Piattaforme: PC, Playstation 4, PlayStation 5, Xbox One, Xbox Series S|X, Nintendo Switch
  • Versione provata: Xbox Series X

Ho rafforzato il culto dell’Agnello in circa 15 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.