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Train Sim World 3, aspiranti macchinisti cercasi

La sveglia era suonata presto quella mattina. Il servizio iniziava alle 5.13, dovevo portare la mia fida locomotiva da New York Penn a Trenton. Dovevo avviarla, assicurarmi che tutto funzionasse e approntarla per il servizio viaggiatori che da lì a poco avrebbe svolto con la consueta puntualità.

Le luci dell’alba risultano ritardatarie rispetto alla sveglia del ferroviere, l’odore del ferro, che solo chi vive la ferrovia può sentirlo, il rumore dei compressori che si avviano e del pantografo che si alza. Gli operatori di movimento scambi, pronti nelle rimesse, i capistazione al loro posto a garantire la sicurezza della circolazione ferroviaria, macchinisti e capitreno pronti a guidare e scortare treni su e giù per le reti sociali.

Vita sacrificata quella dei ferrovieri, ma ricca di soddisfazioni! Fortunatamente i nostri amati videogiochi ci danno l’opportunità di sperimentare anche mestieri, bypassando i sacrifici e facendoci provare solo il divertimento e lasciandoci tante soddisfazioni.

E’ questo il caso di Train Sim World 3 (TSW) della Dovetail Games. Simulatore di treni che conferma la bontà del lavoro svolto dopo già vari episodi, i primi due più TSW 2020 e Rush hour. Tutti ottimi titoli apprezzati sia per il comparto grafico che per la profondità simulativa. E TSW 3 non è da meno, uscito il 6 settembre scorso per PC, Xbox e PS, lascia a bocca aperta per la grafica, la cura dei dettagli, la maniacale riproduzione dei treni e delle cabine di guida.

Ogni dettaglio è lì, dove esattamente ce lo aspettiamo, addirittura, guidando il treno, ci si può rendere conto, tra l’altro, della direzione che il treno prenderà da lì a poco, verificando come è disposto lo scambio che si sta per superare (come avviene nella realtà in fin dei conti).

Servizio cargo e merci

Il simulatore e le linee

Ma procediamo con ordine. Non vi aspettate un mondo libero tipo Flight Simulator. Non si può prendere il treno e girare per tutto il mondo conosciuto. Il simulatore è provvisto di scenari specifici, la versione standard ne prevede tre, il Cajon Pass, basato su trasporto merci con muscle-locomotive cazzute che trainerebbero anche Hulk su per i pendii.

Lo scenario ambientato sulla SouthEastern High, delicata ed altolocata ferrovia inglese a sudest di Londra, tra il Kent ed il Sussex per la precisione, sulla quale potrete provare, tra gli altri, il bellissimo Javelin, treno ad alta velocità che in base alla linea percorsa può sfruttare sia la corrente fornita dalla linea aerea sia quella fornita, in alcuni tratti, dalla terza rotaia.

Ed infine l’impressionante Schnellfahrstrecke Kassel-Wurzburg, certo, molti di voi penseranno che sia impressionante per l’impronunciabilità e lunghezza del nome, è vero, anche, ma la ferrovia appena poco più sopra citata è impressionante anche per la bellezza dei paesaggi che attraversa e per le mastodontiche opere di ingegneria civile da cui è composta: gallerie, ponti e viadotti. Sulle sue linee, sfrecciano i treni ad alta velocità Ice1 e Ice3 e guidarli è un vero piacere.

Le locomotive

I treni sono vari, locomotive straniere, ovviamente, purtroppo di italica produzione non è presente nulla. Tutti i treni, quelli presenti già nel gioco e tutti quelli eventualmente acquistabili successivamente sono fedeli alla realtà. Per chi si aspettasse qualcosa di arcade, farebbe meglio a rivolgere la sua attenzione ad altro, perché qui se non si sa “quali bottoni schiacciare” e quali checklist seguire (tra l’altro differenti per ogni treno), non si parte.

Anche se il funzionamento di ogni locomotiva, di massima è più o meno uguale, la combinazione delle due differisce da treno a treno. Una leva per dare “trazione” ovvero sfruttare la corrente della linea aerea oppure dare potenza ai motori, nel caso di trazione diesel, e una leva per applicare il freno, a volte anche più di un freno. Quello pneumatico e quello elettrico, ma ciò avviene solo nelle locomotive più “pesanti” come quelle cargo o i lunghissimi treni viaggiatori.

Nelle locomotive più moderne, di solito, la leva di acceleratore e freno coincide, semplicemente si tira la leva a sé per accelerare e la si spinge in avanti per frenare (questo è anche un motivo di sicurezza ferroviaria, poiché se il macchinista dovesse sentirsi male, accasciandosi, ad esempio, in avanti, la mano, che deve essere sempre sulla leva per un pronto intervento, andrebbe in avanti, frenando, di fatto, il convoglio).

Il Centro di Addestramento

Ma non abbattetevi, a guidarvi passo passo su come si guida un treno, o meglio, come si guidano le varie locomotive, oltre al manuale, in formato PDF of course, è presente un corposo centro di addestramento. Un tracciato, creato per l’occasione, che si può esplorare a piedi e dove si possono guidare tutte le locomotive presenti nel simulatore e, grazie ad una voce guida, scoprirne segreti e procedure.

È stato fatto un bel passo avanti rispetto ai precedenti episodi dove l’addestramento avveniva in linea, con orari da rispettare e viaggiatori da trasportare. Meno ansie, grazie al nuovo Centro di Addestramento.  

Menù e clima dinamico

I menù di gioco sono puliti e gradevoli, accompagnati da una rilassante melodia ed intervallati da scrosci di pioggia e di vento. Questi suoni non sono messi lì a caso. La caratteristica infatti introdotta in questo terzo capitolo del simulatore è il clima dinamico. Che significa?

Significa che che mentre sarete in viaggio, il clima potrà variare casualmente. Partirete con cielo terso pomeridiano, potrete attraversare una perturbazione e arrivare a destinazione di sera, di nuovo con cielo limpido costellato di stelle.

Questa caratteristica, così come l’alternanza giorno/notte, contribuisce a fare percepire al giocatore il tempo che passa, il tempo che si passa alla guida più che altro. Ma vediamo con ordine cosa possiamo fare nel simulatore.

Corsa notturna con il Javelin

Il gioco

Il menù è diviso in più sezioni, a parte il centro addestramento, le cui “missioni”, divise per treno, possono essere giocate quante volte si vuole fino all’apprendimento completo. Abbiamo la sezione deposito treni, nella quale possiamo scegliere un treno e del quale giocare sia degli scenari predefiniti sia seguire una “tabella oraria” ovvero espletare dei “servizi” che impiegano dai 5 minuti fino anche all’ora di gioco o poco più e che coprono la giornata lavorativa da prima mattina fino a sera tardi.

Si spazia dal preparare un treno per il servizio, portarlo al lavaggio, trasportarlo vuoto fino alla stazione dal quale inizierà il servizio viaggiatori o ovviamente espletare direttamente il servizio al pubblico. Gli incarichi, così come sono divisi per treno, sono divisi anche per scenario.

Questo è il cuore del gioco, ovvero dove verranno sfruttati gli scenari e locomotive già presenti nel simulatore e/o quelle acquistate eventualmente in un secondo momento.

Poi abbiamo delle missioni predefinite, per chi vuole giocare subito senza troppi fronzoli. Il gioco chiede quanto tempo si ha a disposizione, fino alla mezz’ora o dalla mezz’ora in poi e, in base alla risposta, decide quale missione è più a noi congeniale.

Lo spiccato realismo

In game il feeling con la locomotiva è davvero molto forte. Si capisce subito che se non si sa dove mettere le mani, quel treno non partirà, vi ritroverete davanti una miriade di tasti, bottoni e luci, quasi tutti cliccabili ma, fortunatamente, per condurre un treno non vi serviranno proprio tutti quei tasti, ne basteranno alcuni specifici (benedetto sia il Centro di Addestramento).

In ogni caso, la completezza della cabina di guida, contribuisce ad un realismo generale molto spinto. Conducendo il vostro veicolo, vi renderete conto di quanto belli siano gli scenari, il realismo delle tratte percorse nonché il realismo del sistema di segnalamento, poiché nello scenario non sarete soli, ma in compagnia di altri treni che viaggeranno per conto loro e dai quali dovrete distanziarvi. Ma cerchiamo di capirne di più.

Il velocissimo Acela della Amtrak statunitense

Il segnalamento

Normalmente le linee ferroviarie vengono delimitate da sezioni di blocco, di lunghezza variabile, dei segmenti di linea diciamo, che per la sicurezza della circolazione devono essere impegnate da un treno alla volta. I treni dovranno essere distanziati dai treni che li precedono quando viaggiano su doppio binario. Quando invece la linea è esercitata a semplice binario, essi dovranno essere distanziati sia dai treni che li precedono che da quelli incrocianti, essendo unica la sede ferroviaria.

Per il distanziamento vengono utilizzati i segnali, sia lungo la linea, sia all’interno delle stazioni. In Train Sim World 3 tutto il sistema di segnalamento è riprodotto fedelmente in base alla ferrovia rappresentata, che seppur avendo caratteristiche comuni al sistema di segnalamento italiano, a volte, differisce.

L’HUD

Nel gioco, fortunatamente, ci viene in soccorso l’HUD (Head Up Display) presente , che ci mostra, in forma sintetica, le principali informazioni. In alto a sinistra la distanza, in Km o miglia, dal prossimo punto di fermata o transito, in alto a destra viene mostrato l’aspetto del prossimo segnale (semplicisticamente: verde=via libera, rosso=arresto del convoglio prima di superare detto segnale e giallo=via libera al primo segnale incontrato, ma segnale successivo disposto a via impedita, quindi rosso) e la velocità di tracciato consentita.

In basso a destra infine, ci verranno mostrate le info necessarie a condurre la locomotiva, stato dei freni, velocità attuale, pendenza della linea.

HUD di gioco, sempre presente, anche in visuali esterne

Attività a corredo

Nel simulatore, superare un segnale a via impedita comporterà la conclusione dello scenario in corso e lo farà ricominciare, mentre superare i limiti di velocità comporterà un minore punteggio al giocatore.

Si perché mentre scorrazzerete con la vostra bella locomotiva nuova fiammante, il gioco vi attribuirà dei punti abilità/esperienza in base alla vostra conduzione del treno, in una sorta di gamificazione che sarà utile per mostrare ai vostri amici le vostre performance di guida.

A conclusione delle attività da svolgere nel simulatore, abbiamo piccoli incarichi che porteranno al giocatore più punti, da svolgere lungo le linee percorse, tipo ripristinare le mappe nelle stazioni, pulire, cestini sporchi, ripristinare gli estintori o riempire i dispenser di quotidiani. Tutte attività secondarie, alquanto inutili secondo chi scrive, ma che potranno invogliare i giocatori a “platinare” il gioco.

A corredo del tutto Dovetail Games ha introdotto anche un content creator, in particolare di livree e scenari, che potranno essere scaricati senza limitazioni da parte degli utenti, a patto di possedere i pacchetti giusti di locomotive.

Analisi delle prestazioni e punteggi attribuiti

Conclusioni

In definitiva un simulatore solido questo Train Sim World 3, forse pensato più per console che per PC, per il quale esiste Train Simulator sempre di Dovetail Games. Ma il livello di realismo in TSW3 è portato ad altissimi livelli.

Un simulatore sicuramente di nicchia, adatto per coloro che amano il mondo dei treni e della ferrovia in generale, non per tutti. Spesso, guidare per un’ora consecutiva, stanca. Ma questo è il mondo della ferrovia e lo si accetta per il fascino che lascia ai suoi cultori. E magari, se appassionati non lo siete, con TSW3 potrete diventarlo.

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3 videogiochi capolavoro per chi ha poco tempo

Talvolta, per immergersi al meglio all’interno del videogioco, tendiamo a scegliere prodotti con un importante longevità, in grado di tenerci incollati allo schermo con infinite quest e collezionabili. Ma si sa, con l’arrivo dell’età adulta il tempo per dedicarci alla nostra grande passione è sempre scarseggiante. Per fortuna però, non sempre maggiore longevità vuol dire maggiore qualità e i videogiochi capolavoro per chi ha poco tempo che vi mostreremo tra poco lo dimostrano in pieno.

What Remains of Edith Finch

Un titolo dalla durata di sole due ore di storia principale, mentre qualora si volesse completarlo al 100% la durata si alzerebbe a tre ore di gioco totali. Un videogioco così rapido che può portare a termine anche chi ha poco tempo, presenta in realtà un’insospettabile varietà di gameplay. Annoiarsi con questo titolo è davvero una sfida difficile da superare.

Videogiochi per chi ha poco tempo: What Remains of Edith Finch
Una strana casa che fa da sfondo ad un meraviglioso level design. Ambienti così curati se ne vedono gran pochi in giro.

Il gioco narra di un’eccentrica famiglia stanziata nell’ isola di Orcas. Il protagonista della nostra storia arriverà di fronte alle porte di casa Finches, e guidato dalle parole del diario di Edith Finch, ne esplorerà ogni suo meandro, venendo a conoscenza delle peculiari morti dei suoi residenti. Una maledizione sembra esser calata sulla famiglia Finches e sta al giocatore scoprire la storia nascosta di ogni membro della famiglia.

L’esplorazione della casa sarà molte volte interrotta da flashback, i quali rappresentano le vere perle di gameplay. Stili grafici e modalità di gioco cambiano ad ogni “livello”, il tutto contornato da un’ottima narrazione di fondo che ci lascerà sospesi, a domandarci come sono andate realmente le cose. Se preferite uno stile di gioco rilassato e semplice, allora What Remains of Edith Finch è un titolo da provare assolutamente, di cui abbiamo parlato anche in questo articolo.

Last Day of June

Last Day of June è un titolo uscito nel 2017, un’avventura story-driven pronta a sbalordire con il suo comparto grafico, ed i suoi “colpi di scena”. Questa capolavoro si attesta sulle quattro ore, rendendo inoltre disponibile una caccia ai collezionabili per chi fosse interessato, e una storia emozionante, che ci pugnalerà molte volte allo stomaco.

Videogiochi per chi ha poco tempo: Last Day of June
Una tragica notizia cambierà il mondo intorno a noi.

La storia si svolge in una piccola cittadina di campagna, dove tutto sembra emanare una sorta di perfezione sospesa, rimbalzante tra i visi solari dell’esuberante vicinato. Il nostro protagonista è un uomo sposato, ed anche la sua vita sembra galleggiare in quell’atmosfera meravigliosa contenuta nel quadro che è lo stile grafico. Ma tale perfezione durerà poco. Una tragica notizia cambierà il mondo intorno a noi, spegnendo quei vivaci colori che ci davano speranza, trascinando il protagonista in un’estenuante lotta per cambiare il passato.

Il comparto grafico, tecnico, la caratterizzazione dei personaggi, tutto ciò regala al giocatore un’esperienza che lo abbraccia a 360 gradi. Accontentando sia gli amanti delle storie curate sia gli amanti dei puzzle-games. Una silenziosa notte, un tè caldo e voglia di rilassarsi, sono questi gli elementi per godersi a pieno questo ennesimo capolavoro.

To The Moon

Infine, il vero e proprio Capolavoro con la “c” maiuscola. Uscito nel lontano 2011, dalla Freebird Games, ha segnato per sempre i cuori di molti videogiocatori. Il gioco è un Adventure Game che si attesta sulle tre ore; un tempo che può sembrare quasi troppo breve per suscitare una tale emozione, ma vi sbagliereste. In sole tre ore, To The Moon riesce a mantenere incollato il giocatore che ha poco tempo grazie alla meravigliosa storia e alla (leggermente datata, ma sempre gradita) grafica pixel-art, regalandoci un indimenticabile esperienza da giocare tutta d’un fiato.

Il tempo passa, ma certi capolavori non appassiscono mai.

Il gioco racconta le vicende di due scienziati della Sigmund Corporation, un organizzazione in grado, tramite una tecnologia avanzatissima, di modificare i ricordi di pazienti moribondi così da regalargli il loro ultimo desiderio. I nostri protagonisti sono degli esperti, ma il paziente che visiteranno questa volta, sarà diverso da tutti gli altri. Raccontare di più sarebbe veramente troppo per un’esperienza così breve, quindi lascio a voi il piacere della scoperta. Vi posso assicurare che non rimarrete delusi da questo capolavoro.

Se non avete mai sentito parlare di questo titolo, correte a comperarlo. Se invece lo conoscente già, allora forse potreste non essere a conoscenza dei sequel. A Bird Story, Finding Paradise e Impostor Factory sono tutte valide alternative; le durate sono simili, mentre la bellezza è tutta da scoprire.

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Resident Evil 4 Remake – Recensione

Recensione in BREVE

Resident Evil 4 è un capolavoro con qualche difettuccio. Il lavoro di Capcom per svecchiare l’opera è stato magistrale e ha trasportato in tutto (tranne che per il comparto grafico) nella piena attualità video ludica. Un must have a tutti gli effetti da giocare e rigiocare. Nessun miracolo, intendiamoci, ma il titolo merita assolutamente un voto altissimo.

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Parlare di un remake è sempre un compito arduo. Paragonare un prodotto nuovo ad uno di quasi vent’anni fa obbliga l’articolista a camminare su un terreno sdrucciolevole, palleggiando tra presente e passato. Il tutto, poi, si amplifica quando il protagonista del remake è una pietra miliare dell’universo videoludico che ha fatto scuola e che ha rappresentato la linea di demarcazione tra quello che c’è stato prima e quello che è venuto dopo.

Resident Evil 4 Remake è un capolavoro o no? I fan urleranno di eccitazione o resteranno delusi? Ecco cosa aspettarci dall’ultima fatica targata Capcom.

Fare tesoro degli errori passati

Realizzare un remake mette di fronte a due possibilità: restare fedeli alla storia o modificarla per dare una ventata di novità. Secondo il punto di vista di chi scrive, seguire la strada del rinnovamento in termini di trama è un errore molto grave ed è esattamente quello che non ci è piaciuto nel remake di RE3, in cui sequenze e momenti fondamentali a fini della storia apprezzata nel 1999 sono stati modificati o addirittura rimossi e sacrificati sull’altare del rinnovamento. Chi gioca ad un remake, invece, vuole riassaporare il gusto che ha provato ai tempi dell’uscita del gioco originale, rivivere le stesse atmosfere e, perché no, commuoversi nel ricordare personaggi o ambientazioni che gli hanno fatto amare quel titolo.

I ragazzi di Capcom, vivaddio, hanno recepito bene le copiose critiche piovute su Resident Evil 3 Remake, facendone tesoro e presentando un remake di RE4 assai fedele al gioco del 2006. Il lavoro di svecchiamento del titolo, infatti, ha riguardato la rimozione di alcune dinamiche di gioco ormai superate, la piccola modifica di alcune sequenze e la riscrittura di alcuni personaggi (soprattutto di Ashley) redendoli più gradevoli, anzi, evitando di odiarli letteralmente ogni qualvolta aprano bocca o compiano una qualunque azione. Ma andiamo con ordine.

Quoque tu, Leon!

Fin dai primissimi istanti del prologo che fa anche da tutorial, la sensazione che abbiamo provato è stata quella di trovarci di fronte ad un remake concettualmente diverso dal precedente capitolo. Abbiamo riconosciuto perfettamente ambientazioni e stile conosciuti nel 2006 e questo ci ha fatto sentire a casa. La piazza del villaggio di Valdelobos dove assistiamo alla primissima scena horror del gioco è esattamente come la ricordavamo e ci ha fatto sorridere di eccitazione e malinconia.

E, soprattutto, abbiamo riconosciuto il nostro caro Leon Kennedy. In questo capitolo della saga lo ritroviamo in qualità di agente segreto al servizio del Presidente degli Stati Uniti che lo ha assoldato per riportare a casa l’adorata figlia Ashley di cui si sono perse le tracce in Spagna.

Gli orrori vissuti a Raccoon City sembrano ormai alle spalle e l’eroe è convinto, pur nutrendo dei sospetti che ci sia qualcosa di grosso sotto, di aver intrapreso una missione “Trova&Salva” abbastanza canonica. Speranza vana. Appena messo piede in terra iberica, infatti, veniamo a conoscenza del fatto che molta gente del posto e alcuni turisti escursionisti sono scomparsi nel nulla e che le indagini non hanno portato a nessuna pista.

Rimasti soli alla periferia di Valdelobos, dunque, inizierà un nuovo incubo tra mostruosità crescenti e che troverà il suo culmine nell’ultimo atto della nostra avventura.

Scrivere una recensione no-spoiler di un remake parrebbe poco furbo, tanto più che abbiamo svelato essere molto fedele all’originale pubblicato al tempo per GameCube, ma il nostro intento è stato quello di preservare chi, invece, si approccia a Resident Evil 4 per la prima volta.

Una cosa, però, ve la sveliamo: niente Separate Ways. La mini campagna dedicata ad Ada Wong non è presente nel gioco. Prossimo DLC?

Il gameplay fra tradizione e attualità

Nel 2006, Resident Evil 4 si presentò ai fan con la classica visuale alle spalle del protagonista, caratteristica che il remake ha giustamente mantenuto. La capigliatura argentea e i muscoli del buon Leon, quindi, saranno sempre ben visibili sullo schermo garantendo al giocatore una discreta gestione degli spazi e delle fasi di gioco.

Come detto, il gameplay ha ricevuto un dovuto restyling così da rendersi più moderno e fruibile. Innanzitutto, sono stati eliminati i quick time events (a parte uno minuscolo nelle fasi iniziali) con buona pace di chi li amava e di chi, invece, come noi, crede siano ormai superati. Non dovremo più cimentarci, dunque, a premere i vari pulsanti richiesti a tempo per evitare questo o quell’altro ostacolo o sfruttare i nostri riflessi per abbattere nemici oversize. La sfida, dunque, ha ricevuto un upgrade interessante che ha reso il titolo più longevo, più giocabile e, di fatto, più divertente.

Per quanto riguarda i combattimenti, continui e costanti in linea con l’anima action del titolo, ci siamo goduti appieno le novità introdotte: la parata e il parry. In pratica, il nostro eroe potrà disinnescare i colpi sferrati all’arma bianca dai nemici fino a sbilanciarli e contrattaccare con un calcio o una spettacolare (quanto trash) suplex. Proprio per questo, il coltello di Leon sarà il nostro miglior amico e dovremo frequentemente farlo riparare al mercante così da non restarne senza durante gli scontri e poterlo utilizzare per finire i nemici agonizzanti prima che evolvano in mostri più veloci, resistenti e pericolosi.

Abbiamo citato la parata e il parry come gradevolissima introduzione e il motivo risiede nel fatto che Resident Evil 4, fin dal tutorial, ci manda un messaggio chiarissimo: se la vostra idea è quella di affrontare orde di nemici assaltandoli ed esponendovi ad attacchi multipli, accantonatela subito. Gli abitanti del villaggio semi-mutati prima e tutti gli altri avversari che troveremo via via nel nostro cammino di ricerca sono aggressivi, veloci e coriacei. Affrontarli a viso aperto significa, a livello normale e soprattutto difficile, sprecare fiumi di munizioni per abbattere avversari che spawnano di continuo, spaccare il coltello a forza di parate e rimetterci, alla fine, la vita. Meglio, laddove possibile, scegliere la modalità stealth e fuggire verso luoghi più sicuri.

Per quanto concerne le armi a disposizione, il mercante sarà un valido alleato proponendocene sempre di più potenti e, talvolta, offerte d’acquisto vantaggiose. Potremo anche scambiare gli spinelli (pietre preziose di colore rosa) che troveremo disseminati per la mappa o che riceveremo dopo aver completato piccole missioni secondarie le cui richieste troveremo scritte su volantini blu affissi ai muri. Riceveremo, così, manufatti e potenziamenti fondamentali per sopravvivere. Avremo anche la facoltà di vendere gioielli e monili trovali qui e lì così da arricchirci e comprare nuova attrezzatura.

Scegliere cosa acquistare e quando farlo sarà fondamentale per superare i livelli, 16 capitoli per l’esattezza, che si susseguiranno a difficoltà crescente. Trovarsi con l’arma sbagliata e senza munizioni nel posto sbagliato non ci darà scampo e renderà l’esperienza frustrante. A tal proposito, abbiamo gradito l’introduzione del crafting delle munizioni attraverso la combinazione di polvere da sparo e materiali specifici di cui la mappa è ampiamente disseminata. Ne faremo uso molto spesso, se non altro per liberare spazio nella nostra iconica valigetta tetris a carico limitato.

Molto, molto bene, come anticipato, la riscrittura dei personaggi e in particolar modo di Ashley che si rapporta finalmente a Leon in modo più maturo. Scomparsa, per fortuna, la figlia del Presidente sciocca del 2006 che, più di una volta, ci ha fatto invocare gli dei affinché venisse fulminata immantinente. Modificato anche il carattere del buon Kennedy, decisamente più cazzuto in questo capitolo rispetto al passato ma altrettanto ironico e sprezzante.  

Non abbiamo apprezzato, invece, il mancato di lavoro sui movimenti generali di Leon che appaiono piuttosto legnosi e poco fluidi, assai più vicini agli standard tecnici del 2006 piuttosto che a quelli attuali. Caratteristica che ci ha fatto imprecare non poco quando ci siamo trovati spalle al muro contro orde di nemici e i movimenti del nostro platinato eroe si sono rivelati troppo lenti. Nota a margine, la mancata introduzione di un’animazione che arresti la ricarica dell’arma nel caso di assalto nemico: se stiamo rimpolpando di munizioni un fucile o una pistola durante una carica avversaria dovremo rassegnarci a subire l’attacco. Peccato.

Un’opera da guardare ma soprattutto da ascoltare

E veniamo al comparto grafico di Resident Evil 4 Remake. Posto che lo abbiamo giocato su PC quasi al massimo del dettaglio, possiamo dire che il motore fisico e grafico abbia fatto ovvi passi da gigante, migliorando fortemente l’impatto estetico dell’opera ed esaltando lo già straordinario level design apprezzato nell’originale. Riteniamo, comunque, l’opera non pienamente in stile new generation, anzi, piuttosto cross-gen. Per intenderci, RE4 ci regala una cura dei dettagli importante ma ci saremmo aspettati qualcosa in più. È assai probabile che il gioco sia stato concettualmente realizzato immaginando che la maggior parte degli utenti lo avrebbe giocato su console o pc di penultima generazione ma non riteniamo, questa, una scusante. Il gioco, da un punto di vista strettamente grafico è un’occasione mancata di perfezione. Infatti, qui e lì, abbiamo notato texture piuttosto approssimative e qualche bad clipping (rarissimi, c’è da dirlo) alquanto fastidioso. Non abbiamo, insomma, gridato al miracolo.  

Fantastica, invece, la colonna sonora. Le tracce si sposano perfettamente con i momenti del gioco e concorrono a rendere l’esperienza emozionante. Da brividi i rantoli dei nemici, così come le parole di sfida lanciate in spagnolo (anche se leggermente ripetitive). Sentiremo migliaia di volte “Donde estas?” e “Un forastero!”. Una nota di merito al doppiaggio completamente in italiano molto ben fatto.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Horror
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: Si
  • Prezzo59,99€
  • Piattaforme: PlayStation 5, PlayStation 4, Xbox Series X|S, PC
  • Versione provata: PC

Abbiamo affrontato i pericoli di Valdelobos e dintorni per circa 12 ore grazie a un codice fornito dal publisher

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Diablo 4: uno sguardo a Druido e Negromante

Ed eccoci a parlare ancora una volta di Diablo 4, una delle release più importanti dell’anno. La scorsa settimana, grazie all’Accesso Anticipato, abbiamo potuto avere un assaggio del mondo di Sanctuary e di tutti gli orrori che ci offrirà. Oggi invece sono qui per darvi le mie impressioni sulle ulteriori due classi disponibili durante l’Open Beta, ovvero il Negromante ed il Druido.

Chiarisco subito che questa vuole essere una semplice panoramica delle due classi sopra citate, del feeling che restituiscono giocando. Ritengo superfluo analizzarne minuziosamente i vari aspetti basandomi su una open beta con level cap al 25. Se invece volete un’opinione generale sul gioco qui trovate il nostro articolo sull’accesso anticipato. Ora, fatta questa doverosa premessa, vediamo un po’ come se la cavano i due nuovi eroi di Sanctuarium.

L’erede di Rathma

Il Negromante è una delle classi più iconiche dell’ intera saga. Un incantatore che ha votato la sua intera vita allo studio delle arti più oscure, quali la magia delle ossa, delle ombre o, banalmente, la negromanzia.

Se adorate lo stile di gioco da “summoner” allora questa è la classe che fa per voi. Evocazione di scheletri combattenti, scheletri maghi e golem, questo è quello che da sempre contraddistingue il Negromante, e la sua iterazione di Diablo 4 non fa eccezione. Il poter contare su di un piccolo esercito di ossa ambulanti ha sempre il suo fascino, ma il necro non si limita a questo.

Il caro vecchio skilltree.

Questa volta possiamo contare su vari incantesimi del sangue, dell’ombra e delle ossa. Ovviamente non mancano i grandi classici che contraddistinguono questa classe da sempre, principalmente la Lancia d’ossa, la mitica Esplosione Cadaverica e le immancabili maledizioni, come la Vergine di Ferro. Peccato notare la mancanza delle spell basate sul veleno, che sembra esser diventato affare del Druido. Ma andiamo a quel che realmente ci interessa. Che feeling restituisce questa nuova(vecchia)classe su Diablo 4?

Si finisce sempre qui.

Il Negromante è, a mani basse, la star di questa open beta. O quantomeno lo è per me. Se dovessi descriverlo in una sola parola direi devastante. Un mix letale di minions, magie AoE, capacità difensive, debuff e danni altissimi, questo è il necro di Diablo 4, quantomeno durante i primi 25 livelli. Lanciarsi nel bel mezzo dei nemici per scaricare una nova di sangue e vedere lo schermo che fa “boom”? Lo potrete fare. Stare in disparte indebolendo gli avversari, a suon di maledizioni, mentre il vostro esercito ambulante fa piazza pulita? Potete fare anche questo.

Entrambi gli stili funzionano, già dai primissimi livelli. Ovviamente nulla vieta di esporsi in prima linea, assieme ai propri minions – cosa fatta dal sottoscritto – ed adottare uno stile ibrido caster/summoner, che ritengo anche essere il più divertente.

Sangue, scheletri e tante botte.

Una aggiunta degna di nota è la nuova meccanica del Libro dei Morti. Da questa schermata è possibile “personalizzare” le proprie summons, scegliendo il tipo di scheletro – ad esempio scheletri combattenti, difensori o mietitori – ed uno tra due effetti passivi. Interessante anche la possibilità di scegliere di non utilizzare affatto l’evocazione, garantendo ulteriori bonus passivi al Negromante.

Il Libro dei Morti. Io ad esempio utilizzo i mietitori.

Come premesso non starò qui ad elencarvi ogni singola abilità della classe, anche perché qualsiasi cosa nel kit del Negromante è efficace. Già da ora si intravedono diverse possibilità di building, e sembrano tutte valide. Di fatto non ho riscontrato alcun difetto nel necro, ed anzi, a tratti mi è sembrato che fosse anche troppo forte, visti gli innumerevoli strumenti offensivi e difensivi in suo possesso.

Insomma, se avete giocato la medesima classe nei precedenti capitoli vi sentirete subito a casa. E massacrerete orde di demoni senza alcuna difficoltà.

La furia della Natura

Ed ecco il secondo ritorno, un ritorno che si attendeva da ben 22 anni. Torna il Druido, ibrido incantatore/mutaforma introdotto nella saga nel lontano 2001, con l’ espansione di Diablo 2, Lord of Destruction. Che dire del Druido di Diablo 4? Se avete giocato il secondo capitolo della saga saprete già cosa aspettarvi.

Il Druido si può giocare principalmente in due modi, ovvero da guerriero con abilità di mutaforma, o da incantatore grazie ad i suoi incantesimi elementali di roccia, fulmine ed aria. Durante l’open beta io ho potuto provare a fondo solo il primo archetipo, vuoi per i pochi livelli disponibili, vuoi perché di aspetti leggendari che potenziassero l’altro banalmente non ne ho trovati.

Impersonare un lupo mannaro ha sempre il suo fascino.

Faccio subito una premessa, il Druido può funzionare, con i dovuti accorgimenti. Ma se con il Negromante la sensazione di poter sbaragliare tutto e tutti è lampante, con il Druido bisognerà invece sudare parecchio per portare la pelle a casa.

L’idea alla base del Druido è di utilizzare le skill primarie – i cosiddetti generatori – per accumulare Spirito (la risorsa principale della classe)per poi spenderli in pochi ma potenti attacchi. Un’idea semplice, che però a conti fatti non funziona, perché banalmente mancano i danni ed i generatori avrebbero bisogno di un buff.

Investire tutto nel Lupo Mannaro non è stata una grande idea.

Anche la gestione dello Spirito è macchinosa, poiché non si rigenera mai passivamente. Questo porta ad uno stile di gioco lento, dove dopo 3-4 cast delle skill da danno siamo costretti ad autoattaccare per rigenerarlo. Il Negromante e l’Incantatore ad esempio fanno più danni e gestire la loro risorsa primaria è più semplice ed intuitivo.

Carina l’idea di dare al Druido gli attacchi velenosi, ma anche lì, il veleno fa poco male, e soprattutto non viene accumulato nel bersaglio, rendendolo di fatto un debole DoT. L’unico modo di renderlo efficace è tramite svariati aspetti leggendari fondamentalmente.

Danni bassini, AoE decente ma davvero poca mobilità, questo è quello che ho notato durante la mia run. Aggiungiamoci che le capacità difensive del Druido al momento non sono poi così entusiasmanti, ed abbiamo una classe seriamente in difficoltà in molti scontri, soprattutto quelli con i boss. Menzione d’onore per l’odiosissima Den’s Mother, che mi ha davvero fatto penare.

Perché la meccanica degli Aspetti Animali sia stata bloccata rimane un mistero.

Per correttezza aggiungo anche che la meccanica unica della classe, gli Aspetti animali, non era disponibile durante l’open beta, inspiegabilmente aggiungerei. Di fatto il Druido era l’unica classe a non avere accesso a questa peculiarità, che sarebbe il corrispettivo dell’ Arsenale del Barbaro o il Libro dei Morti del Negromante.

Quello che ho detto fino ad ora non implica però che la classe sia da buttare. Io stesso ho sperimentato due build soddisfacenti. Una basata esclusivamente sul veleno e sul poterlo spargere tra i nemici grazie alla skill Rabies ed all’evocazione di due piccoli lupi mannari, anch’essi velenosi. Un’altra che andava ad utilizzare la meccanica dell’ Overpower assieme alla skill Pulverize. Entrambe però richiedevano la combo di aspetti leggendari, cosa di cui non necessitavo con Negromante o Incantatore ad esempio.

Per concludere vi dirò la verità, paradossalmente la classe che più mi ha divertito è proprio il Druido, pur con tutte le sue mancanze. Affinare la build, decidere se puntare sul veleno o sul danno puro e riuscire finalmente a concludere la beta è stato soddisfacente. Il Negromante, di contro, l’ho trovato fin troppo forte, qualsiasi specializzazione seguissi.

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Exoprimal: abbiamo provato l’open beta

A partire dallo scorso venerdì Capcom ha reso disponibile per tutto il weekend una versione beta di Exoprimal, il nuovo sparatutto della casa di Osaka. Dopo tre giorni passati a distruggere dinosauri in sfide a squadre all’ultimo respiro, siamo pronti a darvi le nostre impressioni.

Armature e dinosauri

L’ambientazione di Exoprimal è quantomeno insolita.

Il concept e l’ambientazione di Exoprimal sono quantomeno originali. In un imprecisato futuro, la razza umana ha sviluppato una serie di teconlogie avanzatissime, tra cui gli ologrammi senzienti ed un sistema di teletrasporto.

La principale applicazione bellica di queste tecnologie è rappresentata dalle Exocorazze, micidiali esoscheletri dalla devastante potenza combattiva. I principali nemici che i possessori di queste incredibili tute saranno chiamati ad affrontare sono nientemeno che….i dinosauri!

In base a quanto si legge sul sito del gioco, la causa della loro comparsa sarebbe da riscontrare in una serie di misteriosi vortici apparsi su tutta la terra. La beta di Exoprimal tuttavia non fornisce grandi informazioni sulle cause di tale fenomeno. Fatto sta che in ogni partita i giocatori si troveranno a fronteggiare non solo le exocorazze avversarie, ma orde di centinaia e centinaia di lucertoloni.

Con un’idea che ricorda di vicino opere come Turok e Cadillacs and dinosaurs, Capcom propone nuovamente una lotta tra futuro e passato, tra tecnologia e forza primordiale, tra uomo e dinosauro.

Questione di sopravvivenza

La modalità sopravvivenza è stata l’unica disponibile nella beta di Exoprimal.

Dopo la creazione del nostro avatar (ancora piuttosto scarna a dire il vero) siamo stati sottoposti ad un breve tutorial, che ha fornito le basi del movimento e delle meccaniche di Exoprimal.

Una volta completato, la beta permetteva di ripetere il tutorial (per poter sperimentare altre exotute) oppure di lanciarsi nella modalità sopravvivenza. Quest’ultima si è rivelata essere una sfida tra due squadre di cinque giocatori ciascuno.

Guidati dalla sinistra intelligenza artificiale Leviathan, probabile antagonista del gioco, i giocatori dovranno superare una serie casuale di quattro missioni, quasi sempre incentrate sull’eliminazione di dinosauri. Si tratterà per esempio della semplice eliminazione di un dato numero di bersagli, oppure della difesa di una determinata zona per un tot di tempo, o ancora dell’abbattimento di belve particolarmente grosse e coriacee, come triceratopi o tirannosauri.

La squadra che completerà per prima le missioni otterrà una serie di vantaggi. Al termine di queste missioni, infatti comincerà la sfida finale, in cui le due squadre si scontreranno con regole particolari. Nello specifico, in una sfida vincerà la squadra che raccoglierà per prima 100 nuclei energetici. In un’altra ci sarà una torre mobile che andrà scortata fino al campo avversario mentre nell’ultima entrambe le squadre avranno a disposizione un martello. Dopo averlo caricato al massimo, l’attrezzo andrà usato per distruggere un nucleo energetico situato nel campo avversario.

Anche in queste sfide avremo a che fare con un numero esorbitante di dinosauri, che renderanno l’esito delle partite ancora più incerto e l’azione ancora più martellante. Raggiunto un determinato punteggio, sarà possibile sbloccare alcuni speciali moduli, che ci consentiranno di controllare per un breve periodo un dinosauro gigante (di solito un tirannosauro) con cui portare scompiglio nel campo avversario.

Per gli amanti degli sparatutto non si tratta certo di modalità mai viste prima, ma la varietà delle missioni mi ha regalato diverse ore di divertimento e le partite non sono mai sembrate troppo simili tra loro.

Una tuta per ogni occasione

Le exotute sono apparse davvero belle e ben caratterizzate.

Il maggior punto di forza di Exoprimal è sicuramente costituito dalle Exocorazze. Esse presentano un design davvero bello ed accattivante e sembrano tutte ben caratterizzate. La varietà di forme e colori è davvero buona e conferisce ad ogni armatura una forte personalità.

Come prevedibile, ogni corazza corrisponde ad una particolare classe e sono suddivise tra assalto, colosso e supporto. Le corazze assalto sono quelle dotate della maggior forza d’attacco e di una buona capacità di movimento. Deadeye è la più bilanciata, Zephyr è specializzata nel corpo a corpo mentre Barrage e Vigilant sono rispettivamente l’artificiere ed il cecchino.

Le corazze colosso sono quelle più tozze e massicce ed hanno elevata resistenza ed enorme potenza offensiva o difensiva, a scapito di mobilità e gittata. Tra queste Krieger è la più potente, Roadblock la più forte in difesa e Murasame la più potente nel corpo a corpo.

Infine le unità supporto hanno il compito di curare le unità alleate (Witchdoctor), supportare dall’alto (Skywave) e fare un mix delle due azioni (Nimbus).

Ogni corazza è dotata di un attacco base e di quattro abilità uniche, che dovranno essere ricaricate dopo l’utilizzo. Non sarà difficile per i giocatori trovare la corazza più congeniale al proprio stile di gioco. Personalmente ho provato tutte le corazze e non ne ho trovata nessuna che non risultasse interessante o che non abbia dato qualche soddisfazione.

Prime impressioni

L’azione in exoprimal è davvero al cardiopalma!

A livello tecnico, la beta di Exoprimal fa sicuramente bella figura. La grafica è davvero bella, nitida e definita. Le animazioni ed i movimenti risultano assolutamente fluidi e dinamici. Il gioco non ha praticamente mai mostrato rallentamenti, nemmeno nelle fasi più concitate, in cui letteralmente centinaia di dinosauri inondavano lo schermo abbattendosi sui giocatori.

Anche il sonoro, pur non brillando in modo particolare, è sembrato molto azzeccato per le atmosfere del gioco. Il design dei dinosauri e delle corazze, armi comprese è estremamente curato e ricco di particolari. Unica nota stonata sono le ambientazioni, che appaiono piuttosto piatte e ripetitive e consistono quasi sempre in città abbandonate e semidistrutte.

Anche per quanto riguarda i controlli, la beta risulta promossa in pieno. I movimenti dei nostri personaggi sono estremamente precisi, veloci e funzionali. Una volta presa la mano, sarà possibile sfruttare al meglio tutte le risorse delle nostre corazze in modo efficacie e soddisfacente, dando vita a battaglie all’ultimo sangue davvero coinvolgenti e divertenti.

Come già scritto, abbiamo potuto osservare solo la modalità sopravvivenza, ma quel che abbiamo visto ci è piaciuto. La combinazione tra azione cooperativa contro i sauri e sfida agli altri giocatori rende le partite sempre varie ed imprevedibili ed ha grandi potenzialità per creare un gameplay ancora più ricco ed accattivante nella versione finale del gioco.

Conclusioni

Exoprimal ha sicuramente un ottimo potenziale.

Per concludere, la beta di exoprimal ci ha sicuramente ben impressionato. Comparto tecnico e giocabilità sembrano essere di buon livello e la varietà delle missioni conferisce un’ottima varietà.

Certo, resta una grande incognita. Riuscirà Exoprimal a ritagliarsi un posto in un panorama così affollato e con una fanbase esigente come quello degli sparatutto? Dovremo ancora attendere qualche mese per saperlo, ma secondo noi il gioco Capcom è da tenere d’occhio.

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Abbiamo provato Diablo IV in accesso anticipato: capolavoro o flop?

Ad un paio di mesi dall’uscita del gioco completo, abbiamo potuto testare in accesso anticipato il quarto capitolo della celeberrima saga targata Blizzard e, non ve lo nascondiamo, tantissime domande si sono affollate nella nostra mente.

Dopo aver affrontato (con difficoltà) le peripezie del capostipite, stropicciato gli occhi per la meraviglia del secondo e pianto di disperazione per il terzo, i fan della saga non sanno cosa aspettarsi da questo quarto capitolo che, stando alle previsioni e, soprattutto, alle dichiarazioni degli sviluppatori, propone un’avventura a tinte fosche molto immersiva, divertente e accattivante.

Ci sono riusciti? Capiamolo insieme!

Un GDR travestito MMORPG

Dopo aver assistito ad una splendida introduzione in cui possiamo ammirare la spettacolare evocazione del Demone Lilith, ci siamo subito trovati a dover definire la classe del nostro personaggio. In accesso anticipato era possibile scegliere soltanto tra il Barbaro, l’Incantatore e il Tagliagole mentre per il Druido e il Negromante dovremo aspettare un’altra settimana. Scelti poi anche il sesso, i tratti somatici e la struttura fisica del nostro eroe (attraverso un editor che strizza l’occhio a quello di Skyrim) saremo immediatamente catapultati a Sanctuarium, la terra in cui diventeremo leggenda.

La versione che Blizzard ha rilasciato ci ha permesso di non andare oltre il livello 25 e completare il primo atto della storyline principale, facendoci assaporare quello che il gioco completo regalerà ai suoi fruitori.

E girovagando per terre impervie e pericolose, abbiamo potuto incrociare (e aiutare) tantissimi altri utenti che, come noi, stavano provando questa prima versione. Al che ha incominciato a frullarci in testa la domanda che ci ha poi accompagnato per tutta la prova e a cui abbiamo dato una risposta con riserva: che genere è Diablo 4?

A prima vista, infatti, sarebbe facile definirlo come un GDR con visuale isometrica in cui siamo chiamati a completare missioni e far fuori centinaia di migliaia di nemici. Guardando meglio, però, il gioco si presta moltissimo alla cooperazione tra gli utenti collegati in rete e il cui aiuto risulterà fondamentale per superare alcune prove. Non sappiamo bene come tale questione sarà gestita nel late game ma, nella nostra prova, abbiamo potuto cimentarci in un combattimento estremo contro il world boss Ashava e solo la presenza di un certo numero di compagni di battaglia ben skillati ci ha permesso di avere la meglio sul mostro.

Quanto inciderà questa necessità di compagni per superare le missioni? Quanto MMORPG sarà effettivamente Diablo 4? Non ci resta che aspettare per scoprirlo.

Barbaro su Diablo 4

Quando l’anima batte il corpo

Fin dalle prime immagini ci è subito stato chiaro un intento di Blizzard: accantonare le atmosfere fumettose e cartoonesche tanto criticate 10 anni fa e creare un ponte diretto con Diablo 2. Il gioco è cupo, freddo, malinconico e con qualche nota horror. Il villain Lilith risorge, per esempio, grazie a litri e litri di sangue “donati” dai tre malcapitati predoni caduti in una trappola ben orchestrata dalle forze del male. Alcune piccole missioni “resisti alle ondate” prevedono che il nostro eroe sazi con il suo sangue alcuni obelischi mentre massacra i nemici. Molto poco disneyano, senza dubbio.

Insomma, Diablo 4 è un gioco serio, dove è meglio non fidarsi di nessuno e in cui il tema spirituale è ben al centro dell’universo narrativo.

Se, infatti, è vero che abbiamo potuto esplorare soltanto (si fa per dire perché è immensa) la mappa di “Vette Spezzate” nell’Atto 1, l’importanza dell’anima e la supremazia di essa sulla carne sono piuttosto chiare. Tappandoci bene la bocca per non spoilerare nulla, diremo solo questo: alcuni prigionieri che dovremo salvare nelle miniere teatro dei dungeon disseminati un po’ dovunque nella mappa, sono già morti. Sarà la loro anima intrappolata nel mondo dei vivi a dover essere liberata. Più chiaro di così…

L’eterna lotta tra il Bene e il Male

Come detto, il nostro viaggio sarà nelle lande tetre di Sanctuarium e, suo malgrado, il nostro personaggio si troverà invischiato nella faida ancestrale tra l’arcangelo Inarius e il demone Lilith: il Bene contro il Male. Ed è proprio di questa lotta  che noi saremo protagonisti e che creerà l’intreccio principale.

Il nostro compito sarà quello di contrastare l’avanzata di Lilith che, ammaliante, sta facendo proseliti tra la popolazione, facendo in modo che il peccato si faccia strada nelle menti e nell’animo (eccolo di nuovo) delle genti per preparare il terreno all’invasione.

Noi saremo chiamati a ricacciare questo mostro negl’inferi e lo faremo, immaginiamo dagli sviluppi del primo Atto, con l’aiuto di altri personaggi che si avvicenderanno col proseguire dell’avventura, grazie ai quali cresceremo e miglioreremo fino a raggiungere la potenza necessaria per l’attacco finale.

Diablo 4, in effetti, procede sulla falsariga dei classici titoli di genere in cui è consigliabile e giusto esplorare il più possibile la mappa, divertirsi con le missioni secondarie presenti in gran quantità e scoprire tesori e segreti fondamentali per skillare, accumulare oro e materiali. Solo in questo modo il nostro personaggio crescerà, acquisirà fama e potenza. Potremo avvalerci dei mercanti per scambiare o vendere gli oggetti recuperati nelle nostre missioni, dei fabbri per riparare i vari pezzi che compongono la nostra armatura o migliorarli per renderli più performanti e delle fattucchiere per potenziare gli incantesimi.

Sarà necessario superare innumerevoli quest oltre alla main per poter sbloccare oggetti magici di enorme potere fondamentali per battere nemici sempre più difficili.

Tutto già visto, più o meno, ma una cosa vogliamo sottolinearla: le atmosfere, le ambientazioni e il colpo d’occhio di Sanctuarium sono splendide e, lo ripetiamo, danno al gioco quella nota di serietà fondamentale per tenere incollati gli occhi allo schermo.  

Scelgo te, ci combatto così e mi diverto da matti!

Senza girarci intorno, una delle pecche di Diablo 3 fu il sistema di combattimento poco lineare. Possiamo dire che il nuovissimo capitolo della saga va a superare tutto questo: il gioco è divertente, i combattimenti sono coinvolgenti e la visuale isometrica è una manna caduta dal cielo. Uccidere i nemici dà grandi soddisfazioni e le diverse caratteristiche delle classi attualmente selezionabili si adattano al proprio stile di gioco.

Noi, per esempio, amanti dei fulmini, del fuoco e del ghiaccio abbiamo giocato prevalentemente con l’Incantatore ed è stato bello, molto bello! Le magie sono splendide da vedere e abbiamo provato un piacere sadico a bruciare, ghiacciare e fulminare tutto ciò che ci veniva incontro con fare minaccioso. Particolarmente funzionale è la scarica a corto raggio, perfetta per gli scontri in mischia con moltitudini di nemici di classe bassa che vedrete cadere ai vostri piedi in men che non si dica.

Abbiamo provato, comunque, anche la potenza del Barbaro che, molto più scorbutico e fisico, ci permette di utilizzare armi a due mani e doppia arma singola per sferrare attacchi combinati e caricare la modalità Furia oltre ad acquisire un boost di abilità utilizzando questa o quell’arma.

Perché un sistema di combattimento così intuitivo? E’ presto detto: la vocazione action del titolo è preponderante e, forse, questo farà storcere il naso a chi sperava di non dover combattere sempre e comunque. Nel primo Atto che abbiamo potuto giocare, infatti, tutte le quest secondarie sono un search & destroy e ciò le rende un po’ ripetitive ma comunque coinvolgenti.

Una nota a margine per la colonna sonora che abbiamo trovato godibile e mai invasiva. Niente di memorabile, intendiamoci, ma alcune tracce ascoltate in specifici momenti ci sono rimaste impresse e ci hanno favorevolmente colpito. I dialoghi, invece, ancora tutti in inglese con sottotitoli in italiano non ci sono sembrati un granché, anzi, la recitazione lascia molto desiderare. Aspettiamo, perciò, con ansia la versione tricolore.  

Le specifiche tecniche

Dopo un’attenta riflessione, abbiamo deciso di non includere in questa panoramica commenti di natura tecnica sul titolo poiché riteniamo sia giusto attendere l’uscita del gioco completo per fare valutazioni complessive e dare giudizi di valore. Inoltre, abbiamo testato questa versione su Xbox One quindi non abbiamo, per limitazioni oggettive, potuto ammirare tutte le potenzialità grafiche del titolo Blizzard.

Nessuna valutazione, quindi, neanche su alcuni caricamenti eccessivi di texture o evidenti bad clipping che, ora come ora, è fisiologico che ci siano.

Il nostro giudizio

Diablo 4 aspira ad essere un capolavoro e ha tutte le potenzialità per esserlo. Molto faranno gli sviluppi di trama che non ci è dato di conoscere. Abbiamo alcuni dubbi sulla preponderanza o meno del fattore Co-Op sul quale ci riserviamo di capire come sarà gestito dagli sviluppatori. Il titolo Blizzard, comunque, ci ha fatto divertire per quasi 20 ore senza pressoché mai annoiare e ha presentato qualche picco adrenalinico, come il combattimento con Ashava, davvero interessante.

Molto votato all’action, potrebbe non essere perfetto per i giocatori che cercano un’esperienza open world meno frenetica: a Sanctuarium si combatte, sappiatelo!

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Overwatch 2: i migliori DPS per iniziare

In Overwatch 2 il DPS (damage per second) è il ruolo che si occupa di infliggere ingenti danni e di confermare le uccisioni. Soltanto chi predispone di un’ottima mira e capacità di giudizio riuscirà a padroneggiare con maestria questo ruolo. Dopo aver visto i migliori healer e tank per iniziare, adesso concentriamoci su quali sono i migliori eroi DPS per iniziare la scalata alla vetta competitiva.

Torbjorn

Torbjorn: DPS di Overwatch 2
Torbjorn

Iniziamo la nostra lista con un DPS che sacrifica l’efficienza per un po’ di sano divertimento. Protagonista di molteplici rework, Torbjorn ritorna su Overwatch 2 con la stessa letalità (e capacità di infastidire) che lo contraddistingueva nel capitolo precedente. Forte su tutte le distanze, può alternare la sua sparachiodi tra 2 tipi di fuochi. Il primo è preciso e a lunga gittata, ideale per i colpi in testa, mentre il secondo è molto simile alla rosata di un fucile a pompa, permettendo capacità di difendersi se costretti allo scontro ravvicinato.

Se sarete in difficoltà vi arriverà subito in soccorso l’abilità “Sovraccarico” che vi permetterà di aumentare la vostra vita e la vostra velocità d’attacco, permettendovi un contrattacco rapido. Se invece le gioie della battaglia ravvicinata non dovessero attrarvi potrete sempre usare la famigerata Torretta di Torbjorn.

L’ultra “Nucleo Ardente” è ottima per limitare i movimenti del nemico. Usarla in punti di valore per gli avversari, come i punti di controllo, saprà destabilizzarli pesantemente.

La torretta è l’abilità più importante ed iconica di questo eroe. Essa mira da sola, quindi tutto quello di cui dovremmo preoccuparci sarà posizionarla in un luogo strategico. Un punto in cui potrà colpire in nemici in maniera fastidiosa rimanendo il più possibile al sicuro. Se danneggiata potrete ripararla con il martello che possedete come arma secondaria, ma tale azione prenderà troppo tempo, quindi fatelo solo quando la battaglia si è conclusa. Ricordate inoltre, che la vostra torretta potrà farvi da scudo dai danni nemici. Non sarà un’impenetrabile egida, ma potrebbe salvarvi da eventuali cecchini avversari.

Soldato 76

Soldato 76: DPS di Overwatch 2
Soldato 76

Sicuramente uno dei DPS più gettonati dai principianti di Overwatch 2. Soldato 76 risulterà subito un eroe intuibile e facile da usare per la maggior parte dei videogiocatori, d’altronde incarna perfettamente lo spirito di un FPS. Il fuoco principale risulta perfettamente simile a quello di un fucile d’assalto, saper controllare il rinculo sarà l’unica difficoltà che vi troverete davanti, ma dopo averci preso la mano sarete inarrestabili.

Soldato 76 preferisce tenere i nemici a media distanza, per potersi ritirare o per inseguire e finire gli avversari. Per fare ciò non basta un buon posizionamento, ma si dovrebbe utilizzare spesso l’abilità “Scatto” per muoversi velocemente. È molto comune per chi è alle prime armi scordarsi di sprintare nei momenti giusti, quindi spremete il tasto di sprint e correte!

Se qualche nemico volante vi sta dando problemi, usate l’Ultra “Visore Tattico” e li vedrete presto cadere come mosche.

Prima o durante ogni scontro è buona norma utilizzare il “Rigeneratore Biotico“, il quale attiverà una zona che curerà lentamente voi e vostri alleati. Usatela per permettere ai vostri healer un attimo di respiro oppure per curare i vostri alleati in situazioni di emergenza. La cura non sarà massiccia, ma potrebbe essere la differenza tra la vita e la morte.

Infine, utilizzate l’abilità “Razzi Helix” in mezzo a folti gruppi nemici o ai piedi di bersagli vulnerabili per facili uccisioni. Questa è un’abilità che si ricarica abbastanza in fretta, quindi non abbiate troppo timore di sprecarla.

Junkrat

Junkrat: DPS di Overwatch 2
Junkrat

Se pensate che su Overwatch 2 un DPS debba concentrarsi puramente sul danno, allora Junkrat è la scelta giusta per voi. Con il suo lanciagranate Junkrat riesce ad essere letale sia sulla lunga che corta distanza, prediligendo però quest’ultima. Quello che questo eroe guadagna in danno lo perde purtroppo in precisione, e per questo, è consigliato un approccio ravvicinato ed aggressivo, senza però sfociare in ripetute e testarde morti.

Anche se vi troverete spesso faccia a faccia con i vostri nemici, talvolta potreste ritrovarvi a combattere sulla lunga distanza, e per avere successo è consigliabile utilizzare la tecnica più vecchia del mondo dei videogiochi online: lo “spam“. Lo “spam” di granate, seppur eticamente scorretto, risulterà subito molto efficace se messo in pratica in luoghi stretti o prevedibili. Cercate di rendere la strada dei vostri nemici impraticabile, ricoprendola di granate, e sicuramente i DPS avversari ci penseranno due volte prima di avanzare.

La “Rotobomba” è tanto versatile quanto fragile. Gli avversari la sentiranno arrivare da lontano, quindi cercate di essere pronti a “schivare” i proiettili con movimenti rapidi.

Servono pochi colpi per eliminare un nemico, ma se non bastasse potete sempre usufruire della “Mina Dirompente“. Lanciatela verso un nemico per finirlo o per allontanarlo in caso di pericolo. Quest’abilità sarà inoltre il vostro biglietto per una fuga rapida o per un movimento verticale di posizionamento. Basterà azionarla sotto di voi per poi balzare nel punto che più vi aggrada.

L’abilità “Tagliola” sarà spesso un elemento fastidioso per i novizi, ma con il passare dei match i giocatori la noteranno molto più frequentemente. Abituatevi quindi a posizionarla in luoghi imprevedibili, e a riposizionarla se il luogo dove l’avete piazzata non ha attirato nessuna preda per molto tempo. Un modo ottimo per far incappare il nemico nella vostra trappola è quello di azionarla nel bel mezzo di uno scontro concitato, quando il nemico sarà troppo distratto per notarla. Potreste persino lanciarla in mezzo alle linee nemiche ed essere efficaci, se pensate di non essere visti.

Reaper

Reaper: DPS di Overwatch 2
Reaper

Su Overwatch 2, Reaper è un DPS che alterna un gameplay aggressivo ad uno più strategico e subdolo. La somiglianza delle sue “bocche infernali” alle meccaniche di un fucile a pompa lo costringono ad un’azione ravvicinata, ma questo non significa che un approccio frontale sia sempre la soluzione migliore.

Reaper può infatti vantare di un’ottima mobilità, che può sfruttare per aggirare il nemico e colpirlo alle spalle. Usate l’abilità “Passo D’Ombra” per fare proprio questo. L’abilità vi permetterà di scegliere un luogo lontano da voi per potervici teletrasportare, ma fate attenzione perchè quando la attiverete sarete immobili e vulnerabili, quindi usatela solo quando non siete visti dal nemico.

“Spirale della morte” è senza ombra di dubbio una delle Ultra più forti, cercate sempre tra le fila nemiche l’avversario che può contrastarla e fatelo fuori prima di tutti.

Nei vostri attacchi alle retrovie ricordate sempre di sparare solamente quando avrete la vostra preda molto vicino a voi. I neofiti tendono a bruciare l’opportunità di una facile uccisione cominciando a sparare da troppo lontano, palesando la propria posizione senza avere un guadagno di danno soddisfacente.

Se vi doveste trovare da soli o con poca salute potreste sfruttare il risucchio di vita dei vostri proiettili è una buona idea, ma talvolta potrebbe non essere abbastanza. In queste situazioni, la vostra vita verrà spesso salvata dall’abilità “Forma Spettrale”. Quest’abilità vi permetterà un boost temporaneo alla velocità e uno status di invincibilità. Sfruttate queste caratteristiche per fuggire rapidamente verso i vostri compagni di squadra, e subito dopo esser stati curati, potrete buttarvi di nuovo nella mischia freschi come una rosa.

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Overwatch 2: i migliori tank per iniziare

Il tank è la spina dorsale della squadra in Overwatch 2, se il tank muore probabilmente la squadra lo seguirà poco dopo. Questo è quindi un ruolo di grande responsabilità, che solo in pochi possono comprendere a pieno. Se credi di esserne all’altezza allora continua a leggere per conoscere i migliori tank per chi vuole provare questo importantissimo ruolo di Overwatch 2.

RoadHog

Roadhog non sarà il tank più difensivo, ma di sicuro è uno dei più divertenti di tutto Overwatch 2. Il suo fuoco primario è un’ampia rosa di devastanti colpi che possono essere alternati tra media e corta distanza. Il suo potenziale di danno è molto alto, ma non lasciate che la sete di sangue vi prenda alla testa. Ricordate sempre che siete dei bersagli giganteschi!

Verrete probabilmente sempre presi di mira per primi, quindi usate coperture e movimenti imprevedibili per avere la meglio (e se scappate fatelo sempre dando le spalle alla minaccia, in questo modo coprirete la vostra parte più vulnerabile: la testa)

Roadhog per sopravvivere può contare sull’abilità “Boccata d’Aria” che gli permetterà di recuperare rapidamente molta vita. Oltre l’ovvio utilizzo esistono caratteristiche nascoste ai meno avvezzi.

Gli spazi stretti sono ottimi per utilizzare la “Porcata”, sfruttateli per ottenere rapide uccisioni o per creare spazio per la vostra squadra.

Ad esempio, l’uso dell’abilità ci regalerà un boost temporaneo alla difesa, permettendoci di resistere ai danni per l’intera durata della cura. Sapevate inoltre che l’uso di questa abilità ricaricherà abbondantemente la nostra Ultra? Provate a curarvi quando sarete a metà vita e potrete vedere da voi l’ingente carica che apporterà.

Infine, l’abilità più importante: il gancio. Terrorizzate psicologicamente gli avversari agganciando e finendo i bersagli con poca salute, oppure destabilizzate le linee nemiche portandoli fuori dalla portata dei loro alleati.

Zarya

In Overwatch 2 Zarya perde il ruolo di secondo tank di supporto e si rinnova, adattandosi al gameplay da solista.

Il suo fuoco primario è un raggio agevole nella mira, ma che inizialmente farà poco danno. Per amplificarlo basterà ricevere danno quando si è all’interno della “Barriera Particellare”.

Il fuoco secondario invece sparerà dei proiettili a traiettoria discendente, colpendo più bersagli. La strategia è quindi quella di utilizzare il fuoco secondario ai piedi di un gruppo e il primario per concentrare il danno amplificato su un singolo bersaglio.

Non siate ossessionati dall’occasione perfetta, usare la “Bomba Gravitonica” anche solo su uno o due nemici può essere altrettanto efficace.

Il corto raggio di Zarya la costringe ad uno stile di gioco aggressivo, dove dovrete trarre il massimo dai 2 scudi a vostra disposizione. Quando li usate su di voi siate imprevedibili. I nemici non vi spareranno se attivate lo scudo troppo presto. Cercate di attivarli quando siete già sotto fuoco nemico, ricavandone più carica possibile.

Zarya è un eroe semplice, e quindi perfetto per chi non ha voglia di imparare troppe abilità tutte insieme. La maestria sta proprio nel riuscire a padroneggiare la strategia di battaglia, favorendo una mentalità tattica ad un’innata abilità da sparatutto.

Sigma

La brutale eleganza di Sigma si riflette sul suo stile di gioco. Primo eroe nella lista dotato di un effettivo scudo, Sigma di rivela un ottimo tank per chi possiede una buona mira.

Il suo fuoco primario sono una coppia di sfere rimbalzanti che, se andate a segno entrambe, riusciranno a dimezzare la vita dei nemici più deboli, ma non lasciatevi ingannare dalla loro letalità. Uccidere con Sigma richiederà la sua totale attenzione, ed essendo voi tank non potete permettervelo. Lasciate il compito di confermare le uccisioni ai vostri DPS.

Sigma preferisce tenersi a media distanza, dietro il proprio scudo, avanzando ed arretrando a seconda della situazione.
In questo elegante duello le nostre abilità difensive ci semplificheranno il lavoro.

Usate lo scudo per proteggere voi e la vostra squadra, ma fate attenzione a tenerlo troppo tempo attivo. La vita dello scudo è limitata, quindi cercate di usarlo saggiamente, bloccando abilità specifiche piuttosto che interi assalti.

Il “Flusso Gravitazionale” dimezzerà la vita di tutti i nemici. Usarlo sui tank avversari significa privarli di una risorsa vitale.

Quando il nostro scudo verrà meno potremmo sempre contare su “Presa Cinetica”, che ci permetterà di assorbire la maggior parte dei danni, permettendoci un attimo di respiro.

L’abilità “Accrescimento” sarà la nostra offesa. Scagliate l’enorme masso contro un nemico per stordirlo il tempo necessario per finirlo, oppure usatelo per interrompere le Ultra nemiche.

Sigma potrebbe rivelarsi complicato all’inizio, ma la gestione accurata di scudo e abilità sarà la chiave per perfezionarsi e sfruttare il suo enorme potenziale difensivo.

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Overwatch 2: i migliori healer per iniziare

Reinhardt

Rein è l’opposto di sigma. Stabile e a corto raggio. Chi gioca questo eroe deve saper padroneggiare il capo di battaglia, sfruttando l’ampiezza del proprio scudo per assalti e ritirate.

Un errore comune è quello di cedere alla tentazione di caricare in mezzo ai nemici, tirare qualche martellata e morire subito dopo. Muovetevi sempre in armonia con i vostri alleati, difendeteli e create spazio di manovra.

L’errore più grande è quello di far capire agli avversari che state per utilizzare lo “Schianto Sismico”. Siate imprevedibili ed otterrete la vittoria.

La vostra unica possibilità di fare danni a distanza è tramite l’abilità “Dardo di Fuoco”. Siate precisi e farete molto danno ad uno o più bersagli. L’abilità “Carica” è invece l’elefante nella stanza. Calcolate sempre la posizione d’arrivo della carica e cercate di farla coincidere con quella dei vostri alleati. Una carica andata a segno ricompenserà con danni enormi, ma non caricate mai senza un piano.

Rein insegna al posizionamento, alla capacità decisionale e al lavoro di squadra. Un ottima scelta per iniziare seriamente il ruolo di tank.

Orisa

“L’inarrestabile” e “L’immortale” sono solo alcuni dei nomi che i giocatori hanno dato ad Orisa in Overwatch 2. Forse il tank per eccellenza, Orisa scala le classifiche delle vittorie grazie alle sue potenti abilità.

Non possiede scudo, ma questo non significa che non possa difendere i propri alleati. Usate il “Giavellotto Rotante” per mangiare i proiettili nemici e sfruttate il boost alla velocità per attaccare o fuggire.

Il numero magico è 200, ovvero la percentuale di carica di “Impeto Terrestre” che vi permetterà di one-shottare la maggior parte degli eroi.

Quando sarete in difficoltà attivate “Fortificazione” per ridurre notevolmente i danni e annullare i danni critici subiti.
Divertitevi con il fuoco primario a munizioni infinite ed usate il “Giavellotto Energetico” mentre aspettate il raffreddamento dell’arma.

Giocare Orisa con maestria non è tanto diverso dal giocare un rhythm game. Sfruttando l’utilizzo ritmato delle abilità, calcolate i cooldown per non rimanerne mai a corto, e se verrete supportati dai vostri alleati allora potrete diventare, letteralmente, l’inarrestabile carro armato di Overwatch 2.

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Forspoken – Recensione

Recensione in BREVE

Forspoken è una buona avventura 3D ma non riesce ad essere nulla di più. L’esplorazione è nel complesso interessante e ben fatta. I combattimenti, per quanto spettacolari, non mancano di sbavature e imprecisioni che ne pregiudicano la riuscita. Il comparto tecnico, infine, pur presentando un’ottima grafica e un sonoro sopra la media, non risulta essere superiore a molti altri titoli simili presenti su PS5. Davvero un peccato!

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Da pochi giorni è finalmente disponibile per tutti i possessori di Playstation 5 la nuova fatica di Square-Enix: Forspoken. Il gioco rappresenta il debutto di Luminous production, team interno a Square, che si è occupato dello sviluppo del gioco.

L’uscita di Forspoken è stata piuttosto travagliata. Conosciuto inizialmente come Project Athia, il gioco sarebbe dovuto uscire il 24 maggio 2022, ma è stato più volte posticipato fino alla sua uscita effettiva, avvenuta nel 24 gennaio 2023.

Fin dalle prime fasi di sviluppo, Fospoken prometteva di essere la prima vera avventura di nuova generazione, con un comparto tecnico e grafico in grado di sfruttare al massimo le capacità di Playstation 5. Sarà stato in grado di mantenere le promesse?

Frey, la nostra eroina, ha il brutto vizio di cacciarsi spesso nei guai.

Frey nel paese delle meraviglie

All’interno di Forspoken vestiamo i panni di Alfre Holland, meglio nota come Frey. La giovane orfana afroamericana vive nel malfamato quartiere newyorkese di Hell’s Kitchen, con la sola compagnia della gatta Homer. Come apprendiamo presto, Frey ha la brutta abitudine di inguaiarsi con la giustizia e di frequentare pessime compagnie.

Trovatasi con le spalle al muro, Frey decide di affidare la sua amata compagna a una giudice magnanima per regolare i conti con la gang che l’ha presa di mira. Proprio in questo frangente, la giovane si imbatte in un bracciale dorato, che, una volta entrato in contatto con lei, spalanca un misterioso portale simile ad uno specchio.Vinta dalla curiosità, Frey, come una novella Alice, entra nel portale, ritrovandosi intrappolata nel mondo medievaleggiante di Athia.

Attraverso lo specchio

Qui la ragazza si accorge presto di non essere sola. Il bracciale che aveva trovato, da lei battezzato Cuff (bracciale in inglese), è infatti dotato di vita propria e inizia a comunicare con la mente di Frey, divenendo il suo compagno più stretto nel corso dell’avventura.

La protagonista si rende conto anche di possedere incredibili poteri magici, che le risultano subito indispensabili per difendersi dalla fauna locale, composta da creature mostruose e pericolose. La ragazza raggiunge quindi il villaggio di Cipal, principale centro abitato del mondo di Forspoken. Qui Frey viene accolta con ostilità e apprende che gli abitanti del mondo di Athia non se la passano per nulla bene.

Le Tantas rappresentano, almeno all’inizio, le principali antagoniste di Forspoken.

Lo strano mondo è infatti da diverso tempo affetto da un miasma venefico, denominato Rovina, in grado di trasformare ogni essere che entra in contatto con esso in una creatura pericolosa ed aggressiva. Stranamente, però, Frey sembra totalmente immune al fenomeno.

Come se ciò non bastasse, le Tantas, sorta di matrone magiche considerate le protettrici del mondo, da qualche tempo sembrano essere impazzite e sono diventate violente verso la pololazione, già tormentata dalla Rovina.

Entrata in conflitto con una delle Tantas, Frey, accompagnata dal suo nuovo amico Cuff e dalle fide scarpe da ginnastica, incomincerà un viaggio nel misterioso mondo di Athia, per mettere fine alla minaccia delle Tantas e riuscire in qualche modo a tornare a casa.

Una compagnia piacevole

La trama di Forspoken, pur non facendo gridare al miracolo per originalità, è scorrevole e nel complesso piacevole. Il gioco è ricchissimo di riferimenti ad Alice nel paese delle meraviglie e concentra molto l’attenzione su Frey e sulla sua crescita.

Da ragazza burbera, aggressiva e poco propensa a prestare attenzione al prossimo, Frey nel corso del viaggio diventa una donna matura e inizia a capire l’importanza della cura per l’altro e del senso del dovere. La storia del gioco procede in maniera abbastanza lineare e scorrevole, con l’eccezione di una grande rivelazione cha avviene verso la fine della storia.

Molto apprezzabili i dialoghi, che spesso mettono in risalto la distanza tra gli abitanti di Athia, uniti tra loro dalla sofferenza e dal desiderio di un domani migliore, e la durezza di Frey, disillusa da una vita di abbandono e disinteresse.

Anche il rapporto tra Frey e Cuff funziona molto bene, proponendo sia siparietti comici molto gradevoli, sia riflessioni più profonde ed interessanti. Come ci auguravamo esaminando la demo, Square sembra essersi ispirata al personaggio di Grimoire Weiss della saga di Nier, la cui voce ricorda molto da vicino quella di Cuff.

Bello ma non troppo

I paesaggi di Forspoken spesso risultano un po’ troppo vuoti.

Dal punto di vista tecnico, Forspoken non riesce purtroppo a mantenere le (alte) aspettative che lo accompagnavano. Il gioco, infatti, pur presentando una grafica davvero bella e pulita, non si distacca in maniera netta da altri titoli dello stesso genere.

Intendiamoci, il Luminous Engine fa un ottimo lavoro. I luoghi che Frey visita, risultano sempre di ottima fattura. Anche la città di New York, presente in alcune sezioni del gioco, è stata ricostruita in maniera davvero ottima.

Tuttavia non si avverte mai alcun reale salto di qualità rispetto a giochi come Horizon: Forbidden West o Elden Ring. Lo stesso discorso vale per i personaggi, molto realistici nelle fattezze e nelle animazioni, ma non in grado di stupire in maniera particolare.

Per quanto riguarda i nemici invece, come già osservato nella demo, Forspoken si rivela piuttosto deludente. Le creature che affronteremo, infatti, siano esse belve, persone corrotte dalla Rovina o veri e propri mostri, non impressionano particolarmente e sembrano essere piuttosto banali e stereotipati.

Un plauso va fatto invece ai combattimenti, che spesso coinvolgaoo un numero altissimo di nemici. Anche nelle fasi più concitate, il gioco riesce sempre a mantenere un’ottima fluidità, senza evidenti rallentamenti o cali di frame.

Il comparto tecnico di Forspoken colpisce in positivo, ma non riesce ad eccellere.

Un sonoro davvero meritevole

Una nota estremamente positiva è il sonoro. La musica di Forspoken, curata da Bear McCreary e Gary Schyman, presenta brani davvero piacevoli e coinvolgenti. In particolare, risulta davvero azzeccata e d’atmosfera l’alternanza di musica classica di stampo epico con una serie di tracce più ritmate ispirate alla musica beat.

Che si tratti di accompagnare feroci combattimenti, tragici momenti di introspezione o grandi colpi di scena, il sonoro di Forspoken non si fa mai trovare impreparato e le varie tracce calzano sempre a pennello. Una particolare menzione meritano i motivi che fanno da sottofondo agli scontri coi boss, davvero potenti e coinvolgenti.

Un gameplay tra alti e bassi

L’esplorazione è forse l’aspetto più piacevole di Forspoken

Forspoken è una classica avventura 3D open world. Dopo le prime due ore di gioco, che trascorrono con una narrazione estremamente lineare e senza particolari possibilità di esplorazione, Frey ha la possibilità di muoversi liberamente lungo l’enorme mappa del mondo, lasciando al giocatore la possibilità di decidere se dedicarsi alla storia principale o esplorare liberamente i dintorni alla ricerca di potenziamenti o nuovi equipaggiamenti.

L’esplorazione è resa davvero veloce e scorrevole da quella che è di fatto l’aspetto più interessante di Forspoken, ovvero il parkour magico. Come detto in precedenza, Frey scopre di essere dotata di poteri magici. Questi non le servono solo per combattere, ma le forniscono anche diverse abilità in grado di facilitare i suoi spostamenti. La prima di esse le consente di correre a velocità elevatissima superando gli ostacoli più semplici, fiondandosi da un dirupo all’altro come in una spericolata corsa ad ostacoli.

Occorre tuttavia fare attenzione, almeno all’inizio, a non abusare di queste abilità. Esse infatti portano Frey a consumare rapidamente il suo mana, obbligandoci ad attendere il suo ripristino ed esponendoci a eventuali attacchi nemici. Col proseguo dell’avventura, la protagonista, oltre ad aumentare il mana a disposizione, va a sbloccare nuove capacità, tra cui la possibilità di scivolare sull’acqua, di appendersi con fruste di fuoco alle sporgenze e di compiere balzi altissimi. Per questo motivo è consigliabile attendere l’ottenimento di tutte queste abilità per dedicarsi seriamente all’esplorazione.

Un mondo vasto ma vuoto

La mappa di gioco è davvero chiara e ben strutturata, anche se un po’ spoglia…

A differenza di quanto pensato osservando la demo, Forspoken non è composto da una serie di macro aree esplorabili progressivamente, ma da un’unica grande mappa, che contiene tutti i domini delle quattro Tantas. Pur essendo caratterizzati da atmosfere e colori differenti, in linea con quelli delle loro dominatrici, le aree di gioco tendono ad avere molti elementi in comune, cosa che creerà un certo senso di ripetitività.

Ad accrescere questa sensazione contribuisce la scelta, non troppo ispirata, di lasciare un solo centro abitato ad Athia. Ad eccezione del villaggio di Cipal, infatti, tutte le città del gioco sono deserte, eccezion fatta per le guardie delle Tantas, le quali saranno ben poco disposte a scambiare due parole con noi. La sensazione di vuoto e solitudine viene in parte mitigata dagli spassosi dialoghi con Cuff e, fortunatamente, non va ad intaccare la bellezza dell’esplorazione. Sarebbe però stato davvero bello poter esplorare altri centri abitati, magari con abitanti dotati di abiti e tradizioni differenti.

La mappa di gioco è chiara e ben realizzata e permette di inquadrare facilmente i nostri obiettivi e di farci un’idea precisa sia dei luoghi che vogliamo visitare sia dell’ordine con cui farlo. Le nostre mete principali saranno i rifugi, che consentono di sbloccare nuovi incantesimi e viaggi rapidi, i labirinti segreti, in cui possiamo affrontare varie ondate di mostri fino a sbloccare gli oggetti contenuti in fondo al dungeon e i campanili, che rivelano le porzioni della mappa ancora ignote.

Un combat system non sempre all’altezza

Il combat system è forse la parte più debole del gioco.

L’aspetto parso meno convincente di Forspoken sono i combattimenti. Per difendersi dalle creature di Athia, Frey ha a disposizione un nutrito set di magie, suddivise in incantesimi di attacco e di supporto. Gli incantesimi sono ulteriormente divisi in quattro colori diversi, uno per ogni elemento, cioè terra, fuoco, acqua e fulmine.

Con l’eccezione della magia del fuoco, più adatta al combattimento ravvicinato, gli altri set di incantesimi sono parsi davvero troppo simili tra loro. Le magie infatti si limitano spesso a scagliare proiettili di vario tipo contro i nemici, con effetti nemmeno troppo diversi. L’unico aspetto che ci porta a scegliere se ricorrere a un set o all’altro è la debolezza dei vari nemici ad uno specifico elemento.

Anche gli incantesimi di supporto appaiono davvero poco sfruttati e si limitano spesso a creare esplosioni o altri effetti offensivi, spesso nemmeno troppo dissimili dalle magie di attacco vere e proprie. Sono pochi gli incantesimi realmente differenti, con proprietà curative o che abbiano effetti originali o particolarmente utili.

Ogni incantesimo d’attacco può essere caricato mantenendo premuto il pulsante dedicato, generando un effetto più potente ed efficacie. Tuttavia spesso gli scontri si risolvono in un lancio continuo di incantesimi e in tentativi spesso maldestri di schivare gli attacchi nemici.

Difesa da rivedere

La fase difensiva, che già aveva suscitato diversi dubbi durante la demo, ha purtroppo confermato vari punti deboli. Durante gli scontri, infatti, non è possibile né parare gli attacchi né effettuare delle schivate “perfette” (scelta davvero strana, visto che questo tipo di azione sarebbe stato adattissimo al personaggio di Frey…).

Gli attacchi dei nemici infatti vengono parati automaticamente da Cuff, a patto di disporre del mana necessario. Con la pressione del tasto triangolo nel preciso momento in cui saremo colpiti genereremo un contrattacco magico, in grado di sbalzare via i nemici e di far recuperare energia a Frey.

Questa meccanica non è parsa particolarmente funzionale, poiché rischia di essere abusata negli scontri semplici e di rivelarsi inutile contro i nemici più coriacei, i cui attacchi non possono essere bloccati ed obbligano a schivate continue e spesso goffe. Alcuni scontri, in particolare quelli coi nemici più grossi e coriacei, risultano davvero lunghi, ripetitivi e frustranti.

Nel complesso, il combat system risulta pieno di buone idee e ragionevolmente coinvolgente, ma ha davvero troppi punti deboli. Intendiamoci, le battaglie di Forspoken restano molto fenetiche e visivamente sono davvero spettacolari, ma con una di cura maggiore avrebbero potuto essere molto più divertenti ed appaganti.

Gestione superflua

La gestione dell’equipaggiamento in Forspoken sarà utile ma non fondamentale.

Un aspetto molto importante di Forspoken è la gestione delle abilità di Frey e delle sue statistiche. Come abbiamo già detto, nel corso dell’avventura, Frey può sbloccare molti nuovi incantesimi, che vanno prima scoperti col proseguo della storia o leggendo i libri di magia sparsi per il mondo e successivamente sbloccati spendendo il nostro mana. Potssiamo accumulare mana sia sconfiggendo i nemici, sia svolgendo le missioni sia semplicemente raccogliendolo dalle apposite fonti lungo la mappa.

La gestione delle nostre statistiche e abilità passive è invece riservata alla scelta dell’equipaggiamento, composto da mantello, collana e unghie. Ognuno di questi oggetti ci fornisce particolari abilità e può essere personalizzato (ad eccezione delle unghie). Possiamo potenziare il nostro equipaggiamento ai rifugi grazie ai materiali collezionati durante il corso del gioco.

C’è da dire che, ad eccezione dello sblocco dei nuovi incantesimi, nessuno di questi oggetti sembra impattare in modo così decisivo, almeno per quanto riguarda lo svolgimento della trama principale (ho completato il gioco con a disposizione un numero davvero esiguo di mantelli, collane e unghie).

Tante ore extra

Il diario e i menù di Forspoken sono davvero chiari, completi e precisi.

La storia principale di Forspoken si svolge nell’arco di 12 capitoli (più un treidcesimo dedicato all’endgame). Per raggiungere i titoli di coda, almeno al livello di difficoltà più basso, saranno sufficienti poco più di una decina di ore.

Tuttavia il cuore di questo gioco, come per ogni avventura open world, risiede nella bellezza della scoperta e dell’esplorazione. Frugare ogni angolo di Althia, completare ogni missione secondaria e scoprire ogni mistero della trama porta a moltiplicare il tempo effettivo di gioco, donando a Forspoken una longevità più che buona.

Merita un plauso anche il menù del gioco, davvero chiaro, ricco e piacevole da consultare, che consente di fare sempre il punto della situazione in modo semplice e di tenere traccia di tutte le missioni secondarie (qui denominate deviazioni) che si stanno affrontando.

A questo proposito: il numero di attività da svolgere è davvero elevatissimo. Si va dalle semplici missioni che ci affidano gli abitanti di Cipal alla ricerca dei famigli delle quattro Tantas (che andranno addomesticati tramite un semplice minigioco) fino all’apertura di particolari forzieri bloccati da serrature magiche che possono essere sbloccate risolvendo alcuni rompicapo.

La maggior parte delle missioni, però, ruota intorno ad una serie di combattimenti, a volte con particolari condizioni da soddisfare (proteggere gli abitanti del villaggio, piuttosto che vincere in un dato tempo). Questo crea alla lunga una certa monotonia, che non sempre Forspoken è in grado di evitare.

Conclusione

Forspoken è sicuramente un buon titolo, ma non riesce ad essere nulla di più.

Tirando le somme: la sensazione più forte che si prova giocando a Forspoken è quella di trovarsi di fronte ad una grande occasione mancata. L’opera di Square-Enix non è assolutamente un brutto titolo, anzi l’avventura ha un ottimo comparto tecnico, una buona trama, è ragionevolmente divertente e anche discretamente appassionante. Ma non riesce ad essere nulla di più.

Tutte le sbavature del gameplay, la quasi totale mancanza di NPC e la ripetitività delle varie situazioni appesantiscono l’esperienza di gioco, penalizzando il risultato finale. Inoltre, le attese per questo titolo erano davvero alte e le promesse di un’avventura che mostrasse un vero salto di qualità nel panorama dei giochi ps5 erano altrettanto roboanti.

Purtroppo, come già detto, gran parte di queste aspettative sono state disattese. Eccezion fatta per il sonoro, infatti, Forspoken non riesce assolutamente ad elevarsi in modo significativo rispetto all’affollato panorama degli open world e il suo comparto grafico, pur restando di ottima qualità, non è in grado di far raggiungere al titolo Square alle vette promesse.

Davvero un peccato! Consigliamo comunque il gioco a tutti gli appassionati del genere, raccomandando però di non aspettarsi un capolavoro assoluto o una pietra miliare del genere, ma solo una buona avventura con cui trascorrere molte divertenti ore.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Action
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: No
  • Prezzo79,99€
  • Piattaforme: Playstation 5, PC
  • Versione provata: Playstation 5

Ho accompagnato Frey per tutta la durata della sua avventura per circa 15 ore grazie a un codice fornito dal publisher

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Scorn – Recensione

Recensione in BREVE

Scorn è un’esperienza capace di distinguersi. L’estetica horror ispirata agli immaginari di Giger immerge il giocatore in un mondo sì derivativo, ma che dimostra comunque di avere personalità e di essere in grado di reinterpretare i classici. Il lato puramente ludico è l’aspetto sicuramente meno curato del gioco, cionondimeno grazie a una eccellente narrazione silenziosa rimane criptica, ma a suo modo capace d’intrigare il videogiocatore.

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Di Scorn, se ne è già parlato abbondantemente, sia evidenziando i suoi lati positivi, sia sottolineandone le criticità. Quando mi sono approcciato per la prima volta alla recensione di Scorn, la prima domanda che mi sono posto è stata: «Ho qualcos’altro da aggiungere che non sia già stato precedentemente discusso, analizzato, commentato o criticato?»

Fortunatamente, per propria natura, Scorn è un titolo che si presta a numerose interpretazioni, un’esperienza gravida di spunti di discussione e di riflessione, tale da consentire punti di vista sempre diversi e vari, ciascuno valido a modo suo, consentendomi di rispondere affermativamente alla domanda postami sopra.

Scorn: horror

Spoiler Alert
Questo articolo contiene dettagli rilevanti sulla trama di Scorn

Un primo sguardo

Il gioco – nato dalla mente del gamer direct Ljubomir Peklar, dalle caratteristiche che richiamano apertamente Giger e le pellicole di Cronembergsi allontana senza vergogna dal videogioco tradizionale, mirando a essere un esperienza che emerge in confronto alle produzioni contemporanee e ponendo grande enfasi sulle suggestioni visive dei panorami sempre orrorifici, ma comunque pregni del misterioso fascinoso che avvolge l’intera avventura.

Tuttavia, è proprio quando l’esperienza si scontra con il doversi interfacciare a un utente attraverso il medium scelto, il videogioco, che emergono gli spigoli e le sbavature del titolo.

Ed è da questo presupposto che nasce in definitiva la mia volontà di scrivere di Scorn: è sufficiente essere diverso? Un’esperienza unica, differente (almeno nelle atmosfere) da tutto quello che ho avuto modo di provare finora nel medium, può permettersi di preoccuparsi meno del suo interfacciarsi a un individuo giocante?

Affinché un film possa essere considerato tale, è necessario che qualcuno possa testimoniare che le sequenze video che lo compongono, apparentemente sconnesse, siano in realtà legate a doppio filo da un intreccio di campi e controcampi, di eventi che si avvicendano in montaggi paralleli e alternati, di successioni in raccordi di sguardi e di posizione.

Poco importa se il messaggio finale arrivi o meno, se lo spettatore abbia effettivamente compreso il senso (prima ancora del significato) di quanto stia accadendo nello schermo davanti ai propri occhi.

Scorn se ne infischia di inviare un messaggio chiaro e univoco, preferisce piuttosto lasciarsi decifrare e interpretare dal giocatore stesso, il quale si farà idee e impressioni differenti a quelle di ciascun’altro sulla base delle medesime suggestioni, immergendo il fruitore in un mondo vivo e disgustosamente pulsante, alieno e indecifrabile per i nostri standard. Ljubomir Peklar è riuscito con il supporto del suo team, a creare un’idea di vita derivativa ma alternativa, dai connotati e dalla psiche ineffabili.

Eppure, affinché il mondo e le creature proposte da Scorn possano esistere è necessario che vi sia qualcuno pronto a testimoniarlo: il videogiocatore. Ed è proprio quest’ultimo, ahimè, l’elemento meno considerato nell’avventura messa in piedi da Ebb Software.

Le suggestioni di Scorn

In un ambiente così finemente curato, modellato e texturizzato secondo uno standard qualitativo così alto e seguendo dei canoni artistici finemente definiti, tali da garantire un ambiente creativo, alieno ma comunque sempre coerente, è strano dover confessare che l’esplorazione non venga mai ricompensata.

Seguire la strada sbagliata, come siamo stati abituati a fare in altri giochi anche meno affini a Scorn, non viene mai premiato, anzi garantirà solo la frustrazione di dover ripercorrere lo stesso sentiero appena attraversato.

Eppure, questa estrema linearità del titolo è lungi dall’essere un difetto effettivo. Ben vengano le esperienze più lineari. Anzi, dirò di più, il senso di angoscia suscitato da Scorn viene al contrario, corroborato da questo level design labirintico e a tratti dispersivo che caratterizza il nostro pellegrinaggio profano per la fabbrica.

Viaggio dalla natura decisamente atipica, il nostro. Se è vero, come dicevo, che l’esplorazione non viene mai ricompensata, il dedalo che costituisce il nostro tragitto per gli ambienti proposti da Scorn, contribuisce a fomentare il costante senso di smarrimento che ci terrà compagnia durante tutto il gioco.

Sovente vi domanderete se stiate percorrendo la strada corretta mentre il vostro alter-ego virtuale apparirà sempre abbastanza sicuro di come vadano utilizzati i vari macchinari sparsi nell’ambiente, che fungeranno da puzzle da risolvere per poter proseguire. Introducendo un’interessante dissonanza – funzionale alla creazione dell’atmosfera di Scorn – tra il protagonista e il videogiocatore.

I Puzzle

I Puzzle sono senza dubbio alcuno l’elemento più smussato del gameplay, nonché il pilastro portante dell’esperienza dal punto di vista prettamente ludico.

Non saranno mai particolarmente difficili né tantomeno brillanti. Eppure il team di sviluppo sembra aver trovato un furbo escamotage al fine di mantenere alta la gratificazione del giocatore alla risoluzione degli enigmi. Dal momento che saremo sempre incerti dell’effettivo funzionamento di questo o quel marchingegno, quando – a rompicapo risolto – avremo compreso come vadano utilizzate le varie parti che lo compongono, potremo sentirci appagati dal nostro risultato, come avessimo appreso una lettera nuova dell’alfabeto apocrifo di Scorn.

Scorn: shooting

Lo Shooting

Ho trovato frustranti oltre ogni ragionevole senso le fasi di shooting, specialmente quelle più avanzate, in cui morire non sarà un avvenimento così raro.

I colpi dei nemici sono difficili da evitare, costringendo il giocatore a una boriosa pratica in cui si ruoterà attorno alla creatura nemica per ingannarne l’IA o, alternativamente, a praticare la non più nobile arte della fuga a gambe levate.

La ricarica e il cambio delle armi sono particolarmente sceniche e definitivamente piacevoli da vedere, ma altresì eccessivamente lente, rimandando al ragionamento fatto sopra a proposito di come la Quality of Life generale sia stata sacrificata in nome di un’estetica appagante. Soddisfazione che arriva senza indugio, e in cui il team di sviluppo ha senz’altro avuto successo; eppure aver dovuto sacrificare altro dell’esperienza generale pesa in queste sezioni più che mai, strattonando fuori il giocatore dall’immersione a cui tutti gli altri elementi miravano con così tanta perizia.

Da un certo momento in poi, inoltre, le armi saranno perennemente presenti a schermo, rubando una discreta, seppur fortunatamente non così invadente, sezione dello schermo che sarebbe altrimenti potuta venire adibita alla contemplazione dei tanto decantati scenari, privati in questo modo della parte bassa dell’inquadratura per una buona parte dell’esperienza.

Due parole sul lato tecnico

Il furto dello scenario da parte delle armi a schermo è una svista non indifferente, vista la squisita direzione artistica di Scorn, sempre coerente ma non per questo poco varia, con scenari che spaziano da angusti corridoi pulsanti della fabbrica “bassa” a spazi aperti all’esterno della stessa o zone che ricordano più apocrifi luoghi di culto.

La fotografia è eccellente, e trova il suo apice nelle (seppur sporadiche) validissime cutscene del gioco. Con una luce sempre adatta a suggerire la natura aliena del posto, distante da quella solare a cui siamo abituati, quasi dovesse prima traversare una fitta nube di polveri prima di poter rimbalzare sul suolo, celebrando le composizioni di certe ambientazioni che non hanno nulla da invidiare alle più ricche tavole di un fumetto.

Ottimo anche il comparto audio, che immerge il giocatore in una moltitudine di suoni dalla dubbia provenienza, allo scopo di tenere i nervi del giocatore sempre sull’attenti, avvolgendolo da tutte le direzioni in attesa di un prossimo pericolo.

A questo proposito, suggerisco di giocare utilizzando delle cuffie o un buon impianto stereo, perché l’ambiente trae grande giovamento dal comparto audio, che arricchisce l’atmosfera con toni più horror di quanto non avessi preventivato, suggerendo dei JumpScare che poi, nel concreto, non arrivano quasi mai, mantenendo il giocatore in uno stato di ansia e angoscia perenne convenevole al senso di Scorn in quanto esperienza.

Per quanto riguarda modellazione e texturing, il livello generale è davvero ragguardevole per una produzione di questa portata, e il team di sviluppo sembra sapere bene dove e come vadano nascoste magagne che, in definitiva, l’utente finale non noterà mai.

Anche i bug sono rari e sporadici, consentendo un’immersione coerente e prolungata.

Scorn

Il rapporto con il videogiocatore

Se uno dei difetti discussi è stata la mancanza di attenzione da parte di Scorn nei riguardi del giocatore, non si può tuttavia negare che gli sviluppatori non abbia chiaro quale sia il pubblico di riferimento: videogiocatori navigati che sanno a cosa stanno andando incontro.

Il videogiocatore non viene mai preso per mano in modo eccessivo e ridondante come capita in altri titoli fin troppo pregni di guide e spiegazioni onnipresenti.

Ad esempio, la totale assenza di tutorial per spiegare come ricaricare o sostituire le armi, è compensata da un’interfaccia richiamabile in qualsiasi momento nel menù pausa, che illustra tutti i comandi necessari a compiere qualsivoglia azione. La troverete utile in più di un’occasione.

Notevole anche come Scorn sia in grado di sovvertire le aspettative. Un esempio è durante una sequenza in cui, nel più classico degli esempi del genere horror, dovremo percorrere lo stesso tragitto attraversato da una misteriosa quanto spaventosa creatura che ci precederà sempre di qualche passo. Quando finalmente ci confronteremo con l’essere, ad attenderci, piuttosto che il banale jumpscare che attendevamo, questa si legherà a noi attraverso delle pratiche che ricordano da vicino Cronenberg e il body-horror in generale, diventando contemporaneamente minaccia alla nostra sopravvivenza e strumento essenziale alla riuscita del nostro viaggio dallo scopo incerto.

Anche dal punto di vista dell’immedesimazione è stato fatto un gran lavoro: durante una delle cutscene discusse, assisteremo alla presunta nascita del nostro alter-ego, il quale svegliatosi nel processo di una sorta di disgustoso parto alieno, dovrà recidersi con le proprie mani quello che appare come un cordone ombelicale. Quando il nostro protagonista preso di coraggio, afferrerà il cordone con le mani, questi le allontanerà istintivamente in tutta fretta, dando la chiara sensazione dell’essersi sorpreso di poter percepire l’ambiente circostante proprio da questa protuberanza.

Riflessioni conclusive

Nonostante i difetti che sono stati discussi, la totale assenza della rigiocabilità e lo shooting che non rende giustizia a un lavoro altrimenti così degno di attenzione, ogni qualvolta avessi del tempo libero, avevo sempre voglia di rimettermi a giocare a Scorn.

Tralasciando il mio lato hipster che gode nell’apprezzare opere non adatte a tutti e che hanno il coraggio di essere differenti, ho trovato difficoltà a decidermi su come impostare questa discussione, se sotto un’ottica positiva o negativa, data la grande quantità di difetti che lo permea.

La Quality of Life generale è sacrificata in nome dell’impatto estetico, mentre gli scontri con i nemici sono talmente frustranti e boriosi da costringere alla fuga nella maggior parte delle situazioni in cui è possibile, vista la scarsa qualità dell’IA nemica, che si dimenticherà in fretta di voi.

Ciònonostante, ogniqualvolta tornassi a casa, maturava in me il desiderio di rimettermi a giocare, di scoprire cosa si nascondesse dietro quel marchingegno corrotto, di svelare quale mistero si celasse nella fabbrica.

Che siano stati i puzzle, in definitiva non così brillanti, ma sempre gratificanti, il senso di smarrimento costante provocato da un level design caotico e labirintico, ma comunque capace di guidare il giocatore verso la prossima meta.

Che sia stata la curiosità nello scoprire le vicende dietro lo scopo della fabbrica, l’origine della piaga, l’intento del parassita o dello stesso protagonista, a farmi apprezzare il gioco non mi è dato saperlo, probabilmente si tratta di una comunione tra gli elementi discussi sopra.

Certamente mi sono soffermato più di qualche volta ad ammirare i paesaggi di Scorn, sempre alieni e orrorifici, ma comunque ricchi di fascino e a loro modo irresistibili, domandandomi se delle ambientazioni così gradevoli e curate valessero un esperienza complessivamente mediocre, che di certo non trova il suo picco nel lato gameplay, ma che non cerca neanche di trovare la sua strada nel genere del walking sim (troppo spesso ingiustamente bistrattato), in quanto ambisce a un gameplay “vero e proprio“, attraverso lo shooting e i puzzles, ma che non risulta mai soddisfacente quanto desidera.

Il finale, invece, forse possibilmente anticlimatico ma comunque coraggioso e ricco di libere interpretazioni, spiazza ogni possibile dubbio: Scorn è un esperienza consigliata e da provare pad (o tastiera) alla mano.

La paura che un titolo del genere possa risultare troppo derivativo e che non trovi il suo spazio tra le fonti d’ispirazioni palesi del calibro di Giger o Cronemberg, è sensata e plausibile. Tuttavia, Ljubomir Peklar riesce a prendersi un posto in quell’olimpo del body horror, commistendo la giusta dose di citazioni ai classici del genere a delle idee potenti e originali.

Un’esperienza capace di reggersi sulle proprie gambe, anche senza dover essere amanti del genere di riferimento o senza conoscere le fonti d’ispirazione.