Pokémon GCC Pocket, l’ultima app lanciata da The Pokémon Company, porta l’esperienza del Gioco di Carte Collezionabili Pokémon direttamente su smartphone. Ora disponibile per il download gratuito su dispositivi iOS e Android, Pokémon GCC Pocket reimmagina la dinamica del famoso gioco di carte in una versione ottimizzata per il digitale, con una serie di funzionalità innovative pensate appositamente per il mobile.
La nuova app offre ai giocatori la possibilità di collezionare carte con la prima espansione disponibile, Geni Supremi, che include alcuni dei Pokémon più iconici della regione di Kanto. Grazie a funzionalità inedite come l’apertura di buste digitali e la “pesca misteriosa”, ogni giorno gli utenti possono ottenere nuove carte e ampliare la propria collezione senza costi aggiuntivi. La “pesca misteriosa” permette inoltre di trovare carte rare e in lingue diverse, aggiungendo varietà e internazionalità alla collezione di ogni giocatore.
Tra le caratteristiche principali di questa nuova app, spicca la possibilità di aprire buste di espansione digitali. Ogni giorno i giocatori possono aprire fino a due buste gratuite, scoprendo nuove carte da aggiungere alla loro collezione. Con la funzione “pesca misteriosa”, è possibile ottenere una carta casuale dalle buste aperte dai giocatori di tutto il mondo, dando così l’opportunità di arricchire la propria collezione con carte in lingue diverse.
Per quanto riguarda la collezione delle carte, Pokémon GCC Pocket consente ai giocatori di raccogliere non solo carte dalle illustrazioni nostalgiche, ma anche nuove immagini esclusive per la versione digitale. Alcune carte includono speciali effetti visivi, come il parallasse, che aggiunge profondità alle immagini, o le cosiddette “carte immersive”, che danno l’impressione di entrare nel mondo dell’illustrazione. Inoltre, i giocatori possono personalizzare la propria collezione digitale con bacheche, raccoglitori e accessori unici.
Le lotte su Pokémon GCC Pocket sono state ottimizzate per offrire partite rapide e immediate. Grazie alle regole semplificate per mobile, i giocatori possono godersi battaglie veloci sia da soli che contro altri. Per rendere il gioco accessibile a tutti, l’app include modalità come la lotta automatica, mazzi a noleggio e costruzione automatica del mazzo, ideali per chi è alle prime armi o preferisce sfide rilassate.
Con Pokémon GCC Pocket, il Gioco di Carte Collezionabili Pokémon si adatta al mondo digitale mantenendo l’esperienza e l’emozione del gioco originale. Disponibile gratuitamente su App Store e Google Play, l’app è un must per i fan di Pokémon di tutte le età, offrendo un’esperienza immersiva e accessibile ovunque e in qualsiasi momento.
Gli spokon – manga ambientati nei contesti sportivi – sono molto popolari in Giappone. In Italia, i manga – o per meglio dire gli anime – sportivi solo di rado sono riusciti a rubare la scena, ma quando lo hanno fatto il successo è stato clamoroso. Tra gli anni 80 e 90, L’Uomo Tigre, Holly e Benji e Mila e Shiro sono stati i cartoni animati nipponici ambientati nel mondo dello sport che di diritto sono entrati nella nostra cultura pop. Nella decade dei 2000 invece il padrone incontrastato è stato Slam Dunk, spokon sul basket del maestro Takehiko Inoue.
La maggior parte di voi conosce l’anime, trasmesso per la prima volta in Italia su MTV; ovviamente sapete dell’esistenza del manga, che probabilmente avete anche letto per conoscere la fine della trama; forse avete visto i quattro OAV (film), ma sono quasi certo che in pochi sanno che sono usciti anche diversi videogiochi ispirati alle avventure di Hanamichi Sakuragi e di tutto lo Shohoku.
Non disperate se non avete mai giocato a nessun videogioco su Slam Dunk: tutti i videogame dello spokon di Takehiko Inoue sono usciti solo per il mercato giapponese e la maggior parte di questi durante gli anni 90; di conseguenza, l’unico modo per videogiocare questi titoli risiedeva nelle conoscenze dirette con persone che vivevano nel Sol Levante oppure intrufolorsi nel sottobosco degli emulatori, che hanno il pregio di aver reso accessibili opere altrimenti introvabili in Europa.
Ecco a voi quindi la lista, in ordine cronologico, di tutti i videogiochi di Slam Dunk.
From TV animation – Slam Dunk: Yonkyo Taiketsu
Sviluppato da TOSE e pubblicato da Bandai,il 26 marzo 1994 approda su Super Nintendo il primo videogame dedicato a Slam Dunk. Il titolo è un vero e proprio gioco di basket con due modalità principali: Story, che ripercorre la prima parte del manga di Inoue sotto le vesti dello Shohoku; Exhibition in cui il videogiocatore può scegliere tra le quattro squadre più iconiche dell’opera: Shohoku, Kainan, Shoyo e Ryonan.
Yonkyo Taiketsu è unvideogioco semplicistico: si corre da una parte all’altra del campo passando, tirando e schiacciando quando si attacca e si blocca o si va a rimbalzo quando si difende. Un gioco invecchiato male, ma che presenta delle scene di intermezzo prese direttamente dall’anime che piaceranno agli appassionati di Slam Dunk.
L’opera è nota anche con il nome di From TV animation – Slam Dunk: Dream Team Shueisha Limited.
From TV Animation Slam Dunk – Shikyou Gekitotsu!!
Su questo titolo c’è un enorme confusione ulteriormente accentuata dal web. Molto spesso il titolo di questo gioco è usato come nome alternativo di Yonkyo Taiketsu!! per Super Nintendo, che ha anche un terzo nome: From TV Animation Slam Dunk – Dream Team.
In realtà, Shikyou Gekitotsu è anche il nome ufficiale del primo videogame di Slam Dunk per Sega Saturn, praticamente uguale alla versione SNES con l’unica importante differenza sulla vesta grafica, meno caricaturale e più “adulta” rispetto alla versione Nintendo.
Gakeppuchi no kessho League (1994)
L’11 agosto 1994 arriva su Game Boy quello che dovrebbe essere il porting di Yonkyo Taiketsu. In realtà, Gakeppuchi no kessho League è stato così tanto semplificato rispetto al gioco per SNES da risultare un’opera abbastanza diversa e a mio parere anche migliore dell’originale.
Slam Dunk per Game Boy è un videogioco della sua epoca. In quegli anni molti titoli nipponici presentavano una struttura JRPG-like: in Gakeppuchi no kessho League il videogiocatore si muove in una mappa del campo con visuale dall’alto e affronta gli avversari che si avvicinano in scontri uno contro uno. La sfida consiste nello scegliere da un menu testuale l’azione da intraprendere.
Slam Dunk 2: IH yosen kanzenban!! (1995)
Il 24 febbraio 1995, i gamer giapponesi ricevono su SNES il sequel di Slam Dunk, sviluppato ancora da TOSE e prodotto da Bandai. Quest’opera è un more of the same di Yonkyo Taiketsu con novità prese direttamente dalla versione Game Boy.
Slam Dunk 2 ha un comparto grafico cartoon che sfrutta le iconiche caricature dello spokon di Inoue. Il gameplay è praticamente uguale alla versione precendente, ma adesso è possibile intercettare i passaggi e sono state aggiunte le sfide uno contro, che a differenza della versione Game Boy si affrontano spostando la croce direzionale o premendo il pulsante di tiro o passaggio.
Zenkoku e no TIP OFF (1995)
Il 17 marzo 1995, Slam Dunk 2 arriva anche su Game Boy. Rispetto al precedente capitolo per la console portatile, Zenkoku e no TIP OFF non presenta alcun menu testuale da cui scegliere. L’adattamento per Game Boy riutilizza la mappa con visuale dall’alto del precedente capitolo, ma tutte le scelte di gioco sono delegate al giocatore con scelte live e time event.
Slam Dunk SD Heat Up!! (1995)
Il 27 ottobre 1995 il nuovo capitolo arriva solo su Super Nintendo. Heat Up è di fatto Yonkyo Taiketsu con una nuova veste grafica più pulita e aggiornata.
From TV Animation Slam Dunk: Super Slams (1995)
Ovviamente gli amici del Sol Levante non potevano farsi mancare una versione arcade di Slam Dunk. Il 27 ottobre 1995, oltre al già citato Heat Up per SNES, arriva nelle sale giochi anche From TV Animation Slam Dunk: Super Slams.
Il titolo di Banpresto è un orribile porting – in tutti i suoi aspetti – della modalità Exhibition del primo gioco di Slam Dunk per Sega Genesis: Slam Dunk – Shikyou Gekitotsu!!. La grafica è pessima anche per il suo tempo, mentre il gameplay non ha alcuna sfaccettatura che lo possa redenre memorabile.
SLAM DUNK from TV Animation (2020)
Il 25 novembre 2020, dopo 25 anni di attesa per un titolo decente, Slam Dunk riceve finalmente una versione mobile al passo con i tempi. SLAM DUNK from TV Animation è un gioco di basket arcade online con meccaniche da gioco di ruolo sviluppato dalla società cinese DeNA, che ha di recente iniziato una join venture con Nintendo.
Gli utenti si confrontano online con team formati da tre personaggi che provengono dal roster del manga. Rispetto a tutti i videogiochi di Slam Dunk visti fino ad ora, il titolo mobile contraddistingue i personaggi grazie ad abilità uniche, potenziabili grazie a un albero dei talenti e un sistema di leveling tipico dei gatcha per smartphone.
Ufficialmente SLAM DUNK from TV Animation non è disponibile per il pubblico europeo (nello specifico non è scaricabile dallo store Google), ma dal sito ufficiale è possibile scaricare il file APK installabile su qualsiasi smartphone.
Extra
Oltre ai titoli già citati, ci sono altre due videogiochi che non è facile collocare in un momento ben preciso perché privi di qualsiasi informazione ufficiale: From TV Animation: Slam Dunk: Shouri heno Starting 5 e Slam Dunk: I love basketball. Come potete notare voi stessi guardando i gameplay disponibili online, questi giochi sono chiaramente dei rifacimenti dei titoli che vi ho già presentato con qualche piccola modifica o semplicemente trasportati su un’altra console.
In particolare Shouri heno Starting 5, sviluppato da SIMS, dovrebbe essere uscito per Game Gear il 16 dicembre 1994. Slam Dunk: I love basketball, sviluppato d SEC, ha come data di rilascio l’11 agosto 1995 su Sega Saturn.
I personaggi di Slam Dunk compaiono anche in altri due videogiochi per Nintendo DS usciti rispettivamente nel 2005 e nel 2006: Jump Super Stars e Jump Ultimate Stars: due picchiaduro con un roster formato da 160 personaggi dell casa editrice Jump. Non hanno mai varcato i confini asiatici a causa di problemi di copyright: in Giappone, i diritti dei i famosissimi personaggi del roster – oltre all’intero team dello Shohoku troviamo anche personaggi di Dragon Ball, One Piece e Naruto solo per citarne alcuni – appartengono a Jump, ma nel resto del mondo tutto diventa più frammentato e complicato.
Conclusione
Purtroppo, così come è avvenuto in passato per diversi giochi ispirati a manga e anime, anche Slam Dunk è stato vittima del ritardo di pubblicazione tra Giappone e Occidente tipico degli anni 90. Nella prima metà degli anni 90, nel Bel Paese, in pochi conoscevano lo spokon di Inoue, che è divenuto famoso solo dal 2000 in poi grazie all’anime su MTV. Nel nuovo millennio però SNES e Game Boy non erano più in produzione. Fortunatamente non ci siamo persi nulla: i videogiochi di Slam Dunk degli anni 90 erano veramente mediocri, anche se li ho personalmente giocati tutti e li ho amati nella loro bruttezza.
D’altro canto, non riesco invece a capire i motivi per cui il recente SLAM DUNK from TV Animation non sia mai arrivato in Europa dato che oggi l’opera di Takehiko Inoue è molto popolare anche in Occidente come si denota dall’uscita anche nelle sale italiane del film The First Slam Dunk.
Ah gli italiani! Popolo di navigatori, amanti ma soprattutto allenatori di calcio! Ammettetelo: quante volte vedendo la vostra squadra del cuore giocare, avete perlomeno pensato: «Io avrei spostato questo giocatore qui, io avrei inserito questo o quel giocatore, più pressing, meno pressing, forza di contropiede!». Ebbene, fortunatamente non tutti siamo allenatori, altrimenti sarebbe un problema, ma a soddisfare la nostra voglia di calcio ci pensa il nostro amato mondo digitale.
Oltre ai complessi gestionali per PC, abbiamo a disposizione anche ottimi manageriali di calcio su piattaforma mobile, che ci permettono di portare la nostra passione con noi grazie al nostro smartphone e scatenarla ovunque ci troviamo.
In questo articolo, passeremo in rassegna quello che di buono ci offrono gli store soffermandoci in particolare sui migliori tre videogiochi manageriali di calcio per mobile.
Calcio in mobilità
Doverosa premessa: non ci possiamo esimere dal consigliarvi anche – e soprattuto – titoli free to playcon acquisti in app, poiché il contesto mobile è fortemente incentrato sulle microtransazioni. Del resto, i videogiocatori di titoli calcistici non dovrebbero scandalizzarsi dato che i giochi più importanti del genere, FIFA ed eFootball, vivono di pay-to-win.
Oltre ai tre titoli che trovate qui sotto, degni di menzione sono: Pro11, PES Club Manager, Soccer Manager, Football Management Ultra e New Star Manager.
Online Soccer Manager
OSM è un gioco che si distingue per avere le licenze ufficiali di giocatori e squdre. La grafica è stile fumettoso, anche se nel giorno della partita la visualizzazione è solo testuale, con schede che riportano statistiche e icone per sostituire giocatori e cambiare formazione e/o tattica.
Nel reparto tattico si può scegliere lo stile di gioco, le tattiche reparto per reparto, il tipo di marcatura, pressing, tipo di contrasti e ritmo partita. Insomma, un pacchetto abbastanza standard.
Gli allenamenti sono “gestiti” dai preparatori, uno per ogni profilo: portieri, difensori, centrocampisti e attaccanti. Un tipo di allenamento questo, per quanto mi riguarda abbastanza limitante. Abbiamo il mercato, una lista di trasferimento di giocatori più o meno costosi, in base al nostro budget. Non ci sono margini di contrattazione: se si dispone della cifra il giocatore metterà a servizio della propria squadra le sue abilità.
Esiste anche una valuta di gioco, che può essere acquistata con soldi reali e che garantisce vantaggi come, ad esempio, incrementare il proprio fondo ingaggi. Abbiamo inoltre la sezione scout, dove possiamo inserire le caratteristiche dei giocatori da ricercare, che verranno trovati poi in giro per il mondo e proposti al videogiocatore. Ovviamente a completare il tutto resta la gestione dello stadio e degli sponsor.
Un titolo carico le cui tattiche purtroppo non rispecchiano esattamente il gioco della squadra, anche perché la partita è solo testuale.
Nonostante adotti lo stesso sistema free to play con acquisti in app, Top Eleven è davvero un bel gioco, assiduamente aggiornato dagli sviluppatori, massicciamente frequentato dagli utenti e con un sacco di eventi a cui partecipare. La partita, o meglio, le azioni salienti della partita sono in 3D e sono una gioia per gli occhi.
Resta il dubbio di quanto la tattica venga rispettata in partita poiché il timore è sempre quello che si agevolino gli utenti “paganti”. Per il resto Top Eleven può regalare diverse ore di divertimento, il comparto tattico è abbastanza standard con poca profondità e scelte sono molto generiche, alla stregua di Online Soccer Manager.
Dove Top Eleven eccelle è nell’allenamento squadra: si può scegliere di allenare i calciatori singolarmente, per reparto o l’intero team. La varietà di esercizi è notevole; l’allenatore inoltre deve assicurarsi di predisporre gli allenamenti quando la squadra è riposata, altrimenti i giocatori non aumenteranno di livello.
A questo proposito va detto che si hanno a disposizione dei pacchetti che possono essere acquistato attraverso le microtransazioni o regali dagli sponsor: pacchetti riposo, pacchetti morale e pacchetti curativi che possono essere utilizzati per migliorare la squadra.
Il mercato è gestito dai token, ovvero monete virtuali regalate (poche) dal sistema o acquistabili (la quantità dipende dal vostro portafogli) tramite soldi reali che vi agevolano nell’asta. Sì perché per acquistare un giocatore o si partecipa ad un’asta dove gli utenti offrono token fino ad aggiudicarselo oppure, spendendo una somma di token fissata all’inizio, si possono prendere giocatori più forti. Inutile dire che, avendo a disposizione soldi reali, la migliore soluzione è la seconda.
A completare le attività che si possono effettuare in Top Eleven troviamo il vivaio, che ad inizio stagione riceve dei giovani talenti da fare crescere tramite allenamenti per poi ritrovarceli come giocatori della rosa nella stagione successiva. Presente ancha la gestione degli impianti sportivi, quindi stadio, strutture giovanili, campi di allenamento e non solo.
Infine, vale la pena parlare delle Associazioni: aggregazioni di utenti fino ad un massimo di sei, che si scontrano con altre associazioni per scalare una classifica generale divisa in varie serie a partire dalla “serie Bronzo” per finire con quella “Definitiva” che accorda ai vincitori premi importanti a livello di token e pacchetti di varia natura.
Come intuibile FM23 Mobile deriva direttamente dal suo fratello maggiore, Football Manager 2023, disponibile per PC e console, probabilmente il più completo manageriale in circolazione. I ragazzi di Sports Interactive hanno sempre fatto un ottimo lavoro, limando ed aggiornando, di anno in anno, il simulatore fino alla versione attuale.
FM23 Mobile è l’unico titolo a pagamento di questa lista (il costo è 9,99 euro), ma è anche il giusto compromesso tra le ottime caratteristiche di FM23 e la velocità di esecuzione tipica dei giochi mobile. In Footbal Manager 23 Mobile trovate le licenze ufficiali di numerosi campionati, anche se all’inizio di ogni stagione potete sceglierne un massimo di 5 per carriera. Questo influisce sia sui mercati in cui poter inviare gli osservatori che le nazioni allenabili.
La carriera ha un tempo limite di 30 anni, trenta stagioni quindi. Le partite sono esclusivamente contro l’IA, non esistono scontri online e, ovviamente potete giocare ogni qualvolta lo vogliate, senza alcun vincolo di orari come nei manageriali calcistici mobile precedentemente mostrati.
FM23 Mobile lascia più spazio all’allenatore che è in voi: niente accordi pubblicitari, niente ampliamento delle strutture della squadra. Voi siete l’allenatore ed in quanto tale a voi è affidata la gestione tattica, l’allenamento e la scelta degli uomini mercato.
Per il resto c’è una dirigenza che si occupa degli altri aspetti, con la quale potete, minimamente, interloquire. Quello che mi è sempre piaciuto di Football Manager, e FM23 Mobile non fa eccezione, è il rapporto che si crea con la propria squadra. Ci saranno momenti in cui bisogna prendere delle scelte che faranno felici o meno i propri uomini. Questa felicità o mancata sintonia influiscono sia sulla considerazione che loro hanno di voi, sia sulle prestazioni sul campo.
Il comparto tattico è abbastanza completo: vi permettee di plasmare una tattica tutta vostra e la cosa si rifliette in campo. L’allenamento, pur se non gradevole come quello di Top Eleven, consente di sviluppare le caratteristiche che ritenete necessarie per ogni singolo giocatore.
Anche la scelta dello staff è compito vostro, poiché avrete la facoltà di ingaggiare sia l’allenatore in seconda, sia i preparatori e addirittura l’analista che a fine di ogni partita vi dirà come è andata, cosa ha funzionato e cosa no.
Una caratteristica mancante rispetto al fratello maggiore è la gestione degli addetti stampa. Le conferenze stampa non sono state portate sulla versione mobile, ma avrebbero dato quel tocco in più a un gioco mobile pressoché perfetto.
Sono trascorsi due anni e mezzo dall’ultima volta che ho pronunciato questa frase per un gioco di carte collezionabili – e mi riferivo a Legends of Runeterra – ma l’attesa è stata ripagata. Mai avrei pensato che un videogioco di carte collezionabili mobile – è presente anche per PC ma la sua dimensione è lo smartphone – basato sul mondo dei supereroi potesse essere veramente gratis. Marvel Snap è tutto questo ed è anche divertente! In questo articolo vi spiego come funziona Marvel Snap, la sua economia di gioco veramente free-to-play e perché vale la pena dargli una possibilità.
Veterani dei videogiochi di carte
Il nuovo titolo mobile dedicato ai supereroi Marvel è stato sviluppato da Second Dinner, neonata software house creata da Ben Brode e da diversi ex-sviluppatori di Activision Blizzard.
Ben Brode, designer dietro a Marvel Snap ora e Hearthstone fino a qualche anno fa, può vantare di essere uno dei pochissimi sviluppatori di videogiochi di carte collezionabili, dove la parola chiave è: “videogiochi”; infatti, la maggior parte dei GCC presenti sul mercato videoludico sono riproposizioni digitali di quanto già esiste in forma cartacea: Magic Arena e Pokémon GCC su tutti. I videogiochi di carte collezionabili, invece sono opere non riproducibili su carta, a causa delle loro meccaniche casuali, più o meno amate. Le due opere maggiormente innovative del genere sono due, entrambe nate dalla mente di Ben Brode: Hearthstone e Marvel Snap.
Come si gioca a Marvel Snap
Ogni videogiocatore di Marvel Snap gioca con un mazzo da 12 carte, raffiguranti eroi e anti-eroi del mondo Marvel, in monocopia. Ogni partita è composta da 6 turni in cui ogni giocatore pesca e gioca le carte che ha in mano.
Tutte le carte hanno un costo e un valore d’attacco. I videogiocatori partono da 1 energia al turno uno e arrivano fino a 6 energie, a meno di regole all’interno del campo di battaglia che possono stravolgere questa regola.
Gli eroi di Marvel Snap sono giocati in uno dei 3 scenari di combattimento (sinistra – centrale – destra). Vince chi ottiene il maggior valore d’attacco su 2 dei 3 scenari di gioco. In caso di parità, vince il giocatore che ha la somma totale di valore d’attacco maggiore.
Scenari
Gli scenari sono attualmente più di 50 e ci mostrano il motivo per cui Marvel Snap può esistere solo in digitale. Esattamente come alcune abilità delle carte di Hearthstone basate sulla casualità, gli scenari di Marvel Snap contengono delle regole così casuali che possono essere applicate solamente da un calcolatore.
Ad esempio: “Sostituisci tutte le carte di ogni mazzo con 10 carte casuali”; oppure: “La mano di ogni giocatore è riempita da carte casuali”. Queste regole rendono il gioco sicuramente meno prono al competitivo, ma del resto Hearthstone ha una scena competitiva e vale anche parecchi dollari.
Parole Chiave
Quasi tutti gli eroi e antagonisti di Marvel Snap hanno dei poteri – o come si dice in gergo tecnico: parole chiave. In questa prima fase del gioco, le parole chiave presenti sono 6:
Alla scoperta: l’effetto è applicato nel momento in cui la carta è girata sullo scenario. Solitamente corrisponde al momento in cui è giocata, ma alcuni scenari possono ritardare la rotazione della carta che è sempre posta coperta sul campo da gioco.
Effetto continuo: l’effetto è continuamente aggiornato; di conseguenza, giocare una nuova carta può cambiare gli effetti del potere.
Scarta: le carte sono scartate dalla mano.
Muovi: le carte sono spostate tra gli scenari.
Distruggi: le carte sono rimosse dal gioco.
Nessuna abilità: alcune carte non hanno poteri speciali.
Il meta ha già i suoi archetipi, che sono praticamente tutti basati sulle parole chiave di Marvel Snap.
All-in: la meccanica Snap
Il videogioco prende il nome da una meccanica decisamente rischiosa presente nel gioco. Durante la partita, vi è un enorme cubo sopra l’area di gioco. I giocatori possono cliccare sul cubo una volta ciascuno per ogni partita: farlo aumenta i punti classifica che si possono vincere, o perdere, durante la partita in corso.
Terminare una partita, senza cliccare sullo Snap, implica giocarsi al massimo un paio di punti classifica, che possono diventare quattro se un giocatore clicca sullo Snap o addirittura otto. I punti classifica ci permettono di passare da un rango all’altro (in totale 12) in base al nostro livello: il livello più basso è il numero 1, mentre il più alto è il 100.
Infine, nel caso in cui pensiamo di non avere possibilità di vittoria, possiamo sempre fuggire dallo scontro e perdere solamente il valore di Snap attuale.
Perché Marvel Snap non è pay-to-win
L’economia di gioco di Marvel Snap prevede la presenza di contenuti a pagamento, che possono velocizzare l’ottenimento di carte, ma che non rendono il gioco un pay-to-win; nel mio caso, non ho ancora speso un euro su Marvel Snap e ho una percentuale di vittoria ben oltre il 70% – che per un gioco di carte non è nemmeno poco.
Pool
Quanto descritto sopra è possibile grazie al sistema dei Pool.
Ogni giocatore ha un proprio livello di esperienza, che può aumentare attraverso l’upgrade delle carte. L’aggiornamento degli eroi Marvel non porta alcun beneficio alla forza delle carta, bensì garantisce alle carte delle aggiunte estetiche visibili in-game. Aggiornare una carta ci permette però di aumentare il livello del nostro account e di ottenere premi: crediti per l’upgrade delle carte; potenziamenti delle carte, che sono un’altra valuta utile per l’upgrade delle carte; una carta casuale dal nostro pool di riferimento, che dipende dal livello del giocatore. In particolare:
Pool 1: dal livello 18 al livello 214.
Pool 2: dal livello 222 al livello 474.
Pool 3: dal livello 486 e oltre.
Per esempio, nel primo pool sono presenti 46 carte, mentre nel secondo possiamo aggiungere alla nostra libreria altre 25 carte per un totale di 71. Anche se la fortuna permetterà ad alcuni giocatori di avere carte veramente forti un po’ prima degli altri giocatori, in generale ogni player affronterà avversari che hanno – più o meno – lo stesso numero di carte nella propria libreria. Di conseguenza, Marvel Snap è un vero free-to-play – e soprattutto non un pay-to-win – perché anche se l’acquisto in-game può velocizzare il percorso di livellamento del proprio account, il videogiocatore si troverà ad affrontare sempre avversari che hanno una libreria formata da circa lo stesso numero di carte.
Battle Pass Stagionali
Ogni stagione, di circa un mese, avrà il proprio Battle Pass. Questo contenuto permette di sbloccare alcuni livelli del Pass che altrimenti sarebbero bloccati. In questi slot, bloccati agli gli utenti free, ci sono crediti, oro, ma soprattutto Varianti delle carte. Le varianti sono delle carte con un artwork diverso da quello base. Questo significa che se non abbiamo ancora trovato quella carta nel nostro Pool, possiamo prendere la sua Variante e usarla. Come già detto, questo velocizza il processo, ma non ci fornisce quel vantaggio tipico dei giochi pay-to-win.
Conclusione
Marvel Snap – free-to-play che potete scaricare dal sito ufficiale seguendo i link dei vari store – è un gioco di carte veloce (una partita dura circa 3 minuti), divertente, facile da imparare ma impegnativo da masterare. Da giocatore di Hearthstone, il mio maggior timore era quello di trovarmi davanti un bel titolo difficile da mantenere nel tempo, poiché i suoi costi possono essere seriamente proibitivi.
Marvel Snap invece ha dimostrato di essere un vero free-to-play grazie a un’economia di gioco onesta in cui è premiata la costanza e il talento prima del denaro. Una caratteristica che mi ha molto sorpreso, dato che la dimensione perfetta di Marvel Snap è lo smartphone e il franchise si offre a un gioco pay-to-win. Second Dinner invece ha combattuto questo mio pregiudizio con un’opera che vi consiglio caldamente di seguire e che mi auguro possa continuare su questa strada per sempre.
“Salve, sono Guybrush Threepwood, temibile pirata”: quanti di noi sono cresciuti con questo tormentone nella testa, agli inizi degli anni ’90, quando le avventure grafiche spopolavano tra i videogiocatori di Amiga? Era il 1990 e la Lucasfilm, poi Lucasarts, nota casa di produzione cinematografica già autrice di pietre miliari nel genere videoludico come Zak McKraken, Indiana Jones e Loom, tirò fuori dal cilindro The Secret of Monkey Island, avventura grafica che innumerevoli notti insonni regalò ai giovani dell’epoca, almeno nel mio caso). Il recentissimo Return to Monkey Island riprendere esattamente da dove eravamo rimasti, con l’obiettivo di chiudere la trama.
La storia
Protagonista della serie è Guybrush Threepwood, temibile pirata o quasi, che in realtà di temibile il personaggio ha ben poco: lo si può definire tranquillamente un farfallone, ironico e rubacuori, un molto ma molto fortunato piratucolo trovatosi nel momento giusto e al posto giusto. Ed è su questa linea che Ron Gilbert, geniale creatore della serie, fa proseguire il suo “vero” terzo capitolo dopo ben 31 anni dall’ultimo episodio. Return to Monkey Island (sviluppato TerribleToyBox con la collaborazione della Lucasfilm). È un ritorno al passato, un cerchio che si chiude, la ciliegina sulla torta, un “padre di famiglia” che finalmente ha deciso di raccontare la fine della storia, a noi che avendo giocato ai primi due capitoli a suo tempo un po’ tutti figli di Gilbert lo siamo.
Return of Monkey Island è un toccasana in questi tempi, in cui le avventure grafiche non vanno più di moda e dove le nuove generazioni rincorrono sparatutto con grafica fotorealistica. Si tratta di un ritorno alla sana ironia e al filone dei videogiochi dove è ancora necessario usare il cervello per arrivare alla fine.
A dire la verità, per quanto Return to Monkey Island sia un gioco con una trama che può essere completata in circa una decina di ore in modalità difficile (RTMI ha anche una modalità “leggera” con meno enigmi che impedisce ogni tipo di frustrazione), il mio consiglio è di prendersela comoda, di conoscere tutti i personaggi, di sperimentare ogni dialogo perché signori, il tutto vale davvero il prezzo del biglietto!
Ok bello, ma tecnicamente?
Tecnicamente Gilbert non si è molto discostato dal concetto del vecchio SCUMM, innovandolo però con una nuova interfaccia che prevede che il cursore identifichi gli oggetti con i quali si può interagire “suggerendo” l’azione da intraprendere in base agli oggetti stessi. La grafica, per quanto in fase di anteprima sia stata criticata da buona parte della comunità videoludica di appassionati e non, risulta a mio avviso ben riuscita, centrando perfettamente la caratterizzazione dei vari personaggi, dai protagonisti alle comparse. Gli enigmi sono ben calibrati riuscendo, nel contempo, a rappresentare una sfida adeguata senza appesantire la storia di sfide troppo cervellotiche che porterebbero alla frustrazione del giocatore.
Gilbert tra l’altro lo aveva anticipato nelle sue varie interviste prima dell’uscita del titolo, il 19 settembre: ha dovuto, in fase di realizzazione, privilegiare enigmi quanto più possibili lineari per andare incontro alla generazione attuale di videogiocatori, non disposta a sacrificare più tempo del dovuto come magari nei primi anni ’90. In quest’ottica, altro supporto ai videogiocatori è dato dal libro degli aiuti, disponibile sin dai primi istanti nell’inventario di Guybrush e utilizzabile a piacimento. “Se il giocatore si barcamena cercando aiuti su internet, tanto vale che glieli diamo direttamente noi del team di sviluppo, che il gioco l’abbiamo creato” ha affermato Ron Gilbert.
La trama di Return to Monkey Island
La storia di Return to Monkey Island inizia esattamente dallo stesso punto in cui è finito il secondo capitolo, prendendo la piega che probabilmente aveva in mente Gilbert sin dal principio. Certo, ha dovuto fare i conti col passato e con il fatto che prima di RTMI sono usciti altri tre capitoli, ma grazie a dei flashback narrativi e al libro dei ricordi, il giocatore viene riportato immediatamente sui giusti binari della storia.
Sono passati anni da quando Guybrush ha cercato di mettere le mani sul Segreto di Monkey Island, di fatto non riuscendoci a causa del malvagio pirata fantasma Le Chuck che si è rivelato avere il suo stesso obiettivo. Ora si ritrova di nuovo sull’isola di Melee: tante cose sono cambiate ma non la voglia del nostro eroe di scoprire il Segreto. Venendo a sapere che Le Chuck sta mettendo su una ciurma per salpare verso l’Isola della Scimmia, trova il modo di salpare anche lui.
Tutto qui?
Le cose si complicano quando entra in gioco anche un trio di pirati improbabile, salito alla ribalta come nuovo comando pirata dell’isola di Melee e che, attraverso la magia oscura, cerca anch’esso il Segreto alleandosi a fasi alterne, con una spruzzata di un pò di sano doppiogiochismo piratesco, con Le Chuck. Ci saranno nuove isole da esplorare e nuovi personaggi da incontrare, ma anche alcune conoscenze di vecchia data: i riferimenti al passato sono numerosi lungo tutto il gioco, e avremo nuovamente a che fare con Carla, Stan, Otis, Herman.
Se una nota si può appuntare a Ron Gilbert è che, a volte, è davvero estenuante dover andare da un punto all’altro della mappa perché magari ci si rende conto di non aver preso un oggetto…ma d’altronde, è questo lo spirito di un’avventura grafica (peraltro i tempi di percorrenza vengono efficacemente ridotti), fino allo scontro finale, il faccia a faccia tra Guybrush e Le Chuck da tutti atteso, scontro in cui colui che ne uscirà vittorioso avrà finalmente in mano il desiderato Segreto di Monkey Island!
Conclusioni
RTMI è un gioco da provare, adatto sia a chi non ha mai avuto a che fare con un’avventura grafica e non conosce la saga, sia ai fan di vecchia data di Guybrush per i quali diventa un “must have”, imprescindibile prosecuzione (e fine?) del percorso fatto finora tra isole, spade, vascelli e zombie fantasma.
Return to Monkey Island è un gioco di altri tempi di cui si sentiva proprio il bisogno, un prodotto quasi anacronistico ma tremendamente attuale per chi lo aspettava da ben 31 anni. Sembra ieri aver lasciato Guybrush e affini in quel criptico finale di Monkey Island 2, e oggi eccoci qui, con in mano un bellissimo seguito in cui i dialoghi, la satira, l’ironia ci accompagnano nell’opera, forse, di commiato di Ron Gilbert. Saluteremo probabilmente Ron, ma in futuro credo proprio che la saga proseguirà. Monkey Island continuerà a vivere e quel piratucolo senza nessuna speranza con un nome più assurdo della sua ambizione avrà ancora altre avventure da affrontare.
Un tempo fu “cathode-ray tube amusement device”: questo è il nome del primo gioco elettronico brevettato. Creato da Goldsmith e Mann e distribuito nel lontanissimo 1947, rappresenta il primo e ancestrale tentativo di utilizzare un sistema computerizzato (o calcolatore, per usare un termine opportunamente desueto) a scopo puramente ludico.
Il concetto alla base del gioco è molto semplice: un proiettile sparato dal bordo dello schermo deve colpire un bersaglio situato al lato opposto, sta al giocatore modificarne la traiettoria affinché arrivi a segno.
Da quel tempo post secondo conflitto mondiale (il tema bellico del “cathode-ray tube amusement device” non è certo un caso) il mondo video ludico si è espanso a dismisura, esplodendo dai primi anni 80 dello scorso secolo, fino raggiungere i confini del fotorealismo. Oggi contiamo milioni di videogame e decine di generi e sottogeneri che, negli anni, hanno preso il sopravvento a turno, tornando in auge per poi cadere nel dimenticatoio e riprendere quota.
In questa sede, piuttosto che analizzare i vari generi, affronteremo la questione di natura tecnica legata alla programmazione del videogame.
Stile rétro
Innanzitutto, c’è da fare una distinzione preliminare:
i giochi sviluppati in un certo modo a causa di limitazioni tecniche legate all’epoca della loro realizzazione;
i titoli più recenti sviluppati proprio in quel modo per le scelte stilistiche dei programmatori e degli artisti grafici;
Al primo gruppo appartengono i giochi del passato realizzati con quella che a posteriori è stata definita “Pixel Art”, a causa della scarsa risoluzione dei monitor. Al secondo gruppo appartengono i videogame sviluppati in ambienti evoluti e che appartengono ad un determinato stile per una precisa scelta degli sviluppatori e non a causa di limitazioni tecniche di sorta.
Pixel Art
Ancora una volta restringiamo il campo ed andiamo ad occuparci del primo gruppo e dell’impatto straordinario (e involontario) che la Pixel Art ha avuto su tutto il mondo videoludico presente, passato e, forse, futuro.
Già, perché i videogame realizzati con i pixel ben in vista e in barba al fotorealismo e alla virtual reality, hanno fatto breccia nel cuore di appassionati di ogni età che, molto spesso, continuano a preferirli rispetto al melting pot di generi e tecnologie futuristiche tanto care ai best seller attuali.
Sia chiaro, le nuove generazioni di videogiocatori, quelle con il pad della playstation in mano (wireless e retroilluminato) digeriscono malvolentieri tale discorso, anzi, si aprono facilmente a smorfie se il viso del loro calciatore preferito non è stato riprodotto alla perfezione nell’ultima edizione di Fifa o del fu Pes. Ed è giusto che sia così: i titoli più venduti, più lavorati e più premiati hanno alla base motori grafici di sviluppo così avanzati che non avrebbe senso non sfruttare appieno.
Eppure, qualcosa sta cambiando…
Ready Player One
Personalmente faccio partire questo nuovo filone filosofico/nerd/nostalgico dall’uscita, nel 2018, del film di Steven Spielberg “Ready Player One”, adattamento cinematografico del romanzo di Ernest Cline “Player One”. La pellicola ci trasporta in un tragico 2045, in cui la terra è allo stremo a causa di sovrappopolazione e inquinamento. Le città sono state inglobate l’una nell’altra trasformandosi in enormi baraccopoli.
L’unico modo che gli esseri umani hanno di evadere da una realtà grama è rappresentato da OASIS, un mondo virtuale straordinariamente complesso nel quale si può letteralmente vivere una seconda vita. OASIS non ha limiti proprio grazie alla tecnologia futuristica con cui è stato sviluppato e programmato. Tralasciando i risvolti di trama, andrò subito al punto che mi ha fatto, poi, mettere alla ricerca di altri indizi sparsi qui e lì negli anni: per salvare quel mondo virtuale straordinario, c’è bisogno di essere un vero appassionato di videogame vintage. Un nerd, se mi lasciate passare il termine.
L’unico modo per salvare OASIS dalla distruzione è giocare ad “Adventure”, titolo rilasciato per Atari 2600 nel 1979, e che si impose come primo videogame di azione della storia, nonché il primo gioco in cui il proprio sviluppatore avesse inserito un easter egg (in termini video ludici, una sorpresa di vario genere che si può scoprire soltanto visitando un determinato luogo difficile da raggiungere e effettuando una serie precisa di azioni).
Il messaggio è molto chiaro: per superare la prova il “gioco non deve essere terminato ma soltanto giocato”. Insomma, piuttosto che godere delle meravigliose ed infinite potenzialità di OASIS, il segreto era divertirsi a giocare con un gioco che, visivamente, non è altro che un ammasso di pixel.
Un violentissimo ritorno al passato, un rimando alla cultura e alla tecnica che fu e che, dal mio punto di vista, cela un sottotesto ben più profondo del semplice gusto per i retro-game: ritornare al passato non significa essere nostalgici ma significa poter essere molto più felici senza essere puntualmente alla ricerca spasmodica del nuovo e del diverso.
Potrei fare una digressione entrando nel merito del concetto filosofico di “Decrescita Felice” teorizzato dal pensatore francese Serge Latouche, ma non è questa la sede.
Videogiochi in Pixel Art
Da allora, comunque, da quel 2018, ho potuto notare tantissimi e potenti tentativi di celebrare il tempo che fu senza entrare nel merito del filone della Pixel Art che ritengo essere un esercizio di stile apprezzabilissimo, capace di sfornare titoli splendidi e capaci di creare franchise miliardari (pensate per un attimo a Minecraft) ma che non incarna il concetto del bello perché volutamente datato che cerco io.
Alt 254
Scovai un indizio evidente, invece, nel 2020, all’uscita dell’acclamato “Alt 254”, gioco sviluppato dalla Rename Studio che narra le vicissitudini di un unico pixel nero, all’interno di un mondo, appunto pixeloso.
Avete capito bene: nel 2020, il protagonista di un gioco è un unico pixel che si muove in un mondo fatto di pixel. E senza voler strizzare l’occhio ai giochi del passato, ma proprio volendo entrare in quella famiglia per restarci come membro accreditato.
Da lì una serie di altri tentativi più o meno evidenti di ritorno al passato.
Saga di Ori
E qui mi piace citare addirittura il secondo Ori “The Will of the Wisps” un titolo che mi ha aperto un mondo di ricordi, più di “The Blind Forest”, perché ho visto un richiamo ancora più potente e voluto al mitico Metroid.
Ho rivisto tantissimo Samus Aran nei volteggi dello spiritello della foresta Ori e ho rivisto ancora di più le meccaniche di gioco di Ori fare “occhiolino occhiolino gomito gomito” a quelle del gioco del 1986 e, perché no, un richiamo qui e lì alle atmosfere del pianeta Zebes.
La celeberrima scrittrice di gialli Agatha Christie diceva sempre una cosa: “tre indizi fanno una prova”.
Clash Royale
Personalmente però, pur essendo in possesso proprio dei tre indizi che vi ho poc’anzi citato, ho voluto aspettare ancora un po’ e trovarne un quarto che potesse avvalorare ancora di più la mia teoria.
Il fortunato evento è accaduto esattamente un mese fa, quando, SuperCell, casa di produzione del franchise “Clash”, si apprestava a lanciare la nuova stagione di “Clash Royale”, famosissimo e pluripremiato Android e iOS game al quale giocano ogni giorni milioni di utenti in tutto il mondo.
Il video di presentazione fu rilasciato, come al solito, sul canale ufficiale YouTube del gioco e mostrava uno dei personaggi storici, un barbaro, venire risucchiato da una sorta di buco nero che scopriamo poi essere un tunnel temporale che lo trasporta nel passato dove, udite udite, tutto, compreso il barbaro, sono un ammasso di pixel. Il nome della stagione? “Ritorno al passato”. Tutta la stagione, nelle sue sfide a tempo e nei suoi minigiochi, è stata un rimando, molto ben fatto, a “Ritorno al Futuro”, al primo “Mad Max” e ai giochi anni ’80.
Conclusione
Il mondo dei videogame, dunque, continua a sperimentare e a vivere la sua naturale evoluzione tecnica e stilistica (lasciate però che un vecchietto come me possa avere un colpo a cuore nel vedere la grafica del tanto atteso “Return to Monkey Island”) ma è indubbio che ci sia una ricerca del passato, di quelle atmosfere e di quei “profumi” tipici del tempo che fu.
Non un nostalgico tentativo, però, di insegnare ai giovani quanto fossero belli gli anni 70,80 e 90 dello scorso secolo ma una vera e propria ripresa di quel mood che può, tranquillamente, coesistere con la tecnologia di ultima generazione.
E di questo, ammettiamolo, siamo tutti molto felici…
Sono sicuro che molti di voi si ricorderanno l’annuncio di Diablo: Immortal durante il Blizzcon 2018, con un Waytt Cheng visibilmente a disagio lì sul palco . Un annuncio a cui seguirono infinite polemiche, perché trasformare l’ hack n’ slash per eccellenza in un “giochetto” mobile è di sicuro una scelta non proprio facile. Una saga nata su PC, prosperata su PC che poi finisce sul Playstore/Appstore? Pura eresia, quantomeno per i fan della saga, folta schiera di cui il sottoscritto pensa di far parte.
Sono trascorsi 4 anni da quell’annuncio, e mentirei se dicessi di non aver avuto voglia di giocarlo questo Immortal, pur nella sua natura da titolo F2P mobile. E finalmente il momento è giunto, l’ho provato, ho assaporato alcune tra le avventure che Sanctuarium voleva offrirmi e sono qui a darvi le mie impressioni.
Un pò prequel, un pò sequel
Sono trascorsi 5 anni da quando l’Arcangelo Tyrael ha distrutto la Pietra del Mondo, ormai corrotta da Baal, il “fratellone” di Diablo. Come avrete intuito Immortal vuole essere il ponte che collega le vicende di Diablo 2 e Diablo 3, e tantissime saranno le comparse di entrambi i capitoli in questo Immortal. Fa sempre piacere ritrovare vecchie conoscenze, come Akara o Zoltun Kulle, oltre all’immancabile Deckard Cain.
Diciamo che la trama potrebbe riassumersi così: i frammenti della Pietra corrotta sono finiti un po’ ovunque su Sanctuarium, ed indovinate chi sarà il fortunato avventuriero a doverli recuperare dai cadaveri di demoni ed orrori assortiti? Esattamente, proprio il vostro! La narrativa è “leggera”, seppur piacevole. Insomma, si parla poco, si picchia tanto e si ha un motivo per farlo. Ed onestamente va bene così, è proprio quel che mi aspetto da Diablo.
Non mancano comunque approfondimenti sulle vecchie conoscenze, o una nuova aggiunta che ho apprezzato davvero tanto, ossia un bestiario, cosa che mi è sempre mancata nei capitoli precedenti.
Niente più Baal Runs
I più nostalgici – o chi ha recentemente giocato Diablo 2: Resurrected – ricorderanno le infinite Baal Runs per livellare il proprio personaggio, o per beccare la maledettissima armatura di Tal Rasha. Un giocatore crea una partita, altri giocatori entrano e si va a picchiare il malcapitato di turno, sia esso Baal, Diablo o il povero Mephisto, la mia vittima preferita. Tante piccole istanze indipendenti tra loro.
In Diablo Immortal invece ci ritroviamo di fronte a quel che è a tutti gli effetti un titolo dalla forte impronta MMO. Ovviamente bisogna sempre tener conto che parliamo di un titolo destinato al mercato mobile, quindi se parlo di MMO non immaginatevi qualcosa tipo Final Fantasy XIV o, per rimanere in casa, World of Warcraft. Immortal ha la “tipica” struttura MMO Mobile come se ne trovano altre mille.
Il mondo di gioco è composto da varie macrozone, quindi non siamo davanti ad un openworld. “Nulla di nuovo per il franchise” direte voi, è sempre stato così Diablo. La particolarità di Immortal è che queste mappe non sono più delle piccole istanze, ma tutti giocatori si collegano ad un determinato server. Il risultato? Vagherete per Sanctuarium in compagnia di una miriade di altri avventurieri, sia nelle città che nelle mappe vere e proprie. Qui Immortal fa respirare aria da MMO, seppur continuino ad esistere istanze come dungeon, varchi e quant’altro.
Immortal, o Diablo 3 Lite
Se dovessi descrivere Immortal in 3 parole non avrei dubbi: Diablo 3 Lite. Immortal prende enorme ispirazione dal precendete capitolo della saga, dalla direzione artistica ad elementi di gameplay veri e propri. Mettiamola così, se avete giocato Diablo 3 in qualsiasi sua declinazione vi troverete a vostro agio su Immortal, poiché rappresenta una reinterpretazione del terzo capitolo in salsa Mobile. Basti pensare che tutte le classi selezionabili sono riprese da Diablo 3, con buona pace di chi avrebbe voluto giocare un bel Druido o un’Assassina.
I comandi sono quelli da classico titolo “action” mobile, con joystick virtuale in basso a sinistra e le 4 abilità+attacco primario in basso a destra, sono sicuro che un po’ tutti conosciate questa configurazione di controlli. Le varie classi hanno a disposizione 12 abilità diverse, di cui ne andranno scelte 4 che andranno a comporre la nostra “build”. Moltissime abilità sono simili a quel che troviamo in Diablo 3, ma qui non è possibile modificare questa o l’altra spell mediante l’utilizzo di rune, mentre la “varietà” d’approccio è relegata agli equipaggiamenti leggendari.
Questi ultimi vanno a modificare anche radicalmente le abilità del nostro personaggio, vi faccio un esempio. “Scudo Abbagliante” è una abilità AoE che acceca i nemici. Equipaggiando un determinato leggendario si può trasformare in un raggio di luce che trapassa i nemici e fa danno, modificando totalmente quel che era la skill in origine. Ho particolarmente apprezzato questo approccio all’equipaggiamento, che spesso apportava semplicemente aumenti parametrici aggiungendo poco e nulla alla build scelta, se non bigger numbers.
Anche il pacing risulta leggermente diverso rispetto ad un Diablo classico. Mappe, dungeons e quant’altro risultano più corti. L’intenzione degli sviluppatori è chiaramente quella di rendere il gioco fruibile anche in brevi sessioni. Quel che conta è che il feeling che Immortal restituisce è quello di Diablo in tutto e per tutto. Di un Diablo lite, per l’appunto.
Immortal però non è una mera imitazione del “fratello maggiore”. È un prodotto creato con cura, divertente da giocare e che offre ore di sano divertimento, seppur la sua natura F2P con microtransazioni farà di tutto per rattristarvi la giornata, ma su questo torneremo dopo.
Else, platini, essenze, scorie…
Chi tra voi ha giocato un gacha o un qualsiasi F2P saprà già di cosa sto per parlare, ma vale la pena discuterne un attimo. Ricordate Diablo 2, dove l’oro costituiva l’unica risorsa del gioco? Con Diablo 3 siamo passati ai materiali per il crafting, l’oro, i frammenti del sangue. Nulla di complicato, ogni risorsa aveva un chiaro utilizzo ed era facilmente farmabile.
Bene, dimenticate la parola “semplicità” in Diablo Immortal. Dopo qualche ora vi renderete conto che le risorse da utilizzare sono più di una decina, ed ognuna ha il suo utilizzo specifico. Ovviamente anche il metodo di ottenimento è differente per ognuna di esse.
Gli emblemi si utilizzano per conferire bonus ai varchi che completeremo. Le else vanno scambiate dall’apposito venditore per acquisire oggetti rari. Le rune si utilizzano per craftare le gemme leggendarie, le scorie potenziano l’Inferniquiario. Giusto per fare qualche esempio, perché di risorse se ne trovano pure tante altre.
Allo stesso modo il gioco ci sommergerà di attività da completare, come un qualsiasi F2P che si rispetti. Daily quests, venditori che riforniscono lo shop ogni settimana/mese, log in bonuses vari ed eventuali, l’immancabile battlepass e chi più ne ha più ne metta. Insomma, la solita formula F2P che vuole farvi loggare sul gioco quotidianamente, pena il “perdere” tutti questi bonus e rimanere indietro. In parole povere la famosa “Fomo”, fear of missing out, paura di esser tagliati fuori.
Le novità ben accolte
Fortunatamente le novità di Immortal non si limitano al lanciarci addosso 15 tipi differenti di valuta per confonderci le idee. Il titolo propone anche delle modalità che ho particolarmente gradito. Partiamo con le brigate, o banalmente il sistema di clan di Diablo Immortal. Di solito in questo genere di titoli il clan serve davvero a poco, ma in Immortal risulta fondamentale ad un’altra aggiunta, le incursioni. In poche parole una sorta di raid, dove bisogna far gruppo, essere ben equipaggiati e conoscere le meccaniche di ogni fight. Ovviamente le incursioni non sono neanche lontanamente paragonabili a quel che potrebbe trovarsi in World of Warcraft, ma devo ammettere che sono rimasto piacevolmente sorpreso.
L’aspetto che ho maggiormente apprezzato è forse la realizzazione di nemici e boss. Questi ultimi sono davvero tanti e combatterli è sempre piacevole. Varie fasi della fight, meccaniche semplici ma efficaci, un’ottima realizzazione tecnica. Segnalo anche la presenza di “world boss”. Giusto qualche ora fa, durante l’esplorazione, mi sono imbattuto in un sarcofago. Da bravo avventuriero quale sono l’ho aperto. Da lì è uscito fuori un cavaliere corrotto con circa 9.6 milioni di hp, e gli hp medi di un mostro elite che affronto si aggirano sui 50.000. Fate voi le dovute proporzioni. Quello era chiaramente un boss da affrontare in quattro o più giocatori. Magari assieme alla propria brigata.
Nel gioco è presente anche una modalità PvP, ma sarò sincero con voi, non sono ancora riuscito a provarla.
F2P si, ma fino a che punto?
Altra grandissima polemica degli ultimi giorni è la sempreverde critica alla monetizzazione del F2P famoso di turno. Questa volta è proprio Diablo Immortal l’accusato. Ricordiamo sempre che Immortal è un titolo gratuito, ed è più che lecito aspettarsi la presenza di microtransazioni.
Forse lo è meno scoprire che alcune gemme, quelle da 5 stelle di rarità, non sono effettivamente droppabili da chi non spende soldi per acquistare emblemi leggendari. O meglio, tecnicamente chiunque le può ottenere, ma sappiate che le probabilità di trovarne una senza spendere un centesimo è più bassa di fare 6 al superenalotto, giusto per mettere le cose in prospettiva.
Ed anche spendendo tanto, tantissimo, potreste non trovare ciò che stavate cercando. Il magico mondo delle microtransazioni! Immortal è il classico titolo dalla monetizzazione aggressiva, così come praticamente ogni altro titolo Mobile un minimo conosciuto. Il gioco è comunque godibilissimo nella sua interezza, non è necessario possedere 6 gemme da 5 stelle o aver speso stipendi interi per portare il titolo a termine e godersi l’avventura. In realtà le opzioni F2P bastano e avanzano per godere di tutto il contenuto presente in questo momento.
Ovviamente il discorso sul PvP è totalmente differente. Vi potreste divertire anche senza spendere un centesimo? Certo. Lotterete mai per la top 50 del server? Decisamente no, scordatevelo. Immortal è il classico freemium, dove comunque il divario tra chi spende e chi no è relativamente grande. Io sono “abituato” a questo genere di meccaniche, ed a malincuore lo accetto.
In conclusione
Queste sono le mie prime impressioni dopo circa 15 ore di gioco. Immortal mi ha stupito per la cura nella realizzazione, devo ammettere che le mie aspettative erano davvero basse ma Blizzard e Net Ease hanno lavorato sodo e sfornato un ottimo titolo Mobile che richiama chiaramente a Diablo PC. La monetizzazione poteva essere gestita in maniera migliore? Certamente. Ma quella dose di freemium non rovina assolutamente l’esperienza di gioco, se non nel PvP presumo.
Ovviamente questa non vuole essere una recensione poiché mi aspetto che Immortal venga aggiornato periodicamente, e con qualche smussatina ad alcuni angoli potrebbe rivelarsi davvero un ottimo capitolo per la saga di Diablo.
Ho potuto provare Hearthstone Antro di Onixya e con questo articolo vorrei andare ad analizzare questo mini-set e scoprire se vale davvero la pena oppure se si tratta solo di buone carte. Ti posso già dire che solo una carta è davvero potente: Kazakusan. Nonostante fosse quasi ovvio che questa carta fosse un portento, ciò che la rende tale è il modo in cui può venire utilizzata. Senza ulteriori indugi, approfondiamo l’argomento e scopriamo il nuovo mini-set Hearthstone Antro di Onixya.
“Spacchettando” Hearthstone Antro di Onixya
Il mini-set Hearthstone Antro di Onixya è stato rilasciato il 15 febbraio scorso e include al suo interno ben 66 carte. Per ottenerle dovrai o essere estremamente fortunato, spacchettando i pacchetti Divisi nella Valle d’Alterac oppure potrai acquistare il set interno spendendo 2.000 Oro o 14,99 euro. Se ti interessano le carte dorate, invece, potrai acquistare il set Dorato a 69,99 euro. Purtroppo quest’ultimo non è disponibile tramite l’oro.
Tra le tantissime carte disponibili con Hearthstone Antro di Onixya troviamo 4 Leggendarie, 1 Epica, 14 Rare e 16 Comuni, ma come già detto all’inizio di questo articolo, la carta più forte è proprio Kazakusan. Sì, è talmente forte da poter essere un game changer per il gioco di carte collezionabili. Ovviamente è anche craftabile grazie alla polvere, così come qualsiasi carta. Una delle cose che lo rendono davvero speciale è il Grido di Battaglia (cioè l’effetto che viene attivato una volta posizionata la carta sul campo, ndr). Questo recita:
Se tutti i servitori nel tuo mazzo sono Draghi, crea un mazzo personalizzato di Tesori.
Questi Tesori non sono altro che delle Carte aggiuntive che vengono mescolate nel tuo mazzo prima che la partita inizi. C’è un limite a quanti ne puoi avere: normalmente sono 5. Quando, però, avrai acquistato Hearthstone Antro di Onixya e riuscirai a mettere le mani su Kazakusan, questo ti mostrerà tutta la sua forza draconica. Infatti, nel momento in cui lo piazzerai sul campo di battaglia, il gioco ti farà scegliere uno fra 3 Tesori… Cinque volte! Dalla tua scelta riceverai una doppia copia di ciascun tesoro. Ma attenzione: non potrai più utilizzare il tuo mazzo, ma “solo” queste 10 carte che saranno estremamente potenti. Se leggi bene il suo Grido di Battaglia, scoprirai che dovrai avere un mazzo fatto solo per questo scopo. Sì, perché dovrai schierare solo Draghi nel tuo deck. In caso contrario il suo effetto non si attiverà. È anche vero che puoi essere paziente e utilizzare tutte le carte non draconiche che possiedi.
C’è anche da dire che questa nuova carta di Hearthstone Antro di Onixya ti farà pensare parecchio. Il motivo è presto detto: dovrai scegliere con parsimonia i Tesori che vorrai ottenere nel tuo deck. Una scelta sbagliata potrebbe rovinarti la partita, mentre scegliere i Tesori giusti ti permetterà di vincere in modo veloce ed efficace. Ovviamente ci sono delle combo che possono essere vittorie al primo turno (chiamate in gergo One Turn Kill, più comunemente OTK, ndr).
Infine ti posso dire che questa carta è adatta a quasi tutte le Classi, anche se ovviamente due sono decisamente avvantaggiate. Una di queste è certamente il Druido. Ma anche il Sacerdote fa funzionare Kazakusan davvero bene. Inoltre è possibile utilizzarla in vari deck diversi: che tu ti concentri sull’uso dei Miracoli o sugli Incantesimi da Druido, il Drago farà spesso e volentieri al caso tuo. Queste due Classi sono efficaci poiché ti permetteranno di castare Kazakusan più velocemente, ma niente ti vieta di creare dei deck ad hoc.
Possibilità di creare un nuovo meta
Hearthstone Antro di Onixya ti farà sicuramente divertire e Kazakusan può davvero colpire e cambiare il meta. Non è un caso che questo mini-set sia già utilizzabile nei tornei. Ma ciò che importa di più è la capacità di adattamento della carta. Sì, perché non dovrai necessariamente “piegarti” al meta e copiare un deck dai numerosi siti web che te lo permettono, ma potrai utilizzare le carte che hai per realizzare un deck che si adatti davvero al tuo stile di gioco. Così da poter scalare i rank di Hearthstone. Sì, perché competere può essere divertente, e se hai un drago che aiuta, lo è ancora di più!
Yu-Gi-Oh Master Duel è il titolo che trasforma il gioco di carte reale in digitale. E lo fa davvero bene, riuscendo a dare spazio anche ai neofiti con una campagna singleplayer che unisce storia e tutorial. Pecca per la versione Nintendo Switch, decisamente più sacrificata rispetto a quella home console. Per il resto, non c’è davvero niente da dire: è un ottimo free to play!
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Yu-Gi-Oh Master Duel è il sogno di tutti i giocatori del TCG. Riesce a unire tutti i tipi di player che hanno mai toccato con mano o digitalmente il titolo cartaceo. Ma non ti preoccupare, non è un gioco punitivo nei confronti di chi si approccia a questo gioco. Yu-Gi-Oh Master Duel si basa sulla serie di manga e anime dove i protagonisti si sfidano in combattimenti a turni che prevedono l’utilizzo di carte che richiamano dei mostri, incantesimi e trappole. L’obiettivo è molto semplice: azzerare i Life Points (Punti Vita, in italiano) dell’avversario. In questa trasposizione videoludica realizzata da Konami avremo lo stesso obiettivo.
Gioca la partita, vinci la fatica
Una delle prime cose che bisogna dire di Yu-Gi-Oh Master Duel è che riesce ad essere decisamente diretto, rispetto ad altri titoli della stessa serie. L’obiettivo degli sviluppatori è sia semplice che comprensibile a colpo d’occhio: l’idea alla base di questo titolo è quello di riproporre il mondo TCG Yu-Gi-Oh e portarlo nel mondo digitale. Dunque, se pensi che sia tempo di duellare è il gioco per te.
Master Duel è propone due modalità di gioco principali: una multiplayer e una singleplayer. Ma ti voglio parlare prima della seconda: la Solo Mode è letteralmente la campagna che ti aiuterà nel comprendere le meccaniche base e ti permetterà di avere un po’ di mazzi da utilizzare, così da farti un’idea su quale sia il tuo stile di gioco. Inoltre, saranno presenti anche delle brevi storie che riguardano le carte che andrai a utilizzare. Questo è anche un ottimo modo per dare un contesto a ciò che giocherai. L’esperienza proposta è molto lunga e divisa in vari capitoli che andranno a narrare una storia tramite delle immagini statiche e una voce narrante.
Ovviamente passare del tempo nella Solo Mode di Yu-Gi-Oh Master Duel è ottimo anche per coloro che sono già a conoscenza dei meccanismi del gioco di carte. Questo perché ti darà accesso a più carte, così da poter realizzare il deck più adatto al tuo stile. Senza contare che è possibile anche guadagnare moneta in-game che ti permette di acquistare pacchetti. Sì, ci sono anche le microtransazioni, ma saranno necessarie solo se desideri velocizzare questo processo. Quindi avrai accesso a un mazzo competitivo senza dover mettere mano al portafoglio, ma dovrai “solo” vincere tanto. Senza contare che è possibile anche creare le carte che desideri grazie ad un intuitivo sistema di crafting visto anche in altri CCG, così da rendere questo procedimento ancora più veloce, se sai già quali carte desideri nel tuo deck.
La modalità multiplayer si divide in due tipi di partite diverse ed un extra. Infatti stiamo parlando di partite casuali, ranked (classificata) ed infine gli eventi. Al momento questi ultimi non sono ancora disponibili, ma è possibile immaginare che si tratti di tornei speciali – come accade in Yu-Gi-Oh Duel Links – oppure degli eventi crossover.
Ora concentriamoci sulle partite, che sono letteralmente il cuore pulsante di Master Duel. Le partite casuali ti permettono di creare(o entrare)in “stanze duello”in cui partecipare a scontri amichevoli, un’ottima occasione per comprendere come giocano le “persone vere” e farti un’idea su quali siano i deck “meta”. Per quanto concerne le Ranked, ti consentono di scalare la classifica e diventare il giocatore di Yu-Gi-Oh! Master Duel più forte. I Ranghi sono molto classici: al momento vanno dal Bronzo al Platino, ma probabilmente in futuro anche questo aspetto verrà ampliato. Ovviamente riceverai dei premi speciali in caso di vittoria o di “scalata di Rango”, come gemme(valuta di gioco)o mini pacchetti di carte.
Descriverti per filo e per segno come funziona una lotta in Yu-Gi-Oh! Master Duel è un discorso che meriterebbe un articolo a sé stante, ma posso spiegarti brevemente come funziona: avrai a disposizione tre tipi di “carte base” divise in mostri, magie e carte trappola. I mostri hanno un valore in Stelle che ti farà capire se possono essere evocati immediatamente o se richiedono qualche azione extra. Mentre gli incantesimi e le carte trappola possono essere lanciate quando vuoi, anche “coperte”, così da attivarle solo vengono rispettate le condizioni scritte sulla carta stessa.
Ogni mostro ha un valore di attacco e di difesa che determinerà in quale posizione vale la pena metterlo. Il tuo obiettivo è eliminare tutte le carte avversarie così da poter danneggiare i Life Points del rivale e ridurli a zero. Troverai una miriade di meccaniche più o meno complesse, come tutti i tipi di evocazione(Xyz, Link, Pendulum e tante altre), ma non posso spiegarti tutto nel dettaglio, poiché un’infarinatura generale richiederebbe un articolo a parte.
L’unico difetto di questo titolo sta nella durata delle partite, che spesso risultano davvero lunghe. Sì, a volte si raggiungono anche i 30 minuti, il che per un TCG che può essere giocato in “movimento” sembra un tantino esagerato. Senza contare che è disponibile anche per smartphone Android e iOS, dunque il concetto di “handheld” è molto spinto. Per questa ragione, è molto meglio giocarlo quando sai di avere tempo. Inoltre, uno dei fattori che “rovina” un po’ l’esperienza sta nelle prime battute dei match. Quando si parte per secondi, e il giocatore che abbiamo davanti è particolarmente avvezzo al titolo in questione è molto probabile che perderai nei primi turni senza avere possibilità di risposta. Il che può diventare frustrante, poiché non si impara nulla. E senza poter imparare non è possibile migliorare.
Devo comunque ammettere che Yu-Gi-Oh! Master Duel è decisamente un titolo che riesce nel suo intento, almeno considerando il gameplay. L’unica cosa che resta da giudicare, ma per questo ci vorrà del tempo, è il post-lancio. Ma la situazione sembra rosea.
Risvegliare un passato mozzafiato
Dal punto di vista dell’aspetto tecnico, tutto ciò che riguarda Yu-Gi-Oh! Master Duel è davvero ben realizzato. L’unica pecca sono i testi molto piccoli delle carte, tant’è vero che Konami ha dovuto trovare un’alternativa per mostrare cosa una determinata carta può fare. La colonna sonora del titolo è estremamente gradevole e accompagna il giocatore in tutte le sue azioni. Gli effetti sonori e visivi danno già l’idea di quello che sta per scatenarsi sulla board e se una carta è forte o meno, dunque anche solo stando attenti a questi dettagli si riesce a capire costa sta succedendo sul campo di battaglia.
A questo proposito ti posso dire che gli sviluppatori hanno voluto realizzare diversi “campi” dove giocare, e saranno tutti disponibili all’acquisto tramite moneta in-game. Sono realizzati in modo davvero eccelso e danno il meglio su home console, rispetto alla versione Nintendo Switch, che invece ha delle pecche tecniche, soprattutto dal punto di vista grafico.
Ne vale la pena?
Ma vale la pena scaricare Yu-Gi-Oh! Master Duel? La risposta è sì, ma solo se sei davvero appassionato del TCG. Questo gioco ti pone davanti un competitivo agguerrito e mutevole. Stare al passo non è così semplice come con altri giochi di carte. Certo, dato che è disponibile come free to play vale la pena provarlo, magari diventerai il prossimo campione!
Activision Blizzard ha finalmente reso disponibile la tanto attesa modalità Mercenari su Hearthstone. Il popolare gioco di carte collezionabili basato sul mondo di Warcraft ha vissuto un lungo periodo di transizione che ha portato diverse modalità. Mercenari è stata la più attesa, ma è anche la migliore?
Hearthstone è divenuto famoso perché è riuscito a divertire pur semplificando le regole di giochi di carte storicamente più complessi. Questa formula, unita alla lore di World of Warcraft, ha permesso al gioco di essere un grande successo almeno fino a pochi anni fa; infatti, l’addio di Ben Brode nel 2018 sembrava culminare un periodo sottotono in cui la magia si pensava fosse realmente finita. Probabilmente da quel giorno Blizzard ha cominciato a lavorare a un gioco di carte diverso; più variegato, in cui la ladder è solo una parte di un mondo molto più sfaccettato.
Con il micro-mondo dei Mercenari, contenente al suo interno sia un gioco single-player che PvP, Blizzard vuole chiudere il cerchio della rivoluzione di Hearthstone.
I Mercenari di Hearthstone
La ladder classificata non è un gioco per casual player; nonostante Hearthstone sia un gioco con una varianza tendenzialmente più alta rispetto ai trading card game più popolari sul mercato, la fortuna ha un limite anche in un mazzo da trenta carte. Con Hearthstone: Mercenari, Blizzard vuole focalizzare l’attenzione sul motivo per cui la maggior parte dei giocatori saltuari si diverte: le combo. Nella modalità Mercenari di Hearthstone abbiamo sei personaggi nel nostro team e solamente tre alla volta potranno presenziare sul campo di battaglia. In questa lotta 3vs3 sarà importante saper amalgamare al meglio i propri mercenari, in modo da ottenere vantaggio dai bonus forniti da ognuno di loro.
Ogni mercenario possiede dei punti vita e dei punti attacco; a questi, si aggiungono tre abilità, tre equipaggiamenti ed opzionalmente anche una tipologia (per esempio, Grommash Malogrido è un “Orco”). Ogni mercenario parte dal livello 1 e può arrivare fino al livello 30, ottenendo le abilità rispettivamente al livello 1, 5 e 15. D’altro canto, gli equipaggiamenti arrivano al livello 30 o completando gli incarichi del mercenario (una serie di quest).
Quello che rende i mercenari veramente forti è la sinergia che questi hanno con le altre carte. Ad esempio, Varian Wrynn, Re di Roccavento e leader umano dell’Alleanza, possiede l’abilità “Assalto Spaccante” che fornisce un bonus di attacco a tutti gli umani, nel caso in cui il suo colpo distrugga un personaggio avversario. Queste combo sono attuabili sia per tipologia di mercenario che per tipologia di abilità; ad esempio, Tirion Fordring può lanciare abilità di tipo “Sacro”, mentre Uther ottiene al livello 15 “Ira Vendicatrice”, che similmente alla carta presente in gioco consente di infliggere 4 danni a un nemico casuale, ripetendo l’effetto per ogni abilità “Sacro” giocata nel turno.
Gameplay
Nel tentativo di bilanciare la modalità, Blizzard ha deciso di usare un sistema triangolare di debolezze per forzare i giocatori ad avere delle squadre eterogenee; infatti, ogni mercenario ha un colore, che può essere blu, verde o rosso. Esattamente come gli starter di Pokémon, l’acqua è superefficace sul fuoco, quest’ultimo sull’erba, che raddoppia i propri danni sull’acqua; in particolare, il rosso è colore dei protettori, il verde dei combattenti e il blu contiene gli incantatori.
Un’ulteriore complessità nel gameplay è aggiunta dalla velocità delle abilità. I sei mercenari che compongono il campo di battaglia si affrontano in una sistema in “tempo reale”; in altre parole, ogni giocatore sceglie le abilità che ogni proprio mercenario deve usare, e contro chi scagliarle. Una volta che entrambi gli sfidanti hanno fatto le proprie scelte, i danni sono stabiliti attraverso un sistema di velocità; attacca prima chi ha il numero più basso.
Infine, i danni possono essere inferti in due modi: l’Attacco è un danno fisico a cui corrisponde un danno subito nel momento in cui i mercenari si scontrano, pari agli attacchi base dei due contendenti; l’Abilità i cui danni sono inferti come un attacco a distanza, a meno che non sia specificato diversamente. Queste due tipologie di attacco comportano il dover ragionare con la variabile degli eventuali danni subiti in caso di attacco fisico.
Punto di Ritrovo
La modalità Mercenari di Hearthstone inizia in un campo limitatamente ampliabile. Prendendo spunto dai roguelike, Blizzard ha dotato il giocatore di una serie di punti di interessi; purtroppo, si tratta solamente di un’interfaccia carina per mostrare l’essenziale per giocare, e in qualche modo già presente anche nella modalità ladder. Il campo contiene infatti le due modalità di gioco, single e multiplayer, una carovana per la creazione dei gruppi, un falò per gli incarichi dei mercenari, una casella di posta per i messaggi degli sviluppatori e un negozio che ci porta nello store del gioco.
Il single-player è la modalità più innovativa per Hearthstone. Rappresentata dal “Punto di Ritrovo”, essa è caratterizzata da una mappa teoricamente procedurale simile a un card game roguelike come Slay The Spire, Hand of Fate o il più recente Inscryption. Ogni mini-mappa, affrontabile in modalità normale o eroica, consiste nello scegliere il percorso che ci porterà allo scontro con il boss finale, di cui dovremmo riscuotere la taglia e che ci dropperà dei punti potenziamento per i nostri mercenari.
In questo momento, le zone affrontabili sono molto poche e i percorsi consistono sempre di poche scelte; infatti, oltre agli scontri, i punti di interesse che potremmo incontrare sono: lo Spirito Guaritore, dover poter resuscitare i nostri mercenari, il Dono, che fornisce un bonus e il Mistero, cioè un evento casuale di cui il più importante fornisce dei punti extra che potenziano le abilità di un mercenario presente nel gruppo. Questa poca varietà risulta ancor meno appetibile, se consideriamo che portare un mercenario a livello 30 comporta una bella dose di farming, da moltiplicare per ogni mercenario che possediamo (attualmente 51).
Fossa
La modalità PvP denominata “Fossa” porta le stesse regole del single player in uno scontro tra giocatori reali, che può risultare molto divertente e discretamente ragionato; infatti, le scelte che potremmo prendere non saranno molte, ma il gameplay richiede di ponderare tutte le scelte da fare, poiché incappare in macro-errori porta a sconfitta certa. Questo rende il PvP particolarmente interessante per i giocatori più casuali, perché una partita può durare davvero una manciata di minuti.
In questo momento, il PvP dei Mercenari di Hearthstone non ha un vero e proprio meta-game; di conseguenza, risulta molto rigiocabile e decisamente interessante anche per i veterani dei giochi di carte che cercano un’esperienza veloce, ma che richiede di considerare tutte le poche variabili in gioco per avere successo, solitamente pensando con più turni di distanza.
Infine, la vera differenza rispetto alle altre modalità riguarda il matchmaking. Come ovvio, i livelli dei mercenari contano abbastanza. Questo può comportare un’attesa discretamente lunga per trovare il giusto match, che in alcuni casi può generare una sfida contro un avversario controllato dal computer:
Nello stato corrente di Mercenari, se la coda dura per più di un minuto e mezzo e i tuoi punteggi interno ed esterno sono sotto determinate soglie (quella del punteggio esterno è 7.000), ti verrà assegnato un avversario controllato da un’I.A. Questa soglia significa che i giocatori più occasionali avranno sempre una coda rapida, ma quelli più accaniti potranno comunque competere tra loro per i primi posti della classifica.
Per ora abbiamo un solo livello di difficoltà della I.A., quindi essa verrà regolata calibrando il livello della sua squadra in modo da corrispondere al tuo punteggio interno. Se hai una squadra con un ampio spettro di livelli e ti viene assegnato un avversario controllato dall’I.A., la sua squadra rispecchierà il livello della tua (invece di prendere un livello medio) e quindi regolerà tale livello in base al tuo punteggio. I tuoi aggiornamenti post-partita saranno influenzati anche se avrai affrontato un’I.A.
La modalità Mercenari di Hearthstone è un’aggiunta decisamente gradita, per svariati motivi. La modalità single-player è una ventata di aria fresca che attinge dai migliori giochi di carte digitali in circolazione; il PvP, invece permette di divertirsi spendendo veramente poco tempo. Inoltre, in questo momento, l’economia di gioco è decisamente vantaggiosa, grazie ai tanti regali fatti per incentivare il giocatore. In altre parole, il potenziale è enorme, anche se in mano abbiamo veramente poco.
Infatti, la modalità singola può offrire qualche ora di divertimento, ma le scelte sui percorsi sono veramente pochi e l’unico divertimento consiste nel livellare al massimo i proprio mercenari oppure provare nuove combo su un campo di battaglia che presenta una sfida decisamente bassa. Per quanto riguarda il PvP, poter provare nuove combinazioni è decisamente intrigante; purtroppo questo richiede la pazienza di farmare diversi mercenari fino a livello 30, perché, in caso contrario, i tempi di matchmaking ci porteranno spesso a dover affrontare dei bot. Un’esperienza decisamente poco gradevole per un casual player che vorrebbe solamente provare la sua nuova combo contro giocatori in carne e ossa.
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