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Milan Games Week 2024: tutti i dettagli della fiera meneghina

Tutto è pronto per Milan Games Week 2024, l’appuntamento annuale che dal 22 al 24 novembre trasformerà Fiera Milano in un punto d’incontro per migliaia di appassionati di videogiochi, fumetti, cinema e musica. L’evento, organizzato da Fiera Milano in collaborazione con Fandango Club Creators, promette un’esperienza senza precedenti con ospiti di fama internazionale, tornei eSports, panel esclusivi e incontri dedicati alla cultura pop.

La Milan Games Week 2024 presenterà un programma ricco di contenuti che spazieranno dalle ultime novità dell’universo videoludico ai talk show con personaggi iconici. Nei padiglioni 9, 11, 13 e 15 e presso l’Auditorium della fiera, i visitatori potranno esplorare il meglio del gaming globale e italiano, incontrare sviluppatori e partecipare a panel che analizzeranno le tendenze del settore e la crescente importanza della narrativa e delle performance attoriali nei videogiochi.

Tra i protagonisti, il Central Stage ospiterà il leggendario Shinji Mikami, creatore di Resident Evil, che ripercorrerà la sua carriera sabato mattina davanti ai fan. Per gli appassionati del recente successo Baldur’s Gate III, ci sarà anche un talk esclusivo con quattro membri del cast, pronti a raccontare la loro esperienza.

Non solo gaming: Milan Games Week 2024 si arricchisce con la terza edizione dell’Urban Show, un festival musicale di tre giorni che vedrà esibirsi alcuni dei nomi più influenti della scena rap e trap italiana, da Andry the Hitmaker a Lele Blade. Radio 105, media partner ufficiale, animerà la fiera con eventi live e meet&greet con gli artisti, mentre Warner Music Italy offrirà ulteriori occasioni di incontro per i fan.

Spazio anche alla creatività italiana grazie alla collaborazione con IIDEA, che proporrà tre panel dedicati ai videogiochi italiani con protagonisti Untold Games, Stormind Games e Jyamma Games. Ogni studio svelerà il dietro le quinte di un titolo in uscita, offrendo una prospettiva unica sullo sviluppo di videogiochi in Italia.

La Milan Games Week & Cartoomics si conferma dunque come un evento imperdibile per i fan e i professionisti del settore, in grado di unire generazioni e passioni diverse sotto lo stesso tetto.

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Sebastian Kalemba: “Il mio focus è sulle emozioni: voglio farvi piangere”

La Milan Games Week & Cartoomics 2023 è stata una fiera ricca di ospiti internazionali ed eventi interessanti che sono stati in grado di intrattenere un pubblico sempre più numeroso e pretenzioso. In questa occasione, abbiamo avuto l’onore di fare un chiacchierata con Sebastian Kalemba, ex-lead animator e attuale game director di CD Projekt Red. Quanto segue è la nostra intervista con il game director di The Witcher 4, Sebastian Kalemba.

Ilvideogiocatore.it: Come stai? Ti stai trovando bene a Milano?

Sebastian Kalemba: Sì, certo. Non ho avuto tempo di visitarla, ma lo farò. Il clima è bellissimo!

Ilvideogiocatore.it: Stavo cercando un’intervista che hai fatto, mentre preparavo questa discussione ed è stato difficile trovarti su internet. Ho notato da un podcast in cui hai partecipato che sei anche un giocatore accanito.

Sebastian Kalemba: Certo che sono un videogiocatore!

Ilvideogiocatore.it: Nella mia esperienza non è così banale che uno sviluppatore sia anche un gamer.

Sebastian Kalemba: Davvero? Ok. Gli sviluppatori potrebbero non essere tutti giocatori.

Ilvideogiocatore.it: Quindi dimmi: quale è il gioco di CD Projekt che hai giocato di più?

Sebastian Kalemba: Li ho giocato tutti. Ma penso che quello a cui ho giocato di più sia stato Cyberpunk 2077. Ho rigiocato questo gioco in tutto direi sette volte. Alcune parti nello specifico: credo di aver giocato il prologo 160 volte! Perché era importante. Durante lo sviluppo, ricordo che per un anno ogni giorno iniziavo con un’ora di gioco per la prima missione.

Ilvideogiocatore.it: Come stavo dicendo, non ti ho trovato così facilmente su Internet. Essendo ora un game director, piuttosto che il lead animator per CDPR, temi che la tua popolarità possa aumentare o trovi allettante diventare più popolare?

Sebastian Kalemba: Non ci penso troppo onestamente. Faccio solo il mio lavoro. Siamo a Milano perché siamo stati invitati, cerco di comportarmi sempre come me stesso. Non c’è differenza tra lead animator, animator, animation director: cerco di seguire i miei principi. Provo a non concentrarmi troppo sulle sensazioni che scaturiscono dal mio nome. Capisci cosa intendo? Cerco solo di fare il mio lavoro nel migliore dei modi possibili.

Ilvideogiocatore.it: The Witcher 3 è stato oggetto di alcune critiche sul lato gameplay, soprattutto sul fronte del combat-system. Alcuni lo ritengono lento a causa di come le animazioni si interpolavano tra loro. Io ritengo che fosse una scelta deliberata alla luce di un maggiore accento sul realismo. A posteriori, faresti delle modifiche a quel sistema o ne sei soddisfatto?

Sebastian Kalemba: Sicuramente apporteremmo delle modifiche. In generale, qualsiasi cosa facciamo in CDPR mettiamo il massimo peso sul fattore qualità. L’animazione in The Witcher 3 era puramente animation-driven e significa che a volte mancava di reattività. Al contrario di Cyberpunk, in cui ogni singola cosa, o quasi, è logic-driven. Ed era necessario cambiare la configurazione quando si affronta lo sparatutto come genere. Lo shooting doveva essere estremamente reattivo perché è questo lo standard dell’industria. Quindi abbiamo cercato di trovare un equilibrio tra la qualità che deriva dall’approccio animation-driven e la reattività di quello logic-driven, solo per evitare la lentezza come hai menzionato da quel punto di vista. Abbiamo imparato da entrambi i giochi, alcune sono già in Cyberpunk, e sono sicuro che cercheremo di applicarne di nuove nella prossima saga di The Witcher.

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Ilvideogiocatore.it: CD Projekt è una delle più grandi software house in tutta Europa. Pensi che essere in Europa, piuttosto che negli Stati Uniti o in Asia, come è il caso per la maggior parte delle grandi aziende, faccia la differenza nella creazione di giochi?

Sebastian Kalemba: Sì. Onestamente, c’è sempre il fattore della cultura che deriva dal gioco. Gli sviluppatori che lavorano e sviluppano [in cdpr] provengono da tutto il mondo, ma il nucleo, il cuore di tutto, è situato nella capitale della Polonia. Abbiamo alcuni gruppi slavi, e c’è una cultura legata alle opere e alle creazioni di Sapkowski ed è questo ciò che li rende unici, specialmente quando parliamo di The Witcher nel suo complesso. Posso dire la stessa cosa anche sul recente Alan Wake 2: è così tanto finlandese. Ho ascoltato di recente il podcast con Sam Lake, il direttore creativo che è lì da più o meno 27 anni, dall’inizio dell’azienda, e si vede. Giocandoci puoi annusare l’atmosfera finlandese. E non posso immaginare che si possa sviluppare un’esperienza del genere vivendo negli Stati Uniti o in altre parti del mondo. È molto unica.

Ilvideogiocatore.it: Venendo da un’esperienza come lead animator, pensi che ci siano lezioni dal tuo lavoro precedente che hai potuto applicare al ruolo attuale di game director?

Sebastian Kalemba: Sai, ognuno può dire la sua in base al proprio gusto e alle proprie motivazioni. Il mio focus è sulle emozioni, sui personaggi e le loro personalità. Questo è ciò che offro sul tavolo: voglio farvi piangere.

Ilvideogiocatore.it: A cosa stai giocando per ora?

Sebastian Kalemba: Sto giocando ad Alan Wake 2. Non l’ho finito ma ci sono quasi. Oh, e Super Mario Wonders: sono un grande fan di Mario.

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Società

Patrice Désilets: “La gente vuole che io faccia un gioco storico”

Durante l’ultimo grande evento videoludico milanese, Milan Games Week & Cartoomics 2023, abbiamo avuto modo di chiacchierare con diversi sviluppatori, tra cui Patrice Désilets, noto designer e creativo, celebre sopratutto per aver dato luce a uno dei franchise più importanti nel mondo videoludico: Assassin’s creed.

Dopo una carriera costellata di successi come Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo e Paperino: Operazione Papero, Dèsilets si era concesso una pausa dallo sviluppo, ma è tornato di recente con un nuovo titolo per il suo studio: Humankind: Ancestor, un gioco sulla sopravvivenza, non un survival-game, come puntualizza lui.

L’intervista è l’estratto di una conversazione che abbiamo avuto il piacere di avere con il creativo canadese, catturata nel frastuono dei tamburi di un evento a cui non abbiamo avuto la fortuna di assistere al piano di sotto.

Ilvideogiocatore.it: Come stai? Ti piace Milano?

Patrice Désilets: Mi manca casa. Prima di venire a Milano sono stato in Corea. Ho tenuto una presentazione laggiù, quindi sono 12 giorni che non torno a casa.

Ilvideogiocatore.it: Sei molto popolare anche in Asia?

Patrice Désilets: (scherzando) Beh, sono stato invitato, quindi credo di esserlo un po’.

Ilvideogiocatore.it: Cosa stai facendo per ora? Lavori a qualcosa?

Patrice Désilets: Sì, ma non posso parlarne. È segreto. Non posso dire nulla.

Ilvideogiocatore.it: Ho sentito alcune vecchie interviste e parli spesso di flash improvvisi quando pensi a fare un nuovo gioco. In Prince of Persia era il riavvolgimento del tempo, in Assassin’s Creed era qualcosa che ti è venuto in mente giocando a GTA. Puoi dirmi qual è stata l’ispirazione per Ancestor?

Patrice Désilets: Avevo bisogno di un gioco per uno studio più piccolo. L’ispirazione è stata: la gente vuole che io faccia un gioco storico. Ma con un team piccolo non posso creare una grande città o civiltà. Posso però raccontare l’inizio di tutto. Qui, posso avere un personaggio in un ambiente 3D e lasciarlo sopravvivere. Quella è stata l’ispirazione. Facciamo un gioco sulla preistoria. Sarà comunque un gioco storico, ma non devo creare folle di persone o spade. Quella è stata l’ispirazione.

Ilvideogiocatore.it: Hai detto che ne avevi bisogno perché stavate lavorando con un team più piccolo. Quindi è stata una limitazione in un certo senso. Pensi che questa limitazione abbia migliorato in qualche modo il risultato finale del gioco? Alcune persone suggeriscono che con le limitazioni si possono introdurre nuovi elementi.

Patrice Désilets: Sì, totalmente. Amo lavorare con limitazioni. Non è mai stato il mio forte, ma va bene rimanere bloccati da qualche parte. Questo è il quadro con cui posso giocare. Intendo: lavorare con un team piccolo non è più difficile, è solo diverso. Devi solo adattarti e prendere decisioni in base alle dimensioni del team. Ma sono abituato. All’inizio della mia carriera eravamo dei team più piccoli. Su Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo eravamo in 16. E su Donald Duck eravamo in 30. Quindi sono tornato all’inizio della mia carriera.

Ilvideogiocatore.it: Le cose erano anche molto diverse allora.

Patrice Désilets: Sì, ma si trattava sempre del meglio che potessi avere. E tutti stavano lavorando [al gioco]. Perché ora, un team più grande ha un sacco di persone che lavorano. Ma la gestione intermedia riguarda solo la gestione delle persone. Da Panache, non c’è molta gestione intermedia. I direttori devono ancora produrre data. Non si tratta di “tu fai questo, tu fai quello”, devono anche produrre, e in fondo preferisco i team piccoli rispetto a quelli grandi.

Ilvideogiocatore.it: Quindi sei contento di aver lasciato Ubisoft?

Patrice Désilets: Sì, ne sono felice.

Ilvideogiocatore.it: Parli spesso di questo ciclo che usi per creare un gioco: sell, play, tell. Il prossimo gioco utilizzerà questo ciclo?

Patrice Désilets: Sì, ci credo al 100%. È solo perché in generale, avevo l’impressione che la fase di concepimento, la fase di pre-produzione, la fase di produzione non significassero niente. Sono termini così vaghi. Qual è il focus? A cosa dovresti lavorare esattamente? Ecco perché mi sono detto: okay, troviamo un’altra parola!

Perciò all’inizio c’è la fase di sell: qual è l’oggetto che stai per vendere? Quindi cominci a pensare un po’ al gioco, un po’ alla storia e al suo protagonista e cerchi di creare una prima versione di quel prodotto. Per me è come dire: “Se lo finanziate, sapete cosa state per vendere”. Poi, la pre-produzione riguarda tutta la fase di gioco. Cosa stai giocando? Non pensi più se è vendibile, perché l’hai già fatto! Dimenticati della sua storia, non ti interessa. È divertente? Mettilo sotto i pollici e concentrati davvero su questo. Quando ce l’hai, puoi passare alla produzione perché sai di cosa si tratta e puoi tagliare ciò che non era divertente. Perché la storia del gioco non riguarda i personaggi e le arti trasversali. Riguarda la storia delle funzionalità. La vera storia di un videogioco è nelle sue funzionalità. E una volta che hai il gioco e sai cosa è divertente, hai i loop, le meccaniche, il sistema puoi passare all’ultima parte.

L’ultima parte è il tell. Ora è il momento di raccontare la storia. Questa è l’ultima parte, il racconto. Ora stai raccontando la storia effettiva. Durante ogni singolo ciclo, ripeti sell, play, tell. Anche quando sei nel “play”, devi assicurarti che sia vendibile, sai un po’ cosa stai per raccontare con le funzionalità che stai costruendo, e alla fine ripeti ancora il sell, play, tell non è che smetti. È solo il focus principale delle fasi e questo è il motivo per cui lo chiamo sell, play, tell.

Ilvideogiocatore.it: Nei tuoi giochi usi la meccanica per raccontare la storia, credi che creare la parte play prima del sell la migliori?

Patrice Désilets: Sì, capita spesso di scrivere qualcosa pensando a una meccanica. Poi, quando provi la fottuta meccanica, non è divertente o non funziona e ci vorrebbe troppo tempo per finirla. Allora sei bloccato con quello che hai scritto. E ora dici: “Cazzo, non ho la meccanica con cui avrei dovuto lavorare, cosa faccio ora?” Ed è per questo che non mi concentro troppo sulla narrazione all’inizio. Ho un’idea dove sto andando. Hai un piccolo piano. Ma lo scrivi definitivamente solo quando sai esattamente cosa avrai nel gioco finale.

Ilvideogiocatore.it: Quando hai creato Assassin’s Creed, prevedevi che sarebbe diventato uno dei, se non il più grande franchise nell’industria dei videogiochi?

Patrice Désilets: No, non è qualcosa a cui pensi quando fai un gioco, almeno io voglio che il maggior numero possibile di persone giochi a quello che [ho creato]. Ma a diventare un’icona culturale non puoi pensarci. E se qualcuno ti dice che lo fa… si fotta! È Impossibile! Cerca solo di fare del tuo meglio. A volte non piace. E lavorando su qualsiasi progetto ci sono giorni buoni e giorni cattivi. Cose che volevi fare e non hanno funzionato. Come gli elementi RPG che hanno messo da Assassin’s Creed 3 li avevo già pensati in Assassin’s Creed 1. Ma non potevamo farlo. Dicevano, ed è questa la questione. È per questo che ci sono solo nove assassinii, non avevamo gli strumenti per creare molte missioni secondarie. Questo è il motivo per cui il regno è piuttosto vuoto.

Poi, nel secondo abbiamo creato degli strumenti per fare missioni secondarie, sono iniziate a comparire molte missioni secondarie. Ma no, per Assassin’s Creed è diventato enorme! Tuttavia, sapevo che avevamo qualcosa. Perché questo è il mio lavoro, non sono un animatore, non sono un programmatore. Sono un game designer e un visionario! La mia visione era qualcosa tipo: sarà qualcosa di unico e la gente lo apprezzerà. Perché potevo prevederlo. E poi mi ricordo che mi sono piazzato una notte con devkit di PS3. Così potevo giocare a casa. E mi ricordo che ero seduto lì e pensavo: “Sarà una figata! La gente lo apprezzerà”. Perché lo potevo prevedere.

Ilvideogiocatore.it: Tra tutti i grandi giochi che hai fatto, c’è qualcuno che ti piace di più rigiocare?

Patrice Désilets: Oh, ne parlavo ieri. Non rigioco mai i miei giochi. Ne ho parlato con la mia ragazza stamattina, le ho detto: “Dovrei tornare a giocare con te” perché lei non ha idea.

Ilvideogiocatore.it: Lei non gioca?

Patrice Désilets: No. Ha visto suo figlio giocare ad Assassin’s Creed, ma non ci ha mai effettivamente giocato. Penso che rigiocherei ad Assassin’s Creed 1, solo per vedere… E forse Le Sabbie del Tempo. Ma per rigiocare i miei giochi… Prince of Persia non so come rigiocarlo. Proprio non so dove! Dove trovare una piattaforma su cui effettivamente giocarlo. Sands of time non so come rigiocarlo.

Ilvideogiocatore.it: Humankind: Ancestors è stato accolto in un modo alquanto misto dal pubblico. Le persone che lo hanno amato, lo hanno amato davvero. È una cosa che ho notato, le persone che lo hanno apprezzato ne parlano con forte passione, ma altri non sono riusciti a entrare in sintonia. Pensi che essendo sviluppato da un team più piccolo fosse destinato più a una nicchia di giocatori e invecela gente si aspettava che fosse la tua prossima big thing perché sei quello che ha fatto Prince of Persia, Assassin’s Creed e tutti quei meravigliosi altri giochi?

Patrice Désilets: Oh, ci sono più ragioni. La gente si aspettava il nuovo Assassin’s Creed. È orribile. In qualche modo è orribile. Ma io ho fatto Assassin’s Creed. È fatto,è finito. Mi sono spostato altrove. Personalmente, non trovo interessante fare un altro gioco di Assassin’s Creed. Ne ho fatti tre. Ancestors è unico e ne vado fiero. Quando funziona, funziona per le persone, con altre non funziona. E va bene così. Però c’è qualche cosa e mi piacerebbe tornarci e rivederla.

Ilvideogiocatore.it: Ad esempio cosa?

Patrice Désilets: Siamo stati duri. L’inizio del gioco è piuttosto difficile. Mi piacerebbe apportare cambiamenti o aggiunte. Una modalità facile, ho alcune idee ma non voglio spoilerale. Ma allo stesso tempo, quel gioco è quello che è. E se adatta all’argomento. È un gioco sulla sopravvivenza, non è un gioco di sopravvivenza. Capisci cosa intendo? In un gioco sulla sopravvivenza, non posso aiutarti a sopravvivere, o sarebbe controproducente. Devi trovare il modo di sopravvivere, quindi è per questo che il gioco non ti aiuta. Tutto il necessario è già qui.