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The Textorcist: esorcizzare scrivendo – Videogiochi Italiani

The Textorcist: the story of Ray Bibbia è un gioco difficile da raccontare a parole. Ed è buffo, considerando come le parole siano proprio il fulcro del gameplay.
Si tratta, infatti, di una di quei giochi che è necessario provare con mano riuscire a catturarne l’essenza.

L’esperienza del team MorbidWare si presenta come una suggestiva fusione di generi ed esperienze: un bullet-hell, una boss-rush ed un corso avanzato di dattilografia.

Se già nelle premesse il gioco, partorito dalla mente di Diego Sacchetti, può apparire anticonvenzionale, le peculiarità non si limitano al puro gameplay. Caratteristiche principali del gioco sono personaggi irriverenti e grotteschi, una suggestiva ambientazione da B-Movie e una trama apertamente ironica e leggera.

Contesto

The Textorcist nasce da una demo del 2016 sviluppata per l’occasione della Global Game Jam. Con Diego Sacchetti nelle vesti di Lead Designer, in collaborazione con Daniele Ricci alla programmazione ed GosT per le musiche. La demo, dal titolo: Ray Bibbia: The exorcism of Lorem Ipsum è ancora oggi giocabile gratuitamente. Chiunque sia indeciso sull’acquisto del titolo può provarlo e decidere se il gioco rientri o meno nei propri gusti personali.

Il progetto riceve immediatamente feedback positivo da parte dell’utenza, nonostante la spiccata difficoltà generale dell’esperienza. Questo convince il team a dedicarsi alla realizzazione di un gioco completo, partendo dalle medesime premesse. Esce così nel 2019 The Textorcist, videogame dall’indubbio sapore da B-Movie, condito con uno spiccato senso dell’umorismo e dal gameplay stralunato ma appassionante.

Ray Bibbia è un esorcista privato, con valori tutt’altro che tipicamente cristiani: mostra infatti una malsana passione per l’alcol e per le prostitute. Dopo l’esorcismo di una ragazza, veniamo a catapultati nel bel mezzo di un concerto metal. Qui dopo aver esorcizzato il band-leader, veniamo a conoscenza di disonesti retroscena del Vaticano, la massima istituzione religiosa e politica nel mondo ideato da Diego. Sarà nostro compito controllare la fondatezza di queste accuse ed -eventualmente- fare giustizia.

Come da tradizione, il burrascoso prete si troverà ben presto coinvolto in questioni ben più grandi di lui, che lo coinvolgeranno personalmente. Questo va ad aumentare la partecipazione emotiva del giocatore e farlo sentire più coinvolto in una storia che, altrimenti, sarebbe troppo generica.

Il protagonista, già di per sé originale, è inserito in un contesto altrettanto creativo: una Roma distopica, popolata da malviventi, criminali e satanassi di varia natura. Come è facile immaginare, né la trama né l’ambientazione sono (né vogliono essere) i veri protagonisti dell’esperienza. Il centro del gioco è invece costituito principalmente dalle varie bossfight disseminate per tutta l’avventura.

Il gioco

Come già accennato poco sopra, The textorcist è un’insolita commistione di generi ed esperienze. Il modo più efficace per descriverlo è un mix fra un bullet-hell, una boss-rush e un corso intensivo di coordinazione occhio-mani e di dattilografia.

Sì, dattilografia. Perché per poter esorcizzare i demoni che affronteremo, non basterà schivare i proiettili con le freccette. Sarà invece necessario digitare sulla tastiera le preghiere (più spesso che no in latino) atte a espellere ed esiliare il demonio in questione.

La premessa può già di per sé dare idea di un gameplay complesso, spaventando i giocatori meno avvezzi alla sfida. Tuttavia, The Textorcist sorprendentemente riesce ad essere ancora più severo e difficile di quanto non si possa immaginare dall’incipit!

Venire colpiti una volta da un proiettile fa solo sfuggire di mano il testo sacro al prete ubriacone, costringendoci a recuperare il libro il prima possibile. Sia perché il testo è necessario per poter proseguire nella preghiera, sia per evitare di perdere una preziosa vita. Se infatti il giocatore viene colpito nuovamente senza avere le sacre scritture in pugno, perde definitivamente una delle vite. Come se non bastasse, dopo ogni colpo il giocatore deve ricominciare il sermone da capo.

Bisogna prestare massima attenzione anche nella digitazione delle singole lettere. Scrivere la lettera sbagliata, infatti, fa retrocedere di una lettera nella digitazione della parola complessiva.

Un gameplay arduo e complesso, sì, ma comunque sempre appagante, poiché i miglioramenti del giocatore sono evidenti ad ogni partita. Tuttavia ogni giocatore desidererà presto avere un altro arto, così da potersi muovere più agevolmente nella tastiera.

Contrariamente da quanto ci si potrebbe immaginare, The Textorcist è perfettamente compatibile col controller ed è disponibile anche sulle console di casa Sony, Nintendo e Microsoft. Tuttavia, mi sento di consigliare di provare il titolo su PC, in quanto giocarlo con tastiera mi sembra più efficace per trasmettere la sfida e in generale a rendere le meccaniche di gioco più coese con l’esperienza utente.

Conclusioni

Morbidware è un team innegabilmente giovane, e The Texorcist rappresenta il loro primo gioco completo.

Nonostante le origini italiche di Diego, il gioco non è disponibile in italiano. Questo è dovuto ad una evidente questione di marketing e costi, visto il pubblico relativamente di nicchia del genere di riferimento. Inoltre vi sono altrettante ovvie questioni di sviluppo. Se nel gioco scrivere è la meccanica principale, tradurre in diverse lingue avrebbe comportato rifare quasi per intero determinati scontri.

The Textorcist è un’ottima idea che trova compimento in una pregevole realizzazione, sia dal punto di vista tecnico, con un’esperienza complessiva praticamente libera da bug compromettenti, e un’interfaccia chiara e sempre leggibile, che consente di non perdere mai di vista il nostro Ray anche in mezzo a una miriade di proiettili. Anche dal punto di vista strutturale il gioco non delude, grazie ad una difficoltà crescente, senza ostacoli insormontabili, e ad una trama leggera ed accattivante, che riesce ad incuriosire al punto giusto, senza per questo risultare invadente.

The textorcist è un avventura unica nel suo genere. Nato da una demo, trova la sua identità fra una comicità irriverente, capace ampiamente di parlare a un pubblico italiano, e un gameplay difficile ma appagante, capace di appagare i videogiocatori più ostinati, regalando però attimi di soddisfazione a chi non è in cerca di una sfida, ma si limita a navigarlo più in superficie. Altamente consigliato.

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Gaming in Italia: chi sono i videogiocatori italiani (2023)

Anche nel 2023 – come ormai facciamo da qualche anno – ricostruiamo il profilo dei videogiocatori italiani e dell’industria del gaming in Italia; per farlo commentiamo il rapporto annuale redatto da IIDEA, associazione di categoria dell’industria dei videogiochi, riferito al 2022.

Le fonti dati del rapporto sono tre: Games Sales Data (GSD), Game Track e App Annie. Le prime due sono progetti in mano all’ISFE (Interactive Software Federation of Europe), mentre App Annie viene definito come: «il punto di riferimento internazionale per i dati di mercato delle applicazioni per dispositivi mobili».

Chi sono i videogiocatori italiani

I gamer italiani sono 14,2 milioni, in calo rispetto ai 15,5 milioni dell’anno precedente. Il 58% del totale è di sesso maschile, quindi il 42% è una donna. Se paragonato con gli anni precendenti, il numero di donne che giocano ai videogiochi è diminuito del 2% in un anno e del 5% rispetto a tre anni fa.

L’età del gamer italiano è polarizzata su due fasce principali: 45-64 anni (24,6% del totale) e 15-24 anni (24% del totale). Queste due categorie d’età si sono ulteriormente rafforzate rispetto all’anno precedente, anche se di pochi decimi. Seguono ben distanziate le fasce 25-34 anni (15,4%) e 35-44 (12,7%). I più piccoli – divisi in due categorie 6-11 e 11-14 anni – costituiscono invece il 22,8% dei videogiocatori del Bel Paese.

Il dispositivo più usato per videogiocare è lo smartphone; infatti, il mobile gaming ingloba il 69,7% dei gamer italiani. Seguono le console con il 45,8%. Fanalino di coda il PC gaming con il 38%. Il pubblico femminile è invece in controtendenza: il 47,5% gioca su mobile, in netto calo rispetto al valore totale; il 37% videogioca su PC; il 35,4% invece preferisce le console.

Un grande passo rispetto agli anni precedenti invece è da ritrovare sul rapporto IIDEA che ha finalmente preso dati provenienti da un campione di gran lunga più valido rispetto al passato; infatti, lo scorso anno il campione di riferimento era composto da un 65% di gamer che “non giocavano mai” e solo il 27% giocava settimanalmente. I dati di quest’anno invece tengono conto di gamer che accendono il loro dispositivo almeno un’ora alla settimana (il 69,7% degli intervistati); il 19,7% gioca almeno volta al mese; il 10,6% almeno una volta all’anno.

Il tempo medio di gioco è comunque in discesa: la media settimanale è pari a 7,52 ore, valori molto simili al periodo pre-covid.

Un mercato in lieve calo

L’anno di riferimento del report, il 2022, ha risentito della crisi dei semiconduttori e ha registrato un importante calo dovuto probabilmente anche alla progressiva diminuzione del lockdown mondiale. In altre parole, il mercato videoludico ha generato un giro d’affari pari a 2.200 milioni di euro, un calo del -1,2%, che ci fa intuire che il mercato sia sempre meno drogato dalle condizioni straordinarie degli ultimi anni.

A differenza della frequenza di gioco, che come abbiamo visto è tornata ai livelli pre-covid, il denaro che circola nel gaming italiano è di gran lunga maggiore rispetto al 2019 ed è anzi superiore a quello del 2020, anno del grande boom del settore videoludico.

Infine, bisogna notare come le microtransazioni generino praticamente gli stessi guadagni (758 milioni di euro) del mercato digitale di console e PC messi insieme (752 milioni di euro). Per fortuna, le opere più complesse disponibili per PC e console generano ancora maggior profitto poiché bisogna sommare i 281 milioni del mercato fisico, in rialzo del 5,2%.

I videogiochi più venduti

I giochi più venduti in Italia nel 2022 sono: FIFA 23, Call of Duty Modern Warfare 2 e FIFA 22. Lo scorso anno ci stupivamo del grande tonfo di CoD, che aveva avuto vendite modeste con Vanguard, ma tutto è tornato perfettamente alla normalità quest’anno. Personalmente rimaniamo sempre stupiti di come GTA 5 riesca a rimanere così in alto nelle vendite dopo così tanti anni, superando agilmente anche Elden Ring, God of War Ragnarok, Leggende Pokémon: Arceus e Gran Turismo 7.

Conclusione

Quest’anno il report di IIDEA ha fornito dei dati maggiormente significatvi rispetto al passato poiché la maggior parte degli intervistati videogioca settimanalmente, ma il risultato è il medesimo.

Il videogiocatore italiano è quasi equamente diviso tra uomini e donne. I gamer italiani sono polarizzati su due fasce d’età abbastanza diverse ( anche se un po’ tutti gli over 14 videogiocano): 15-24 e 45-64 anni e preferiscono giocare sul proprio smartphone a tre generi ben precisi (sia le donne che gli uomini): rompicapo/puzzle; trivia/cultura generale e giochi di ruolo; nello specifico, il console gamer italiano è solitamente un uomo e preferisce tre generi, in ordine: sport, corse e action adventure.

Nonostante ci faccia enorme piacere vedere giochi impegnati per difficoltà e narrativa nei primi dieci posti (Elden Ring e God of War Ragnarok su tutti), ovviamente non possiamo che prendere atto che gli stessi videogiochi sono sempre nei primi tre posti da praticamente sempre, cioè FIFA e Call of Duty.

Un monito infine va alle case di produzione e ai rispettivi reparti marketing: seguendo quotidianamente il settore videoludico, non possiamo che constare che vi state dimenticando di due importanti categorie, ben rappresentate in Italia, cioè le donne e gli over 45. Ormai da anni, queste due categorie sono radicate nel settore videoludico, ma praticamente tutto il settore mainstream pensa soltanto allo stereotipo del maschio adoloscente, dimenticandosi che i videogame abbracciono praticamente l’intera demografia italiana.

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Critica su cosa il giornalismo videoludico vorrebbe, ma non può essere

Il 2022 delle fiere videoludiche si è concluso con la Milan Games Week & Cartoomics. C’ero anche io tra i 105mila appassionati che hanno popolato i padiglioni di Fiera Milano Rho e, tra le altre cose, ho felicemente speso del tempo con alcuni giornalisti videoludici più famosi di me: abbiamo riflettuto insieme su cosa sia l’informazione videoludica in Italia, cosa vorrebbe essere ma difficilmente potrà diventare nel breve periodo.

L’evento al padiglione 16 della Milan Games Week: “L’origine del giornalismo videoludico” tenuto dagli ex-autori di Everyeye, Francesco Fossetti e Marco Mottura è stata la miccia che ha innescato una vivace conversazione tra giornalisti, influencer e creator del panorama videoludico. Come avviene spesso in questi casi, il Q&A è stato il momento di maggior interesse dove in tanti hanno espresso i propri dubbi sull’informazione videoludica e la sua sostenibilità. Durante la sessione di domande e le conseguenti risposte di Francesco e Marco, tre sono stati i temi che voglio approfondire in queste righe: il focus dei grandi siti sul creare contenuti velocemente, anche e soprattutto a discapito della qualità; la sostenibilità di un approccio più lento; la velocità del settore dei videogiochi.

Il mondo dell’informazione è cambiato e di conseguenza anche i propri professionisti si sono dovuti evolvere; un discorso che vale per tutto il mondo del giornalismo, ma che trova terreno fertile in un contesto ancora immaturo come quello videoludico. Gli appassionati sono bombardati da nuovi contenuti perché ogni clic ha un valore monetario.

Una bulimia informativa che fa vivere – e in certi casi sopravvivere – i grandi a discapito di tutto quello che li circonda: la qualità dell’informazione non può che peggiorare; chi scrive ha sempre meno tempo ed è sempre meno pagato; i piccoli siti di approfondimento – come il IlVideogiocatore – non possono emergere perché il sistema predilige la quantità. Idee che ho sempre sostenuto, ma che mi sono state finalmente confermate: Francesco Fossetti ha sottolineato come il sistema pubblicitario dei grandi dell’editoria non è più sostenibile, mentre Marco Mottura ha ricordato quanto i newser siano mal pagati.

A questo aggiungo che la velocità d’esecuzione – un pregio per i pro player, ma un contro per i giornalisti – è un problema che può diventare orribile quando – come troppo spesso avviene – sacrifica il fact-checking. Quante volte vi è capitato di vedere notizie: aggiornate, con un cambio di significato; cancellate; o addirittura smentite dagli utenti nei commenti?

Il giornalismo videoludico è troppo veloce

La soluzione più semplice allora è tornare al passato: le slow news come li ha definiti un creator durante l’evento. Chi segue il blog da un po’ di tempo, sa che per me l’approccio lento è l’unico che permette veramente di approfondire il settore per come merita, perché un videogioco – così come un libro o un film – deve essere gustato, digerito e solo dopo è possibile eleborare un pensiero critico. Noi de IlVideogiocatore lo facciamo, nel nostro piccolo, da qualche anno ormai; Francesco Fossetti e Marco Mottura hanno lanciato il loro enorme progetto, FinalRound, per fare la medesima cosa coinvolgendo i più autorevoli giornalisti e creator videoludici italiani.

Quando ho visto FinalRound ho vissuto una dicotomia di emozioni: da un lato c’è un nuovo enorme competitor che diminuirà la nostra possibilità di crescere; dall’altro però ho pensato che potevo imparare come rendere sostenibile il mio progetto che oggi si basa solo sulla passione, e lo sforzo, dei miei stupendi compagni di viaggio. Purtroppo, Francesco mi ha dato la peggiore delle notizie affermando che ogni scrittore di FinalRound è mosso solo dalla passione e che gli introiti sono esterni al progetto. Sono certo che Fossetti e Mottura troveranno un modo per guadagnare dal proprio sito, ma mi chiedo: come può il giornalismo videoludico di qualità essere mosso solo dalla passione?

L’approfondimento nel giornalismo videoludico è ancora allo stato embrionale, ma il mercato dei videogiochi fattura miliardi di euro e noi scrittori possiamo fare ancora poco per proteggerlo, perché i nostri sforzi di dare credibilità al medium sono costantemente bombardati da eventi esterni – detrattori come politici e sedicenti intellettuali – ma anche dall’interno con scritture povere e più concentrate al gossip, che all’opera artistica che si trovano davanti.

Giornalismo videoludico: a volte basta solo rallentare

Infine, la terza e ultima questione che voglio sollevare è la quantità di videogiochi che ogni giorno sono disponibili sul mercato. Il tempo a disposizione per il tak-show era breve, ma sono certo che Fossetti voleva parlarne ampiemente dato che più volte ha ripetuto il concetto; e mi trova d’accordo: c’è troppo materiale, non è possibile valutarlo tutto e questo ci rende giornalisti incompleti, soprattutto quando la volontà è quella di creare contenuti di qualità, che richiedono tanto tanto tempo.

Anche un contenuto apparentemente semplice come la mia classifica dei giochi migliori è ormai un’impresa: ci sono centinaia di videogiochi che vorrei provare e sento di doverne giocare ancora troppi prima di poter dire che quel videogame è effettivamente il meglio che ci sia; semplicemente non posso testarli tutti. Da un lato mi confortano le parole di Umberto Eco che alla domanda se avesse letto tutti i libri che aveva nella sua libreria rispose spiegando come non è importante leggere tutte le opere, ma sapere dove trovare le risposte quando se ne ha la necessità. Sicuramente una risposta sagace, ma che non fa nulla per migliorare il senso di incompletezza che sento quando non posso giocarli veramente tutti.

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Play Festival del Gioco 2022: la mia fiera preferita

Il lockdown da Covid-19 ha fatto riflettere l’intera industria videoludica sulla bontà delle fiere. Diversi colleghi del settore si sono detti favorevoli nella cancellazione delle fiere “fisiche” a favore degli eventi digitali, di fatto preannunciando la cancellazione dell’E3 2022.

La mia posizione in merito è diametralmente opposta, ma conferma le analisi di alcuni giornalisti di settore: le fiere dei videogiochi sono indietro anni luce da quelle dei giochi da tavolo come Play Festival del Gioco 2022 di Modena; così tanto, che un appassionato di videogiochi come me, ritiene che il Play 2022 sia stata la miglior fiera di settore a cui abbia mai partecipato.

Il Play 2021 mi aveva dato ottime sensazioni, che avevo minimizzato perché la fiera ospitava molte meno persone del solito a causa della condizione sanitaria mondiale; infatti, una fiera con un numero limitato di espositori rende tutto molto più vivibile, e in generale, più piacevole. Però mi sbagliavo in merito a questa fiera; Play 2022 ha avuto 40mila presenze in fiera: un aumento del 70% rispetto all’edizione dello scorso anno, è stata ancora più divertente dell’edizione precedente, e adesso vi racconto la nostra giornata a ModenaFiere.

Fiera Play Festival Del Gioco 2022

Il mattino ha l’oro in bocca

Sabato 21 maggio – Bologna, ore 8:01. L’orario previsto per farmi trovare sotto casa di Alessio è appena passato; io sono ancora in casa a preparare l’occorrente per il breve viaggio, mentre mi districo tra messaggi di scuse, macchina fotografica e panini al salame.

Con un onesto quarto d’ora di ritardo, già preventivato dalla povera vittima, carico Alessio in macchina e recuperiamo anche Sebastiano sotto casa sua. Sono le 8:40, siamo ampiamente in ritardo, ma millanto puntualità e li convinco a fermarsi per la colazione. Tra goliardia e sprazzi di lucida organizzazione, arriviamo in fiera alle 9:30. Siamo dentro circa dieci minuti dopo.

Capire la fiera

La nostra routine fieristica è ormai consolidata. La mattina si capisce la fiera. Giriamo velocemente tutti i padiglioni e capiamo subito che questa volta sarà diverso da quanto visto l’anno passato. I padiglioni sono sempre gli stessi, ma il numero di espositori è largamente maggiore. Il totale è 150.

I grandi classici sono sempre presenti nel padiglione A: La Tana del Goblin, Asmodee e Giochi Uniti; ci torneremo nel pomeriggio per provare qualche gioco da tavolo così da riposarci con del sano divertimento. Subito accanto ci sono i giochi di ruolo: il nostro cuore pulsa, ma finiremmo per non lavorare e quest’anno ci sono tante persone con cui parlare e tante cose da scoprire.

Il padiglione B è una continuazione del precedente, ma sostituisce i GDR con i miniature games, dove Warhammer fa la voce grossa. Il padiglione D, lo scorso anno dedicato ai librogame, al Play 2022 è l’area dell’affascinante BG Storico. Infine, c’è il padiglione C, che contiene uno dei miei più grandi amori: i card games.

Un lavoro da libro-giocare

Siamo persone dai grandi valori: prima di tutto amici e lavoro. L’ultimo anno abbiamo coniugato tutto in un’unica parola: librogame. Abbiamo incontrato tantissimi addetti ai lavori che ci hanno concesso belle parole e sensazioni positive sulla fiera; in particolare, con enorme piacere incontriamo il pluripremiato Andrea Tupac Mollica, che abbiamo intervistato qualche mese fa. Suoi sono due nuovi librogame presenti al Play 2022: The Conan Gamebook (Sergi, Orsini, Costantini e Trenti – Editore: Officina Meningi) e Il Tesoro di Re Salomone (Watson Edizioni). In realtà, buona parte degli espositori hanno un pezzo di Mollica al suo interno, anche quello di Aristea con il loro nuovo gioco di ruolo fantasy esoteric, Rayn.

Il tour tra i librogame passa ovviamente tra Raven e Acheron Books, in cui tra gli altri incontriamo anche il nostro ultimo intervistato, Mauro Longo. Raven ha presentato quattro nuovi libro-gioco: I Bucanieri Shadaki di Joe Dever, La Ricorrenza di Jen D.Pine, Biblioquest: Il Libro dei Libri di Anna Aglietti e il Regno Dell’Ombra di Ian e Clive Bailey. D’altro canto, Acheron Books ci delizia sempre per i suoi fantastici titoli; l’ultimo arrivato è Sette Eoni in Tibet di Antonio Costantini.

Pomeriggio tra ricerca e conoscenze

Abbiamo finito fiato e parole, ma siamo appena a metà della giornata. I panini preparati questa mattina ricevono finalmente il giusto tributo. In questo momento di pausa, riordiniamo le idee e, solo adesso, ci accorgiamo che il primo piano ospita tornei e competizioni da tavolo. Finita la pausa, è il primo posto che visitiamo, ma il tempo vola e c’è qualcosa di speciale che ci attende.

Shakespeare in Love

Nella legenda della vasta mappa del Play 2022, c’è un nome che mi attira: videogames. Guardo più volte, ma non trovo nulla. Alla fine, i miei compagni di viaggio mi vengono in soccorso: B34B, il numero dell’espositore.

Ci troviamo di fronte a un cabinato con un’enorme scritta in pixel art: Shakespeare Showdown. Scopriamo che il titolo è prodotto da loro, attori di una compagnia teatrale con il supporto dello studio di sviluppo Jarsick. La compagnia, come tutto il settore artistico, ha sofferto il lockdown e ha cercato nel videogioco un rifugio per entrare in contatto con il pubblico.

Il risultato è Shakespeare Showdown, un videogioco 2D ambientato nel multiverso shakesperiano che propone cinematiche realizzate da attori in carne ed ossa digitalmente processati in pixel-art. La demo provata è migliorabile nel gameplay, ma il connubio tra veri attori e arte digitale è romantico. Sarà colpa di Romeo o di Giulietta, di Mercuzio o di Macbeth, ma non vediamo l’ora di poter provare la versione definitiva del gioco.

Il giusto epilogo

Manca solo un ultimo passo per completare la nostra consolidata routine. Abbiamo visitato l’intera fiera, fermandoci a chiacchierare con chiunque: dai retailer ai più importanti scrittori e produttori di librogame italiani. Abbiamo provato un affascinante videogioco indie italiano e guardato il competitivo nostrano in azione. Tutto questo tra lavoro e divertimento, perché al Play 2022 ognuno ha qualcosa da dire e l’organizzazione ci ha permesso di confrontarci con chiunque godendo, e non soffrendo, l’elevato numero di persone presenti in fiera.

Soddisfatti, portiamo a termine la nostra ultima missione: provare, e far provare, quei titoli che stuzzicano la nostra mente. Tra una partita a Star Realms, un Bang! con un gruppo di simpatici ragazzi conosciuti al tavolo e un impegnativo Dune: Imperium, il tempo è già finito. É il momento di rimetterci in auto, ma ora abbiamo una consapevolezza in più: gli eventi videoludici hanno tanto da imparare dai giochi da tavolo e dalla mia fiera, il Play Festival del Gioco 2022.

L’arretratezza videoludica

Le fiere videoludiche non riescono a creare la naturale interazione che si denota negli altri eventi di settore. Questa difficoltà è contemporaneamente causa e conseguenza della mancanza, in Italia, di una vera fiera del videogioco.

Eventi come Lucca Comics & Games, Romics e Napoli Comicon sono fiere che trattano vari argomenti e solitamente quello meno approfondito è proprio il videogioco, come confermato anche dalla nostra visita al Be Comics 2022 di Padova.

Anche per questo motivo, il Milan Games Week era la fiera di riferimento per il videogame in Italia, almeno fino a quando, come lo scorso anno, non hanno deciso di fonderla con il Cartoomics, riducendo lo spazio per l’intrattenimento digitale.

La scelta di non avere una fiera che parli solo di videogiochi è un allarme importante per un’industria in larga espansione, ma è giustificata dalla realtà dei fatti. Gli eventi videoludici italiani permettono di godere degli stessi intrattenimenti dei giochi da tavolo: parlare con gli sviluppatori, provare nuovi giochi, guardare la scena competitiva e ascoltare la parola degli esperti del settore. Purtroppo, ad eccezione dei dialoghi con gli addetti ai lavori, nel contesto del videogioco, tutte queste attività sono passive, poco coinvolgenti e soprattutto solitarie.

Provare un gioco da tavolo implica: qualcuno che ti spieghi l’opera; la condivisione con amici o addirittura con appassionati che stai conoscendo in quel momento. La maggior parte dei videogiochi in fiera, invece sono attività single player, spesso addirittura demo che potresti tranquillamente scaricare sulla tua console tra le mura domestiche. Questa noiosa abitudine porta spesso gli spettatori della fiera a provare i giochi in multiplayer locale nello stesso modo di quelli per un singolo giocatore. Questo crea una dicotomia tra il divertimento di giocare Bang! tra appassionati sconosciuti e la disagiante solitudine di affrontarsi in Super Smash Bros. Ultimate durante una fiera.

A questo punto, molti potrebbero puntare il dito nei confronti della community videoludica, ma bisogna notare che coloro che giocano ai videogiochi in fiera sono spesso gli stessi che provano i giochi da tavolo nei medesimi eventi. La vera differenza è l’atteggiamento con cui un videogame è proposto in fiera rispetto a un GDT; provare un gioco da tavolo significa concentrarsi sulla plancia e mettere alla prova il titolo con l’aiuto degli avversari.

Il videogioco invece è solitamente presentato dagli addetti, a cui probabilmente vengono date errate motivazioni su quale debba essere lo scopo della loro presenza, come un terreno di guerra, in cui conta solo vincere; infatti, in questi eventi, videogaming significa vendere il prodotto e creare competizione tra gli appassionati. Ovviamente ci sono le dovute eccezioni, ma queste sono, per definizione, rari eventi notevolmente lontani dalla regola comune; e fino a quando non si capirà che i videogiocatori vogliono condividere il gioco che stanno provando, insieme e non contro qualcuno, sarà meglio non avere una fiera esclusivamente dedicata al videogame.

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Gaming in Italia 2022: chi sono i videogiocatori italiani

Come ormai da cinque anni, IIDEA ha riassunto i trend di consumo del gaming in Italia. A partire dai dati, ho ricostruito il profilo del gaming e dei videogiocatori italiani nel 2022.

Chi sono i gamer italiani nel 2022

Il 44% del gaming italiano è costituito da donne. Il dato è in leggero calo rispetto al 47% del report di due anni fa, ma permane il forte contrasto tra la realtà e lo stereotipo del videogiocatore nei giornali generalisti.

L’età di riferimento del gaming italiano è composto da due fasce nettamente diverse. Per gli uomini, le due fasce principali sono: 45-64 anni (13,2% del 56% degli uomini che giocano) e 15-24 anni (12% del 56% degli uomini che giocano); le videogiocatrici donne sono in maggioranze nelle fascia 15-24 anni (11,9%) e 45-64 (10,6%). Il dato indica che l’età delle donne che giocano è molto simile a quella degli uomini. L’unica differenza rilevante si nota nelle fasce 11-14 e 25-34 anni.

La vera differenza tra videogiocatori e videogiocatrici è sul device utilizzato. La maggior parte del gaming italiano è consumato su un smartphone (o tablet). 9 milioni di persone utilizzano lo smartphone per giocare: 4,8 milioni sono gli uomini e 4,2 le donne. PC e console invece si equiparano con 6,9 milioni di persone a testa; di questi, la suddivisione è pari al 60% per gli uomini e il 40% per le donne.

Per quanto riguarda l’annosa domanda su quanto siano casual i videogiocatori italiani, il dato è chiaro, e in peggioramento, rispetto a due anni fa: il 65% degli intervistati dice di non giocare mai (rispetto al 61% di due anni fa). I valori sono sostanzialmente stabili per chi gioca ogni settimana e corrisponde al 27% (26% nel rapporto uscito nel 2020).

Sorprendentemente, i PC gamer sono coloro che giocano meno ogni settimana con 4,4 ore in media; seguono i gamer mobile (smartphone) con 5,2 ore. I videogiocatori più assidui sono, invece, i console gamer con 8 ore settimanali.

Unendo i puntini, il videogiocatore italiano abbraccia entrambi i sessi e due fasce d’età molto distanti (15-24 e 45-64 anni). La maggior parte di loro sono casual gamer, che apprezzano i giochi mobile, ma che non disprezzano anche forme d’intrattenimento più corpose solitamente disponibili su console o PC.

Un mercato app dipendente

Il settore videoludico ha risentito particolarmente della crisi dei semiconduttori. Ancora oggi non è facile acquistare una console next-gen; le schede video più interessanti, invece hanno prezzi proibitivi o sono vendute tramite kilometriche liste d’attesa. Inoltre, molti videogiochi sono stati rinviati. Tutte cause che hanno generato una flessione nelle vendite del software per PC e console, in calo rispetto all’anno precedente.

Il mercato software totale ha generato, nel 2021, vendite per 1.800 milioni di euro: il 57% (in calo del 4,7%) corrisponde alla vendita dei giochi per console o PC, ormai acquistati per la maggior parte in forma digitale.

Un dato estremamente interessante è il forte rialzo (+8,7%) del settore delle app, che mi aspetto siano per la maggior parte microtransazioni. Questa forma di acquisto di contenuti videoludici genera introiti per 762 milioni di euro, il 42,3% del mercato totale.

I videogiochi più venduti

I giochi più acquistati dai videogiocatori italiani nel 2021 sono: FIFA 22, Grand Theft Auto V e FIFA 21. Nulla di nuovo nelle prime due posizioni; la grande novità è il tonfo della serie CoD. Call of Duty: Vanguard (che abbiamo recensito) è solamente ottavo, ma bisogna tenere conto della data d’uscita (5 novembre 2021).

Conclusione

Non possiamo definire un profilo preciso del videogiocatore italiano in termini di sesso ed età. Il gaming in Italia è molto variegato: uomini e donne si equivalgono numericamente; lo stesso vale per l’età: superati i 14 anni, un po’ tutti giocano ai videogame con un’interessante picco nella fascia degli over 45.

Purtroppo, il gaming italiano è ben lontano dalla mia concezione di videogioco come medium al pari di film, telefilm e libri; infatti, per quanto riguarda il mercato console e PC, cioè il 60% del totale, il videogiocatore italiano gioca principalmente a FIFA, GTA e CoD. Il restante 40% preferisce soprattutto i titoli mobile, che non hanno di certo la profondità narrativa che ricerco in un videogioco.

Questa analisi è confermata dalla casualità del videogiocatore italiano: il 65% degli intervistati non gioca praticamente mai. Anche i casual gamer, che hanno trainato il mercato nel 2021, sono dei videogiocatori e sono la maggior parte. Però, mi chiedo se il settore videoludico italiano, e in particolar modo il suo giornalismo, stia facendo abbastanza per far capire a queste donne e uomini quanto sia interessante e variopinto il mondo dei videogiochi; un medium che può dare molto di più, ma che nell’immaginario della penisola è ancora recluso nel videogame come forma d’intrattenimento fugace.

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Milan Games Week 2021: la fotografia del gaming italiano

Durante l’ultimo weekend, la Fiera Milano ha ospitato l’evento completamente dedicato ai videogiochi più importante d’Italia, la Milan Games Week. Dall’edizione del 2014, il festival è entrato nel circuito europeo insieme alle edizioni di Parigi, Madrid e Varsavia. Questo rende l’evento fieristico prestigioso e i videogiocatori italiani hanno risposto con grande entusiasmo; infatti, il sold out non è figlio dell’evento storico particolarmente delicato che stiamo vivendo con la pandemia da Covid-19, ma la necessità della comunità videoludica di rivedersi per condividere una passione.

L’evento ha previsto la comunione della fiera videoludica con il Cartoomics, ma ho passato la maggior parte del mio tempo ad assaporare il gaming italiano per comprenderne la sua evoluzione, dopo questo lungo periodo di pausa. Dalla Milan Games Week mi porto a casa tre peculiarità che contraddistinguono il settore videoludico, in particolare quello italiano: i match e tornei dell’eSport, l’indie dungeon e ovviamente le interviste e gli show di alcune delle personalità più influenti del settore.

Esport, il motore del gaming italiano

Sarà sufficiente guardare la classifica dei giochi più venduti fino a Natale per capire che i videogiocatori italiani amano la competizione. Come dimostrato dalle ricerche di IIDEA durante questi anni, FIFA 22 e Call of Duty: Vanguard saranno i titoli più apprezzati; il motivo di questa scelta risiede nella necessità di competizione del gamer, in particolare quello più giovane. A partire da questo, potrete facilmente intuire quanto abbia apprezzato, durante l’Intel Esport Show, in egual misura le prodezze degli eSporter e la passione del pubblico, che ha mostrato quanto i videogame uniscano lo sport e l’intrattenimento in un unico medium capace di dare enormi emozioni e soddisfazioni.

Non siamo ancora all’elevata mole di spettatori d’oltreoceano, ma la passione del pubblico è in netto aumento e la si può constatare solamente se si è presenti in eventi tematici come la Milan Games Week. Agli occhi dello spettatore italiano contemporaneo, una prodezza dalla durata di un istante di Pow3r equivale a dribbling secco di Chiesa o un ace di Berrettini. I freddi numeri lo dimostrano, ma soltanto presenziare a un evento dal vivo fa percepire l’intrattenimento sportivo degli eSport.

Indie Dungeon

Parlare con gli sviluppatori è il motivo per cui amo andare in fiera. Esattamente come già avvenuto al PLAY di Modena, ho dedicato la maggior parte del mio tempo al confronto con diversi sviluppatori e imprenditori italiani sul settore videoludico e la sua evoluzione. Da qui lo spunto che come Paese dobbiamo fare ancora tanto; banalmente perché le istituzioni non riescono a mantenere il passo dei nostri talenti, che si sono esaltati durante lo show meneghino.

I giochi mostrati all’Indie Dungeon erano dodici, di cui due hanno attirato la mia attenzione perché portano in Italia uno dei generi più apprezzati dagli amanti della scena indipendente: i metroidvania.

The Darkest Tales

Già noti per Bud Spencer & Terence Hill – Slaps And Beans, Trinity Team ha presentato The Darkest Tales; un metroidvania crudo, a tratti splatter che unisce l’acume del genere con la cultura italiana. La trama racconta di un orsacchiotto che entra nella mente della padroncina, verosimilmente malata, con l’obiettivo di difenderla dai suoi stessi incubi. Il risultato è un metroidvania scandito da una voce narrante, similmente a quanto già visto in Lost in Random, ma con la sagacia di alcuni dei personaggi italiani più amanti come Pinocchio, ma in salsa horror.

The Perfect Pencil

Un’altra faccia della medaglia è il metroidvania di Studio Cima, The Perfect Pencil. Il titolo prevede che il protagonista affronti un ambiente che rispecchia le sue paure. Tratto dal percorso personale del creatore, Stefano Rauzi, The Perfect Pencil può essere affrontato in due modi: come un classico gioco del suo genere, sfruttando quindi riflessi e colpo d’occhio tipici del gameplay di un metroidvania oppure usando l’abilità peculiare del protagonista; infatti, una volta riempita una parte della propria matita, potrà sfruttare la camera sul suo volto per scoprire importanti segreti del livello o della trama.

Inutile dire, che oltre al gioco, ci sono sempre le persone. Conoscerle in eventi come la Milan Games Week mi ha dato maggior empatia con la loro creazione, sensazione a volte difficile da provare con una demo su Steam, magari giocata in un momento di apatica noia. Le fiere servono a questo, ad aggiungere la quarta dimensione, dove il proprio tempo si unisce a quello degli sviluppatori, in uno scambio interessato di opinioni ed interessi.

Show Pokémon

Gli eventi disponibili tra il Main Stage e The Square hanno fatto passare il tempo velocemente e con estremo piacere mi sono accorto che il brand Pokémon è vivo e vegeto. Approfittando dell’imminente uscita di Pokémon Diamante Lucente e Perla Splendente, mi sono reso conto che avere trentuno anni e giocare ai Pokémon è qualcosa di assolutamente comune, come dimostrato da Francesco Pardini. Anzi, la bellezza dei Pokémon è che non esiste un’età definita per amare il franchise; infatti, ho conosciuto ragazzi e ragazze di tutte le generazioni, che amano un brand che ritenevo fosse interessante solamente per i giovani vecchi della mia età.

La Milan Games Week mi ha mostrato che mi sbagliavo. Il franchise Pokémon, nonostante i diversi errori di Game Freak negli anni, è ancora estremamente importante, anche grazie alla capacità di evolversi su più fronti. La minuzia del competitivo ha permesso agli eSporter di Pokémon Spada e Scudo di diventare delle figure di riferimento del panorama videoludico italiano, ma i mostriciattoli si prestano anche a veri e proprio talk show che sembrano destinati a trasformarsi in base al medium di riferimento, ma mai a morire.

Conclusione

La fotografia del Milan Games Week 2021 mostra la necessità dei videogiocatori di esprimere la propria passione oltre al gioco in sé. I videogiochi non possono essere più visti come un passatempo solitario, semplicemente perché si sono evoluti. La nostra soggettività ci dirà se in meglio o in peggio, ma l’evento di Milano è il manifesto ideale per far comprendere come il videogioco sia un medium che crea connessioni sociali, che diventa comunità in eventi dal vivo. Nulla di nuovo, ma rendersene conto dopo uno stop forzato, ha decisamente tutto un altro sapore.