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Redfall – Recensione

La ventennale storia di Arkane Studios è intrisa di trame piene di magia, sovrannaturale ed eventi storici, che mischiandosi con credenze popolari hanno sempre formato un mix perfetto per tutti gli appassionati di videogame. Quando la software house annunciò Redfall, uno sparattutto in cui i nostri nemici sono le creature dell’horror gotico di Bram Stoker – i vampiri – la mia curiosità è diventata attenzione. Con Redfall, Arkane Studios ha tutti gli elementi per creare la propria opera magna migliorando e ampliando quanto di ottimo fatto in tutti questi anni, con particolare riferimento a Dishonored, Prey e Deathloop. Ci saranno risusciti? Scopriamolo insieme in questa recensione di Redfall.

Gotico a stelle e strisce

Redfall era una tranquilla isoletta americana del Massachusetts, terra madre di una comunità dedita al lavoro. Oggi Redfall è una pericolosa isoletta statunitense pregna di vampiri da cui è impossibile fuggire perché le acque sono state letteralmente paralizzate. Noi – cioè uno dei quattro personaggi che è possibile interpretare JacobLaylaDev o Remi – iniziamo il gioco dentro un’imbarcazione che ha appena visto svanire le sue possibilità di salvezza. Chi ha giocato Deathloop avrà, tanto per cambiare, un senso di deja vu, ma ben presto Redfall prenderà una piega decisamente diversa.

Sangue, morte e desolazione hanno costretto me e Jacob – il personaggio che ho scelto per questa avventura – sulla terraferma. Il primo compito è sopravvivere: fortunatamente gli abitanti dell’isola oppongono ancora una flebile resistenza, che come nel cinema post apocalittico ha in una stazione di polizia il suo primo avamposto, l’hub centrale da cui far partire le missioni principali per la prima metà della nostra esperienza sull’isola.

Recensione Redfall: inizio

La trama è uno dei maggiori pregi del gioco: l’isola di Redfall è stata vittima dell’avidità e della follia dell’Aevum, una casa farmaceutica che ha condotto esperimenti sul sangue degli abitanti del posto fino a generare dei vampiri. Tentativo dopo tentativo, la situazione è drasticamente peggiorata e l’etica del consiglio di amministrazione dell’Aevum si è rivelato inesistente. Sotto questo punto di vista Arkane Studios ha creato dei villain veramente senza scrupoli: il motivo principale che vi farà continuare a giocare è probabilmente scoprire fino a che punto può arrivare la cattiveria di questi nuovi non morti. Purtroppo e senza alcun particolare motivo, una parte di questa storia viene raccontata attraverso dei cinematic statici: diapositive in stile fumetto che non rendono giustizia alla scrittura dei nemici.

Un mondo chiuso

Redfall è formata da due macroaree di gioco. Normalmente parlerei solo della prima per evitare spoiler; in questo caso, parlerò solo della prima perché la seconda è sfortunatamente uguale alla precedente, solo un po’ più grande.

La mappa dell’isola si dirama in quartieri infestati da vampiri ed esseri umani che hanno deciso di venerare i non morti per scampare a fine certa o con scopi loschi. Per questo, la prima operazione possibile all’interno di un nuovo quartiere è il ripristino dei rifugi, cioè degli scantinati che una collegati alla corrente elettrica agiranno da mini hub per iniziare le quest di quella zona. Missioni che sono in realtà sempre due e sempre le stesse: l’ultima di ogni rifugio ci consente di uccidere un vampiro capo e ottenerne il teschio, oggetto fondamentale per completare la trama principale. Se vediamo dunque queste attività come necessarie per la quest principale, le missioni secondarie si riducono a una manciata a cui possiamo sommare l’aspetto più controverso: i nidi.

Recensione Redfall: Cuore del Nido

I nidi sono dei dungeon che rendono i vampiri di quell’area più forti del normale; di conseguenza, è particolarmente utile distruggerli. Per farlo bisogna avventurarsi in una caverna e distruggere il cuore che alimenta gli essere immondi. Una volta distrutto il cuore, avremo poco meno di un minuto per raccogliere il bottino e scappare via con la refurtiva prima del crollo della struttura. I nidi sono chiaramente pensati per la modalità cooperativa poiché non è fisicamente possibile raccogliere tutti gli oggetti da soli, prima del crollo, ma più di qualcosa non torna.

Dal momento in cui sono entrato nel mio primo nido, ho capito che il gioco è chiaramente incompleto su diversi punti di vista; infatti, anche se non sono uscito per tempo, nessuna penalizzazione mi è stata applicata. Semplicemente un caricamento mi ha portato fuori dalla zona. Inoltre, anche se queste aree sono pensate per la modalità coop, in realtà con Jacob è possibile arrivare fino alla fine senza dover affrontare alcun nemico. Il nostro cecchino infatti ha la capacità di rendersi invisibile e potrà arrivare indisturbato fino al cuore senza nemmeno spettinarsi. Il risultato della mia avventura con tutti i nidi è stato andare dritto per un dungeon che è sempre, ma veramente sempre, uguale, dare due colpi ai connettori del cuore, raccogliere una cassa di oggetti e scappare via.

Recensione Redfall: Jacob Boyer

La conferma che qualcosa non va in questo videogioco è comunque ben visibile anche fuori dai dungeon. La quest principale mi ha fatto viaggiare per tutta la mappa e ho notato che tra una zona d’interesse e l’altra, la città è letteralmente vuota, e sempre uguale. La maggior parte delle case e dei negozi di Redfall non sono accessibili; i pochi che lo sono, hanno un legame con qualche quest, mentre in strada si può girare tranquillamente sia di giorno che di notte, poiché la quantità di nemici, vivi o non morti, è incredibilmente bassa. A questo bisogna aggiungere che Redfall non è un open-world – una volta passati alla seconda mappa non si può tornare più alla precedente – e un’assurda nube rossa, una sorta di zona velenosa che porta alla morte, rende impossibile spostarsi in totale libertà.

Una volta giunto nelle zone di interesse, quelle piene di nemici che ostacolano la nostra missione, ho notato con immensa nostaglia il tocco di Arkane Studios: tutte le aree principali presentano diverse entrate che si adattano al nostro stile di gioco: si può entrare dalla porta principale come un carro armato; si può eludere i nemici sgattaiolando sul tetto oppure entrare dalla porta sul retro con l’aiuto di un grimaldello. Idee interessanti, ma purtroppo copia-incollate da un posto all’altro, nonostante queste aree presentino ambientazioni diversificate e gradevoli: il cinema, la casa infestata, la casa di cura o il cantiere navale hanno tutti una propria identità, anche grazie ai diversi documenti che possiamo trovare al loro interno, che danno un volto alle vittime di questa tragedia e un senso alla trama. Tutto però ritorna sotto la sufficienza quando dobbiamo affrontare gli avversari.

Paletti a salve

Mi piacerebbe dire che il problema principale di Redfall sia l’intelligenza artificiale, come più volte ho letto su diverse fonti, ma in realtà è tutto il sistema che si regge su fondamenta deboli.

I personaggi principali sono eccessivamente forti rispetto a tutto quello che li circonda. Per esempio, Jacob è un cecchino con tre abilità: diventare invisibile; inviare un corvo in ricognizione; evocare un fucile “spettrale” dotato di aimbot che mira direttamente alla testa. Queste tre abilità possono essere potenziate da un albero delle abilità, ma sono così potenti che lo skill tree è completamente inutile.

Anche se Redfall non è un looter shooter, le armi – poco meno di dieci tipi – si differenziano per rarità (indicata dal colore), il proprio livello e l’utilizzo che ne dovremmo fare. Un’arma “gialla” di basso livello farà sempre meno danni di una “grigia” (comune) ma avrà più caratteristiche extra. In aggiunta, dato che abbiamo due nemici principali, umani e vampiri, ci sono armi che sono efficaci contro gli esseri viventi – le comuni armi – e le armi pensate per i vampiri: sparapaletti, cannone a raggi UV e pistola lanciarazzi.

Tra tutti, lo sparapaletti è l’arma più potente del gioco, ma si può tranquillamente arrivare fino alla fine con un fucile a pompa o con uno da cecchino, poiché i nemici non ci metteranno mai veramente in difficoltà e anche nelle situazioni peggiori ci sarà sempre una sorta di glitch che potrà salvarci la pelle. Tutto questo perchè il gunplay del videogioco di Arkane Studios è impreciso e privo di tutti quei dettagli che hanno permesso alla software house di diventare così popolare su altri generi: basta andare dritti con un’arma e prima o poi i nostri nemici cadranno uno dopo l’altro.

La sfida aumenta verso la fine del gioco, ma non ho mai avuto la necessità di pensare a una strategia. Mi è bastato essere semplicemente un po’ più attento, fiducioso del fatto che l’intelligenza artificiale dei nemici sia imbarazzante. Come già detto, Jacob può diventare invisibile e la sensazione è che i villain non siano stati istruiti su come agire con questo personaggio; infatti, se passiamo vicino a un nemico mentre siamo invisibili, tanto gli essere umani quanto i vampiri, diranno qualcosa che ci fa capire che hanno avvertito la sua presenza, ma se siamo all’interno di uno scontro a fuoco e all’improvviso decidiamo di diventare invisibili, gli avversari smetteranno di sparare e addirittura di cercarci.

La sensazione di un videogioco incompleto, o per meglio dire appena abbozzato, è dato anche dalla tipologia di nemici. Gli essere umani sono tutti uguali, anche se ci sono ben tre fazioni con un background interessante ma mai pienamente sviluppato: la squadra dell’Aevum, teoricamente i più armati e pericolosi; la Bellwether Security, società che si occupa dell’eliminazione dei vampiri ma con traffici decisamente torbidi e le varie sette con a capo i vampiri. In fondo, questi tre gruppi dovrebbero distinguersi per la capacità di agire in simultanea ma senza una vera IA di gruppo come si può pensare di diversificarli?

I vampiri sono i più forti, ma semplicemente perché sono più coriacei singolarmente. Già i “base” mi hanno messo maggiormente in difficoltà grazie alla loro capacità di teletrasportarsi di fronte a Jacob. Senza esagerare con gli spoiler, tutte le altre varianti posseggono una qualità unica che li rende un minimo più complessi da gestire, senza però mai diventare veramente difficili. Medesimo discorso anche per le tre boss fight presenti nel gioco: sono morto diverse volte prima di riuscire a buttar giù il Vampire God di turno, ma non ho mai avuto l’impressione di non potercela fare: basta solo essere più accorti. Anche perché le meccaniche sono di quanto più standard e consolidato possibile: alcune boss fight dei primi anni 2000 hanno ancora maggiore appeal (si veda Metroid Prime o anche il più bistrattato The Legend of Zelda: The Wind Waker).

Paradossalmente il nemico più forte del gioco, ma anche la meccanica più interessante, prende il nome di Folgore: un nerboruto vampiro che si presenta in campo sparando fulmini color cremisi. Folgore si materializza andando avanti con la storia principale o quando uccideremo troppi vampiri speciali. Una meccanica che mi ha ricordato i Grandi Antichi di lovecraftiana memoria, che tutto vedono e prima o poi colpiscono. un’idea che mi sarebbe piaciuto vederla ulteriormente sviluppata ma purtroppo così non è stato.

Recensione Redfall: God Vampire

Redfall su Xbox Series X

Tecnicamente Redfall è insufficiente. Ho provato l’opera di Arkane Studios su Xbox Series X e conscio del blocco sui 30 fps, mi aspettavo una resa grafica da next-gen. Così non è: le texture sono mediocri nanche per un titolo per PlayStation 4 o Xbox One. Alcune aree importanti forniscono un bel colpo d’occhio, ma i complimenti sono diretti solo al design di alcune zone al chiuso come il cinema o la villa di un vampiro divino; l’isola di Redfall è scarna e gli interni delle sue abitazioni sono quanto di più generico sia possibile vedere. Gli essere umani sono tutti uguali, mentre i vampi presentano qualche dettaglio apprezzabile. Purtroppo, in questa mediocrità devo segnalare uno spiazzante stuttering presente in alcune delle fasi più concitate del gioco, nonostante i 30 fps.

Conclusione

Redfall è un videogioco, come giustamente detto anche dallo stesso team di sviluppo, che andava cancellato, poiché è insufficiente sotto tutti gli aspetti, con l’aggravante di deludere una fan base che comprerebbe un titolo di Arkane Studios ad occhi chiusi. L’FPS di Bethesda potrebbe sembrare un buon punto di partenza per uno studio indipendente con una manciata di sviluppatori, ma non può soddisfare la necessità degli Xbox Game Studios di creare videogiochi di alta qualità. Redfall delude su tutti i punti di vista: gameplay, level design e persino graficamente. La trama ha delle buone intuizioni, ma il suo sviluppo è approssimativo. Il gioco avrebbe richiesto maggior tempo per essere completato, ma stiamo parlando di anni, non certo mesi.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: Xbox Series S|X, PC
  • Data uscita: 02/05/2023
  • Prezzo: 79,99 € (disponibile sull’Xbox Game Pass)

Ho provato il gioco al day one su Xbox Series X per un totale di circa trenta ore.

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Editoriali

Perché Bioshock ha fatto la storia dei videogiochi

Bioshock”. Avrei potuto anche scrivere questa unica parola, chiudere qui l’articolo e non aggiungere altro. Già, perché per qualunque amante dei videogame di qualità Bioshock è storia, anzi, è leggenda.

Quello che leggerete d’ora in avanti sarà il variopinto elogio di una saga, “Bioshock”, “Bioshock 2” e “Bioshock – Infinite”, che mi ha appassionato come quasi nessun’altra e che mi ha piacevolmente costretto a giocarla e rigiocarla fino a scoprire ogni più piccolo segreto, ogni sfaccettatura, ogni singolo passaggio. Con “Bioshock” e i suoi sequel, infatti, non si vive semplicemente una storia, non si vestono soltanto i panni del protagonista di turno ma si affrontano i propri demoni, ci si interroga, spinti dalla trama, a fare i conti con sé stessi e ad interrogarsi su cosa, fino in fondo, sia la nostra natura umana.

La nascita del mito

Ma andiamo con ordine. Nel 2007, sviluppato da Irrational Games e pubblicato da 2K Games, arriva “Bioshock”, un FPS destinato a cambiare la storia degli sparatutto in prima persona e non solo. Il titolo ebbe l’effetto deflagrante di una bomba atomica in un mondo video ludico che attendeva con ansia un nuovo capolavoro di cui cibarsi con voracità. Il lavoro dei ragazzi dello “Scoiattolo Cieco” si rivelò subito un gioiello preziosissimo, sia per il comparto tecnico e la programmazione perfetta sia per il design dei livelli e degli straordinari personaggi. Fu così che tutte le riviste di settore non poterono far altro che dare votazioni altissime tanto da raggiungere la media di 97/100. L’acclamazione di “Bioshock” fu unanime, così come la soddisfazione dei videogiocatori di tutto il mondo che si trovarono per le mani uno dei migliori titoli mai realizzati.

Bioshock: quando si dice colpo di fulmine
Quando si dice il colpo di fulmine!

Successore “spirituale” di System Shock 2, Bioshock venne ideato per stupire la platea videoludica e trasportarla in una realtà distopica in cui il giusto e lo sbagliato vanno a fondersi in un’ipocrisia generale e folle.

Il capostipite della serie inizia con il protagonista Jack intento ad affrontare il dramma di un disastro aereo rimanendo miracolosamente illeso. Precipitato al largo nell’Oceano Atlantico, scorge un faro poco distante. Entrato poi in una batisfera, viene trasportato suo malgrado all’ingresso della città di Rapture obbligato così a scoprire i tremendi segreti di un mondo sommerso intriso di pazzia, disumanità e degrado sociale da cui dovrà evitare di essere inghiottito.

La prima avventura si dipana proprio all’interno di questa stupefacente e affascinante città sottomarina in cui, prima del decadimento, si erano riunite menti illuminate e geniali che avevano come discutibile scopo quello di poter sperimentare senza freni, slegati dalla morale e dalle leggi terrestri.

Scopriamo, ben presto, che l’inizio della fine fu la scoperta di una sostanza estratta da alcune lumache di mare, l’Adam. Tale sostanza agisce sull’organismo umano come una sorta di tumore benigno che sostituisce le cellule presenti con cellule staminali potenziate e instabili. Risultato? Tanti poteri ma anche demenza e follia. Questi poteri vengono chiamati “Plasmidi” e donano a chi li possiede (i ricombinanti) le capacità, tra le altre, di congelare, bruciare, fulminare e generare api assassine. Tali poteri vanno costantemente rimpinguati dalla droga Adam che, come ogni sostanza stupefacente, causa dipendenza. Ed ecco che Rapture, nata come città utopica con lo sguardo rivolto al futuro e alla tecnologia, diventa in breve tempo un enorme calderone di morte e pazzia in cui umani dissennati vagano senza meta per procurarsi una dose.

E già così, ammettiamolo, potremmo parlare di un’idea originalissima alla base di Bioshock. Già così potremmo parlare di capolavoro. Per fortuna, però, Bioshock non si limita ad essere uno sparatutto in soggettiva tecnicamente e visivamente splendido ma anche un gioco in cui la trama ci lascia a bocca aperta e che ci regala chicche splendide come i Big Daddy e le Sorelline a cui non possiamo che dedicare una sezione più in basso.

Un Big Daddy ci sta caricando…

Tralasciando i risvolti di trama, per i quali il sottoscritto vi consiglia caldamente di recuperare i titoli e giocarli, i due sequel procedono nel solco tracciato da “Bioshock”, regalandoci in Bioshock 2 la possibilità di vestire i panni di un possente Big Daddy senziente e, nel terzo, di vivere un’avventura splendida tra l’onirico e il magico, il tutto sapientemente curato da una regia politica che ne fa, probabilmente, il titolo più maturo dei tre.

Big Daddy & Sorelline, terrore e genialità

Come abbiamo detto, gli abitanti di Rapture sono ormai perduti, vittime dei loro stessi vizi e perennemente alla ricerca di Adam. E la loro ricerca si estende, in modo macabro e purulento anche nei cadaveri disseminati qui e lì per una città senza freni. Già, perché con uno strumento terrificante simile ad una pistola con un lungo aculeo finale è possibile estrarre i residui di Adam che scorrono nelle vene del defunto. I cadaveri, però, restano incustoditi e a disposizione di tutti solo per pochissimi minuti perché, a pochi minuti dalla morte, ecco arrivare le visioni più agghiaccianti e terribili che Rapture proponga: i Big Daddy e le Sorelline. I primi sono dei robot corazzatissimi e armati di trivella meccanica che hanno un solo scopo: difendere le bimbe che li accompagnano. Queste creaturine a prima vista sembrano delle dolci e innocenti bambine che però si rivelano esseri mutati geneticamente e riprogrammati per “fiutare” l’Adam ed estrarlo dai cadaveri con i loro arnesi.

Bioshock: sorellina
Ecco una sorellina in tutto il suo macabro e tremendo splendore

Non nascondo che quando le incontrai per la prima volta restai pietrificato e provai una sensazione di terrore misto a fascinazione. È indubbio che, pur silenti, i Big Daddy siano personaggi straordinari, non a caso diventati ultra-famose icone pop più volte rappresentate e ben presenti nell’immaginario videoludico attuale.

Quando le parole “bene” e “male” non hanno più senso

Non starò qui a raccontare minuziosamente le trame di questi capolavori senza tempo a distanza di così tanti anni dalla loro uscita ma è necessario trovare all’interno di essi un filo conduttore dell’intera l’epopea di Bioshock: la difficoltà di distinguere il bene dal male. Cosa è giusto e cosa è sbagliato. Durante tutti i tre i giochi, infatti, saremo spesso chiamati a fare delle scelte difficili che potranno o non potranno rendere il nostro personaggio più forte e, di conseguenza, l’incedere tra i livelli più agevole. Saremo chiamati a scegliere se liberare le sorelline del loro mostruoso fardello regalando loro una nuova infanzia umana oppure ucciderle prosciugandole del tutto del prezioso Adam. Detta così, potrebbe essere semplice dire quale sia la scelta giusta ma, in realtà, siamo ben oltre i limiti dell’ovvio.

Le sorelline non sono biologicamente umane, anzi, sono completamente prive di umanità nel loro stato e ciò, convenzionalmente, non le porta allo status di esseri umani. Non sappiamo i risvolti reali della loro “redenzione” che, per mano nostra, potrebbe lasciarle in una sofferenza perenne e con enormi problemi di carattere psicologico e sociologico. Neanche la dottoressa che le ha create, Brigit Tenenbaum non sa realmente cosa le sorelline siano in realtà né tantomeno conosce la loro origine. Vale la pena rischiare la propria vita per salvare questi soggetti che potrebbero essere stati creati artificialmente in laboratorio? Sta a voi deciderlo… dilemmi etici di tale portata saranno ben presenti anche nei sequel in cui potremo o non potremo forzare la legge di Rapture e quella etica per andare avanti, oppure partecipare ad un golpe che possa favorirci. E’ tutto nelle nostre mani e i vari finali disponibili, che cambiano in base alle nostre scelte, rappresentano il giudizio finale sulle nostre azioni. Provare per credere.  

Sono ambidestro e ve lo dimostro!

Spero che a questo punto via sia passato il messaggio che “Bioshock” e fratelli siano dei capolavori visionari e senza tempo ma non potevi esimermi dal parlarvi di una delle meccaniche di gioco più importanti nonché più iconiche e riconoscibili del gioco: il doppio attacco combinato.

Abbiamo detto in incipit che a Rapture abbiamo la possibilità di acquisire poteri straordinari chiamati Plasmidi e che questi siano alla base di tutti e tre i titoli. Ciò non implica, però, che i nostri protagonisti non possano farsi largo tra selve di nemici a colpi di armi da fuoco, anzi. L’innovazione della saga di Bioshock è proprio rappresentata dal doppio attacco Plasmide/Arma da fuoco che possiamo sfruttare anche in base all’ambientazione. Per fare un paio di esempi banali, ma si può eliminare il nemico con enorme eleganza e in tanti modi diversi, se il nostro avversario si trova con i piedi nell’acqua sarà certo una buonissima idea utilizzare la scarica per fulminarlo per bene prima di finirlo con fucile o pistola mentre se si trova a camminare sul cherosene o sulla benzina, la fiamma ci aiuterà ad arrostirlo a puntino.

Boom e poi bang-bang!

Ecco, la possibilità di utilizzare la mano destra per sparare e la sinistra per utilizzare il potere fu un vero colpo di genio dei creatori che regalarono, così, ai posteri una saga da cui, successivamente, hanno attinto un po’ tutti a piene mani.

Una saga oltre il tempo e la tecnica

Degrado sociale, psicologia, cieca follia e lucida crudeltà sono gli ingredienti che, uniti ad un comparto tecnico di altissimo rilievo e da un level design degno di essere studiato nelle università di settore, fanno della saga di Bioshock una delle più importanti e ricordate dell’intera storia videoludica. Tre titoli che non sentono quasi per nulla il peso degli anni e che possono essere tranquillamente giocati anche al giorno d’oggi senza il timore di vivere un’esperienza vintage e poco appagante. Provare per credere.

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Società

Il mio primo incontro con Out Run

Annus Domini 1986: per gli amanti della storia, ricordiamo la nefasta esplosione di Cernobyl; per i più sportivi, menzioniamo l’acquisto del Milan da parte di Silvio Berlusconi; per i più cattolici infine, la pubblicazione dell’enciclica Dominum et Vivificantem, opera di Giovanni Paolo II sullo Spirito Santo. Io, appena sette anni, mi accingevo a fare qualcosa di ancora più grandioso.

Ero in procinto di incontrare sulla mia strada un iconico videogame che è stato, negli anni, letteralmente consumato dai videogiocatori di (quasi) ogni età: Out Run di SEGA, uno dei giochi fondamentali per il settore corse, che ha segnato un’epoca, la metà degli anni 80, rendendo i giocatori che l’hanno vissuta quello che sono oggi.

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Era agosto, si avvicinava il mio compleanno e come regalo chiesi ai miei genitori qualcosa di inusuale: quello che avrebbero speso per il regalo lo avrei “impiegato” interamente in una o più serate in sala giochi. Non ci andavo quasi mai. Era qualcosa da ragazzi più grandi di me, ma la voglia era massima e ovviamente uno dei due mi avrebbe dovuto accompagnare. La scelta ricadde su mio padre, colpevole tra l’altro, di avermi regalato il Commodore 64.

Arriva il fatidico giorno: emozionato come se dovessi intraprendere chissà quale impresa, ci avviammo così in sala giochi. Un turbinio di luci e neon mi avvolge completamente: lampeggianti, suoni di record battuti e Game Over; rumore di più flipper contemporane: il Paradiso! Mi faccio spazio tra i cabinati, ne provo qualcuno e proprio in quel momento, in quell’attimo, lo noto lì, appena liberato da un diciassettenne che credo che non avesse ancora capito cosa stava lasciando: Out Run!

Cabinato Out Run Deluxe
Cabinato Out Run Deluxe

Un cabinato a forma di interno di auto marchiato SEGA, con cambio, volante e pedali. Al centro uno schermo abbastanza grande (o forse ero io che ero piccolo) con in primo piano una Ferrari Testarossa. Solo in seguito seppi che era si una Ferrari Testarossa, ma Spider, che fu in realtà prodotta in un unico esemplare per Gianni Agnelli.

Il sedile sportivo, la voglia di fare “qualcosa da grandi”, cioè guidare mi spingono a provarlo e fu amore a prima vista! Il cabinato era la versione Deluxe, ovvero quello a forma di macchinina che si inclinava a destra o a sinistra a seconda delle svolte, davvero spettacolare! Out Run aveva per l’epoca una grafica e una fluidità innovativa, caratteristiche rivoluzionarie che furono decisive per il successo del titolo.

La visuale era posta dietro l’auto con camera molto bassa. Le location rappresentavano iconici paesaggi americani e al fianco del giocatore era seduta una biondona mozzafiato. Le corse si svolgevano su autostrade a più corsie dove viaggiavano, nello stesso senso di marcia, camion e altre auto, sportive e non: mi sentivo dentro Beverly Hills Cop.

Ovviamente le auto bisognava superarle o comunque evitarle, pena incidenti, che nei casi più gravi vedevano sbalzare fuori dall’auto i nostri due protagonisti. Incidenti fini a sé stessi poiché il game over di Out Run arrivava solo quando non si riusciva ad arrivare ai previsti checkpoint nel tempo assegnato.

Una chicca era la possibilità di scegliere il brano musicale da adottare durante il viaggio, a guisa di autoradio.

Oltre che su cabinato, Out Run vide fortuna anche su console domestiche e PC, che a suo tempo erano il Commodore 64, l’Amiga, Sega Master System e diversi dispositivi portatili. Conversioni in linea di massima tutte ben riuscite, ma da inguaribile romantico, niente avrebbe mai potuto scalzare, nella mia mente da bimboccio, lo scintillio di quel cabinato rosso fiammante, con luci e suoni, semovente, che aveva rubato il mio cuore in quel pomeriggio dell’agosto 1986.

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Editoriali

Perché Tomb Raider ha fatto la storia dei videogiochi

Se si guarda all’attualità del mondo dei videogiochi, il nome di Lara Croft non figura certamente tra quelli dei personaggi più popolari. La stessa saga di Tomb Raider, nonostante la buona qualità degli ultimi episodi usciti, non è certamente tra le IP più “forti” e rilevanti del momento. Tuttavia, tutti coloro che, come il sottoscritto, hanno vissuto la fine degli ormai mitici anni novanta, ricorderanno che la bella archeologa era diventata uno dei volti più famosi e riconoscibili dell’intera industria del videogioco.

Pubblicità, apparizioni su numerose riviste, merchandising, serie a fumetti, cartoni animati e persino varie apparizioni durante i concerti degli U2 del PopMart Tour del 97. Il nome di Lara sembrava davvero sulla bocca di tutti e non era esagerato definire la bella eroina una vera e propria icona pop. Questo successo, oltre che al carisma e al fascino di Lara, fu senz’altro dovuto all’incredibile qualità del gioco di cui l’archeologa era protagonista. Il primo Tomb Raider, infatti, fu un titolo davvero sorprendente, sia per la sua altissima qualità che per le innovazioni che seppe portare nel panorama dei giochi di avventura.

In questo articolo andremo a riscoprire questa piccola gemma e cercheremo di spiegare perché il primo Tomb Raider è stato tanto amato, come abbia saputo lasciare ricordi così indelebili nei cuori di numerosi giocatori, compreso il sottoscritto, e perché ha fatto la storia dei videogiochi. Recuperiamo le nostre pistole e lanciamoci alla riscoperta di questo classico!

Un fulmine a ciel sereno

Al momento della sua uscita ben pochi avrebbero potuto prevedere il successo di Tomb Raider

Quando Tomb Raider uscì, tra il 1996 e il 1997, lo fece in punta di piedi. Il gioco, sviluppato dalla veterana Core Design e prodotto da Eidos per Saturn, Playstation e PC, non fu infatti accompagnato da una campagna pubblicitaria particolarmente forte. Tuttavia, non appena i giocatori misero le mani su Tomb Raider, compresero subito di essere di fronte a qualcosa di davvero speciale.

Tomb Raider ricevette un’accoglienza estremamente positiva da parte delle riviste del settore, cosa che rese il gioco estremamente popolare tra gli appassionati. Anche le vendite iniziarono ben presto a lievitare, al punto che l’avventura di Lara divenne uno dei giochi più venduti in assoluto per la prima Playstation.

La strada per il successo

Tomb Raider propose un mix di elementi vincenti che decretarono il suo successo

Le ragioni del successo di Tomb Raider furono molteplici. Anzitutto, il setting e le ambientazioni. La trama del gioco vede l’avventuriera e archeologa Lara Croft venire assoldata dall’infida Natla per rintracciare lo Scion, un misterioso artefatto dalle origini ignote. La ricerca dello Scion porterà Lara a visitare antiche rovine sudamericane, un tempio sotterraneo di ispirazione greco-romana, l’antico Egitto e una misteriosa piramide, legata all’antica Atlantide.

Il gioco si sviluppa attraverso quindici immensi livelli, ambientati all’interno delle macro-aree nominate in precedenza. La trama viene sviluppata attraverso una serie di filmati, che si sbloccano all’inizio o al termine di determinati livelli.

Pur senza far gridare al miracolo, la storia di Tomb Raider era interessante e coinvolgente, soprattutto grazie all’incredibile carisma di Lara, che seppe subito conquistare i cuori dei videogiocatori.

Il gioco inoltre seppe subito catturare l’attenzione dei giocatori grazie al suo comparto grafico. Certo, ai giorni nostri la grafica di Tomb Raider appare molto datata e “cubettosa”. Negli anni in cui il gioco uscì, tuttavia, le ambientazioni completamente tridimensionali e le eccellenti animazioni fecero letteralmente gridare al miracolo.

Una vera avventura tridimensionale

I livelli di Tomb Raider rappresentano il principale punto di forza del gioco

Il più grande punto di forza di Tomb Raider, tuttavia, si rivelò essere la natura stessa del gioco. Intendiamoci, non stiamo certamente parlando della prima avventura 3D ad uscire sul mercato (basti citare giochi come Alone in the Dark o Myst, usciti ben prima di Tomb Raider). Ma nessun gioco fino a quel momento aveva saputo creare quella sensazione di assoluta libertà di movimento che l’avventura di Lara sapeva regalare.

Fin dal primo livello di gioco, il giocatore non avvertiva mai la sensazione di trovarsi su un binario, ma veniva letteralmente immerso in un enorme e realistico ambiente tridimensionale. Stava a lui e alle sue capacità di orientamento e osservazione trovare la soluzione per raggiungere l’uscita del livello.

Altro punto di forza del gioco era il gran numero di azioni a disposizione di Lara. La nostra archeologa infatti era in grado di camminare, correre, saltare in ogni direzione (sia da ferma che in corsa), spostarsi lateralmente e persino nuotare in profondità. Oltre a questo, naturalmente, Lara poteva utilizzare le sue fide pistole, alle quali si sarebbero affiancate altre tre armi.

Nel corso dei livelli, infatti, Lara era chiamata ad affrontare un gran numero di combattimenti. Si trattava principalmente di animali feroci, ma non sarebbero mancate le sorprese (qualcuno ha detto dinosauri?). Durante gli scontri Lara puntava automaticamente i nemici nelle vicinanze, in modo che il giocatore potesse concentrarsi solo sul movimento e le schivate. Le munizioni delle pistole di Lara non si esauriscono mai, mentre le armi aggiuntive andranno ricaricate tramite apposite munizioni sparse per i livelli.

Questa scelta, apparentemente molto semplicistica, rendeva gli scontri estremamente dinamici e divertenti, evitando un sistema di combattimento troppo complesso e macchinoso.

Livelli per tutti i gusti

Ogni livello di Tomb Raider proponeva sfide davvero varie ed originali
Ogni livello di Tomb Raider proponeva sfide davvero varie ed originali

L’altro aspetto che sancì il successo di Tomb Raider fu sicuramente la struttura dei livelli. Questi ultimi, con pochissime eccezioni, erano infatti stati pensati e progettati alla perfezione. Attraverso l’uso di blocchi da scalare, gallerie, porte segrete e passaggi acquatici, gli stage di Tomb Raider si sviluppano in ogni direzione, sia in altezza che in profondità.

Quasi mai il giocatore doveva affrontare un percorso lineare, ma si trovava all’interno di enormi ambienti aperti, che andavano visitati in ogni angolo per poter essere superati. Questo rendeva l’esplorazione davvero varia, coinvolgente e divertente.

Oltre a questo, i livelli erano estremamente diversificati tra loro. Le ambientazioni di ognuno di essi, infatti, risultavano quasi sempre molto differenti l’una dall’altra, riuscendo a risultare ogni volta fresche ed interessanti.

Il brivido della scoperta

Alcuni momenti dei livelli di Tomb Raider sono divenuti davvero iconici
Alcuni momenti dei livelli di Tomb Raider sono divenuti davvero iconici

Per rendere le cose ancora più interessanti, ogni livello, per essere superato, proponeva una sfida particolare. In St. Francis Folly, per esempio, Lara ad un certo punto raggiungeva un’enorme stanza con un pilastro centrale. Nelle varie estremità dello stanzone erano posizionati quattro templi, dedicati ad altrettante divinità antiche. Per superare il livello occorreva esplorare tutti i templi, superare le prove al loro interno e raccogliere quattro chiavi nascoste all’interno del tempio.

Nelle miniere di Natla, invece, Lara iniziava il livello priva delle sue armi. L’obiettivo primario del giocatore era rintracciare tre fusibili sparsi per la miniera che davano a Lara l’accesso ad una stanza in cui erano custodite le sue fide pistole.

Questa varietà di situazioni, unita ai numerosi combattimenti, rese Tomb Raider un’esperienza di gioco davvero ricchissima, in grado di accontentare sia i fan dei giochi di azioni che gli amanti degli enigmi e dell’esplorazione ragionata.

Come ciliegina sulla torta, i livelli di Tomb Raider proponevano spesso momenti davvero forti ed iconici, in grado di lasciare i giocatori a bocca aperta o di farli letteralmente saltare dalla sedia.

Senza dare troppi spoiler a chi non ha mai giocato a questo gioco, mi limito a citare il raggiungimento dell’enorme sfinge nel santuario dello Scion o la scoperta della mano del re Mida, ma potrei fare davvero decine di altri esempi.

L’eredità di Tomb Raider

Il numero dei sequel di Tomb Raider è davvero impressionante
Il numero dei sequel di Tomb Raider è davvero impressionante

Visto il successo ottenuto, era inevitabile che le avventure di Lara proseguissero. Eidos tuttavia fece la scelta di spremere la sua gallina dalle uova d’oro oltre l’inverosimile. Tra il 1997 e il 2001 uscirono addirittura quattro nuovi Tomb Raider, tutti su Playstation e PC.

Sebbene la qualità di questi titoli fosse generalmente molto buona (Tomb Raider 2 in particolare venne molto ben accolto), questi giochi risultarono davvero troppo simili tra loro e aggiunsero davvero troppo poco alla formula vincente del primo gioco. Questo causò, a lungo andare, un certo disinteresse per la saga.

Dopo il terribile Angel of Darkness, del 2003, Eidos realizzò due nuove trilogie dedicate a Tomb Raider. La prima fu inaugurata da Tomb Raider: Legend del 2006 e terminò nel 2008 con Tomb Raider: Underworld. Nel 2013 uscì Tomb Raider, vero e proprio reboot della saga, che ebbe a sua volta due sequels, Rise of the Tomb Raider e Shadow of the Tomb Raider. Per il 2023 è prevista l’uscita di un nuovo capitolo della serie, su cui sembra che Crystal Dynamics e Amazon stiano puntando davvero forte.

Finora però tutti questi seguiti, pur ottenendo sempre buoni risultati in termini di vendite e ricevendo vari apprezzamenti dal pubblico, non sono stati in grado di replicare l’incredibile successo dell’avventura originale. Chissà, probabilmente Tomb Raider è stato l’equivalente di una cometa, un fenomeno tanto bello ed emozionante da vedere quanto difficile da replicare. Quello che è certo, però, è il fatto che la prima avventura di Lara ha regalato ore ed ore di divertimento a migliaia di giocatori, che ancora oggi la ricordano con piacere e nostalgia. Ed è stato un piacere anche per il sottoscritto condividere con tutti voi i ricordi e le emozioni che Tomb Raider ha saputo regalarmi. Alla prossima avventura!

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The Last Case of Benedict Fox – Recensione

Ogni decade videoludica ha il suo genere e la sua ambientazione di punta. Negli ultimi dieci anni, i videogiochi indie si sono particolarmente concentrati sul genere dei metroidvania e sulle ambientazioni di carattere horror noir rese celebri tra la fine dell’800 e nei primi anni del 900 da Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft. The Last Case of Benedict Fox è potenzialmente la tempesta perfetta: un metroidvania artisticamente ispirato dai racconti di H.P. Lovecraft che vi raccontiamo in questa recensione.

Recensione in BREVE

The Last Case of Benedict Fox è un gran peccato. Il lato artistico, tanto quello grafico con uno stile perfetto per un metroidvania lovecraftiano quanto quello sonoro con deliziose musiche jazz, sono rovinate da un’approssimazione nel cuore dell’opera: il gameplay potenzialmente solido grazie allo stile soulslike mediamente impegnativo soffre di vistosi problemi tecnici al day one; gli enigmi sono ripetitivi e il level design impone un eccessivo backtracking. I competitor sono troppo agguerriti per essere impensieriti questa volta: tanto nel genere dei metrodivania quanto nelle opere lovecraftiane.

6


Orrore a 33 giri

Benedict Fox è un sedicente investigatore dell’incubo che offre i suoi servizi a Boston, Massachusetts. L’anno in corso è il 1925: il mondo ha conosciuto la Grande Guerra, ma è anche venuto a contatto con poteri occulti ed esoterismo. La società segreta nota come First Circle ha sfruttato le dimensioni spazio-temporali più oscure per i propri interessi e adesso ben due organizzazioni – con i loro metodi poco ortodossi – si sono fatti carico di smantellare ogni utilizzo della magia occulta nel mondo conosciuto e non solo.

Così come Dylan Dog ha Groucho, così Benedict Fox ha al suo fianco un’entità altrettanto misteriosa: Companion, un demone dentro il corpo dell’investigatore che lo aiuta a risolvere i crimini più impossibili, che in questa avventura sono strettamente legati alla vita privata di Benedict. In quest’ultimo caso, l’investigatore Fox torna nella casa dei propri genitori per scoprire chi li ha asssinati.

La nostra avventura nei panni di Benedict Fox e Companion inizia nella magione, la lussuosa residenza di famiglia che servirà anche da hub centrale per un’area più grande e profonda; infatti, l’investigatore Fox attinge ai poteri sovrannaturali del suo compagno per vagare all’interno della mente dei defunti, in una dimensione onirica dai tratti (vagamente) lovecraftiani. Il Limbo – questo il nome della principale area di gioco – è un mondo in cui gli incubi diventano realtà sotto forma di inquetanti mostri: la varietà è limitata, ma la qualità artistica – sia grafica che sonora grazie ai coinvolgenti temi jazz – è il maggior pregio di The Last Case of Benedict Fox, anche se l’occhio più attento non potrà non notare delle enormi somiglianze con i demoni di Eternal Darkness: Sanity’s Requiem, il capolavoro di Silicon Knights.

A un passo dall’inferno

Ogni defunto ha il suo Limbo, che coincide con un macabro ricordo del proprio passato e delle zone in cui più si è vissuto. Il risultato è che i genitori di Benedict hanno due Limbo distinti, ma che si concatenano in zone comuni: una trovata affascinante e sufficientemente variegata poiché composta da scenari con temperature, colori e arredi abbastanza diversi tra loro e perfettamente in sintonia con lo stile artistico che tanto ci è piaciuto.

Purtroppo, non possiamo dire lo stesso del design della mappa: i ragazzi e le ragazze di Plot Twist hanno deciso di creare un mappa di gioco veramente grande, ma che presenta due importanti problemi: le aree sono troppo grandi per quello che poi realmente vi è contenuto e troppo spesso ci siamo ritrovati senza aver idea di cosa fare a causa di un backtracking eccessivo, che costringe il videogiocatore a vagare senza meta per delle aree inutilmente grandi. La frustrazione aumenta ulteriormente se pensiamo che la mappa indica i punti ancora da attraversare ma non ci dice qual è l’ostacolo.

Tecnicamente annacquato

The Last Case of Benedict Fox è un metroidvania che potrebbe risultare una sfida per i giocatori meno avvezzi ai videogiochi “tosti”. Plot Twist ha deciso infatti di puntare su nemici in stile soulslike, cioè con mostri con un pattern predeterminato che possono velocemente portare a zero i quattro punti vita iniziali che abbiamo: tutti picchiano quanto serve, dai demoni simili a degli zombie fino ai cecchini dell’Orphan Resocialization Guild.

D’altro canto, Benedict ha un arsenale minimale ma di tutto rispetto: un coltello per gli attacchi in mischia; una pistola “magica”; la possibilità di parare con il dorsale del controller e di schivare con la levetta analogica destra. A questo poi bisogna aggiunge le abilità del nostro fidato demone Compagno, utili tanto in attacco quanto in difesa. Tanto le armi quanto le abilità del Companion sono potenziabili nella magione grazie a due figure che ci verranno in soccorso durante il gioco. Il miglioramento delle armi è stato pensato come opzionale poiché si otterrà grazie ad oggetti trovati in posizioni più o meno difficili da scovare; le nuove abilità invece si ottengono collezionando un inchiostro speciale che l’investigatore Fox userà per farsi tatuare delle migliorie che può scegliere all’interno di un scarno albero formato da soli due rami.

In ogni caso, i problemi principali non sono né i nemici standard né i (pochi) boss che incontreremo durante il tragitto: la vera difficoltà del combattere e dell’affrontare le piattaforme a colpi di salti è la presenza di un sistema di comandi impreciso e con evidenti problemi di risposta negli input. Cadere in una buca non è mai stato così facile e alcuni specifici punti sono realizzati in modo così punitivo – in cui bisognerà usare delle tecniche da veri e propri lamer navigati – che ci fanno credere che il gioco non abbia ricevuto un sufficiente beta testing.

Infine, saremo tenuti ad affrontare diversi enigmi matematici basati su indizi che troveremo durante il tragitto. Abbiamo trovato i rompicapo abbastanza impegnativi in un primo momento, ma una volta capito il meccanismo, la ripetitività diventa padrone del tempo che scorre in attesa del finale.

The Last Case of Benedict Fox al Day One

Inizialmente avevamo pensato di recensire l’opera su Xbox One, ma ci siamo dovuti ricredere. Al day one, il titolo soffriva di due enormi problemi: uno stuttering (cioè un calo di frame rate e fluidità generale) imbarazzante e caricamenti lunghissimi causati da evidenti problemi di ottimizzazione.

Abbiamo quindi deciso di recensire il gioco su Xbox Series X, disponibile tra l’altro su Xbox Game Pass al day one. Su next-gen siamo arrivati fino in fondo con caricamenti minimi – ma comunque superiori a tanti altri titoli simili, uno su tutti Ori and the Blind Forest – ma siamo rimasti perplessi nel vedere un videogioco di questo genere patire comunque di un vistoso stuttering in alcuni punti ben precisi e incredibilmente importanti e centrali per l’opera. Si aggiungono alle problematiche un paio di crash che ci hanno riportato alla schermata iniziale, diventati letali a causa della mancanza di auto-save, scelta anacronistica per una generazione che fa del Quick Resume il suo punto di forza.

È stata rilasciata una patch al day one che ha migliorato la situazione, ma non ha risolto completamente i problemi che ci siamo portati avanti fino alla fine del videogioco.

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Conclusione

The Last Case of Benedict Fox tratta due temi figli dei nostri tempi: il clamore dei metrodivania nel panorama indie e la rivalutazione delle opere di H.P. Lovecraft. Il problema principale – in entrambi i casi – è che generi e temi così mainstream, nel contesto underground, richiedono una cura dei dettagli che è mancata al team di Drift Zone.

Il lato artistico di The Last Case of Benedict Fox è un barlume di speranza per il futuro, ma che necessita di essere supportato in tutti i livelli del gioco: il gameplay presenta vistosi problemi prettamente tecnici; il level design, apparentemente interessante, si rivela invece un vagare alla ricerca di cosa cosa fare per andare avanti. In generale l’opera non è orrifica nè in senso negativo né purtroppo in senso positivo: la disperazione dei Grandi Antichi è solo una lieta lontana speranza.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Action-Adventure (metroidvania)
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: No
  • Prezzo24,99€
  • Piattaforme: PC, Xbox One, Xbox Series S/X
  • Versione provata: Xbox Series S/X

Abbiamo risolto il difficile caso della famiglia Fox dopo circa 15 ore di gioco grazie a un codice fornitore dal publisher

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Star Wars Jedi: Survivor – Recensione

Recensione in BREVE

Star Wars Jedi: Survivor può considerarsi una versione aggiornata e migliorata del suo predecessore. Le meccaniche souls-like non stancano, come non stancano i meravigliosi scorci e ambientazioni creati dagli abili artisti di Respawn Entertainment. Salvo difetti di ottimizzazione, questo titolo risulta godibile e intrattenente. Consigliato a tutti gli appassionati dell’universo di Star Wars, persino a coloro che non hanno giocato il primo capitolo.

8.5


Star Wars Jedi: Survivor si presenta come successore di Star Wars Jedi: Fallen Order, calcando la mano sulle caratteristiche che hanno reso il capitolo precedente un ottimo gioco. Ma si sa, talvolta mettere un “2” alla fine del titolo non basta ad accertarne la qualità. Essendo quindi in una posizione così rischiosa, Star Wars Jedi: Survivor sarà riuscito ad alzare l’asticella della qualità? Andiamo a scoprirlo.

La forza non è nella trama

In questo secondo capitolo vestiamo nuovamente i panni di Cal Kestis – uno dei pochi jedi a essere sopravvissuto all’Epurazione – il quale continua strenuamente la sua lotta contro l’Impero, con la speranza di rifondare il perduto Ordine Jedi.

Sono passati 5 anni dagli eventi di Star Wars Jedi: Fallen Order e le strade dei nostri protagonisti si sono divise. Cal Kestis, durante tutto questo tempo, è diventato un vero e proprio Cavaliere Jedi. Di lavoro in lavoro, aiutato dal suo fido droide BD-1, Cal cerca nuovi modi per sfidare e abbattere il famigerato Impero Galattico; nel fare ciò, Cal risveglia un antico jedi del tempo delle guerre dei cloni, il quale potrebbe non essere troppo grato della nostra gentilezza.

Nuove esperienze e nuovo look! Questo nuovo Cal ci piace davvero molto, un vero e proprio miglioramento estetico rispetto al passato.

Nel corso della nostra avventura, oltre a incontrare personaggi creati appositamente per il gioco – come per esempio Bode Akuna, mercenario che formerà un legame speciale con il nostro protagonista – ritroviamo anche volti noti della serie. Scopriremo cosa è successo a Greeze Dritus, ex-pilota della Mantis, vedremo come si evolverà il rapporto tra Cal e Merrin, la quale potrà essere utilizzata come compagna in combattimento, e incontreremo Cere Junda, nostra mentore durante il primo gioco.

In generale la trama è solida, ma alquanto lineare e tremendamente simile a quella del primo capitolo. Probabilmente gli appassionati ameranno perdersi nella galassia, incontrando facce nuove e vecchie, unendo i puntini temporali delle vicende dell’universo di Star Wars. Ma per chi è estraneo a tutto ciò, potrebbe risultare faticoso legarsi a una narrazione così poco avvincente, preferendo concentrarsi unicamente sul gameplay.

More of the same

Chi ha giocato il primo capitolo si troverà subito a casa. La maggior parte delle abilità acquisite in precedenza sono infatti disponibili sin da subito e il combattimento non sarà affatto dissimile dal precedente titolo. Sono ancora presenti gli elementi Souls-like e Metroidvania che hanno caratterizzato la saga (anche se forse sarebbe meglio dire Sekiro-like, visto che condivide molte più similarità con quest’ultimo che con un Souls).

Persino le interfacce sono state migliorate, rese più accessibili e intuitive.

Ma allora cosa cambia? Questa domanda potrebbero farla in molti, stizziti del fatto che non sia cambiato nulla a livello di gameplay. Ed effettivamente la formula principale rimane la stessa: esplorazione, combattimento e caccia ai collezionabili; tutto sembra prendere a piene mani da un modus operandi già visto e rivisto. Star Wars Jedi: Survivor è quindi un more of the same?

Pur non cambiando il nucleo principale della serie, Star Wars Jedi: Survivor implementa moltissimi cambiamenti e miglioramenti all’intera struttura di gioco. Molte meccaniche fastidiose sono state velocizzate o reinventate. Sono state aggiunte diverse nuove modalità di movimento, come per esempio il rampino o lo scatto aereo. Per non parlare delle miriadi di nuove personalizzazioni disponibili. Un’evoluzione insomma, di ciò che già funzionava. In definitiva, sì, Star Wars Jedi: Survivor è un more of the same.

Esplorazione: meravigliosa e faticosa

Le mappe di Star Wars Jedi: Survivor sono davvero gigantesche e talvolta questo non è un bene. In questo caso invece, la grandezza delle mappe non sarà affatto un problema. Ogni luogo pullula di flora e fauna, insenature nascoste, luoghi inaccessibili e collezionabili segreti. Per non parlare dei meravigliosi paesaggi che non ci stancheremo mai di guardare a bocca aperta.

I mondi esplorabili sono cinque e ognuno di loro ha un suo differente ecosistema: un mondo desertico; una stazione spaziale segreta; una luna infranta. Questi sono solo alcune delle meravigliose ambientazioni che potremmo esplorare. Tutto ciò anche grazie all’implementazione di un richiestissimo viaggio rapido, che renderà il viaggio decisamente più piacevole.

Non si può non lodare il lavoro di tutti gli artisti che hanno lavorato a questo titolo.

Purtroppo, anche se ogni location ha caratteristiche diverse, la sensazione è che in fondo sono estremamente simili tra loro. Sia chiaro: le ambientazioni sono molte, basti solo pensare alla palude di Koboh, al deserto rosso di Jedha o alle luci al neon di Coruscant, ma sembrano tutte mischiarsi in una grigia macchia di colore desaturato. Probabilmente questa scelta è stata fatta per incentivare il realismo, ma tale decisione rende sicuramente più difficile far imprimere questi stupendi scenari nella memoria a lungo termine dei videogiocatori.

Come se non bastasse, la nostra voglia di esplorare sarà presto recisa dalla componente Metroidvania, la quale limiterà molto i luoghi esplorabili, almeno a inizio gioco. E anche quando otterremo le abilità richieste, sarà comunque difficile ricordarsi i luoghi lasciati indietro, perché le mappe sono talmente intricate da risultare quasi dispersive. La mini-mappa 3D proverà a venirci incontro, ma non sempre è facile orientarsi.

L’affascinante Lato Oscuro

I nemici sono il cuore pulsante di Star Wars Jedi: Survivor e fortunatamente il loro numero è aumentato rispetto a Fallen Order: sono infatti tre le fazioni principali con cui andiamo a scontrarci. Partiamo con delle facce già viste: l’Impero. I nemici con la testa a secchio sono leggermente aumentati in numero: tra le loro fila troviamo i classici Storm Trooper, ma anche i temibili Purge Trooper e i micidiali droidi da combattimento. Il loro pattern di combattimento è molto semplice e sono tra gli avversari più prevedibili per chi ha già giocato il primo capitolo.

La novità risiede nei Predoni del Caos. La loro peculiarità è l’utilizzo di droidi della vecchia repubblica per combattere; di conseguenza, fanno la loro comparsa Droideka, Droidi da Battaglia B-1 e B-2, Droni Sentinella, e persino Droidi Separatisti da Battaglia. Un piacevole tuffo nel passato per tutti gli appassionati, anche se il loro sistema di combattimento non è troppo dissimile da quello imperiale, rendendoli quasi mere skin alternative.

Far dialogare i nemici tra di loro è una scelta molto apprezzata: rendono il mondo più vivo e regalano quel tocco di umanità in più.

Ovviamente, abbiamo anche la fauna galattica. Creature da ogni pianeta che non esiteranno ad attaccarci a prima vista. Ognuna di loro ci obbliga a differenziare il nostro approccio rispetto ai nemici umanoidi. Anche qui però non troveremo troppa varietà nel gameplay, potendo riassumere il tutto in un para e attacca. Fortunatamente non tutti gli animali ci vorranno fare la pelle, anzi alcuni potremo anche cavalcarli grazie al nuovo sistema di cavalcatura, che ci permette di viaggiare in groppa ad alcune creature così da muoverci più velocemente negli estesi spazi aperti.

Infine, fanno il loro ritorno i mercenari. Nemici speciali che potremo rintracciare nei vari mondi di gioco e sconfiggere per intascare la loro taglia. Completare una taglia ci ricompensa con crediti speciali che possiamo scambiare per nuovi pezzi di arma e abilità uniche per il blaster. Il combat system dei mercenari è sicuramente il più caratteristico della norma: mercenari focalizzati sull’uso dei blaster o magari rintanati dietro a un fastidiosissimo scudo ci hanno messo alla prova.

Souls-like o quasi

Parlando del combattimento non si può fare a meno di trovare somiglianze con i titoli From Software: sono infatti molte le meccaniche prese in prestito da quest’ultimi. Star Wars Jedi: Survivor riesce però ad essere unico nel suo stile e non può essere accusato di plagio o pigrizia, poiché ci regala un sistema di combattimento semplice e soddisfacente, anche se non privo di difetti. Purtroppo, bisogna far notare che gli input non risultano molto reattivi. Non è raro venir colpiti in combattimento per colpa di un tasto premuto, ma non registrato.

In questo secondo capitolo il sistema di combattimento è stato aggiornato con nuove abilità e stili disponibili; nello specifico sono tre i nuovi stili di combattimento implementati: doppia spada, blaster, e guardia incrociata. Gli stili non sono altro che le modalità d’uso della nostra spada laser: cambiarli nel bel mezzo del combattimento sarà fondamentale per adattarsi a ogni tipo di situazione.

Lo stile doppia spada non è in realtà così nuovo: era già presente nel capitolo precedente, ma ora gode di uno stile e di un albero delle abilità tutto suo. Stile poco difensivo, incentrato sull’aggressività, utile per i duelli in solitaria, dotato persino di un sistema di parry. Lo stile blaster, invece, è uno dei migliori, poiché ci permette di utilizzare in coppia sia la spada laser che appunto un blaster che si ricaricherà a ogni fendente della nostra lama. Stile elegante ed equilibrato, incentrato sul combattimento a distanza. Infine, lo stile guardia incrociata, il quale avvera il sogno di molti fan della saga. Permette infatti di aggiungere una guardia laser all’impugnatura, proprio come quella di Kylo Ren nella nuova trilogia. Tale modifica aumenta il danno dei colpi, a discapito della loro velocità. Adatta ai duelli, ma difficile da maneggiare. Praticamente la modalità berserk di Cal.

Saper scegliere lo stile giusto al momento giusto è la chiave per vincere ogni scontro. Per esempio, potremmo decidere di equipaggiare uno stile aggressivo, avendo la meglio su bersagli singoli, ma potremmo trovare difficoltà con gruppi di nemici o avversari volanti. Il tutto si riassume in un sistema equilibrato, che si adatta allo stile favorito dal giocatore. Peccato non si possano equipaggiare più di due stili di combattimento alla volta, tale decisione avrebbe giovato la libertà di gameplay e sarebbe stato più divertente sperimentare.

Gameplay a parte, i combattimenti sono un vero piacere per gli occhi.

Alti Livelli di Personalizzazione

Se non saremo impegnati ad eliminare nemici, staremo probabilmente andando a caccia di collezionabili. È inutile farlo? No, infatti racimolare oggetti opzionali ci ricompensa con maggiori informazioni sulle creature e sul luogo intorno a noi, ma non solo. Il comparto di personalizzazione si è veramente allargato, dando massiccia libertà di azione a tutti gli appassionati.

Se nel precedente titolo potevamo solo cambiare i colori del poncho, in Star Wars Jedi: Survivor avremo la possibilità di modificare completamente il look del nostro Cal.

Menzione d’onore va anche alla personalizzazione delle armi in nostro possesso, avanti anni luce rispetto al suo predecessore. In questo modo l’esplorazione è incentivata, poiché le modifiche alla spada laser (e non solo) sono sparse dappertutto. È però un gran peccato che nessuna di queste modifiche influenzi il combattimento, rimanendo stanziata al mero lato estetico.

Tecnicamente accettabile

Sono tristemente note le gravi problematiche di ottimizzazione per PC e Xbox, problematiche che potrebbero impattare negativamente molti giocatori. Star Wars Jedi: Survivor permette a inizio gioco di scegliere tra due modalità: “prestazioni” e “qualità“. Quindi, in un certo senso, avevano già previsto che il titolo non sarebbe stato alla portata di tutti. Ma un lancio del genere è a dir poco imbarazzante.

Su Playstation 5 – la versione da noi provata – invece la situazione cambia: il numero di cali di frame è di gran lunga minore. Sono presenti dei momenti di indecisione ma nulla che rovini l’esperienza di gioco in modo significativo. Al momento della recensione sono già state messe in atto patch risolutive che ammorbidiscono il problema, speriamo in una totale equità delle console in un futuro prossimo.

Modelli, texture, illuminazione… non c’è da stupirsi che l’esperienza di gioco venga intaccata.

Conclusione

Star Wars Jedi: Survivor prende tutto quello che era presente nel capitolo precedente e lo migliora nettamente, talvolta a discapito della fluidità e dell’ottimizzazione. Il titolo non presenta ammirabili innovazioni, ma potrebbe comunque essere una buonissima esperienza per qualsiasi appassionato del genere.

Gli sforzi degli artisti si sentono parecchio: soltanto il loro lavoro vale il costo del biglietto. Se si fossero concentrati anche sul lato tecnico e di game design probabilmente il titolo avrebbe raggiunto vette altissime. Riponiamo grande speranza nel prossimo capitolo (perché ci sarà un terzo capitolo… vero?).

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Action, Adventure
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: No
  • Prezzo79,99€
  • Piattaforme: Playstation 5, Xbox X/S, PC
  • Versione provata: Playstation 5

Abbiamo viaggiato la galassia sconfiggendo feccia imperiale per circa 16 ore grazie a un codice fornito dal publisher

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Guide

Lifeweaver: guida e strategie all’eroe di Overwatch 2

Lifeweaver è la tanto agognata nuova aggiunta al comparto support di Overwatch 2, un eroe controverso che ha diviso la community in due, tra chi lo vede come la rovina del divertimento, chi invece crede sia stata un’aggiunta ammirabile. Voci di corridoio a parte, Lifeweaver risulta un eroe che fa del gioco di squadra la sua chiave di volta. Difficile per chi è alle prime armi, ma incredibilmente affascinante per chi ha la voglia di conoscerlo, andiamo subito a vedere come utilizzarlo al meglio.

Bocciolo Curativo

Il fuoco primario consiste in un proiettile guidato che, caricato nel tempo, aumenta le cure apportate agli alleati. Questa modalità di fuoco è perfetta per chi non eccelle in precisione, poiché basta puntare nella generale direzione di un alleato e la cura andrà a buon fine. Quello di cui dovrete preoccuparvi sarà il giusto tempismo di utilizzo. “Spammare” cure non rientra nella filosofia di questo eroe, il quale preferisce caricare del tutto il colpo prima di lanciarlo.

Attenti al rallentamento dovuto alla carica del bocciolo, un’errata scelta di tempo potrebbe rovinare facilmente i vostri piani.

Cure migliori a cadenza ridotta, o cure minori a cadenza rapida? Il tutto si decide nella situazione di gioco. Bisognerebbe ricordare inoltre, che il solo fuoco primario di Lifeweaver non completa il suo kit da curatore, costringendolo a trarre il meglio da tutte le sue abilità per avere la meglio.

Raffica di Spine

Il fuoco secondario è l’unica alternativa offensiva a nostra disposizione. Una vera e propria raffica di proiettili dalla stretta rosata, la quale però, non è particolarmente efficace nello scontro ad ampia distanza. Per quanto scenica, quest’arma non è un micidiale strumento di morte. Il suo potenziale di danno è infatti basso, e fare molteplici uccisioni sarà piuttosto raro.

Il “Damage Falloff” (Calo dei danni all’aumentare della distanza) non è presente in quest’arma, tenetelo bene a mente.

Allora come usare la raffica di spine? Ovviamente è possibile utilizzarla per difendersi da flankers fastidiosi o per finire nemici con poca vita, ma esiste un modo forse più efficace per sfruttare al meglio quest’abilità. Caricare l’ultra di Lifeweaver di Overwatch 2 è piuttosto facile se si alterneranno cure e danni. Curate chi ne ha bisogno e subito dopo tempestate di colpi la squadra avversaria, non importa se otterrete uccisioni, l’importate sarà alternare le due modalità di fuoco così da ricaricare velocemente l’Ultra.

Piattaforma di Petali

L’occhio pigro potrebbe osservare questa abilità e pensare non abbia effettiva utilità, ma sarebbe un’osservazione a dir poco superficiale. La piattaforma di petali è un’abilità unica nel suo genere, capace di essere efficace sia in offesa che in difesa. È scontato inoltre dire che il suo potenziale può essere apprezzato solo se chi la utilizza possiede una grande mentalità di squadra.

Ovviamente questa piattaforma non sarà invincibile, tenete d’occhio ciò che avete sotto i piedi o potreste trovarvi in situazioni inaspettate.

Utilizzate la piattaforma per portare alleati con poca mobilità (come Ana o Reinhardt) in luoghi cui altrimenti non potrebbero arrivare. Posizionatela anche in luoghi ove i vostri DPS alleati possano godere di postazioni di tiro sopraelevate (eroi come Widowmaker e Soldato 76 possono più di tutti sfruttare queste posizioni vantaggiose) Incredibile ma vero, questa abilità, se posizionata correttamente, può essere usata per contrastare Ultra nemiche, come ad esempio “Impeto terrestre” di Orisa o “Bomba gravitronica” di Zarya.

Se non trovate occasioni di sinergia né con la vostra squadra né con la squadra avversaria, potrete sempre utilizzare la piattaforma per voi stessi. Se posizionata ai vostri piedi può darvi una visuale migliore per curare e riposizionarvi velocemente. Potrete anche utilizzarla per fuggire da situazioni complicate. Molti eroi non saranno in grado di colpirvi da quella distanza, ma fate comunque attenzione: l’altitudine da sola non vi renderà invincibili!

Scatto Rinvigorente

Questa abilità è la vostra migliore amica quando la situazione volgerà contro di voi. Lo scatto vi permette di: schivare attacchi; allontanarvi da luoghi spinosi; rincorrere avversari in fin di vita, ma soprattutto recuperare una piccola quantità di salute nel mentre. Scatto Rinvigorente si ricarica abbastanza celermente, quindi usatela ogni volta ce ne sia bisogno, persino per recuperare quei pochi punti salute che, in situazioni di emergenza, faranno sempre la differenza tra la vita e il respawn.

Presa Vitale

L’abilità spartiacque. Colei la quale, in mani sbagliate, potrebbe sancire la sconfitta di un’intera partita. La famigerata arma dei sabotatori. Esagerazioni a parte, quest’abilità è estremamente potente ed è di vitale importanza saper padroneggiarla. Da tempo si sentiva la mancanza di un’abilità che permettesse di tirare a se alleati sconsiderati per salvarli da morte certa e “Presa vitale” fa esattamente questo.

Un’abilita tanto bella quanto infima. Non siate quei tipi di giocatori, suvvia!

Quante di quelle volte avete osservato Tank imbizzarriti o Flanker irragionevoli venire eliminati con facilità perchè non attenti alla situazione di svantaggio in cui si sono messi. “Presa vitale” sarà la loro (e la vostra) salvezza, poichè oltre ad attirarli alla vostra posizione, li renderà invulnerabili per tutto il tragitto.

Oltre a salvare i vostri alleati dalle più disparate situazioni, potrete sfruttare questa incredibile abilità in molteplici altri modi. Portate a voi alleati lasciati indietro così da accelerare i contrattacchi, riposizionate eroi con poca mobilità, oppure fate sfrecciare i vostri compagni nel campo di battaglia mentre eseguono la loro Ultra per dare vita a combo inaspettate. Le alternative sono tante, siate creativi e riuscirete a comprendere a pieno lo spirito di questo eroe.

Albero della Vita

In conclusione parliamo dell’Ultra caratteristica di questo eroe: l’albero della vita. Il suo utilizzo è piuttosto semplice: ad Ultra pronta vi basterà puntare un luogo accessibile e far crescere l’enorme albero, il quale inizierà subito a curare voi e i vostri alleati. Anche se le cure non raggiungono i livelli della “Trascendenza” di Zenyatta, l’albero ci permetterà di respirare per qualche istante, sempre che i nostri alleati riescano a combattere dentro la sua aura.

Ricordate che l’Albero può essere posizionato al di sopra del carico, così da ottenere una fonte di cure mobile.

Come ogni abilità di questo eroe di Overwatch 2, anche l’Ultra di Lifeweaver nasconde un utilizzo secondario. L’albero sarà infatti tangibile, il che significa che potrà essere utilizzato per bloccare passaggi stretti o per contrastare Ultra nemiche, ma ricordatevi: l’albero non è indistruttibile. Anche in questo caso la creatività e l’inventiva la fanno da padrona. Sperimentate con le mappe e sarete un passo avanti a tutti.

Consigli Finali

Se avete letto la guida finora, avrete certamente capito la natura altruista di questo eroe; ciò significa che se volete giocare un personaggio che sia in grado di eccellere individualmente, allora dovreste spostare la vostra attenzione altrove (e la nostra guida dei migliori healer fa proprio per voi). Se invece il lavoro di squadra è il vostro pane quotidiano Lifeweaver è l’eroe di Overwatch 2 che fa per voi. Comunicazione, comprensione delle situazioni di gioco, capacità di mantenere il sangue freddo, creatività: vi servirà tutto ciò per riuscire a sbloccare le favolose potenzialità che questo eroe ha in serbo per voi.

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Editoriali

Xbox Game Pass: i migliori giochi di guida

I videogiochi hanno sempre trovato terreno fertile nel mondo dei motori (e viceversa), sin dall’epoca d’oro quando l’osannato cabinato Out Run mi costringeva a investire la mia misera paghetta. Oggi il mondo dei videogiochi, anche quelli di corse, è profondamente cambiato. I cabinati sono quasi estinti in Italia, ma non l’amore per le auto digitali che trova sfogo nei servizi in abbonamento come Xbox Game Pass che contiene diversi giochi di guida: vi elenco qui i migliori!

Forza Horizon 5

Forza Horizon 5

In casa Microsoft i giochi di guida disponibili su Game Pass non sono tantissimi ma sono di qualità. Partiamo dal titolo di punta di casa Microsoft, ovvero Forza Horizon 5 (che abbiamo anche recensito). Il racing game di Playground, studio britannico, porterà i giocatori tra le caldissime strade del Messico.

Oltre 400 auto a disposizione, una campagna con elementi RPG, una componente online competitiva e tanta tanta adrenalina. Il gioco è ottimizzato per Xbox One ma da il suo meglio con la next-gen su Xbox Series S e X. La mappa, quella del Messico come detto, è 1,5 volte più grande di quella di Forza Horizon 4 (anch’esso incluso nel Game Pass).

Nella release 5 è stato sviluppata ed introdotta l’intelligenza artificiale Forza Link, che ha memoria dei comportamenti e dei gusti del giocatore per potergli consigliare sfide sempre più appropriate sia online che in singolo.

Dirt 5 e Dirt rally 2.0

Dirt 5

Cambiamo (quasi) modalità e parliamo di Dirt 5 e Dirt Rally 2.0. Li mettiamo sullo stesso piano perché sono tra i migliori simulatori di riferimento in circolazione ma mentre Dirt 5 impronta il suo gameplay su uno stile molto arcade e spettacolare, che da spazio al divertimento senza pensieri; Dirt Rally 2 invece è un vero e proprio simulatore improntato sul realismo e sulle caratteristiche delle gare reali.

Quindi i fan rallistici avranno pane per i loro denti, sia che si tratti di piloti della domenica che non amano modificare gli assetti ma amano, invece, lanciarsi subito in pista, sia i piloti che amano più ragionare, andando a modificare tutti i dettagli per cercare di spuntare qualche decimo di secondo sul tempo.

Burnout Paradise Remastered

Burnout Paradise Remastered

Restando in tema arcade non possiamo non citare Burnout Paradise Remastered, una versione (completa di tutti i DLC successivi) rimasterizzata appunto a distanza di più di dieci anni. C’è poco da fare, la colonna sonora rock, la velocità e il nitro rendono il gioco ancora tremendamente attuale, facendo scorrazzare il giocatore su un’intera isola, un open world a tutti gli effetti.

A parte il gameplay quasi privo di pecche , ciò che ci piace del titolo Criterion è sicuramente la colonna sonora, che riporta ai fasti quel rock anni ’80 spensierato, in linea con la canzone più ovvia a cui possiate pensare, Paradise City dei Guns ‘n’ Roses.

F1 2022

F1 2022

Nel Game Pass – che cerca di accontentare qualsiasi tipo di palato inclusi quello degli amanti dei giochi di guida – non può non mancare la Formula 1, recentemente giunta alla versione 2022. F1 2022 (di cui trovate la recensione su questo blog) è quanto di più realistico ci sia in ambito videoludico sulla Formula 1.

Gli sviluppatori si sono dovuti adeguare agli importanti cambi normativi a favore di una maggiore spettacolarità del circuito. Cambiamenti che sono tutti riportati in game. Quello che risalta, oltre a ciò che ogni fan di un simulatore di F1 si aspetta è la modalità parallela F1 Life.

Ormai anche i videogiochi si stanno adeguando all’aspetto social della vita di uno sportivo e ovviamente la riportano nel gioco. F1 Life accompagna il giocatore nell’arco di tutta la sua carriera sportiva. Con la possibilità di personalizzare la propria abitazione, di mostrarla al mondo online insieme ai propri trofei.

A livello simulativo il gioco si comporta perfettamente. È altamente personalizzabile consentendo un approccio più arcade per i neofiti sia più simulativo per i giocatori più esperti consentendo la modifica di una miriade di aspetti dell’auto.

Need for Speed: Heat

Need for Speed Heat

Concludo questa rassegna con Need for Speed: Heat. La serie Need for Speed non ha bisogno di presentazioni. Questo capitolo di simulativo non ha assolutamente nulla, come probabilmente nessun capitolo della serie.

Il gioco presenta una serie di gare, alcune legali, corse di giorno ed altre illegali, che hanno luogo di notte, nel turbinio di luci e neon, che però attireranno pattuglie della polizia come mosche. A voi la scelta.

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Editoriali

I 10 migliori Metroidvania

Per metroidvania si intende un’avventura bidimensionale che unisce elementi tipici dei platform con caratteristiche provenienti dalle avventure action. Come si può intuire, il termine è nato dalla “fusione” tra le serie di Metroid e Castlevania.

Inizialmente, la saga Nintendo e quella Konami avevano ben poco in comune (più lineare e action la seconda, più vasta ed esplorativa la prima). Fu solo nel 1997, con l’arrivo di Castlevania: Symphony of the Night, che il termine Metroidvania prese piede.

Ancora oggi, nonostante l’enorme avanzamento tecnologico e sebbene siano i giochi 3D a farla da padrone, il genere Metroidvania risulta molto amato dai videogiocatori; in particolare, alcune serie recenti, come Hollow Knight, sono riuscite a ottenere un ottimo successo e contribuiscono a mantenere questo genere in ottima salute.

Ma quali sono i dieci migliori Metroidvania in assoluto? In questo articolo proveremo a rispondere a questa fatidica domanda. Naturalmente sia la scelta dei titoli che l’ordine di inserimento sono frutto del gusto personale di chi scrive, ma credo potremo tutti concordare sull’incredibile valore di queste dieci opere. Raccogliamo le nostre armi, addentriamoci nel dungeon e iniziamo!

Bloodstained: Ritual of the Night

Bloodstained può essere a tutti gli effetti definito un Castlevania dei tempi moderni.

Uscito nel 2019 per PS4, Xbox One, Switch e Steam, questo titolo di ArtPlay è, a tutti gli effetti, un grande tributo alla saga di Castlevania. L’ambientazione gotica e medievaleggiante, le musiche estremamente ricercate e soprattutto le orde di demoni che affronteremo sembrano davvero uscite direttamente da un titolo della saga Konami.

Anche la trama di gioco, che vede la nostra eroina Miriam fronteggiare un’evocazione infernale causata dall’unico sopravvissuto di una gilda di alchimisti, si richiama palesemente alla saga dei Belmont. Di conseguenza, ogni fan di Castlevania non potrà che amare Bloodstained.

Un’ambientazione piacevole e ispirata, una mappa ben strutturata, boss battle impegnative e una miriade di armi e abilità. Il tutto condito con un comparto grafico moderno e musiche davvero tenebrose.

Bloodstained ha davvero tutto quello che serve per essere un ottimo titolo (pecca forse un po’ in carisma e originalità) e si merita di diritto di entrare nella nostra classifica.

Axiom Verge

Axiom Verge è una classica avventura 2d ricca di mistero e atmosfera.

Se per Bloodstained l’ispirazione a Castlevania era evidente, Axiom Verge attinge a piene mani dalla saga di Metroid. In questa godibilissima avventura controlleremo lo scienziato Trace, sballottato dall’esplosione del suo laboratorio in un mondo sconosciuto. Sotto la guida dell’enorme testa Elsenova, Trace dovrà tentare di salvarsi la vita e risolvere i molteplici misteri del mondo in cui è stato catapultato.

Punti di forza di questo titolo sono la sua atmosfera a metà strada tra l’horror e l’high tech (che ricorda molto la saga di Alien), l’incredibile precisione dei controlli e il numero davvero enorme di armi ed equipaggiamenti.

Anche la trama, portata avanti da vari dialoghi testuali, è molto ben curata; il comparto tecnico invece si ispira palesemente agli action degli anni 90: il risultato è decisamente piacevole, anche se alcuni lo troveranno fin troppo datato. Se siete fan del genere, non fatevelo sfuggire!

Metroid Fusion

Metroid Fusion è stato il degno sequel di Super Metroid.

Uscito a cavallo tra il 2002 e 2003 su Game Boy Advance, Metroid Fusion ebbe l’ingrato compito di fare da sequel a quel Super Metroid che molti considerano tutt’oggi il miglior metroidvania mai uscito. Incredibilmente, però, Fusion si rivelò assolutamente all’altezza della sua eredità.

Il giocatore controllerà nuovamente la cacciatrice di taglie Samus, stavolta alle prese coi temibili parassiti X: organismi in grado di infettare e mutare le forme di vita con cui entrano a contatto. Grazie alla sua tuta “Fusione”, Samus sarà in grado di assorbire i parassiti sconfitti assimilandone le abilità.

La straordinaria giocabilità, le durissime sfide coi boss, l’incredibile comparto grafico (quasi miracoloso considerato che il gioco gira su GBA) rendono Fusion uno dei migliori titoli dell’intera saga di Metroid.

L’ambientazione può risultare piuttosto monotona, ma la bellezza degli scontri, soprattutto quello con SAX (su cui non faccio alcuna anticipazione) compensano ampiamente. Nessun fan della saga può in alcun modo farselo sfuggire.

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Metroid Saga: storia di un capolavoro

Castlevania: Aria of Sorrow

Aria of Sorrow è un piccolo gioiello nella libreria del GBA

Ed ecco il primo esponente della saga di Castlevania a comparire nella nostra classifica! Uscito nel 2003 per Game Boy Advance, Aria of Sorrow ripropone stile e meccaniche di Symphony of the Night, trasportandole in un contesto futuristico.

Il gioco è infatti ambientato nel 2035 e racconta le vicissitudini del giovane Soma Cruz (la cui vera identità sarà un grande colpo di scena), che si troverà suo malgrado risucchiato nel castello di Dracula, apparso a Tokyo durante un’eclissi.

Aria of Sorrow mette a disposizione del giocatore un enorme numero di armi e abilità e introduce il sistema delle anime tattiche. Sconfiggendo i nemici, infatti, Soma potrà assimilare le loro anime, sbloccando potenziamenti, abilità e persino nuove armi.

Nonostante l’accoglienza tiepida ottenuta all’uscita, Aria of Sorrow è riuscito a guadagnarsi un posto nel cuore di tutti i fan di Castlevania, ed è tutt’oggi considerato uno dei migliori capitoli della saga. Pronti ad affrontare di nuovo il castello di Dracula?

Monster Boy and the Cursed Kingdom

Monster Boy ci trasporterà in un viaggio fantasy colorato e divertente.

Uscito nel 2018 per praticamente qualsiasi sistema di gioco, Monster Boy ci trasporta in una coloratissima e divertentissima avventura.

Alla guida del giovane Jin, il giocatore sarà alle prese con una maledizione scagliata dallo zio Nabu, che tramuterà gli abitanti del regno in animali. Lo stesso Jin non sarà immune all’incantesimo e, nel corso della sua avventura, otterrà la capacità di trasformarsi in ben cinque forme animali distinte, ognuna con attacchi e abilità uniche.

Monster Boy si ispira palesemente a un classico dell’era 8 bit, ovvero Wonder Boy 3: Dragon’s trap, a cui si rifà sia per trama che per stile di gioco. Rispetto ai giochi fin qui analizzati, Monster Boy propone uno stile più scanzonato e divertente, ma non per questo meno profondo e impegnativo.

La varietà delle ambientazioni, la bellezza dello stile grafico, le enormi possibilità fornite al giocatore dalle trasformazioni in animale, unite a una giocabilità eccezionale, rendono questo gioco una vera gemma nel panorama dei metroidvania.

Metroid Dread

L’ultimo rampollo della dinastia dei Metroid è assolutamente all’altezza del suo ruolo.

Ed eccoci all’episodio più recente della saga di Metroid. Uscito nel 2021 su Nintendo Switch, Metroid Dread mette nuovamente il giocatore nei panni di Samus. La nostra cacciatrice dovrà vedersela ancora una volta coi parassiti X e soprattutto coi terribili E.M.M.I., robot colorati controllati dai parassiti.

Rispetto ai titoli precedenti della saga, Dread vanta un comparto grafico assolutamente moderno e d’impatto, con modelli poligonali, sfondi e animazioni di primissimo livello. Principale novità del gioco sono le battaglie contro gli E.M.M.I., a cui Samus dovrà dapprima sfuggire attraverso una serie di meccaniche Stealth per poi finirli dopo aver potenziato al massimo il suo raggio.

Queste sezioni aumentano notevolmente la varietà del gioco, già molto alta grazie alle numerose aree del pianeta che Samus può esplorare. Sono ancora una volta davvero memorabili gli scontri coi boss, sempre molto impegnativi e coinvolgenti.

Tutte queste caratteristiche, unite agli ottimi controlli e alla varietà delle armi, fanno di Dread un must per ogni possessore di Switch.

Ori and the Blind Forest

Le atmosfere magiche di Ori sapranno conquistare i cuori di ogni giocatore.

Uscito nel 2015 su Xbox One e giunto nel 2019 anche su Nintendo Switch, Ori and the Blind Forest narra le avventure dello spiritello Ori, caduto dall’albero sacro da cui ha origine.

Dopo una sequenza introduttiva strappalacrime, in cui assisteremo al ritrovamento di Ori da parte di Naru e alla morte di quest’ultimo causata dal deperimento della foresta, il giocatore avrà il compito di guidare Ori verso il salvataggio dell’albero sacro e di tutta la foresta.

La cosa più incredibile di Ori and the Blind Forest è la straordinaria atmosfera che riesce a creare. Lo stile grafico fiabesco, forte di un design dei personaggi assolutamente originale e di un uso sapiente degli effetti di luce, ci avvolgerà letteralmente, guidandoci dolcemente nei meandri della foresta accanto a Ori e al suo piccolo aiutante Sein.

Anche il sonoro, curatissimo e incredibilmente armonioso, contribuisce a coinvolgere totalmente il giocatore, che si trova più volte a provare la sensazione di trovarsi all’interno di un sogno.

Anche il gameplay è assolutamente all’altezza della situazione, con sezioni platform impegnative e un buon numero di attacchi e abilità, sbloccabili tramite l’accumulo di esperienza.

Sebbene il suo sequel, Ori and the Will of the Wisp, risulti nettamente superiore, abbiamo deciso di premiare l’episodio originale della saga. Se non lo avete giocato, recuperate assolutamente questo piccolo capolavoro.

Castlevania: Symphony of The Night

Symphony of The Night ha praticamente inventato il genere Metroidvania.

Non poteva certo mancare in questa classifica il gioco che ha praticamente inventato il genere dei Metroidvania. Symphony of The Night ha infatti dato una profonda svolta alla saga di Castlevania, unendo i suoi elementi action a fasi di esplorazione e potenziamento del personaggio.

Alla guida del tenebroso Alucard, figlio di Dracula, il giocatore ha il compito di investigare su un misterioso potere demoniaco emanato dall’antico castello del nostro malvagio genitore.

Nell’esplorare i meandri dell’antica magione, Alucard avrà la possibilità di raccogliere un gran numero di armi, potenziare i suoi parametri e sbloccare un enorme numero di abilità, tra cui la possibilità di trasformarsi in lupo, nebbia e pipistrello.

Il comparto tecnico di SOTN risulta ancora oggi davvero sontuoso, con eccezionali brani musicali di stampo gotico e una grafica che, pur senza far gridare al miracolo, mostra come anche la cara vecchia prima Playstation fosse in grado di realizzare ottimi titoli in 2d.

La longevità è notevole grazie alla presenza di finali multipli e di ben due versioni del castello da esplorare. Un titolo imprescindibile per ogni videogiocatore che si rispetti.

Hollow Knight

Hollow Knight è forse il miglior metroidvania in chiave moderna mai uscito.

Medaglia d’argento per il capolavoro di Team Cherry. Uscito nel 2017 e ora disponibile per ogni piattaforma possibile, Hollow Knight ci mette nei panni di un misterioso cavaliere impegnato in un viaggio nel regno decaduto di Nidosacro.

La trama del gioco, in maniera simile a quanto visto nella serie Dark Souls, è estremamente criptica e sarà compito del giocatore unire i puntini per comprendere appieno la storia del regno e di quanto sta accadendo.

Come Ori, anche Hollow Knight vanta un registro artistico di altissimo livello, con personaggi e ambientazioni che sfoggiano una personalità e un’originalità davvero invidiabili. Le musiche malinconiche e misteriose contribuiscono a creare un alone di mistero e a coinvolgere ancor di più il giocatore nel viaggio del nostro cavaliere.

L’altro incredibile punto di forza di Hollow Knight è la sua giocabilità. I movimenti del cavaliere sono di una tale precisione e fluidità da rasentare la perfezione e rendono sia le battaglie che le sezioni platform incredibilmente piacevoli e divertenti, nonostante la loro difficoltà decisamente elevata.

Gli scontri coi boss saranno davvero impegnativi (ma mai frustranti) e regaleranno ai giocatori grandi soddisfazioni una volta superati. La struttura della mappa risulta davvero ben studiata e metterà alla prova la capacità del giocatore di orientarsi e sfruttare al meglio tutte le abilità sbloccate durante il gioco.

Completano il pacchetto un’enorme quantità di oggetti, artefatti extra e la presenza di finali multipli, che donano al gioco una longevità enorme. Un capolavoro assoluto, che ogni giocatore degno di questo nome dovrebbe avere nella sua libreria.

Super Metroid

Nonostante abbia ormai quasi trent’anni, Super Metroid è da molti ritenuto uno dei migliori giochi di sempre.

Potrà sembrare una scelta banale; potrà essere poco credibile mettere in cima alla classifica un gioco così vecchio. Sarà l’effetto nostalgia. Saranno i ricordi, ma per chi scrive Super Metroid è tuttora il miglior Metroidvania di sempre (e trovate sul blog anche la nostra recensione contemporanea).

Fin dalla sua uscita, nel lontano 1994, la terza avventura di Samus fu considerata una delle migliori opere per SNES ed è spesso inserita nelle classifiche dei migliori giochi di sempre.

Super Metroid ha praticamente tutto. Una grafica 2d avveniristica per i tempi e tutt’oggi di buonissimo livello. Un sonoro maestoso e coinvolgente. Una giocabilità praticamente perfetta e un numero elevatissimo di abilità e armi nascoste. Si aggiunge a questo una world map praticamente perfetta in cui ogni area del pianeta Zebes risulta credibile e ben caratterizzata.

La cosa più appagante di Super Metroid è il senso di progressione che si avverte nel corso dell’avventura: gli enigmi, le zone nascoste e i nemici diventano via via più impegnativi man mano che aumentano le abilità a disposizione di Samus. Ultima menzione meritano gli incredibili Boss, davvero enormi e a tratti spaventosi.

Super Metroid è una vera opera d’arte. Uno di quei videogiochi che hanno segnato la storia del medium. Consiglio caldamente, soprattutto ai più giovani, di recuperarlo. Credetemi, non ve ne pentirete!

Il mondo dei metroidvania è davvero ricchissimo di titoli interessanti.

Eccoci giunti al termine della nostra panoramica. Come sempre, la parola passa a voi lettori. Conoscevate tutti i titoli della classifica? Avreste inserito altri giochi? O avreste posizionato diversamente quelli inseriti qui? Fateci sapere!

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Tecnologie

3 videogiochi con la migliore Intelligenza Artificiale

Il gaming sta sempre di più assumendo l’aspetto di esperienza di vita a tutto tondo, sia come mezzo capace di indurre una riflessione su ciò che ci circonda sia come specchio della realtà. Questo processo ha man mano scardinato il vecchio stereotipo del gioco come solo mezzo di divertimento fine a se stesso: la rappresentazione della realtà è il nodo cruciale di ogni videogioco di successo, quello che fa da spartiacque fra capolavoro e titolo mediocre. E l’elemento più influente nella rappresentazione della realtà è l’intelligenza artificiale: di conseguenza, conoscere i videogiochi con la migliore IA è d’obbligo.

Ecco dunque i tre videogiochi con la migliore intelligenza artificiale, dal nostro personalissimo punto di vista.

3. La Terra di Mezzo: L’ombra della guerra

L’ombra della guerra è un action RPG ispirato da Il Signore degli Anelli e sequel diretto di La Terra di Mezzo: L’ombra di Mordor. Il videogioco è stato sviluppato da Monolith Productions, casa nota agli appassionati di intelligenza artificiale per la serie F.E.A.R. La Terra di Mezzo: L’ombra della guerra uscì nel 2017 per PC, PS4 e Xbox One.

Il Nemesis System – già presente nel primo capitolo ma migliorato in quest’opera con la possibilità di prendere il controllo degli orchi – è il motivo per cui L’ombra della guerra è un baluardo dell’intelligenza artificiale nei videogiochi; infatti, il sistema Nemesis funziona su due contesti: il primo è garantire l’unicità di ogni nemico; il secondo è far agire gli avversari come una società all’interno della mappa.

Ogni singolo orco che popola la regione è quindi generato proceduralmente. Questo implica che tutti gli orchi hanno un aspetto unico, una classe, dei tratti con relativi punti di forza e debolezza.

Allo stesso tempo, gli orchi si muovono in un contesto sociale gerarchico diviso in Grunt, Capitan, Warchief e Overlord con la possibilità di salire di rango uccidendo i propri simili. Con queste regole, i nostri nemici sviluppano la propria società; infatti, ogni volta che moriremo sul campo di battaglia, la società nemica si evolverà: ogni Capitano ucciso sarà rimpiazzato e se tutti i posti sono occupati, alcuni orchi potranno decidere di farsi spazio tra i loro simili con la forza.

Infine, i nostri nemici tengono a mente quello che è avvenuto nel passato ricordandosi in particolare del nostro alter-ego. Per esempio, nel caso in cui un orco ci uccida sul campo di battaglia, quando lo inconteremo nuovamente, si prenderà gioco di noi ricordandoci come ci ha sconfitto.

2. Alien: Isolation

Alien: Isolation è stato un punto di rottura per il franchise. Dal punto di vista dell’IA in particolare, ha visto un salto qualitativo enorme. Questo non solo per l’innovatività dell’intelligenza realizzata, ma anche e soprattutto per il radicale cambio di gameplay. L’intera esperienza di gioco e la peculiarità horror del titolo è dovuta quasi in toto dal comportamento imprevedibile, sempre diverso, quasi per nulla scriptato dell’alieno. L’IA è infatti concepita con una struttura a due componenti: director-AI, una “macro” intelligenza che fa da coordinatore; alien-AI ,una “micro” specializzata nel dare comportamento all’alieno.

Il direttore sa sempre dove si trovano giocatore e alieno: il suo compito è guidare il mostro verso il giocatore tramite indicazioni di massima. Con l’ausilio di un indicatore sul livello di “tensione” percepito dal giocatore inoltre, l’IA può anche fuorviare l’alieno indicandogli una locazione errata. In questo modo il giocatore viene messo alla prova cercando però di non portarlo all’esasperazione, per evitare che smetta di giocare per l’eccessiva tensione.

L’intelligenza aliena invece è strutturata come una serie di “nodi”, in una struttura ad albero, in cui ogni sotto-nodo è accessibile al solo verificarsi di certe condizioni. I nodi determinano le azioni che il mostro può compiere mentre le condizioni sono rappresentate da ciò che esso percepisce. Le condizioni che determinano le azioni compiute dall’alieno sono verificate tramite l’ausilio di sensori, rappresentati in questo caso da udito e vista. I “sensi” vengono utilizzati dall’alieno per sentire eventuali rumori e per identificare il giocatore, nel caso in cui sia nel campo visivo. Ultimo ma non meno importante, con l’avanzare del gioco vengono sbloccate azioni disponibili per l’alieno. In questo modo si riesce a simulare una specie di “apprendimento” del mostro, rendendo l’esperienza interessante anche all’aumentare della bravura del giocatore.

Come si può dedurre il mix di direttore e alieno si rivela perfetto per un gioco horror. L’alieno si scoprirà essere difficilmente prevedibile (non essendo scriptato il comportamento) e sempre più capace, senza però raggiungere livelli insostenibili di difficoltà. Anche giocabilità e gameplay ne giovano, grazie al delicato equilibrio di tensione e capacità aliena stemperati tramite il direttore.

1. The Elder Scrolls IV: Oblivion

Oblivion non ha bisogno di presentazioni. Si tratta di uno dei GDR più influenti della storia, capace di imporre un nuovo standard per i videogiochi PC in generale. Sviluppato da Bethesda Game Studios e distribuito da Bethesda, entrambi ora parte di Microsoft, fu anche tra i pionieri di un nuovo modo di concepire l’intelligenza artificiale nei videogiochi.

Il sistema di IA sviluppato si chiama Radiant AI ed è stato alla base, seppur con miglioramenti ed estensioni, di titoli come Skyrim, Fallout 3 e Fallout 3: New Vegas. La sua peculiarità è quella di personalizzare l’esperienza del giocatore in base alle sue azioni e alle caratteristiche impresse al suo personaggio. Ciò permette di garantire un’esperienza unica ad ogni partita, grazie alle diverse reazione dei vari NPC e alla risposta dell’ambiente di gioco alla nostra presenza.

In particolare nei GDR il focus è sul personaggio, di cui scegliamo abilità, tratti ed affiliazioni a varie organizzazioni nel mondo di gioco. Questo consente a Radiant AI di essere il compagno ideale di ogni avventura. Ad esempio creando un personaggio di “dubbia moralità” come il ladro, non sorprendiamoci se le guardie ci trattano con diffidenza, intimandoci di girare alla larga. Altro esempio possono essere i dialoghi fra i personaggi non giocanti stessi, conseguenti ad azioni e scelte da noi fatte sul mondo di gioco.

Gli atteggiamenti di questo tipo e le reazioni “personalizzate” del mondo di gioco verso il nostro passaggio, elevano Oblivion fra i pionieri di questo tipo di approccio al gameplay, ancora attuale e moderno. Questo sistema ha aperto la via del successo ai titoli sopracitati, imponendosi come uno degli standard a cui puntare per il gameplay offerto.