Il meta di Pokémon GCC si sta stabilizzando e finalmente possiamo tirare le somme, analizzando i migliori mazzi del meta di Colpo Fusione.
Il mazzi più forti del momento del gioco di carte collezionabili Pokémon sono cambiati, perché il Mew Genesect è il nuovo mazzo da battere. Mew Genesect è basato su Mew VMAX, pokémon colpo fusione psico con debolezza buio e resistenza lotta. Di conseguenza, tutti i mazzi con debolezza psico sono svantaggiati e i pokémon lotta, come Urshifu VMAX, stanno diventando sempre più rari. D’altro canto, i mazzi buio hanno trovato nuovi giocatori.
Tutto questo ha portato a un nuovo meta in cui bisogna scegliere se giocare Mew Genesect, un mazzo che lo countera o altre liste che prima avevano meno spazio a causa di Urshifu.
Mew Genesect
Mew Genesectsfrutta tutte le migliori carte dell’espansione Colpo Fusione e il risultato è strepitoso. Il funzionamento del mazzo è lo stesso già visto per Mew & Mewtwo GX. Colpo Fusione Incrociato di Mew VMAX ti permette di attaccare usando l’attacco dei pokèmon Colpo Fusione nella tua panchina (costo due). In questo caso, l’unico veramente disponbile è Tecnobotto di Genesect V.
Nonostante i danni non siano molti, il mazzo funziona bene, grazie alla conosistenza fornita dagli strumenti Colpo Fusione e dall’abilità di Genesect V:
Una sola volta durante il tuo turno, puoi pescare fino ad avere in mano un numero di carte uguale a quello dei tuoi Pokémon Colpo Fusione in gioco.
Ability: Sistema Colpo Fusione di Genesect V
Lo scopo è avere, il prima possibile, tanti Genesect V. Per questo motivo, il Superpass VIP Lotta è molto importante. Infine, Compressa Energetica e Leggiadria di Camelia fanno il resto.
Migliori mazzi buio: Gengar VMAX e Sableye Inteleon
Il modo migliore per counterare un mazzo pokémon è sfruttare la sua debolezza. Ti consiglio quindi di usare i migliori mazzi buio attualmente disponibili nel meta di Colpo Fusione: Gengar VMAX e Sableye Inteleon.
Gengar VMAX è una nuova carta Colpo Singolo con una strategia semplice: fare un sacco di danni. Gli attacchi di Gengar VMAX sono due: Paura e Ansia, e Gigainghiottire. Il primo (costo due) infligge 60 danni per ogni Pokémon V (e GX) dell’avversario. Il secondo fa 250 danni, ma non permette di attaccare al turno successivo.
Il mazzo Gengar VMAX funziona grazie ai suoi potenti supporti. Il più importante è Houndoom, la cui abilità fornisce un’Energia Colpo Singolo a Gengar VMAX ogni turno. Il Boato Colpo Singolo di Houndoom velocizza il caricamento di Gengar VMAX, che puoi anche ritirare facilmente con Energia Oscurità Nascosta; infatti, questa energia annulla i costi di ritiro di tutti i pokémon buio.
Sableye Inteleon è tornato di moda perché Sableye V è un pokémon buio (base), che grazie a Inteleon può mettere KO qualsiasi pokémon VMAX. L’attacco principale di Sableye V infligge 60 danni extra per ogni segnalino presente sul pokémon avversario attivo. Diventa dunque molto interessante la combo con l’abilità di Inteleon, che aggiunge segnalini danno ai pokémon avversari. Ovviamente, la strategia è devastante contro i pokémon deboli al tipo buio.
Il ritorno di Jolteon VMAX e Zacian V
La dipartita dei mazzi lotta e la scarsa presenza di pokémon fuoco, ha dato una seconda possibilità a due vecchie conoscenze: Jolteon VMAX e Zacian V.
Jolteon VMAX è presente in meta con due mazzi già visti con Evoluzioni Eteree, espansione ancora oggi molto importante. Il primo è il classico Jolteon Inteleon, mentre il secondo è una versione simile con Jolteon VMAX e Zigzagoon. Entrambi sfruttano il velocissimo Jolteon VMAX, che può attaccare un membro della panchina avversaria per 100 danni, a cui si aggiungono i segnalini danno di Inteleon o Zigzagoon.
Zacian V ha un’abilità fortissima. Spada Indomita permette di caricare velocemente qualsiasi pokémon metallo. Per questo motivo, Zacian V è usato in due versioni: inun mazzo con Duraludon VMAXe in uno con Zamazenta V.
Duraludon VMAX non ha debolezze e, soprattutto, previene tutti i danni dei pokémon che hanno energie speciali assegnate. Questa abilità gli permette di resistere almeno due turni in battaglia, il tempo necessario per fare 440 danni. Zamazenta V, invece previene tutti i danni dei VMAX e il suo attacco fa scartare un’energia speciale all’avversario. In altre parole, countera perfettamente il meta attuale.
Fuori ancora non nevica, ma già per le strade si può percepire il calore delle feste. Il gusto dolce del pandoro, i colori dell’albero, l’odore del muschio nel presepe, le note di Jingle Bells;questo per me significa Natale, ma più di tutto questo significa passare del tempo con la famiglia a fare giochi di gruppo, e ridere insieme. Spendere le nostre ore con le persone importanti a cui durante l’anno magari non riusciamo a concedere il tempo che vorremmo.
Non c’è gioia più grande del condividere le proprie passioni con le persone a cui vogliamo bene. I videogiocatori non fanno eccezione; anche se solitamente siamo considerati creature solitarie, a Natale vorremmo poter coinvolgere la nostra famiglia nei videogiochi. Magari potremmo portare in famiglia una ventata di innovazione qualcosa di diverso dalle vecchie tradizioni. Quest’anno invece della vecchia cara tombola, si potrebbe fare una partita a qualche videogame da giocare in gruppo.
Così come ho fatto con i giochi per due, sono qui a consigliarvi una lista di giochi di gruppo da usare come alternativa ai tradizionali giochi da tavolo in famiglia.
Giochi di gruppo con tabellone virtuale: Mario Party Superstars
Super Mario Party
L’idraulico di Nintendo viene in nostro soccorso con un titolo divertente che nulla ha da invidiare al gioco dell’oca. Nato sul Nintendo 64, Mario Party incarna perfettamente il concetto di party game. Usufruibile su Nintendo Switch con l’ultimo capitolo della linea o su console più datate come Wii, questo videogioco riprende il caratteristico tabellone da gioco da tavolo e lo trasporta in un mondo virtuale. I personaggi a fare da pedine sono proprio Mario e i suoi amici che si sfidano in minigiochi sempre più divertenti allo scopo di conquistare le superstar e vincere il gioco.
Si tratta di un gioco divertente e coinvolgente, ma vi devo però avvertire: chi ci ha giocato ha riscontrato un aumento nel livello di divertimento. Scherzi a parte Mario Party Superstar è il videogioco di gruppo perfetto da giocare in famiglia aspettando si sedersi a tavola per il cenone della Vigilia.
Mario Kart 8 Deluxe
Mario Kart
La serie di videogiochi dedicati a Mario include un altro titolo degno di nota, che può divertire un ingente numero di giocatori anche in locale. Mario Kart è sostanzialmente un gioco di corse. I veicoli sono personalizzabili e diversi per ogni personaggio giocabile, ma a distaccare Mario Kart da qualsiasi altro gioco di corse sono i suoi circuiti fantastici e divertenti. Inoltre, correndo per le piste si possono raccogliere dei potenziamenti o oggetti che aiutano a battere gli altri avversari. Potrebbe sembrare sleale, ma vi posso assicurare che una volta iniziato a giocare, capirete che non esiste Mario Kart senza gusci e funghi.
Mario Kart è un gioco adatto alle famiglie, ma che mi sento di consigliare ai grandi gruppi di amici che magari vorranno passare il capodanno in compagnia. Quindi cotechino, lenticchie e Mario Kart quest’anno, che ne dite?
Super Smash Bros Ultimate
Super Smash Bros Ultimate
Kirby, Super Mario, Pokémon, Zelda, e Kingdom Hearts. Cos’hanno in comune tutti questi videogiochi La risposta è Super Smash Bros Ultimate.
Volete un gioco in cui i personaggi di Mario prendono a calci e pugni quelli di Metroid? Questo è quello giusto. Sui paesaggi colorati in stile cartoon potrete sperimentare lotte all’ultimo colpo con i vostri personaggi preferiti e sfidarvi con i vostri familiari.
Scontratevi con la vostra cuginetta collegando la Switch alla tv e date spettacolo a tutta la famiglia per un natale tutto Nintendo.
Call of Duty
Call of Duty: Vanguard
Se passate le Feste tra maschietti vi consiglio Call of Duty, qualsiasi versione (anche se è appena uscito l’ultimo capitolo, Vanguard, che abbiamo anche recensito). Proiettili, mimetiche e mappe tutte diverse, Call of Duty è uno sparatutto che accoglie più di due giocatori in locale e permette di vivere un’esperienza di scontro dettagliata e divertente. Ci sono numerose armi tra cui scegliere, così da potersi creare un personaggio perfetto per le proprie capacità e preferenze. Quindi se volete passare una serata a ritmo di spari e attacchi aerei Call of Duty fa al caso vostro.
Go Vacation
Go Vacation
Grazie a Go Vacation, anche se passerete il Natale in casa, vi sembrerà di essere in vacanza. Avventuratevi nei resort disponibili, divertitevi a esplorare la zona circostante e provate tutte le attività possibili. Premesso di avere tutti i controller necessari per giocare, potrete godervi una vacanza virtuale comodamente seduti sul divano di fianco ai vostri familiari.
Ci sono davvero tantissimi minigiochi possibili dentro questo titolo nato su Wii e poi portato su Nintendo Switch. Si può giocare una partita di beach volley e un attimo dopo fare lo slalom con gli sci o ancora fare skate in città. C’è davvero l’imbarazzo della scelta.
Just Dance
Just Dance 2022
Il Natale e il Capodanno portano con sé musica e festeggiamenti, quindi quale gioco migliore da proporre se non Just Dance? Impugnate i Joy Con della vostra Switch e scuotetevi a ritmo per conquistare punti. Sullo schermo vedrete un ballerino senza volto che vi mostrerà le mosse da fare, imitatelo e diventate superstar. C’è una versione diversa per ogni anno aggiornata con le ultime hit del momento. Inoltre da qualche anno si può usufruire di un abbonamento che mette a disposizione tutte le canzoni delle versioni già pubblicate. Grazie a Just Dance quest’anno scoprirete chi è il più coordinato in famiglia.
Overcooked
Overcoocked! All you can eat
Si sa che per il Cenone c’è già tanto da cucinare, ma se mai voleste rimettervi virtualmente ai fornelli allora vi consiglio Overcooked: All You Can Eat. Questo gioco è per massimo 4 giocatori in locale; collaborate o sfidatevi nella cucina più caotica del Playstore per completare il servizio. Ci sono tantissime ricette e cuochi giocabili; inoltre, ci si può districare tra i piatti di tante cucine tipiche come quella giapponese, italiana e chi più ne ha più ne metta.
Insomma, se in casa siete tutti appassionati chef o volete essere solidali alla mamma che in cucina sta preparando tutto per imbandire la tavola, allora sfidate i vostri invitati a Natale a questo gioco culinario di qualità.
Giochi di gruppo: meglio giocare in locale
Giocare ai videogame è un bellissimo passatempo, ma le persone a noi care lo sono ancora di più. Giocare online con giocatori del nostro stesso livello rappresenta sempre una sfida, ma giocare con i nostri famigliari e amici, anche se del tutto inesperti, credo possa dare un senso tutto nuovo al Natale e fornici una prospettiva diversa sulle persone che abbiamo intorno, e viceversa. Quindi, buon divertimento e buon Natale!
Pokémon Perla Splendente e Diamante Lucente sono un discreto remake di uno dei capitoli Pokémon meno apprezzati. ILCA ha fatto un buon lavoro su tutte le modalità secondarie, con un picco di ispirazione sui Grandi Sotterranei. Purtroppo, la trama originale non ha ricevuto nessuna modifica, rimanendo anacronistica e terminando senza sussulti. Il buon lavoro degli sviluppatori meritava maggiore fiducia da parte di Pokémon Company, che hanno dimostrato di avere tutte le carte in regola per fare un buon lavoro. Un’occasione mal sfruttata in generale, ma che porta comunque nuovi interessanti contenuti per i fan amanti del collezionismo.
7.5
Il panorama videoludico ben conosce il rifacimento di giochi su altre piattaforme. Già dai tempi del Game Boy ci è stata data la possibilità di provare in mobilità titoli originariamente disponibili su console casalinghe come il Super Nintendo. In un periodo storico in cui c’è un’evidente necessità di mostrare grandi glorie a nuove generazioni, è ancora difficile trovare una logica comune che permetta di valutare un remake. Pokémon Perla Splendente e Diamante Lucente sono un chiaro esempio di quanto possa essere soggettiva la valutazione di un’opera, soprattutto se lo sviluppatore è il primo a non avere le idee chiare.
Per la prima volta, Game Freak non ha lavorato su un titolo principale della saga; infatti, il team è impegnato con Leggende Pokémon Arceus, probabilmente sotto la stretta supervisione di Nintendo, con cui da qualche periodo condivide gli uffici. Per questo motivo, Pokémon Perla Splendente e Diamante Lucente sono stati sviluppati da ILCA, nota per due ottimi titoli come NieR: Automata e Yakuza 0. Questa importante premessa è essenziale per dare una spiegazione al motivo per cui questi nuovi giochi sono eccessivamente fedeli agli originali, ma allo stesso tempo portano interessanti novità, decisamente poco amalgamate con tutto il resto.
Antiche storie
C’era una volta un bambino di circa 12 anni, che viene mandato in giro per il mondo da una mamma poco attenta alla salute del suo pargolo. Questo canovaccio è stata la base dei primissimi titoli Pokémon per anni e lo stesso vale per Perla Splendente e Diamante Lucente, che non cambiano nemmeno una virgola di una trama decisamente anacronistica per 2021, ma in realtà vetusta anche nel 2006. Nel nostro caso, abbiamo vissuto con una certa nostalgia la visuali 2D che racconta un bambino che da zero arriva a diventare campione assoluto, sconfiggendo anche il poco temibile Team Galassia. D’altro canto, chiunque voglia cercare nella storia principale un motivo per acquistare Pokémon Perla Splendente e Diamante Lucente, rimarrà deluso.
Del resto, il franchise Pokémon non è mai stato eccessivamente brillante per le storie proposte. Rivolte maggiormente a un pubblico molto giovane, le trame passano molto spesso in secondo piano a favore di un level design molto spesso profondo. Pokémon Perla e Diamante esprimono proprio questo concetto, perché mostrano come Game Freak avesse anticipato i tempi. Oggi i metroidvania sono all’ordine del giorno e sembra quasi banale muoversi in una mappa che adotta il backtracking per scoprirne tutti i segreti; non era così scontato nel 2006 e nel 2021 la mappa rimane al passo con i tempi.
Sproporzionati per design
La scelta stilistica è una delle decisioni più complicate per un remake, poiché bisogna trovare l’esatto equilibro tra rispetto e coraggio. Riuscire ad accontentare tutti non è semplice, ma il lavoro svolto da ILCA è decisamente apprezzabile. Lo stile prettamente nipponico del chibi, cioè personaggi di bassa statura, in questo caso con una testa decisamente sproporzionata, vuole esagerare quanto già mostrato nei capitoli originali, riuscendo nell’intento di portare la giusta dose di vivacità e spensieratezza.
Sotto questo punto di vista, i complimenti maggiori vanno al comparto audio decisamente ispirato, con una dovizia di particolari sui remix di quanto già sentito in Pokémon Perla e Diamante. Le nuove tracce mutano le vecchie sotto una nuova vesta, senza snaturare, ma anzi esaltando l’ottimo lavoro dei compositori.
Una vita troppo spensierata
Come tutti i remake, anche Pokémon Perla Splendente e Diamante Lucente ricevono dei miglioramenti sulla, così denominata, qualità della vita. Non sappiamo se è stato totalmente voluto, ma le novità apportate dai ragazzi di ILCA hanno aggiunto due novità che hanno profondamente cambiato l’esperienza, e soprattutto la difficoltà, di gioco. Stiamo parlando dell’esperienza condivisa obbligatoria e l’utilizzo delle MN (Macchine Nascoste) sul PokéKron.
L’esperienza condivisa è ormai nota ai fan della serie, ma non esisteva nei primi capitoli, in particolare in Pokémon Perla e Diamante. Si tratta dunque di un’aggiunta scontata, ma che non ci aspettavamo di non poter disattivare; questo ha reso i remake molto più semplici dei capitoli originali, che diventano una lunga passeggiata intervallata da uno svogliato click del tasto A.
A rendere ulteriormente più facile la nostra scalata verso la vittoria è il PokèKron: uno smartwatch che permette l’installazione di svariate app durante l’avventura. I fan di vecchia data ricorderanno la necessità di sacrificare uno slot della propria squadra di Pokémon Perla e Diamante per Bidoof; pokémon catturabile sin dalle primissime battute, utilissimo perché può imparare quasi tutte le Macchine Nascoste. In altre parole, poco efficiente in battaglia, ma fondamentale per il proseguo dell’avventura e del backtracking. In questo nuovo remake, per sua sfortuna, il povero Bidoof è stato sostituito dallo smartwatch, che permette di utilizzare le MN senza il bisogno di assegnare l’abilità a un Pokémon in squadra; di conseguenza, l’allenatore può disporre di sei slot di Pokémon capaci di menar le mani, rendendo di fatto l’esperienza molto, troppo semplice.
L’importanza del superfluo
La maggior parte delle novità presenti nei due remake sono volti ad espandere l’esperienza di gioco oltre l’immutata trama principale. Questo compromesso probabilmente concordato tra ILCA, Game Freak e Nintendo, ha permesso allo studio di sviluppo di stravolgere alcune modalità. Le due modalità principali da svolgere durante l’avventura sono le Gare Pokémon e i Grandi Sotterranei.
Le Gare Pokémon sono state cambiate e divise in due fasi. La prima consiste nella valutazione della Poké Ball usata, che dovrà essere decorata con un nuovo oggetto collezionabile: i bolli. Questi sticker si possono trovare durante tutto il gioco, soprattutto parlando con i personaggi non giocanti sparsi per la mappa. Per decorare le sfere vi è un’apposita sezione denominata Decora Ball, dove sbizzarrirsi con le proprie creazioni.
La seconda parte della gara, invece è rhythm game, basato sul premere i tasti al momento giusto e, una volta per gara, usare una mossa del proprio Pokémon. Tutte le mosse hanno una valutazione in cuori e se usata al momento giusto, cioè dopo che un altro Pokémon in gara ha usato la propria, si otterrà qualche punto in più. La Gara Pokémon è una modalità che non aggiunge nulla al mondo di gioco, ma permette agli amanti del collezionismo di spendere ancora più ore all’interno dei titoli.
Gotta Catch ‘Em All!
I Grandi Sotterranei sono l’upgrade più importante di Pokémon Perla Splendente e Diamante Lucente e allo stesso tempo quella che giustifica le perplessità su una mancata omogeneità del remake. Basati sui meno estesi Sotterranei dei titoli principali, la nuova versione della modalità si rivela decisamente appagante per dimensioni e quantità di cose da fare. L’esplorazione può durare diverse ore a cui bisogna aggiungere la possibilità di estrarre tantissimi collezionabili, sia offline che via wi-fi, e di costruire la propria base segreta. A tutto questo, bisogna aggiungere quanto già visto in Pokémon Let’s Go e Pokémon Spada e Scudo, cioè la possibilità di incontrare in specifiche zone dei sotterranei Pokémon ben visibili in-game.
I fan dei JRPG ben conoscono lo stile della mappa dei Grandi Sotterranei (ma anche gli appassionati di Darkest Dungeon o nel mio anziano caso i primi titoli per PlayStation di Digimon), basata su cunicoli che legano tra loro delle aree specifiche, ricche di differente flora e fauna. Solo in questa zona, accessibile praticamente sempre via Esplorokit ricevuto ad Evopoli, è possibile incontrare moltissimi Pokémon, che oltre a essere più forti del normale, permettono anche di completare un Pokédex ampliato di circa 500 mostriciattoli.
Nel 2021, i Grandi Sotterranei sono un’ottima feature per un remake. Consentono di sfruttare la modalità online, ampliano il gioco per moltissime ore e appagano il collezionismo di tutti i fan Pokémon. Purtroppo generano anche una piccola delusione; infatti, questa modalità è così ben realizzata che viene da pensare cosa avrebbe potuto fare ILCA se avesse avuto maggiore libertà anche sulla terra emersa di Sinnoh. Esattamente in linea con la valutazione con le Terre Selvagge di Pokémon Spada e Scudo, sembra che i team di sviluppo del franchise abbiano tante nuove idee che non si stiano sfruttando a dovere per mancanza di coraggio e soprattutto tempo; da ricordare, infatti, come il franchise Pokémon proceda alla stessa velocità di altri titoli annuali come Call of Duty o FIFA, che hanno tutti in comune una noiosa riproposizione di quanto già visto nel titolo precedente.
Endgame
Dopo aver completato Pokémon Blu sul Game Boy Color, il mio endgame consisteva nel livellare al massimo i miei Pokémon sfidando continuamente la Lega Pokémon di Kanto in attesa di incontrare i pochi possessori di Pokémon Rosso che conoscevo per completare il Pokédex. Su Pokémon Spada e Scudo, invece l’endgame è il competitivo, dove le teorie statistiche di 20 anni fa sono diventate scienza, seguita costantemente anche da Game Freak per bilanciare la sua ultima opera. In Pokémon Perla il competitivo è assente e si torna dunque indietro ai primi capitoli della saga, dove l’achievement finale era il completamento del Pokédex.
Da questo ragionamento, è stata introdotto Parco Rosa Rugosa, una nuova area che sostituisce il Parco Amici. Il nuovo parco consente di ampliare il Pokédex, catturando anche i Pokémon Leggendari delle prime tre generazione di Pokémon. Per farlo sarà necessario recuperare dei Frammenti dai Grandi Sotterranei da scambiare con le piastre dei Pokémon che vogliamo incontrare e catturare.
Conclusione
Pokémon Perla Splendente e Diamante Lucente permettono a tutti i fan della saga di conoscere per la prima volta, o riscoprire, Sinnoh in vista di Pokémon Leggende: Arceus. Per molti appassionati, Perla e Diamante sono tra i titoli meno brillanti della serie, ma ci è sembrato che non fosse nell’intenzione di The Pokémon Company migliorare il loro status con questi remake; infatti, il lavoro di ILCA si è concentrato soprattutto sull’ampliare modalità secondarie e svecchiare un titolo di 15 anni fa.
Nonostante i remake siano mediocri così come i titoli principali, al suo interno ci sono dei picchi interessanti per una determinata categoria di videogiocatori. I Grandi Sotterranei e Parco Rosa Rugosa possono fornire diverse ore di divertimento extra agli appassionati del collezionismo, che probabilmente daranno un significato anche alle soporifere Gare Pokémon. Proprio questi giocatori sono il target principale di Pokémon Perla Splendente e Diamante Lucente, il cui scopo secondario è anche creare il giusto clima per il lancio di Pokémon Leggende: Arceus.
In altre parole, se cercate un RPG interessante e profondo, Pokémon Perla Splendente e Diamante Lucente vi deluderà. In egual misura, non ci sono grandi motivi per acquistare questo remake se avete già provato i titoli passati, considerando che probabilmente sarebbe stato più utile partire da Pokémon Platino piuttosto che da Perla e Diamante. D’altro canto, se volete recuperare un tassello della saga che vi siete persi, Pokémon Perla Splendente e Diamante Lucente hanno una grande quantità di contenuti che vi permetterà di conoscere Sinnoh al meglio.
Mi sono aggiudicato il titolo di Campione della regione di Sinnoh dopo circa 15 ore grazie a un codice di Pokémon Perla Splendente gentilmente fornito da Nintendo.
Carrion è un titolo che si basa su un’ottima idea, ovvero interpretare noi stessi il mostro. Ed in questo riesce davvero benissimo, mostrando una creatura inquietante e divertente da controllare. Al tempo stesso però la componente prettamente ludica del titolo soffre di non poche criticità. Cacciare i poveri rimane divertente, peccato che il titolo duri davvero poco ed abbia rigiocabilità pressoché nulla. Da acquistare se siete fan del reverse horror, a patto di scendere a compromessi con i limiti che Carrion si porta dietro.
7.5
La Cosa, la leggendaria pellicola diretta da John Carpenter, ha da sempre un posto speciale nel mio cuore di appassionato del genere sci-fi, assieme ad Alien e pochi altri esponenti. Capirete quindi che non potevo farmi scappare Carrion, reverse horror sviluppato da Phobia Game Studio che per ovvie ragioni si ispira al cult sopra citato. Di titoli in cui impersoniamo eroi pronti a combattere aberrazioni di ogni tipo ne è pieno il mondo; di titoli in cui siamo NOI l’aberrazione se ne trovano assai pochi invece.
Carrion offre proprio questo, la possibilità di impersonare il mostro, la cosa, e stavolta il nemico – o per meglio dire, la preda – è proprio lui, l’uomo.
Un orrore strisciante
Come già detto, stavolta siamo noi a vestire i panni della creatura. E lasciatemelo dire, qui i ragazzi di Phobia Game Studio hanno fatto un lavoro più che eccellente. Il protagonista di Carrion è un ammasso organico dalla natura non meglio specificata, un alga o un qualche tipo di verme primitivo forse. Si muove a velocità fulminea grazie ad i suoi innumerevoli tentacoli, ed è in grado di sgattaiolare in qualsiasi anfratto. Dotato di svariate fauci acuminate, sembra la materializzazione fisica del più terribile tra gli incubi.
Ecco la creatura che andremo a controllare
Le premesse narrative sono semplici ed appena accennate; l’obiettivo della creatura è uno soltanto, fuggire dalla base militare in cui è stato rinchiuso, o magari creato. A fronteggiarlo saranno i malcapitati occupanti della base, quelle fragili creature chiamate uomini. Armate, certo, ma pur sempre fragili, soprattutto per le sue lame.
In qualsiasi reverse horror che si rispetti il focus principale è il mostro, e qui ne troviamo uno a dir poco perfetto. Aspetto, movenze, versi, tutto è stato studiato nei minimi particolari. Veder sfrecciare la cosa tra soffitti, cunicoli o tubature è incredibilmente appagante ed inquietante allo stesso tempo, anche grazie all’estrema fluidità che cozza con le dimensioni del mostro. I suoi attacchi sono brutali e restituiscono un feedback perfetto, potente. Il tutto è poi animato in una bellissima pixel art, fiore all’occhiello della produzione polacca.
Abilità mostruose
Bene, quindi cosa è Carrion? Potremmo definirlo come un metroidvania alla lontana in realtà, con una componente puzzle abbastanza elementare. Il nostro compito è semplice, muoverci per un Hub centrale – Frontier – ed invadere le varie zone della base ad esso collegate, al fine di acquisire abilità via via più potenti. Il mostro si contraddistingue infatti in tre “stadi evolutivi”.
Dopo un massacro la bestia si gode una piccola sosta al sole
Durante le primissime fasi della partita ci ritroveremo a comandare un mostriciattolo, piccolo ma pur sempre letale. Come crescere? Ovviamente divorando i malcapitati scienziati che avranno la sfortuna di incrociare la nostra strada. È così che pian piano ci ritroveremo a comandare una massa informe delle dimensioni di una automobile. Inoltre durante le razzie il mostro si imbatterà in varie celle di contenimento, che dopo esser state aperte doneranno abilità essenziali alla risoluzione di scontri armati e puzzle ambientali.
Ecco uno dei pochi tipi di nemici che incontreremo
Ovviamente all’interno di una base militare sotterranea non possono mancare due elementi: gli scienziati ma soprattutto i militari. I primi rappresentano un gradito pasto per la creatura, ma i secondi possono rivelarsi avversari davvero temibili. Le fasi prettamente action in Carrion difatti ci vedono fronteggiare un piccolo esercito composto da soldati, droni da combattimento e – nelle fasi avanzate – addirittura mech. Ogni nemico è una sorta di piccolo puzzle, come ad esempio i soldati, dotati di scudo frontale che per forza di cose andranno colpiti alle spalle, o sopresi durante le loro ronde. Insomma, gli umani offriranno quel pizzico di sfida necessario a non rendere noiosa l’esperienza di gioco, fortunatamente.
Ovviamente non parliamo di un titolo stealth, ma fa piacere notare come gli scontri possano spesso esser risolti in maniera “diretta” o sfruttando il level design ed i poteri della creatura. Menzione d’onore poi per l’abilità “Parassitismo” che ci permetterà di prendere il controllo di un umano; si, anche dell’umano che sta pilotando quel mech. Tocca però segnalare che la varietà di nemici è davvero bassa, e dopo un paio d’ore ogni combattimento avrà quell’amaro retrogusto di “già visto”, peccato.
L’abilità di poter controllare gli umani è sicuramente la più riuscita.
Si potrebbe anche parlare dei “puzzle ambientali”, che però sono talmente banali da non richiedere un paragrafo a parte. Tutto ruota attorno all’utilizzare l’abilità giusta per tirare questa o quella leva, ed il modo in cui risolverli è sempre abbastanza ovvio.
Senso d’orientamento
Come già detto Carrion è fondamentalmente un metroidvania. Ed ogni metroidvania che si rispetti presenta mappe labirintiche, intricate, enormi, come ci dimostra il recente Metroid Dread. Carrion però non offre una mappa labirintica, enorme ed intricata, anzi, le varie aree risultano abbastanza striminzite. La navigazione è praticamente su rotaia, il titolo mette sempre il giocatore sulla strada giusta, la via “ovvia” per la quale dirigersi.
La tanto agognata superficie, ma stavolta è andata male alla creatura
Ma attenti, non commettete l’errore del sottoscritto, non deviate MAI dal percorso che il titolo suggerisce. Pena per tale errore è la certezza matematica di stare a vagare una buona mezz’ora al fine di ritrovare la via maestra. Direte voi: “se mi perdo consulto la mappa, no?”. No, questa è la risposta. Inspiegabilmente questo metroidvania non offre una mappa consultabile, espediente utilizzato forse al fine di nascondere le dimensioni piuttosto modeste del mondo di gioco.
La varietà visiva dei settori poi non agevola assolutamente l’orientamento; ogni area è praticamente identica a quella successiva, un groviglio di cunicoli, tubature con uscite a senso unico, ascensori etc. Capirete quindi che il rischio di deviare dal percorso prestabilito e vagare senza meta per troppo tempo è sempre dietro l’angolo. Anche l’hub centrale risulta inutilmente complesso, considerando che dovrebbe essere una semplice mappa in cui spostarsi tra le varie zone.
Una delle abilità del mostro, dividersi in tantissimi vermi se a contatto con l’acqua
Ironico tra l’altro che il gioco possieda dei “collezionabili”, nove celle di contenimento extra da scovare all’interno delle varie aree, e che forniscono bonus addizionali come salute aumentata o più energia per le abilità. Bonus praticamente inutili, sia chiaro, ma che risultano comunque una piacevole aggiunta. Non fosse che per scovarle tocca intraprendere delle deviazioni, e questo ci porta al problema di prima, ovvero il concreto rischio di perdere l’orientamento. Peccato, perché alcune di queste celle offrono dei puzzle un minimo più articolati ed appaganti.
In conclusione
Carrion parte da un’ottima idea, ed alcune sue componenti sono sviluppate in maniera davvero egregia. In particolare la realizzazione del mostro è magistrale, e questo è un enorme punto a favore se parliamo di un reverse horror. La storia è sì abbastanza banale, ma riesce ad intrattenere quel tanto che basta, e soprattutto riserba un gran bel finale. Peccato però per la durata, decisamente striminzita, che si attesta sulle 3-4 ore totali.
Il problema sorge quando analizziamo la componente prettamente ludica del titolo. La varietà di nemici è praticamente assente, e dall’inizio alla fine incontreremo ben cinque tipologie di avversari, decisamente poche. La navigazione – componente fondamentale in un metroidvania – fila liscia fin quando il giocatore segue religiosamente la via tracciata dagli sviluppatori. Alla prima deviazione intrapresa la mancanza di una mappa si sente tutta, e ritrovare il percorso da compiere è noioso e complicato.
In poche parole Carrion si basa su un’ottima idea, con punti di forza importanti, ma che presenta anche delle criticità non da poco. Se siete dei fan dei reverse horror è sicuramente un titolo da tenere in considerazione, seppur con qualche riserva.
Non ne farò mistero, Monster Hunter Stories 2: Wings of Ruin è un jrpg che mi è piaciuto, tanto, come testimonia la mia recensione, siglata da un altisonante 9. Insomma, non un perfect score, certo, ma un voto dannatamente alto, soprattutto se dato da un fan di lunga data del genere JRPG. Il 28 ottobre è stato rilasciato l’ultimo dlc gratuito, comprendente l’iconica coppia del Rathalos Argentato e la Rathian Dorata, che chiude la roadmap annunciata durante il periodo di release del titolo.
Siamo quindi qui a tirare le somme sul JRPG made in Capcom, e per quest’occasione ho avuto modo di confrontarmi con un importante membro della community italiana di Monster Hunter. Sto parlando del carissimo Edivad, di cui linko il canale Youtube, ricco di informazioni, guide e curiosità sul nostro hunting game preferito.
L’idea di scrivere questo articolo è nata proprio da una chiacchierata circa i ” problemi” di Stories 2, concludendo che i margini di miglioramento ci sono tutti, seppur sia un ottimo titolo. Abbiamo quindi deciso di proporre le nostre personali visioni nel modo che ci riesce meglio, io tramite questo articolo, lui tramite un video che vi linko, e di cui consiglio la visione. Ma adesso cominciamo!
Meglio soli che male accompagnati
Un aspetto molto importante di Monster Hunter Stories 2 è sicuramente il comparto online, e più nello specifico la componente cooperativa. Capcom ha difatti presentato la possibilità di cacciare in compagnia come uno dei focus principali del titolo, e ci è riuscita… Fino ad un certo punto.
Chiariamoci, gli elementi co-op di Stories 2 funzionano, abbiamo la possibilità di perlustrare tane o affrontare mostri assieme ad i nostri amici, o semplicemente affidandoci al matchmaking. Dove sta il problema allora? Banalmente non vi è un vero e proprio incentivo nel giocare assieme ad altri utenti, ed anzi, spessissimo risulterà più veloce ed efficiente “farmare” per i fatti propri. Questo è dovuto alla macchinosità generale del sistema co-op; selezione di una stanza in cui entrare, attesa che tutti i partecipanti siano pronti, attesa che il compagno selezioni l’azione da eseguire in combattimento, ed una lentezza generale dei comandi.
Il multiplayer co-op risulta spesso macchinoso e lento, peccato.
Capirete da soli quindi che creare una stanza privata e partire con al seguito un – poco incisivo, è vero – Bot a darci man forte risulterà spessissimo l’opzione più veloce, efficiente e francamente meno snervante. Sarebbe stata gradita la presenza di ricompense aggiuntive per chi superasse assieme ai suoi compagni le impegnative tane co-op, mentre a conti fatti se avete voglia di buildare un Monstie l’opzione decisamente più veloce è girare da soli, in mappe pensate per la cooperazione. Un controsenso, non credete?
Ah, c’è anche il PvP?
Ecco, la modalità PvP è davvero qualcosa in cui Stories 2 poteva brillare, ed è ridotta ad una piccola comparsa; d’altronde Capcom stessa ha praticamente ignorato il PvP durante tutta la fase di marketing, limitandosi a citarla per 30 secondi una tantum nel corso di mesi e mesi. Non stupisce quindi che molti giocatori neanche sapessero dell’esistenza del PvP in Stories 2, e non fatico ad immaginare che tanti altri abbiano portato a termine il titolo senza accorgersi della sua presenza.
Il PvP in realtà funziona, ed anche discretamente bene. Proprio lì, nella sfida contro altri giocatori, Stories 2 mostra del discreto potenziale. Considerandolo un titolo prettamente PvE, è sorprendente vedere come un aspetto tanto trascurato del titolo riesca a dare un senso a tante build e strategie ed a valorizzare Monstie ed abilità altrimenti dimenticati.
Il PvP di Monste Hunter Stories 2 poteva brillare di luce propria, ed invece è ridotto a mera comparsa.
Anche qui purtroppo il problema non risiede nel PvP in sè, ma in ciò che gli sta attorno. Manca del tutto un sistema di ranking, e le ricompense sono poche e poco soddisfacenti. Di nuovo, manca totalmente un incentivo nel giocare tale modalità, visto anche l’impegno ed il tempo necessari a buildare una squadra efficace in PvP; questi due fattori ovviamente rendono la modalità competitiva quasi un contentino per i fan del primo titolo, piuttosto che una componente del gioco ben ragionata.
Un gran peccato, poichè davvero tante abilità risultano abbastanza inutili in singleplayer. Basti pensare alle varie AoE, più costose delle skill single target, ma di fatto poco desiderabili dato che il 99% del contenuto PvE è relegato a battaglie contro un solo mostro grande. O ancora, status alterati come il Blocco Abilità, o i debuff alla mira, velocità ed ancora altro. Insomma, risulta quasi inspiegabile che un comparto PvP che funziona ed è vario sia stato trascurato in tale maniera.
Compagni di trekking
Altro aspetto che avrei preferito fosse approfondito è sicuramente quello degli Aiutanti, compagni mossi dall’IA che ci accompagneranno per l’interezza del titolo, sia durante la trama che nel post game. Chiariamoci, gli aiutanti non sono “fatti male”, ma mancano di quella profondità che li avrebbe elevati ad una feature molto ben realizzata, piuttosto che risultare un’aggiunta dimenticabile.
Esempio di compagno che non sceglierete mai per le vostre avventure.
La scelta di impedire che il giocatore controlli le loro azioni è sicuramente comprensibile, ed anzi li fa percepire davvero come dei guerrieri che lottano al fianco del Rider. Decisamente meno comprensibile è invece l’impossibilità totale di personalizzazione degli stessi; non potendo cambiare né il loro equipaggiamento né il monstie quel che ne consegue è che alcuni siano decisamente più forti di altri. Il fatto che i compagni Rider siano poi tutti troppo simili tra loro non aiuta, e sono sicuro che un albero di skill/personalizzazione equip avrebbe enormemente giovato alla scelta del compagno.
Quando il troppo stroppia
Abbiamo analizzato vari aspetti del gioco, che potevano sì essere migliorati, ma rimangono comunque aspetti piuttosto secondari. Ora veniamo al vero grande difetto di Monster Hunter Stories 2, che anche il sottoscritto aveva “scambiato” per un pregio in sede di recensione. Sto parlando della personalizzazione dei Monstie; o per meglio dire, dell’eccessiva personalizzazione.
Uno dei pochi Monstie con una vera personalità.
L’idea di poter far apprendere qualsiasi gene al proprio monstie potrebbe sembrare davvero allettante, ed in effetti lo è, quantomeno durante una prima giocata. Il problema sorge nel momento in cui Capcom decide di gestire le statistiche di tutti i monstie in maniera abbastanza ingenua. Il risultato è che nelle fasi avanzate di gioco tantissimi monstie risultano praticamente identici da un mero punto di vista statistico. Basti pensare che la differenza tra un Ignis Glavenus ed un Rex Rathalos – entrambi monstie endgame di tipo fuoco – risiede in 20 miseri Punti Ferita – a fronte di un pool di centinaia – ed un 1% di percentuale colpo critico. Per il resto sono letteralmente identici.
Un Ignis Glavenus! O forse un Rex reskinnato?
Uniamo quindi le statistiche fin troppo simili di tanti monstie al fatto di poter far loro apprendere qualsiasi abilità. Il risultato è che i sopracitati Ignis e Rex hanno le stesse statistiche e sfrutteranno le stesse build, eliminando di fatto qualsivoglia unicità. Questo è solo un piccolo esempio, ma vi assicuro che ne potrei citare tanti, troppi altri.
In definitiva, a volte il troppo stroppia; una qualche limitazione alla personalizzazione avrebbe reso ogni cattura unica, dotata di personalità, mentre al momento la scelta di tantissimi monstie è totalmente irrilevante. Questo porta anche ad un appiattimento delle build, che risultano praticamente tutte uguali per i monstie di tipo fuoco, elettro etc.
I buoni propositi
In conclusione, in quanto fan della serie, cosa spero di trovare in un Monster Hunter Stories 3? Sicuramente un comparto online maggiormente rifinito, meno macchinoso e “lento”, con un qualche incentivo per chi partecipa alle cacce co-op. Un comparto PvP non rilegato ad aspetto meno che secondario; il PvP di Stories 2 funziona, e spero che Capcom punti forte su questo aspetto in un eventuale sequel.
Speriamo di rivederla in un eventuale sequel. E speriamo che lì risulti una compagna utile.
Un’esplorazione delle mappe più curata, soprattutto per quanto concerne le Tane Mostro, che già dopo le prime ore risultano troppo ripetitive e poco ispirate. Maggiore libertà di manovra per quanto concerne gli Aiutanti, ottima aggiunta di Stories 2, ma molto acerba al momento.
Ma quello che serve soprattutto alla saga è una totale rivisitazione del sistema parametrico e dell’eccessiva personalizzazione lasciata all’utente. Qualche limitazione – sapientemente piazzata, ovvio – alla personalizzazione dei monstie donerebbe loro una vera e propria personalità. Ed una distribuzione dei geni più coerente rispetto a quel che vediamo in Stories 2 male non farebbe.
Chiudete gli occhi. È il 2006 e vi hanno appena regalato l’ultima uscita Nintendo: Pokémon Diamante o Perla. Immaginate di iniziare per la prima volta un’avventura Pokémon e assaporatene i dettagli e le dinamiche. Che bella sensazione!
Nessun gioco nuovo potrà mai ridarci quella sensazione, ma Game Freak, come una mamma premurosa, si assicura sempre che i suoi fedeli possano godere i vecchi giochi sulle nuove console, rinnovandoli al meglio. Lo ha già fatto con Oro e Argento e per la coppia Rosso e Verde riscuotendo non poco successo, adesso è il turno di Diamante e Perla.
Quindi, nell’attesa di Diamante Splendente e Perla Lucente, perché non scoprire insieme da dove questi mostriciattoli hanno iniziato e cosa gli riserva il futuro?
Pokémon: Pocket Monsters
Il nome degli esseri pixelati più famosi del panorama videoludico è nato dall’unione delle parole Pocket (tasca) e Monster (mostro). L’idea iniziale era quella di chiamarli Capsule Monsters ma per un problema di copyright non fu possibile utilizzare quel nome così venne cambiato in Pocket Monster che poi, abbreviato, divenne Pokémon. In realtà questo fu il nome con cui il franchising fu commercializzato in occidente mentre in Giappone rimase Pocket Monster.
Vi siete mai chiesti perché la E di Pokémon è accentata? La risposta è semplice, data la tendenza occidentale a storpiare le parole straniere, si temeva che l’inizio del nome del gioco fosse confuso con il verbo poke che si pronuncia pok, quindi fu aggiunto l’accento a scarso di equivoci.
Origine del gioco
Prima di arrivare però al battesimo dei mostriciattoli Nintendo scopriamo qualcosa di più sul loro creatore. Satoshi Tajiri da bambino amava girare in cerca di insetti nelle campagne intorno a casa sua. Da questa passione molto probabilmente nacque l’idea alla base di tutti i giochi Pokémon. Ogni protagonista di tali avventure infatti parte alla scoperta del mondo con l’idea di catturare tutti i Pokémon esistenti e completare il Pokédex proprio come Tajiri partiva alla ricerca di insetti.
Dobbiamo però ringraziare l’espansione tecnologica e i cartoni animati se uno dei franchising più conosciuti di sempre è venuto alla luce. Inizialmente, Tajiri si immerge negli anime e nei film dell’epoca, che gli propongono combattimenti tra mostri e tante altre idee, ma la sua vera passione arriva poco più tardi, tra le console arcade di una sala giochi.
Satoshi Tajiri
Satoshi Tajiri fa conoscenza dei videogiochi proprio quando iniziano a diffondersi; nei primi anni del liceo arriva perfino a saltare le lezioni per usare il suo tempo in sala giochi. Un tempo che molti direbbero sprecato, ma che nel caso di Tajiri ha portato ad uno dei videogame più conosciuti di sempre.
La passione del giovane Satoshi è talmente forte da fargli aprire una rivista tutta sua in cui scrive recensioni, guide e trucchi sui suoi giochi preferiti. La chiama Game Freak, un nome che non suona di certo nuovo agli appassionati di Pokémon. Nel 1989 infatti, insieme ad alcuni altri appassionati, trasforma la sua rivista in una vera e propria casa di sviluppo di videogiochi.
Game Freak
L’idea dietro ai Pokémon
Nel cuore Satoshi covava però un progetto più ambizioso che potesse unire la sua passione per i videogiochi, quella per gli insetti e i combattimenti tra mostri che aveva visto nei cartoni e film dell’epoca.
Le basi dei giochi Pokémon infatti fondono in un’unica avventura molte caratteristiche che non si erano mai viste prima, tutte insieme, in un unico videogame.
Quali sono le cose che più piacciono ai ragazzini? Collezionare, combattere, giocare con gli amici e conquistare la gloria da allenatore. Questi concetti chiave sono alla base dei giochi della Game Freak e probabilmente anche le parole chiave per spiegarne il successo; infatti, l’idea era di riunire tutte queste cose in un unico videogame che fu presentato direttamente a Nintendo con il nome di Capsule Monster.
Inizialmente la casa nipponica non fu entusiasta del progetto, ma successivamente affiancò a Satoshi e il suo team il famoso game designer Shigeru Miyamoto (che tutti noi conosciamo come mente dietro tanti capolavori come The Legend of Zelda e Super Mario). La collaborazione tra i due fu talmente proficua che nella versione originale dei primi giochi al protagonista e al suo rivale venne dato proprio il nome dei due sviluppatori.
Shigeru Miyamoto
Il mondo di gioco: regione di Kanto
Anche se il mondo dei Pokémon può sembrare frutto della fantasia di Satoshi, le mappe e i luoghi di interesse non sono del tutto inventati. Infatti la regione di Kanto è ispirata alla prefettura di Tokyo. Alcuni luoghi o città hanno un corrispettivo reale a cui sono ispirati. Una tra tutti è la cittadina di Biancavilla, il villaggio da cui si inizia il viaggio nel mondo Pokémon, che corrisponde proprio alla città di nascita di Satoshi Tajiri.
Ispirandosi a luoghi e regioni reali, la Game Freak ha potuto così sfruttare la varietà e la credibilità di un mondo già esistente rendendo quello virtuale molto veritiero. La differenza sostanziale tra i due mondi sta nello sviluppo; infatti, Tajiri ha voluto rappresentare nei suoi giochi il mondo che lui ricordava da bambino, quando ancora il boom tecnologico non aveva raggiunto il suo paesino di provincia.
Regione di Kanto Pokemon Rosso e Verde
Le due versioni dei giochi
Fin dai primi titoli ci sono sempre state due versioni dello stesso gioco, abbiamo avuto Rosso e Verde, Bianco e Nero, Diamante e Perla. Perché?
Certo è facile credere che sia stato fatto solamente per marketing, ma sembra che la scelta fu ispirata da una concezione diversa di “videogioco”. Al contrario di alcuni titoli e degli ultimi sviluppi su console, Pokémon non fu progettato per intrattenere un solo giocatore, ma per far divertire assieme più persone. L’ìdea di Game Freak era favorire, o quasi costringere, lo scambio di Pokémon con i propri amici per completare la propria collezione.
Il bug Mew e la popolarità di Pokémon
Al contrario di quello che si potrebbe pensare i giochi Rosso e Verde non ebbero un improvviso successo in Giappone, anzi la loro popolarità crebbe lentamente grazie al passa parola e a qualche fatto di cronaca.
Uno sviluppatore si accorse che sulla schedina contenete il gioco rimaneva ancora qualche megabyte libero, così decise di sua iniziativa di inserire un altro Pokémon chiamato Mew; questo mostriciattolo dell’ultimo minuto non doveva nemmeno comparire nei giochi, era solo uno scherzetto da sviluppatore. Però, presto si diffusero voci secondo cui oltre ai 150 Pokémon collezionabili ce ne fosse anche un 151esimo e, anche se non era previsto, a causa di un bug alcuni giocatori finirono per imbattersi in Mew: così iniziò il passaparola.
Mew, il 151esimo Pokémon
La Pokémon mania
Quando i giochi sbarcarono in occidente scoppiò la Pokémon mania, il franchising diventò talmente famoso da divenire un fenomeno globale. Fu prodotto un’anime, creati gadget e pubblicati manga che fecero conoscere anche ai non videogiocatori il mondo dei Pokémon. L’anime in particolar modo introdusse nuovi personaggi e il Pokémon che da quel momento in poi divenne la mascotte del marchio, Pikachu. Il mostriciattolo giallo divenne talmente popolare che fu creato un nuovo gioco, Pokémon Giallo, in cui venne inserito per la prima volta insieme ai personaggi dell’anime.
La Pokémon mania però non fu come molte altre mode passeggere nella storia dei videogame, anzi si è insinuata nel tessuto sociale e pian piano si è fuso con la nostra cultura. Sono già passati 25 anni dalla nascita dei Pokémon e nonostante il gioco e tutto ciò che ne derivi sia ormai più che maggiorenne, il successo dei mostriciattoli della Game Freak non accenna a diminuire.
L’ultimo gioco: Oro e Argento
Pokémon Oro e Argento avrebbero dovuto concludere la serie di giochi principale; infatti, vennero incluse nei giochi tutte le idee scartate per i due giochi precedenti. In particolare, furono inseriti 100 nuovi Pokémon, creata una nuova regione, venne aggiunto il ciclo notte-giorno e per la prima volta comparvero i Pokémon Shiny, creaturine che possedevano un colore differente da quello della loro specie originale.
Quello che sarebbe dovuto essere l’ultimo regalo della Game Freak ai suoi appassionati, si rivelò un enorme successo che suggerì a Nintendo che i Pokemon avevano ancora molto altro da dare.
Pokémon Oro e Argento
Perché vale la pena giocare Diamante Splendente e Perla Lucente?
Su Nintendo Switch sta per arrivare un Pokémon tutto nuovo: Leggende Pokémon Arceus. Il gioco, oltre ad essere il primo pubblicato in singolo, promette di inserire meccaniche innovative, nuovi mostriciattoli e una nuova forma. Mi sono ritrovata a chiedermi per quale motivo quindi dovrei giocare al remake di Diamante e Perla.
Perla è stato il mio primo gioco Pokémon e rigiocarlo mi avrebbe comunque fatto piacere, ma questo non mi bastava. A convincermi è stato il gioco in arrivo con l’anno nuovo. Sia Leggende Pokèmon Arceus, che i due remake in uscita sono ambientati nella regione di Sinnoh, ma a decenni di distanza. Giocare gli uni e poi l’altro mi permetterebbe di apprezzare meglio tutte le sfaccettature e i collegamenti tra i due.
Quindi se sei un appassionato Pokémon non credo ti serva altro, vai ad allenare i tuoi Pokémon e se non lo sei, che aspetti? Corri ad iniziare la tua prima avventura, non te ne pentirai.
Quante volte i gamer si sono sentiti discriminati perché la loro passione non è considerata intellettualmente elevata dalla maggioranza delle persone? Quante volte è stato detto: perché non leggi invece di buttare la tua vita davanti ad una console? Ebbene siamo qui oggi per iniziare a sfatare questo mito. I videogiochi non sono e non sono mai stati solo una fonte di divertimento. In essi si possono trovare contenuti profondi ma anche informazioni e insegnamenti, sia di natura scolastica che personale. Vi porto l’esempio di Subnautica, che solletica temi come il rispetto dell’ambiente e delle altre creature o argomenti come il pregiudizio e la valutazione in base all’aspetto.
Subnautica e il rispetto
Subnautica è un survival rispettoso della vita. So che potrebbe sembrare un controsenso, siamo abituati, in questi tipi di gioco, a sfruttare le risorse in modo sconsiderato. Accumulando materiali e uccidendo tutto ciò che capita a tiro. Questo comportamento da parte di noi giocatori lo possiamo rivedere anche nella società odierna, che ci insegna che per stare bene serve avere tanto. Questo consumismo spesso ci influenza anche in cose minori, ad esempio nei giochi. In Subnautica invece questa mentalità ha vita breve. Non abbiamo armi perciò i predatori devono essere evitati e il cibo non si conserva facilmente perciò si è costretti a cacciare solo il necessario.
Il contesto Survival
Il concetto di sopravvivenza ai nostri tempi è qualcosa di molto distante dalle società progredite, pensiamo sempre più al superfluo perché non dobbiamo lottare per l’indispensabile. Questa condizione ci influenza e tende a renderci accumulatori nelle situazioni estreme.
In Subnautica il giocatore è portato a rispettare il luogo in cui naufraga. Raccogliendo i materiali necessari a costruire le cose e a cacciare lo stretto necessario a sopravvivere. Conservare il cibo per lungo periodo è infatti un lavoro laborioso che può essere facilmente sostituito dalla caccia costante e dalla coltivazione di piante aliene.
Le creature pericolose sono solitamente fonte di sfida per i giocatori di survival, dimostrano che abbiamo imparato a sopravvivere e ci siamo procurati i materiali giusti per battere anche i predatori più pericolosi. Nel gioco della Unknown Worlds Entertainment si ha una mentalità completamente opposta, gli animali più pericolosi infatti sono solo da evitare. Non si tratta infatti di una scelta del giocatore ma è lo stesso gioco che ci dice che il metodo migliore per superarli è girargli alla larga, si può leggere nelle descrizioni delle specie stesse: da evitare assolutamente.
L’intreccio ben riuscito
Il giocatore inizia come naufrago di una spedizione interstellare. È subito chiaro che gli obbiettivi principali sono quelli di sopravvivere e lasciare il pianeta alieno. Ovviamente si dovranno anche scoprire le ragioni dello schianto dell’astronave che ci trasportava: l’Aurora. Per raggiungere questi punti è d’obbligo esplorare tutta l’area di gioco, infatti i materiali necessari a fuggire dal pianeta sono distribuiti in tutta la mappa.
La distribuzione dei materiali segue anche una logica particolare: più l’attrezzatura è complessa, più in profondità si troverà il materiale per costruirla. In questo modo si innesca un meccanismo per cui chi si impegna raggiunge obbiettivi sempre più alti suggerendo al giocatore una specie di meritocrazia. La dinamica del gioco però non diventa mai frustrante, ogni materiale è facilmente raggiungibile se si è al punto giusto della storia.
Storia, gameplay, esplorazione e sopravvivenza si fondono in un’esperienza omogenea che permette di apprezzare tutte le sfumature del gioco. Nonostante la storia sia parte integrante dell’esplorazione non la limita in nessun modo anzi l’arricchisce. Sopravvivere non è il solo scopo del gioco, lo è anche seguire una successione di eventi e ammirare la meraviglia del paesaggio subacqueo.
Il mistero degli alieni
Durante l’esplorazione si possono notare delle strane strutture aliene costruite sul pianeta che potrebbero sembrare solo un vezzo artistico fino all’abbattimento della Sunbeam. Grazie a questo evento veniamo cosi a conoscenza anche della causa del nostro naufragio. L’Aurora, l’astronave in cui viaggiavamo, si è schiantata sul pianeta 4546B perché colpita dal laser di una delle base aliene.
Le strutture verdi e nere, anche se in primis potrebbero sembrarlo, non sono un sofisticato sistema di difesa militare ma parti di un centro di ricerca. Sul pianeta infatti si è diffusa una malattia di cui possiamo osservare il lento avanzare anche su noi stessi. Il virus in questione si può trovare in vari esemplari di tutte le specie presenti sul pianeta. Inoltre scopriamo che gli alieni, chiamati Precursori, erano in cerca di una cura per il batterio Kharaa. Non avendola trovata hanno messo il pianeta in quarantena cosicché non si diffondesse nel resto dell’universo.
Salvare sé stessi e il pianeta
A questo punto gli obiettivi del giocatore aumentano e il tipico survival egoistico diventa un gioco mirato alla salvezza comune.
Gli alieni si dimostrano così egoisticamente interessati alla cura e non si comprende bene se essi se ne siano andati dal pianeta o si siano estinti su esso per colpa del virus. Curarsi diventa strettamente necessario visto che il pulsante per disabilitare il cannone che ci impedisce di lasciare il pianeta può essere premuto solo da un individuo sano.
Una precauzione presa probabilmente per evitare che qualcuno di loro fuggisse e diffondesse il batterio. Questo aggiunge un altro spunto di riflessione ovvero mettere il bene comune al di sopra del proprio. Il gioco non ci suggerisce quale risposta sia corretta ma ci insegna che il proprio interesse è strettamente connesso a quello comune.
La salvezza del pianeta infatti diventa essenziale anche alla nostra stessa sopravvivenza e viceversa la nostra ricerca della cura diventa indispensabile alla sopravvivenza delle specie su 4546B. Subnautica sottolinea in questo modo lo stretto legame che vi è tra il mondo e le creature che vi abitano. Questo concetto è un valore aggiunto che ci viene donato, non esplicitamente ma facendoci riflettere su come lo stesso principio sia applicabile anche alla Terra.
Un mostro umano
Giunti all’ultima base aliena si scopre come mai i Precursori aveva fallito nell’estrarre la cura. Essi infatti avevano scoperto una specie resistente al morbo, l’animale più grande presente nella biosfera del pianeta: l’imperatore marino. O per meglio dire l’imperatrice marina.
Nel punto più profondo della mappa infatti si trova il Centro di Contenimento Primario dove in un acquario di proporzioni enormi troviamo l’enorme creatura. Immergendoci nell’acquario la incontriamo e dopo qualche minuto di panico scopriamo che nonostante sia il più grande essere vivente sul pianeta è innocua.
L’animale ha dimensioni notevoli e un’intelligenza. Ha inoltre la capacità di comunicare telepaticamente e così ci racconta che la razza aliena l’aveva rinchiusa nel tentativo di ottenere la cura con la forza. Ci chiede di dimostrarle di essere diversi dai nostri predecessori e aiutarla.
Nell’enorme acquario in cui la troviamo con lei ci sono cinque uova in un’incubatrice che però è spenta. Gli alieni prima di noi non avevano creato le condizioni necessarie per la schiusa delle uova. L’accendiamo e grazie a questo gesto di altruismo ci viene alla fine svelato il modo di curarci. Questo a dimostrazione che la gentilezza non è sempre a discapito di chi la mostra.
L’imperatrice marina è il simbolo che mette il giocatore in posizione di riflettere sul fatto che anche i mostri sanno essere umani, che essere brutti o grotteschi fuori non vuol dire per forza esserlo anche dentro. Una volta curati possiamo disattivare il cannone e ripartire.
La profondità di Subnautica
Durante tutta la durata del gioco ci si districa in un ambiente marino ben progettato e si ha a che fare con vari tipi di creature ostili e non si entra mai in possesso di una vera e propria arma o di un modo per danneggiare l’ecosistema di 4546B. Anzi, ad un certo punto, si può anche fermare l’inquinamento radioattivo derivante dal danneggiamento del reattore dell’Aurora.
Il gioco sfiora molti argomenti importanti senza mai affrontarli direttamente, lasciando spazio al giocatore per riflettervi in completa autonomia.
Il messaggio finale
Seduti sulla plancia di comando del razzo che ci riporterà a casa quello che sentiremo non è sollievo ma nostalgia. Lasciando il pianeta marino su cui abbiamo passato tutto quel tempo, anche se in continua lotta con i pericoli e la fame, ci viene recapitato un ultimo messaggio della creatura che abbiamo aiutato che finalmente può morire tranquilla sapendo che i suoi cuccioli sono liberi.
Solo delle persone senza cuore lascerebbero 4546B senza un po’ di rammarico. Abbiamo passato tempo e speso risorse, siamo cambiati nel lungo cammino fatto su quel pianeta e quindi lasciarlo è come lasciare un pezzetto di noi stessi.
Subnautica: un viaggio videoludico
Quindi ecco perché non me la sento di categorizzare Subnautica come un comune survival. Dietro alle meccaniche del videogame infatti si può ritrovare un pensiero rispettoso dell’ambiente e dell’equilibrio. Questo gioco come tanti altri non è solo un passatempo ma un vero luogo di apprendimento per tutti.
Un videogioco proprio come un libro o un film, può essere un viaggio e una fonte di riflessione. Un giocatore può finire un gioco ed esserne cambiato nel profondo.
Essere contrari ad un viaggio introspettivo solo perché scaturito da un videogioco potrebbe essere uno sbaglio: spero che queste parole vi diano lo spunto necessario per capire. Se volete un suggerimento per un altro gioco da vivere e per riflettere vi invito a giocare What Remains of Edith Finch e a leggere perché questo gioco ha cambiato la concezione di videogioco.
L’uscita di Metroid Dread, fissata per l’ 8 ottobre, è ormai vicinissima. Per i fan della saga – come il sottoscritto – l’attesa è stata lunga, lunghissima; precisamente 17 anni fa terminai la mia prima partita a Metroid Fusion – gentilmente prestatomi da un compagno di classe delle medie – lasciando una Samus Aran ormai braccata dalla Federazione dopo i fattacci avvenuti sulla stazione BSL.
Se vi state chiedendo di cosa diavolo parlo i casi sono due:
Siete dei giovani gamers, e Metroid Fusion è vostro coetaneo o quasi.
L’età avanza, ed i ricordi delle maratone sul GBA si fanno via via più sbiaditi.
A tutto ciò uniamo il fatto che negli ultimi 11 anni la saga è letteralmente sparita dai radar, eccezion fatta per l’ottima parentesi Samus Returns. Con questo articolo voglio fornire una panoramica sulla storia di Metroid, dal 1986 ad oggi, così da rispolverare la vostra cara Power Suit. O farvi scoprire la saga che ha rivoluzionato il genere Adventure 2d.
La cacciatrice di taglie
Prima di tutto introduciamo la protagonista indiscussa della nostra storia. Samus Aran nasce sulla colonia mineraria terrestre K2-L, di cui poi rimarrà l’unica sopravvissuta in seguito ad un attacco da parte dei Pirati Spaziali, capitanati da Ridley. Viene poi tratta in salvo dai Chozo, razza aliena di pennuti antropomorfi, e trasportata sul loro pianeta natale, Zebes.
Evoluzione stilistica di Samus Aran, dagli albori ad oggi.
Viste le condizioni di Zebes avverse alla vita umana i Chozo decidono di donare alla ragazzina una porzione del proprio DNA, al fine di renderla più forte, agile, resistente ed astuta di qualsiasi comune essere umano. È da questo momento che inizia il duro addestramento di Samus Aran, destinata a ricoprire un ruolo chiave nella prossima difesa della galassia.
Tutto quel che ho scritto non lo troverete nei videogiochi in realtà; è Kenji Ishikawa a raccontarci l’infanzia di Samus, tra le pagine del manga ufficiale di Metroid. Quel che ho accennato non è che un piccolo assaggio della storia completa, che partendo da qui condurrà Samus fino agli eventi narrati nel primissimo Metroid. La lettura per tutti gli appassionati è praticamente d’obbligo!
I titoli di Metroid ordinati per eventi della storia.
La missione Zero
Corre l’anno 1986 quando Nintendo pubblica Metroid, capostipite della saga. Titolo sicuramente atipico per gli standard del tempo, Metroid si proprone come un Adventure Platform 2d non lineare. Questa sua caratteristica lo renderà uno dei due titoli che hanno definito il celebre genere Metroidvania, tornato in auge negli ultimi tempi.
Anche se ne riconosco l’importanza storica devo esser sincero, Metroid risulta invecchiato piuttosto male, quindi andrò a parlare del suo remake, Metroid: Zero Mission; oltre a risultare un’ottima riproposizione dell’originale, Zero Mission include una sezione di gioco inedita.
Box Art giapponese di Metroid: Zero Mission.
L’incontro
Samus Aran è ormai divenuta una famosissima cacciatrice di taglie, fidata collaboratrice della Federazione Galattica. L’obiettivo di questa missione è tornare su Zebes – pianeta natale degli ormai estinti Chozo – dove i Pirati Spaziali stanno cercando di controllare i temibili Metroid.
I Metroid, che danno il nome alla saga, saranno un elemento chiave dei vari titoli della saga, in un modo o nell’altro. Forme di vita aliene simili a meduse fluttuanti, questi esseri risultano terribilmente aggressivi, e sono in grado di risucchiare l’energia vitale degli altri esseri viventi. Risultano inoltre incredibilmente resistenti, tanto che l’ unico modo di abbatterli è sfruttare la loro debolezza al ghiaccio; ecco spiegato perchè sia i Pirati che la Federazione sono tanto interessati a questa forma di vita.
Ridley, rivale per eccellenza di Samus, in alcune delle sue incarnazioni
Qui Samus esplora le profondità del pianeta Zebes, trasformate in una grande base sotterranea dai Pirati Spaziali. Abbattuti i due luogotenenti, Ridley e Kraid, la cacciatrice affronta Mother Brain, antica IA traditrice di fattura Chozo che ora capeggia la fazione dei Pirati. Dopo esser stata sconfitta Mother Brain attiva il meccanismo di autodistruzione della base; Samus è costretta a scappare, ma durante la fuga la sua navetta viene abbattuta da un fascio laser dei Pirati Spaziali, precipitando nuovamente su Zebes.
Sola e disarmata, Samus si infiltra quindi sulla nave madre dei pirati, e dopo aver recuperato la sua Power Suit procede alla distruzione del vascello. Così si conclude Zero Mission, i Pirati Spaziali sembrano ormai fuori gioco… O forse no?
Gli errori dei Chozo
Il secondo capitolo della saga è Metroid II: Return of Samus, sviluppato per Game Boy nel 1991. Anche di questo capitolo è stato ricavato un ottimo remake – Metroid: Samus Returns – che reinterpreta il titolo Nintendo in salsa moderna, conservandone comunque l’essenza.
La Federazione Galattica è preoccupata, soprattutto dopo la brutta storia su Zebes. Ha quindi in mente un altro lavoro, e sa già chi dovrà compierlo. Samus viene quindi inviata sul pianeta SR388, terra originaria dei Metroid. La missione è semplice quanto ardua: distruzione totale dei Metroid. Gli esseri sono davvero troppo pericolosi, e vanno quindi eliminati, stando a ciò che dice la Federazione.
Alcuni esempi di Metroid che verranno incrociati lungo la storia di Return of Samus
La Regina
Samus affronta quindi i tanti Metroid presenti su SR388, ognuno contraddistinto da uno stadio evoluto ben specifico. Scopre poi che in realtà SR388 non è il pianeta natale delle meduse fluttuanti, ma che esse sono state create dai Chozo. I Metroid sono infatti stati rilasciati su SR388 col fine di annientare il vero essere nativo del luogo, il misterioso Parassita X. Dopo aver assolto il loro compito le creature si sono però ribellate ai Chozo, che con un gesto estremo le hanno sigillate nelle profondità del pianeta.
Samus riesce quindi a distruggere tutti i Metroid presenti su SR388, compresa la temibile Regina, e sancisce così la fine della temuta razza aliena. A quel punto l’enorme vulcano presente in superficie sta per eruttare, e distruggerà qualsiasi cosa, quindi Samus deve raggiungere la navicella ed entrare subito in orbita; lungo la via per la superficie si imbatte però in un uovo in procinto di schiudersi. L’esserino che ne esce, un piccolo Metroid, riconosce in Samus la propria madre per via dell’imprinting, e la assiste durante la fuga, liberandole il passaggio.
Samus sfreccia via sulla Gunship
Nei pressi della navetta Samus si scontra poi con l’onnipresente Ridley, intenzionato a rubare il cucciolo di Metroid; la guerriera ha infine la meglio e riesce a fuggire da SR388, portando con sé l’unico esemplare di Metroid dell’intera galassia.
Capolavoro senza tempo
Giungiamo quindi all’episodio più emblematico dell’intera saga, ovvero Super Metroid, rilasciato per Super Famicom nel 1994. Tutto quel che veniva accennato in Metroid e Metroid II: Return of Samus viene ora elevato all’ennesima potenza; level design che fa ancora scuola, una delle migliori OST di sempre, direzione artistica sublime, gameplay solidissimo ed atmosfera a pacchi. Super Metroid è ancora oggi preso come IL termine di paragone del genere metroidvania, e questo non è affatto un caso. Uno di quei rari titoli senza tempo, che sembra non vogliano proprio invecchiare. Se non lo avete ancora giocato correte, perchè Super Metroid è letteralmente un pezzo di storia videoludica.
Penso che tutti abbiano visto questa immagine almeno una volta. Il cucciolo di Metroid sta per esser rapito.
Il furto
Di ritorno da SR388, Samus consegna il cucciolo Metroid presso la stazione di ricerca Ceres, appartenente alla Federazione. Subito dopo esser ripartita riceve però un segnale S.O.S. dalla medesima stazione, ed al suo ritorno scopre che è stata invasa dai Pirati Spaziali. Qui avviene l’ennesimo scontro con l’arcinemesi, Ridley, che riesce a rubare la capsula contenete il Metroid e scappa, dirigendosi proprio su Zebes.
La vecchia base dei Pirati è stata infatti ricostruita sotto ordine di Mother Brain, l’IA Chozo che tutti credevano scomparsa in seguito alla Missione Zero. Il nuovo piano è quello di clonare il piccolo Metroid al fine di allestire un esercito di bioarmi. È quindi ora per la cacciatrice di tornare là dove tutto ha avuto inizio, sul pianeta Zebes, ed esplorarne nuovamente le profondità.
La “semplice” mappa di Super Metroid. Un capolavoro di level design
Mother Brain
Qui Samus affronta nuovamente i luogotenenti dei Pirati Spaziali, e dopo averli sconfitti si dirige nella parte più profonda del pianeta, Tourian, dove Mother Brain la sta aspettando. La IA però non si fa trovare impreparata; essa si è infatti dotata di un grosso esoscheletro apparentemente impenetrabile dai colpi di Samus.
Quando tutto sembra perduto ecco che fa la sua comparsa il “cucciolo” di Metroid, cresciuto a dismisura nel frattempo. L’essere attacca Mother Brain, stordendola, e ne trasferisce l’energia a Samus, ora capace di danneggiare il nemico. La IA però, ripresasi dall’attacco, colpisce il Metroid, uccidendolo, ma viene in seguito sconfitta da Samus che dovrà scappare in superficie per l’ennesima volta, poichè il pianeta sta per esplodere, definitivamente.
Si conclude così Super Metroid, i Pirati Spaziali annientati, Mother Brain sconfitta, ed i Metroid ormai estinti…
Other M, un titolo controverso
Metroid: Other M, rilasciato nel 2010 per Wii, è di fatto l’ultimo titolo della saga principale ad esser stato sviluppato, se non contiamo il remake Samus Returns. Un titolo abbastanza controverso, che si discosta quasi completamente dai suoi predecessori in quanto a gameplay; altro importante cambiamento è l’importanza della narrativa nell’economia di gioco, elemento relegato quasi a pretesto nei precedenti titoli, che ora diviene parte fondamentale dell’esperienza Other M.
Metroid Other M punta forte sulla componente narrativa, ponendo la storia al centro del titolo
Dopo le vicende raccontate in Super Metroid sembra che la galassia sia un posto sicuro, ma le apparenze ingannano. Samus riceve l’ennesima richiesta di soccorso da uno strano relitto, tale Bottle Ship. Poco dopo l’attracco la cacciatrice incontra il 7° Plotone della Federazione, capeggiato da una sua vecchia conoscenza, l’ufficiale in comando Adam Malkovich. Samus è stata una sottoposta di Adam durante il suo periodo nelle forze della Federazione, che ha poi lasciato per divenire una cacciatrice di taglie. Gli umani, esplorando la Bottle Ship, scoprono che quella nave sta conducendo delle pericolose ricerche – tecnicamente proibite – sulle bioarmi.
La creazione di MB
Una fazione della Federazione Galattica ha infatti ricreato delle forme di vita molto simili ai Pirati Spaziali, al fine di disporre di un piccolo esercito personale; ciò è stato reso possibile grazie a del DNA presente sulla Power Suit di Samus a seguito della missione su Zebes. Per controllarli è stato inoltre necessario creare MB, una interfaccia IA basata sull’ormai defunta Motherbrain ed innestata in un corpo di androide. MB si è ovviamente ribellata ai suoi creatori, impartendo all’intero arsenale di bioarmi un semplice compito, sterminare tutti i ricercatori, eccezion fatta per la sua creatrice, Madeline Bergman.
Come se non bastasse il gruppo fa una scoperta ancora più sinistra: nel Settore Zero della nave-laboratorio gli scienziati hanno ricreato dei Metroid, sempre grazie al DNA presente su Samus. Non Metroid qualsiasi, ma Metroid perfezionati, privati della debolezza alle basse temperature. Ciò li rende di fatto degli esseri praticamente imbattibili.
Questo è un cucciolo di Ridley, che ci crediate o no.
Tragici eventi
Adam Malkovich, ufficiale in carica, decide così di sacrificarsi, facendo irruzione nel Settore Zero al fine di disconnetterlo dalla Bottle Ship ed in seguito farlo detonare, distruggendo definitivamente i Metroid. Nel frattempo Samus si scontra con la sua arcinemesi, Ridley, o per essere precisi un clone di Ridley. La cacciatrice ha ovviamente la meglio, ed un Ridley ferito fugge, per poi finire preda di una Regina Metroid.
Ebbene si, Samus si scontra per la seconda volta con una Regina Metroid, sconfiggendola, e riesce a salvare la Dottoressa Madeline Bergman, direttore ricerca del complesso. La Bottle Ship si avvicina quindi al quartier generale della Federazione, e Samus si confronta finalmente con MB, l’IA responsabile di tutto ciò che è avvenuto. Giunge infine un plotone di marines dal vicino QG della Federazione, capitanati dal Colonnello, che fermano lo scontro tra Samus ed MB, uccidendo di fatto quest’ultima. La situazione è quindi sotto controllo, e Samus, Madeline ed Anthony – un soldato del 7° Plotone – vengono condotti al QG della Federazione.
Nell’ultima sezione di gioco Samus torna sulla Bottle Ship per recuperare un “oggetto insostituibile”; dopo essere arrivata al Ponte di Comando viene assalita da Phantoon, boss già presente in Super Metroid e che qui fa il suo ritorno. Manco a dirlo, lo sconfigge, e recupera il casco del defunto Adam Malkovich, fuggendo poi dalla Bottle Ship, la cui autodetonazione è stata attivata da remoto.
Si conclude così Other M, che come avrete visto presenta una trama ben più articolata dei precedenti capitoli.
Il parassita
Giungiamo quindi a Metroid Fusion, titolo per Gameboy Advance rilasciato nel 2004, che di fatto chiude la storia di Metroid, quantomeno fino alla prossima uscita di Dread. Fusion segue la medesima struttura dei suoi predecessori, quindi grande mappa esplorabile, scelta del percorso da fare e quant’altro. Il titolo riesce inoltre a proporre una riuscitissima atmosfera horror in alcune sezioni, come vedremo più avanti.
La Fusion Suit dona a Samus un look più agile rispetto alla voluminosa Power Suit
L’infezione
Samus viene inviata nuovamente sul pianeta SR388, al fine di condurre una scrupolosa indagine per confermare l’avvenuta estinzione dei Metroid. Qui viene però infettata da un organismo autoctono, il Parassita X, che si innesta nella sua Power Suit. Di ritorno da SR388 Samus accusa un malore; è il Parassita X che sta attaccando il sistema nervoso della cacciatrice. La sua navetta così si schianta su una fascia di asteroidi, rendendo necessario un recupero d’emergenza.
Viene dunque trasportata al Quartier Generale della Federazione; l’infezione ad opera del Parassita si estende velocemente, ed è necessario asportare chirurgicamente la Power Suit, ormai compromessa dal parassita. Risulta inoltre impossibile rimuovere l’organismo dal sistema nervoso di Samus, così la Federazione ha un’idea: utilizzare un vaccino ricavato dall’ultima manciata di cellule del cucciolo Metroid.
Il piano funziona, il parassita viene inibito dal vaccino a base di Metroid, e Samus acquista la totale immunità a quello strano essere, riuscendo addirittura ad assorbirlo senza conseguenze. Samus Aran diviene quindi un ibrido tra essere umano e Metroid, acquisendo sì la naturale immunità al Parassita X, ma anche la debolezza alle basse temperature tipica dei Metroid.
Inoltre perde tutti i suoi “potenziamenti”, essendo la Power Suit irrimediabilmente compromessa dall’infezione; quest’ultima viene inviata sulla stazione di ricerca BSL, al fine di venire studiata più a fondo. Ciò che rimane della famosa tuta è la Fusion Suit, un’unione tra l’originale Power Suit ed il Parassita X.
Chi ha giocato Fusion si ricorderà sicuramente di questo ragazzaccio
L’invasione
Poco dopo viene però avvertita un’esplosione proveniente dalla BSL, ed ovviamente Samus viene inviata ad investigare, “accompagnata” dal computer di bordo della nuova navetta, Adam. Arrivata lì scopre che la stazione è stata invasa dal Parassita X, e che gli scienziati sono tutti morti. Il parassita è inoltre in grado di riprodursi continuamente, essendo asessuato, e presto colonizzerà l’intera BSL.
Da questo momento Samus affronta varie forme del Parassita X, che vanno da bestie di ogni tipo ad un vero e proprio clone di Ridley, fino ad arrivare al più mortale degli avversari: SA-X, o Samus Aran-X, una replica della cacciatrice, resa ancor più pericolosa dalle abilità del Parassita.
Samus quindi esplora la BSL, evitando ove possibile lo scontro con SA-X, nemico decisamente fuori dalla sua portata; è così che scopre un laboratorio segreto in cui – indovinate un pò – la Federazione sta ricreando i Metroid, ancora una volta, l’ennesima volta. SA-X la segue ed attiva la sequenza di autodistruzione di quel laboratorio, essendo i Metroid i predatori naturali dell’organismo. Sia Samus che l’entità riescono comunque a sfuggire all’esplosione, che si spera abbia messo la parola fine alla faccenda Metroid.
Il computer di bordo, ribatezzato Adam dalla stessa Samus, avverte quest’ultima che da quel momento ci penserà la Federazione a metter le cose a posto, ed esorta l’eroina a lasciare la BSL al più presto. Adam lascia anche intendere che la Federazione sia particolarmente interessata alle capacità belliche del Parassita X.
Samus ed SA-X giocando al gatto e al topo per l’intera durata del titolo
La ribellione
A questo punto Samus prende una decisione, deve liberarsi dell’intero BSL, X non deve divenire una bioarma per nessun motivo. E soprattutto il plotone della Federazione in arrivo NON deve incontrare il parassita, che soggiogherebbe facilmente i militare, acquisendone così le conoscenze circa la navigazione interstellare. A quel punto niente potrebbe fermarlo dall’espandersi per tutto l’universo.
È così che Samus decide di andare contro il volere della Federazione Galattica. Il piano prevede di impostare una nuova rotta per la BSL; così facendo la stazione entrerà in collisione con SR388, precipitando sul pianeta ed annientando entrambi. Nessun Parassita X riuscirà a sopravvivere all’evento. Sfortunatamente Samus viene intercettata da SA-X, ed il duello è inevitabile. Fortunatamente la nostra eroina ne esce vittoriosa, e riesce così ad impostare le nuove coordinate di navigazione. A questo punto si avvia verso la navetta per fuggire.
Un ultimo ostacolo si frappone tra la cacciatrice e la sua salvezza; un Metroid Omega, precedentemente fuggito dal laboratorio segreto, la attende nella zona hangar. Samus lotta, ma il nemico è troppo potente, e lei non ha più accesso all’arma letale per qualsiasi Metroid, l’ Ice Beam. Quando tutto sembra perduto compare però SA-X, che istintivamente attacca e danneggia il Metroid, per poi venir colpito e regredire all’originaria forma di nucleo cellulare. Samus quindi assorbe il Parassita, riacquisendo tutto i suoi poteri e la sua Power Suit, e procede così all’eliminazione del Metroid Omega. Così riesce finalmente a fuggire mentre la BSL precipita su SR388, segnando la fine del Parassita X.
Si conclude così la storia di Samus Aran, ricercata dalla Federazione Galattica poichè ha disobbedito agli ordini. L’attesa durerà però ancora per poco, poichè lo ricordo nuovamente, l’8 ottobre potremo finalmente scoprire cosa ne è stato della cacciatrice di taglie più abile della galassia.
Così si chiude la storia di Fusion, un duello con il Metroid Omega
Si ok… Ma Prime?
I fan di vecchia data se lo staranno sicuramente chiedendo: che fine ha fatto Metroid Prime nel recap? La verità è che considero Prime una saga separata dai classici titoli 2D. Le vicende dell’intero arco che va da Zero Mission a Fusion è già delineato, e Prime è un “di più”. La trilogia spin-off tratta del periodo intercorso tra Zero Mission e Metroid II: Return of Samus, ed aggiunge un universo a sè stante praticamente. Ritengo che però meriti un articolo tutto suo, quindi ne sentirete parlare in futuro, e spero abbiate voglia di ascoltarmi ancora una volta.
Dread ha tutte le carte in regole per essere il prossimo capolavoro in casa Nintendo
Siamo arrivati alla fine, e spero che questo recap vi sia stato utile. La storia di Metroid è molto più complessa di quel che i titoli lascerebbero intendere ad uno sguardo distratto, ed il tempo per rigiocarsi l’intera saga spesso non c’è. Ora scusatemi, ma vado a lucidare il mio Arm Cannon, e vi consiglio di far lo stesso, perchè tra qualche giorno vi servirà di sicuro!
Dariusburst Another Chronicle EX+ è un ottimo videogioco, che subisce un pessimo porting da cabinato. Il gameplay è eccezionale e i contenuti sono tantissimi, ma la fruizione su console è ostica, a tratti frustrante. Il prezzo non proprio budget rende l’acquisto interessante solo ai veri appassionati, consapevoli che Nintendo Switch non è la miglior piattaforma su cui usufruire di tale esperienza.
6.5
Quante volte avete desiderato che i cabinati, siti nella sempre amata saletta giochi, si teletrasportassero direttamente nella vostra stanza? Io tante, tantissime volte, e scommetto che chi ha vissuto gli anni 80-90 ha condiviso con me quel desiderio. Schiere di cabinati, ognuno dal considerevole peso ed ingombro, sfoggiati in file ordinate, pronti per l’ennesimo giro in cerca dell’highscore.
Ora corre l’anno 2021 e la tecnologia ha fatto davvero passi da gigante; dieci, cento, mille cabinati, tutti racchiusi sul palmo della nostra mano, tutti a nostra disposizione. È incredibile pensare come quintali, tonnellate di scatoloni metallici possano esser racchiusi in una minuscola scheda MicroSD dal peso di appena 2 grammi, prontamente usufruibili, e soprattutto non richiedano più quelle dannate monetine, che puntualmente mancavano al me stesso di circa 23 anni fa.
Eppure – come già avevo accennato durante la recensione di R-Type Final 2 – un cabinato sul palmo di una mano semplicemente non è un cabinato; il feeling è differente, l’ergonomia è differente, le caratteristiche hardware sono differenti. Dariusburst Another Chronicle EX+ è il perfetto esempio di come un cabinato ed una console portatile non vadano sempre equiparati.
Dariusburst nasce come titolo prettamente arcade, ovvero destinato alle sale sale giochi, e Another Chronicle EX+ è di fatto un remix del capitolo originale Dariurburst; abbiamo quindi a che fare con il porting – ad opera di Pyramid – di un titolo per cabinato, e questo causerà più di qualche problema alla fruizione su console, ma andiamo con ordine.
Ittiologia spaziale
Lo sappiamo tutti, la trama non è proprio l’elemento centrale di uno Shoot ‘em Up a scorrimento, e la saga di Darius non fa eccezione. Vi basti sapere che l’umanità anche stavolta deve vedersela con l’Impero Belsar, e per farlo ha a disposizione un’unica, potentissima arma, ovvero il caccia Silverhawk. Fin qui nulla di nuovo, umanità contro razza aliena ed un’astronave pronta a vincere la guerra, ovviamente in solitaria. Quel che sin dal primissimo capitolo – rilasciato nel 1986 – ha contraddistinto la serie è proprio l’aspetto peculiare dei nemici; esseri meccanici dalle fattezze di pesci, crostacei, molluschi e varie creature marine. Ovviamente Dariusburst Another Chronicle EX+ non fa eccezione, proponendo per l’ennesima volta scontri con nemici storici, stavolta reinterpretati in praticamente ogni colorazione possibile, con decine di varianti dei tanti boss presenti.
Un calamaro meccanico, tipico design di qualsiasi nave spaziale che si rispetti
A contrapporsi a questo grande acquario spaziale abbiamo la storica navetta Silverhawk, sola ed unica protagonista dell’intera saga. In contrapposizione a ciò che avviene con tanti shmups moderni – ovvero inserire meccaniche su meccaniche – Darius continua nel suo approccio più classico al genere. La Silverhawk è equipaggiata con un cannone primario ed un fuoco secondario – solitamente missili o bombe – e può potenziare il proprio armamentario raccogliendo globi colorati, prontamente rilasciati dai nemici abbattuti. È però presente una novità, che dà anche il nome alla nuova serie di capitoli. La Silverhawk è infatti equipaggiata con un Cannone Burst, un grande laser in grado di infliggere enormi danni ed eliminare quasi tutte le pallottole nemiche che incontra. Ovviamente un’arma tanto potente ha anche un utilizzo limitato, e va ricaricato abbatendo nemici o schivando pallottole. Vi è inoltre la possibilità di sganciare il modulo burst dalla nave, utilizzandolo così come una torretta in grado di coprire una certa porzione di schermo ed a funzionare da scudo al tempo stesso.
Attenzione ai laser nemici!
I livelli, come sempre, sono contrassegnati da varie lettere, presentando una struttura ad albero; si comincia scegliendo da quale dei tre stage iniziali si voglia partire, ed all’abbattimento dell’immancabile boss viene data la possibilità di scegliere quale tra le due zone successive si desideri affrontare. Ogni partita dura esattamente 3 livelli, di difficoltà ovviamente crescente. Ciò porta il totale degli stage a 12, ma come vedremo a breve in realtà gli stage sono molti, molti di più tra varianti e remix.
Il titolo si compone di 4 modalità. Original Mode, ovvero la modalità standard, e Original Mode EX, l’hard mode, che consiglio solo ai veri appassionati, visto l’elevatissimo grado di sfida. Event Mode, composta da 21 stage remixati e rilasciati per il cabinato originale, oggi finalmente disponibili anche su console. E poi quella che considero la modalità più interessante, ovvero la Chronicle Mode; centinaia di stage in multiplayer asincrono, in cui i giocatori sono chiamati a liberare vari sistemi solari, respingendo pian piano l’impero Belsar in vari stage che presentano le condizioni più disparate, come ad esempio il completamento con un solo credito a disposizione. Insomma, di contenuti ve ne sono davvero tantissimi, e terranno impegnati per decine di ore, seppur manchi un qualsivoglia contenuto sbloccabile che giustifichi un esborso di tempo simile.
Ecco la schermata di selezione che verrà presentata a stage ultimato
È particolarmente encomiabile la cura riposta nella realizzazione di ciascuno stage, che suggerisce da subito al giocatore l’utilizzo del cannone burst; non è raro infatti che i nemici attacchino su più lati dello schermo, rendendo così necessario l’utilizzo del modulo burst per fronteggiare un’ondata mentre la navetta comandata dal giocatore ne sistema un’altra; o ancora, potrebbe rivelarsi necessario utilizzare il cannone burst per fronteggiare i cannoni laser nemici, o utilizzarlo come screenclear nelle fasi più concitate.
Insomma, per quanto concerne il gameplay siamo davanti ad un lavoro sopraffino, e pad alla mano il divertimento è tanto. Ed a proposito di pad, è d’obbligo citare l’implementazione del HD Rumble in Dariusburst; potente e ritmata, la vibrazione del pad restituisce un ottimo feeling, e rende l’esperienza decisamente più appagante. Devo però precisare che a volte la vibrazione è anche troppo potente, e più di una volta mi sono chiesto se quel rumble – praticamente continuo durante gli stage – facesse bene alla mia Switch. Fortunatamente vi è la possibilità di settarne l’intesità – che è impostata al massimo di default – nel menù principale, graditissima aggiunta.
Uno spiacevole retaggio
Eccoci arrivati al più grande difetto di Another Chronicle EX+, ovvero la sua natura da titolo arcade. Il cabinato di Dariusburst si compone di due schermi da 32″ posti uno di fianco all’altro, ed il gioco è creato proprio in quel formato; la visuale dello stage è decisamente più ampia rispetto alla quasi totalità degli shmups in commercio e questa soluzione hardware garantisce un colpo d’occhio notevole, avvolgendo chi si trova davanti ad un arcade simile.
Qui però sorge il problema, come avranno fatto i ragazzi di Pyramid a rendere tale aspetto su una console portatile con schermo da 6,62”? Come vi avevo anticipato ci troviamo davanti ad un porting nudo e crudo – arricchito di qualche trascurabile opzione – quindi l’unica soluzione possibile è l’inserimento di due vistosissime bande nere all’estremità superiore ed inferiore dello schermo, soluzione già adottata per tante conversione di shmups; soluzione che ahimè non funziona per Dariusburst, essendo il titolo sviluppato per una visuale estremamente ampia.
Immaginate di dover leggere queste scritte su di uno schermo 6,62″
Il risultato è che la fruizione del titolo risulta davvero ostica, specie in modalità portatile, con una piccola porzione di schermo che deve racchiudere davvero troppi elementi; più di una volta ho riscontrato difficoltà nel manovrare la nave o vedere un proiettile nemico, visto quanto risultano piccoli sullo schermo di Switch. Dariusburst è un ottimo shoot ‘em up, ed usufruirne in tale maniera non rende per nulla giustizia alla qualità del gameplay proposto. La situazione migliora leggermente su TV, a patto però di possedere un pannello di dimensioni adeguate; personalmente ho trovato accettabile la resa a schermo sul mio TV da 55″, ma non vi nego che anche in queste condizioni avrei preferito uno schermo più grande.
La dimensione dello schermo Switch di sicuro non vi aiuterà in fasi simili
I retaggi da arcade non si fermano qui. Another Chronicle EX+ è un titolo davvero stracolmo di contenuti, ma tali contenuti vengono presentati al giocatore in maniera confusionaria; minuscoli testi quasi illegibili in modalità portatile, la onnipresente scritta “freeplay” ed un simpatico “mind the head” alla fine di ogni sessione sono solo alcuni degli elementi che rivelano la natura di conversione del titolo da cabinato. Risulta quindi inspiegabile la scelta di rendere disponibile Another Chronicle EX+ piuttosto che il capitolo creato ad hoc per console portatili Chronicle Saviours – sempre sviluppato da Pyramid – titolo decisamente più adatto per un Nintendo Switch.
In conclusione
Questa è davvero una strana recensione, poiché Dariusburst Another Chronicle EX+ è di fatto un ottimo titolo, pieno di contenuti, con un gameplay divertente e frenetico ed una OST da paura. Sfortunatamente alla bontà del titolo si contrappone la fruizione dello stesso, che risulta davvero ostica, specie in modalità portatile, dove i 6,62″ di Switch proprio non rendono giustizia alle battaglie della Silverhawk. Il problema è leggermente mitigato su TV di una certa dimensione, certo, ma non viene mai davvero risolto. Questo – unito ad un prezzo non proprio irrisorio – mi porta a consigliarlo solo agli appassionati duri e puri del genere, consci del fatto che Switch non è esattamente la console migliore su cui giocarlo.
Monster Hunter Stories 2: Wings of Ruin è una piacevolissima sorpresa. Un jrpg solidissimo, con una trama semplice ma avvincente, personaggi ben scritti, uno stile grafico delizioso e una quantità di contenuti davvero enorme. Il battle system offre un ottimo grado di sfida, mentre i problemini di performance non minano la fruizione di uno dei migliori jrpg degli ultimi tempi.
9
Collezionare mostri, tanti mostri, un concetto tanto semplice che ha fatto entrare di diritto Pokémon tra le fila dei franchise più famosi e redditizi al mondo. Eppure di titoli che tentino di seguire le orme tracciate dal gigante nipponico se ne trovano davvero pochi, a riprova che sì, il concetto del catturare mostriciattoli è semplice, ma non facilmente replicabile. È proprio qui che entra in scena Capcom, che a sorpresa annuncia Monster Hunter Stories 2: Wings of Ruin, la stessa Capcom che negli ultimi anni sembra essersi trasformata in uno strano Re Mida del mondo videoludico, sfornando capolavori su capolavori e riportando in auge saghe che non se la passavano troppo bene; da Monster Hunter World ai remake della serie Resident Evil, per poi passare a Devil May Cry V e Monster Hunter Rise. A tutto ciò va anche aggiunto che la saga di Monster Hunter sta meritatamente vivendo un periodo d’oro, con i capitoli World e Rise campioni di vendite, ed addirittura un film prodotto sul franchise, che sarò onesto, non ha ricevuto il magico tocco delle serie videoludiche di Capcom.
Con queste premesse le aspettative non potevano che essere alte, soprattutto per il sottoscritto, grande estimatore della saga di Monter Hunter, ed al contempo dello spinoff sviluppato per Nintendo 3DS nel lontano ottobre 2016, un validissimo jrpg piuttosto sfortunato, rilasciato durante quello che definirei il canto del cigno della portatile a doppio schermo. Insomma, la domanda è semplice, sarà riuscita Capcom ad imprimere il magico tocco anche stavolta, l’ennesima volta? Si, vi assicuro che ci è riuscita, ed ha sorpreso un po’ tutti, ma andiamo ad analizzare l’ultima magia della fortunata – o magica, decidete voi – casa di sviluppo nipponica.
Un cielo cremisi
La nostra avventura ha inizio nel villaggio di Mahana, unico insediamento umano sulla piccola isola di Hakolo. Il cielo si tinge di rosso – no, non è colpa del Valstrax stavolta – e tutti i Rathalos presenti sull’isola si alzano in volo, diretti da qualche parte oltre il mare, oltre l’orizzonte. Anche il Ratha Guardiano, inseparabile compagno di Red, nonno del protagonista, non riesce a resistere a quel bagliore cremisi, ma prima di spiccare il volo ci affida uno strano uovo, che stando ad un’antica profezia potrebbe contenere il Ratha Tagliente, malvagio essere che porterà distruzione su tutto il mondo.
L’evento che segnerà l’inizio della nostra avventura
Questo rappresenta l’inizio di un epico viaggio in cui vestiremo i panni di un giovane Rider – creato tramite editor – alla ricerca della verità sulla profezia delle Ali della Distruzione e sul destino di Ratha, accompagnati da Ena ,Wyverniana dal cuore gentile, e Navirou, uno strambo Felyne che si proclama addirittura come il Felyne Leggendario. E non mancheranno tanti altri comprimari, sorprendentemente caratterizzati, che renderanno il nostro vagabondare per il continente un’esperienza ancor più piacevole e meno solitaria.
Sappiamo benissimo che nella saga di Monster Hunter il comparto narrativo spesso si è rivelato essere un mero pretesto per riempire di botte bestie di ogni specie e forgiare nuovi attrezzi del mestiere, ed anche il primo Monster Hunter Stories – nonostante proponesse degli spunti interessanti – non si discostava poi troppo dalla classica forma della saga Capcom. É proprio qui che Monster Hunter Stories 2 sorprende maggiormente, compiendo enormi passi avanti rispetto il predecessore. La storia non è più un semplice mezzo per giustificare la presenza di questo o quel mostro da affrontare, ma assume un ruolo centrale durante tutto l’arco dell’avventura, con colpi di scena riusciti, personaggi ben caratterizzati, ed un intreccio narrativo semplice nella forma, ma decisamente godibile, che saprà catturare il giocatore in più di un’occasione. Ed ovviamente non mancano i siparietti comici che permeavano il primo titolo, che devo ammetterlo, mi hanno strappato più di qualche risata e soprattutto non si sono mai rivelati essere fuori luogo.
Ecco l’allegra combriccola
Sorprende anche la sapienza con cui vengono affrontati i tanti temi presenti nel gioco, dall’amicizia all’importanza dei legami creati, la fiducia, la vendetta, ma soprattutto la capacità di non fermarsi all’apparenza delle cose, ed anzi, di voler comprendere davvero chi si ha davanti. Tutti temi trattati in maniera sì leggera, ma efficace ed oserei dire potente in un paio d’occasioni, che faranno riflettere sia i giocatori più o meno giovani. L’intero comparto narrativo è poi supportato da sequenze cinematiche di prim’ordine, che ci faranno immedesimare ancor di più nei protagonisti della nostra avventura, ed a volte si avrà anche la sensazione di guardare un anime vero e proprio, merito della deliziosa direzione artistica. Insomma, tutto quel che concerne il comparto narrativo di Monster Hunter Stories 2 è davvero solido, e dimostra che anche Monster Hunter può fregiarsi di una trama di tutto rispetto, che spero vivamente verrà proposta anche in un titolo della saga principale, prima o poi.
La profezia del Ratha Tagliente
Che dire poi del mondo di gioco? Cavalcare tra cime innevate o aridi deserti è davvero una piacevole esperienza; seppure Monster Hunter Stories 2 non sia un capolavoro tecnico, il grosso dell’ottimo lavoro svolto è da ricercarsi nell’azzeccatissima direzione artistica, che opta per ambienti coloratissimi e molto particolareggiati. É inoltre presente una funzione di spostamenti rapidi, che risulta accessibile in ogni istante ed è un vero e proprio toccasana per il ritmo di gioco, poiché ,qualora si vogliano completare le tantissime subquest presenti, vi assicuro che i giri da fare saranno tanti, davvero tantissimi. Le nostre lunghe camminate vengono poi accompagnate da una colonna sonora che risulta sempre coerente con ciò che si vede a schermo, ed offre tracce di ottima qualità. Il tutto è impreziosito da entrambi i doppiaggi presenti – in lingua inglese e giapponese – di buon livello, e di sottotitoli ovviamente in italiano.
Una nota di rammarico invece per le performance della versione provata, con gli stupendi filmati che spesso e volentieri scenderanno anche sui 20 fotogrammi al secondo, ed un’esplorazione talvolta resa fastidiosa da performance claudicanti. Appare inoltre inspiegabile la scelta di mantenere il framerate totalmente sbloccato e non inserire un cap ai canonici 30fps, con il risultato che in alcuni ambienti – i più piccoli – il titolo andrà a 60fps, per poi passare a 30, 20, 40 e così via, rendendo l’esperienza poco fluida ed omogenea. Fortunatamente durante le fasi di combattimento la situazione migliora ed il framerate si assesta sui 30fps quasi granitici, offrendo un’esperienza molto più godibile. Dopo aver riscontrato performance tanto problematiche inoltre mi chiedo, davvero ciò di cui noi fan di Nintendo abbiamo bisogno sia uno schermo OLED? Ed insomma, la scelta di Nintendo si fa sempre più inspiegabile.
Gotta ride ‘em all!
Chi sono i Rider? A differenza dei Cacciatori, protagonisti indiscussi della saga principale di MH, i Rider potrebbero essere definiti come “addestratori di mostri”, individui che riescono a creare un forte legame con i propri Monsties – questo il nome dei mostri “addomesticati” – e lottare assieme a loro, in perfetta sincronia. Proprio in questa figura – davvero simile ad un allenatore Pokémon – risiede la peculiarità di Monster Hunter Stories.
Il Rider ed un Nargacuga eseguono l’abilità legame
Sono proprio i Monsties i veri protagonisti di Monster Hunter Stories 2, ed alzi la mano il fan che non ha mai sognato di cavalcare uno Zinogre o un Mizutsune. Sono tanti, davvero tanti, se ne contano un centinaio circa, ognuno contraddistinto da tipo, elemento ed abilità spesso uniche, oltre ad una spettacolare mossa legame per ognuno. Insomma, se cercate un titolo in cui collezionare mostriciattoli, ma i Pokémon vi sembrano troppo carini, qui troverete pane per i vostri denti. Si va dal Glavenus, un wyvern brutale specializzato nell’utilizzo della lama/coda, a Monsties più bizzarri, come il Nerscylla, Temnoceran – o grande aracnide, che dir si voglia – specializzato nell’ infliggere status alterati. Di varietà ve ne è davvero tantissima, tanto che più e più volte ho letteralmente speso minuti interi a decidere quale Monstie portare con me, dato che mi piacevano praticamente tutti; i dubbi vengono ulteriormente rinforzati dal fatto che ogni Monstie ha una sua abilità “ambientale” utile ad esplorare le varie mappe di gioco, come ad esempio il Velocidrome che può saltare, o lo Yan Kut Ku che ha la capacità di frantumare alcune rocce, dove spesso si nascondo dei preziosi scrigni. Bisogna inoltre fare i complimenti a Capcom per quanto concerne la realizzazione di mostri e personaggi, tutti ricreati con una curia maniacale, dalle movenze alle stupende animazioni di attacco. Dopo questa piccola parentesi passiamo invece a ciò che definisce un jrpg, ovvero il battlesystem.
Il titolo si presenta come un classico jrpg a turni, dove tutto ruota attorno ad un sistema di resistenze e debolezze molto simile alla morra cinese. Quasi tutti gli attacchi si suddividono in tre macrocategorie, ovvero potenza, velocità e tecnica, ed ognuna di esse ha la meglio su una ma soccombe all’altra. É importantissimo infatti selezionare il giusto attacco da sferrare, al fine di vincere lo scontro frontale, o Testa a Testa, al fine di riempire la barra legame, il “mana” di Monster Hunter Stories. A noi viene data la possibilità di comandare il Rider, che dispone di vari tipi di armi ed abilità, mentre Monsties ed alleati vengono invece gestiti dalla CPU, anche se il Monstie può ricevere ordini direttamente da noi tramite l’utilizzo della barra legame. É poi possibile, previo riempimento della barra legame, salire in sella al proprio Monstie, per poi sferrare una spettacolare abilità legame, attacco devastante e coreograficamente stupendo; a tal proposito vi consiglio di provare quello del Brachydios, davvero fuori di testa!
Un attacco doppio tra Rider e Monstie
I combattimenti di Monster Hunter Stories sono lunghi, parecchio più lunghi di quelli presenti nella stragrande maggioranza dei jrpg, ciò però non significa che gli scontri siano noiosi, anzi, tutt’altro, ogni combattimento assomiglia ad una piccola bossfight, con i mostri avversari che alternano varie fasi d’attacco, passando da potenza a tecnica ad esempio, per poi andare in enrage, seguendo un pattern ben preciso. Inoltre i mostri avversari – nella maggior parte dei casi – sono composti da più parti, ognuna con la propria resistenza e debolezza a danni contundenti/perforanti/taglienti, proprio come nella serie principale, e spesso sarà necessario “rompere” una parte per stordire l’avversario, renderlo più vulnerabile o bloccare un suo attacco particolarmente pericoloso. Tutti questi elementi culminano nelle bossfight, di difficoltà via via crescente, che riserveranno non poche sorprese.
Capcom quindi riesce nell’arduo compito di rendere ogni singolo scontro soddisfacente e mai banale, dando anche l’opzione al giocatore di velocizzare il tempo di battaglia a 2x o 3x, e qualora volessimo “farmare” dei mostri più deboli, di porre istantaneamente fine alla lotta, non tediandoci con i classici scontri da jrpg “usa il comando attacca fino allo sfinimento”, un risultato mica da poco.
Il Mizutsune è sicuramente un graditissimo ritorno
Come avrete capito il sistema di combattimento di Monster Hunter Stories, a prima occhiata piuttosto semplice, nasconde invece una complessità non indifferente che metterà alla prova le nostre capacità strategiche; ogni Monstie appartiene ad una delle tre categorie d’attacco, quindi è imperativo costruire una squadra ben bilanciata al fine di fronteggiare ogni tipo di avversario. Inoltre, come già detto, ogni Monstie è contraddistinto da un elemento ed una debolezza elementale, dati che inizialmente potrebbero sembrare superflui – vista la discreta facilità delle prime ore – ma che nelle fasi avanzate dell’avventura si riveleranno di vitale importanza, quando gli avversari picchieranno sempre più forte, e scegliere il Monstie sbagliato potrebbe portarci ad una rapida sconfitta. Così come è di vitale importanza la scelta dell’equipaggiamento del Rider, punto che toccherò a seguire.
Piccoli genetisti crescono
Fin qui abbiamo discusso di storia, battlesystem, ma tutti sappiamo che in ogni jrpg che si rispetti è di fondamentale importanza la scelta dell’equipaggiamento così come la costruzione della propria squadra, e fidatevi, qui Monster Hunter Stories non teme rivali. Ogni singolo Monstie è contraddistinto da un proprio “quadro genetico”, ovvero una griglia 3×3 che ne determina parametri ed abilità, ed è generata in maniera semi-casuale alla schiusura di ogni uovo. Tramite il Rituale Sciamanico è poi possibile trasferire un singolo gene da un Monstie all’altro, perdendo il “donatore” nel processo, ed è qui che si apre letteralmente un gioco nel gioco. Volete un Arzuros che sputi fuoco come un Rathalos? Potete farlo. Amate il vostro Tigrex ma la sua abilità Lancia Pesante vi sembra poco utile? Sostituitela con qualcos’altro. Volete creare un Monstie in grado di rispondere ad ognuno dei 3 tipi di attacchi, a discapito di bonus passivi? Anche qui la risposta è, createvelo pure. Le possibilità sono davvero infinite, ed incasellando tre geni dello stesso tipo/elemento si fa “bingo” potenziando quella data categoria/elemento del Monstie. Come se non bastasse i geni hanno più livelli – ad esempio esiste Punto Debole 1 o la versione potenziata, Punto Debole 2 – quindi creare il “Monstie perfetto” richiederà tanta dedizione, ma anche un enorme grado di soddisfazione.
Un cucciolo di Tigrex, speriamo abbia qualche gene raro!
E che dire del Rider? I tipi di armi presenti in Stories sono 6, ovvero spadone, spada e scudo, martello, corno da caccia, arco e lancia-fucile; ognuna di esse ha accesso a diverse abilità e stili di gioco. Ad esempio il martello è un’arma totalmente votata agli scontri Testa a Testa ed acquisisce una carica ogni volta che ne vinciamo uno, per poi utilizzarli in devastanti attacchi come la Meteora Vorticante. Il corno da caccia è invece un’arma che fa del supporto il suo punto forte, grazie a cure o numerosi buff che potenziano l’intera squadra. Sappiate che la quantità di equipaggiamenti è davvero enorme, potremo scegliere tra centinaia di spadoni, spade, martelli e chi più ne ha più ne metta. Ovviamente altro tassello fondamentale dell’equipaggiamento sono le armature, che di fatto andranno a definire le difese del nostro Rider, ma soprattutto le sue abilità, dando così vita ad ogni sorta di build. Amate il corno da caccia? Allora un’armatura con Maestro Corno+1/2 etc. è d’obbligo. O magari preferite puntare tutto sui colpi critici? Vi consiglio di fare scorta di materiali Nargacuga! Non possono poi mancare i talismani, oggetti equipaggiabili generati casualmente che ci forniranno ulteriori abilità per affinare la nostra build. La scelta è davvero vastissima, ed ogni giocatore potrà creare la propria combinazione di armi ed armature, puntando più sul Rider o magari cercando una maggiore sinergia con la propria squadra di Monstie. É davvero sorprendente come Capcom sia riuscita a trasporre perfettamente ognuna delle 6 tipologie di arma in salsa jrpg, rispettandone in pieno lo stile di gioco della saga principale, così come è incredibile la varietà di approcci data al giocatore, che sarà costantemente spronato nel creare nuovo equipaggiamento, in un loop davvero piacevole. Insomma, se siete amanti della customizzazione e/o del min/maxing state certi che in Monster Hunter Stories 2 troverete un titolo irrinunciabile.
Cavalcare in compagnia
Potrei già dire che Monster Hunter Stories 2 offra una mole di contenuti enorme nella sola campagna principale – che per inciso, andando spediti dura almeno 35-40 ore – ma non si ferma qui. Una volta ultimato il titolo sarà possibile accedere ad una miriade di contenuti postgame, come un dungeon “finale”, nuovi mostri presenti solo qui, ed in generale un nuovo grado di sfida, ovvero l’ Alto Grado. Vi basti sapere che praticamente ogni singolo pezzo di equipaggiamento potrà essere nuovamente forgiato in forma più potente, e che il postgame è potenzialmente più cospicuo della storia principale, che col senno di poi potrei definire un grande e lungo tutorial. Infatti è proprio in questa porzione di gioco che l’asticella si alza ulteriormente, offrendo delle bossfight davvero toste, che richiederanno squadre create ad hoc e la padronanza totale del battlesystem per essere superate. Mi piacerebbe parlarvi di quanto il postgame mi abbia stupito, ma vi invito a scoprirlo da soli, perchè ne vale davvero la pena!
Ecco cosa succede quando fate arrabbiare un mostro
Altra importante componente del titolo è la cospicua modalità multiplayer, che viene sbloccata solo dopo qualche ora di avanzamento nella trama principale, e si compone di esplorazioni, sfide ed una vera e propria modalità competitiva. É proprio durante le sfide ed esplorazioni che il titolo propone i contenuti più ardui, per cui se volete davvero fare tutto il fattibile senza il fardello di un compagno mosso dalla CPU l’online è l’unica scelta disponibile. Va segnalato che il matchmaking agisce in forma totalmente automatica, e trovare una stanza che fa al caso nostro sarà un gioco da ragazzi, essendo l’online decisamente popolato al momento della stesura di questa recensione. Ho provato per diverse ore tale modalità, e se da un lato posso affermare con certezza che sì, funziona, dall’altro mi sentirei di consigliarla davvero solo qualora si abbia la possibilità di giocare con un amico, piuttosto che con sconosciuti. Ovviamente un jrpg a turni non è proprio il genere di videogioco più adrenalinico, e giocare con uno sconosciuto che magari perde tempo nel selezionare la mossa da utilizzare risulta spesso davvero noioso; discorso diverso invece se si ha la possibilità di giocare con un amico, chiacchierarci, concordare una determinata strategia. In quel caso il multiplayer di Monster Hunter Stories 2 risulta una modalità di tutto rispetto, capace di regalare ore ed ore di contenuti, farming e sfide davvero ardue.
In conclusione
Monster Hunter Stories 2: Wings of Ruin è l’ennesima stregoneria Made by Capcom. Uno stile grafico delizioso, tantissimi mostri da collezionare, grande cura per i dettagli, una trama piacevolmente narrata, quasi fiabesca, che tratta in maniera efficace temi sempre attuali, un battlesystem solidissimo e molto stratificato. A tutto ciò va aggiunta la possibilità sconfinata di customizzazione dei propri Monstier, così come del Rider, che farà felice qualsiasi patito di statistiche e personalizzazione. Contenuti postgame davvero cospicui, nuove sfide da affrontare ed una modalità multiplayer che può regalare tante soddisfazioni. Tutti questi elementi riescono nell’arduo compito di trasporre Monster Hunter in un jrpg dalle qualità altissime, che rispetta in tutto e per tutto la saga principale, creando al tempo stesso quello che reputo uno dei migliori spin-off degli ultimi anni. Certo, su Nintendo Switch le performance non sono proprio esaltanti, ma una sbavatura simile non può in nessun modo oscurare le enormi qualità di cui Monster Hunter Stories 2 riesce a fregiarsi.
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