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Discriminazioni e crunch: le brutte abitudini dell’industria dei videogiochi

Il settore videoludico torna a far parlar male di sé, dimostrandosi ancora una volta acerbo e indietro di almeno dieci anni rispetto gli altri big dell’intrattenimento. Almeno una volta all’anno siamo costretti a sentire di abusi nel posto di lavoro: discriminazione di genere o l’obbligo di lavorare ben oltre l’orario stabilito in sede di contratto vanno per la maggiore. Nonostante siano pratiche che purtroppo si manifestano in moltissimi luoghi di lavoro, riteniamo necessario parlarne anche per l’industria dei videogame, dove l’immaturità dei più importanti dirigenti del gaming sembra troppo simile a un adolescente duro d’orecchi.

Discriminazione di genere

La parità di genere è un tema molto presente nel dibattito sociale contemporaneo. L’inclusione è diventata una priorità, perché finalmente si è preso coscienza che la discriminazione nel luogo di lavoro esiste: guadagni impari tra uomini e donne, bullismo e molestie di vario genere, spesso sessuali. Combattere la discriminazione di genere è una lotta ovvia e dovuta ovunque, tranne per alcune delle più grandi, maschili e caucasiche aziende videoludiche.

La scorsa settimana Activision Blizzard è stata accusata dal California Department of Fair Employment and Housing (ente molto simile al nostro ispettorato nazionale del lavoro) per atteggiamenti volti a discriminare le impiegate di sesso femminile con molestie sessuali, paga inique e ritorsioni. L’agenzia di Stato ha impiegato due anni per le indagini prima di presentare accuse formali.

I più scettici potrebbero controbattere come queste pratiche siano presenti in tutti i settori: siamo d’accordo, ma ricordiamoci anche dell’impatto che hanno le molestie sessuali negli altri settori dell’intrattenimento e della cultura. Per intere settimane, all’interno di tutti i maggiori quotidiani mondiali, abbiamo sentito parlare del caso Harvey Weinstein. L’ex produttore cinematografico è stato accusato per la prima volta di molestie sessuali nell’ottobre 2017, ma la goccia è velocemente diventata un fiume in piena tanto che sette mesi dopo, il 25 maggio 2018, lo stesso Weinstein si è consegnato alle autorità. Uno scenario ad oggi assolutamente impensabile nell’immaturo settore videoludico.

Anzi, il caso Activision Blizzard è stato soltanto l’ultimo scandalo di un campanello d’allarme che suona ininterrottamente da anni. Esattamente un anno fa scoppiava (si fa per dire, dato che se ne è parlato per meno di una settimana) lo scandalo Ubisoft, costretta a rimuovere tre dirigenti (Serge Hascoët, Tommy François e Cécile Cornet) dopo un’inchiesta dei media francesi. Lo scorso hanno la presa di posizione del CEO dell’azienda francese è stata perentoria: Yves Guillemot si è scusato pubblicamente e ha indetto una serie di contromisure per evitare che fenomeni del genere si potessero mai più ripetere. Una decisione che non ha impressionato il sindacato francese Solidaires Informatique Jeu Vidéo, che sta raccogliendo interviste in forma anonima all’interno dell’azienda al fine di presentare una denuncia alla compagnia. Il sindacato infatti pensa che non si tratti di un abuso di potere di pochi dirigenti, ma di un vero e proprio sistema che lo stesso CEO di Ubisoft sembrava conoscere e insabbiare.

Yves Guillemot chiede scusa
Yves Guillemot si è scusato pubblicamente per l’ambiente tossico di Ubisoft.

Crunch

Il crunch è una pratica molto più subdola, perché troppo spesso fa proseliti tra chi la pratica o costringe a praticarla anche in altri settori, soprattutto quello giornalistico. Una buona percentuale di chi lavora è stato costretto almeno una volta nella propria vita ad allungare la propria permanenza in ufficio per rispettare le consegne. Di conseguenza, in pochi si scandalizzano quando si parla di crunch, nonostante sia stato scientificamente provato che causi problemi sia nei rapporti interpersonali che per lo stresso individuale.

Per questo, prima di giustificare tali comportamenti tossici, è importante pensare alla frequenza con cui siamo stati obbligati al crunch. Essere costretti a lavorare diverse ore in più al giorno per un paio di settimane è uno sforzo che indica un forte attaccamento all’azienda. Sacrificio che si condivide con i propri dirigenti, i primi a rimanere più a lungo di noi. Questo particolare crunch è tipico delle aziende giapponesi (dove l’abnegazione al lavoro ha portato enormi problemi sociali), come la stessa Nintendo. Basta vedere le condizioni fisiche di Masahiro Sakurai per capire di cosa stiamo parlando.

Quando però il crunch diventa prerogativa solamente degli sviluppatori e ogni singolo gioco prodotto diventa un’emergenza di Stato, tanto da richiedere lavoro extra per svariati mesi (anche se retribuito), allora c’è un enorme problema di fondo: il lavoratore è solo un ulteriore strumento di una politica azienda dove il fine giustifica i mezzi.

La pratica del crunch nel mondo dei videogiochi ha radici profonde: il primo scandalo risale a 17 anni fa, quando Erin Hoffman, sotto lo pseudonimo di EA Spouse, dichiarò che in Eletronic Arts si lavorava 85 ore a settimana, sette giorni su sette. Dal 2004 in poi poco è cambiato tra i grandi dell’industria, che sistematicamente adottano questa politica: Rockstar Games (Red Dead Redemption 2), CD Projekt (Cyberpunk 2077), Naughty Dog (The Last of Us 2) e Bethesda (Doom Eternal) sono solo una parte dei team coinvolti in questa pratica nel recentissimo periodo.

Iwinski Cyberpunk 2077
Gli sviluppatori di Cyberpunk 2077 hanno subito oltre un anno di crunch a causa di scelte dirigenziali più che discutibili.

Conclusione

Crunch e discriminazioni interessano tutti i settori lavorativi, ma rispetto ad altre realtà, l’industria videoludica è culturalmente arretrata. La connivenza dei dirigenti sta rimanendo impunita da troppo tempo e pratiche ampiamente considerate dalla società civile ingiuste, continuano a essere poco considerate quando si parla di videogiochi. Oggi è assolutamente impensabile che grandi testate giornalistiche possano dedicare lo stesso spazio del caso Weinstein ai continui danni perpetrati dalle aziende videoludiche, forse perché i primi a sminuire gli abusi sono i membri della community più appassionata: infatti, quando si parla di discriminazione di genere nel settore dei videogiochi, molto spesso i carnefici fanno parte della community più tossica.

Per fortuna, il medium sta vivendo una forte evoluzione, ma ha bisogno dello sforzo di tutti. Dagli Stati Uniti arriva la notizia che alcune testate giornalistiche hanno deciso di non fornire copertura ai giochi di Activision Blizzard, ma anche gli utenti possono avere un’importante voce in capitolo: prima di dare un’opinione superficiale sui social, pensiamo che quella persona che sta subendo una molestia sessuale potrebbe essere un nostro caro; prima di scrivere che anche i nostri genitori finivano tardi di lavorare e non avevano tempo per noi, pensiamo a quanto sarebbe stato bello invece che quel tempo lo avessero avuto. Pensare prima di scrivere significa essere maturi e deve essere la community a dimostrarsi tale, perché questo aggettivo è ancora troppo distante dai deludenti corridoi dei grandi dell’industria videoludica, e non si può più aspettare.

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E3 2021, il primo evento next-gen è troppo old-gen

L’E3 è tradizionalmente uno degli appuntamenti più attesi dai videogiocatori, nonché una delle occasioni per i publisher per mettere in mostra la loro (futura) line-up, sapendo di avere milioni di occhi puntati da tutto il mondo. Nel 2020, a causa dei problemi levati alla pandemia, l’E3 non si è potuto svolgere: nel giugno scorso eravamo ancora in piena emergenza, e realizzare un evento di presenza era fuori discussione prima del 2021. In compenso però c’è stata una vetrina online simil-E3, che ha comunque permesso alle compagnie di aggiornare i gamer sui propri titoli.

L’ultimo E3 “normale” è quello di due anni fa, quindi: venivano mostrati o annunciati Star Wars Jedi Fallen Order, Ori and the Will of the Wisps, Elden Ring, Fallout 76, Watch Dogs Legion, Gods and Monsters (che poi è diventato Immortals Fenyx Rising), Marvel’s Avengers o Ghostwire Tokyo, tanto per citarne alcuni. Era  l’anno in cui Keanu Reeves è salito sul palco a rendere noto il suo coinvolgimento in Cyberpunk 2077, ad annunciare la prima data d’uscita e a urlare “you’re breathtaking!”. Ed era anche l’estate in cui si pensava che Google con Stadia stesse quasi per rivoluzionare l’industria.

Ma allora Elden Ring non se l’erano scordato!

Dal 2019 al 2021: quanti titoli!

Molti dei prodotti di quel 2019 ormai sono usciti, ma ce ne sono molti di cui si sono un po’ perse le tracce, e fra questi, fino a una settimana fa, avremmo potuto citare anche Elden Ring. L’impossibilità di realizzare un E3 dal vivo, così come anche gli altri appuntamenti di questo genere, hanno comunque dato la spinta alla realizzazione di altri eventi, online, realizzati e gestiti nei modi, nei tempi e nei format direttamente dai publisher: le informazioni sono ugualmente circolate nel corso del 2020/2021. 

Poche settimane fa discutevamo dei dilemmi della next-gen: la scarsità di console per il bacino d’utenza attuale porta tutti i publisher a fare valutazioni e prendere decisioni delicate riguardo l’esclusività o il rinvio di alcuni prodotti. La domanda fondamentale che si fanno è: “facciamo uscire il titolo adesso, sapendo che lo potranno giocare in (relativamente) poche persone, leviamo alcune meccaniche e lo rendiamo cross-gen, o lo rimandiamo a quando ci saranno più console?”. Un quesito da (almeno) 1 miliardo di dollari, visto il settore in continua crescita. 

Per un E3 completamente immerso nella next-gen dovremo aspettare il 2022. Forse.

E3 2021: com’è andata?

A distanza di due anni, come possiamo definire l’E3 2021? A livello personale non mi ha entusiasmato molto, se non per qualche titolo (ma li posso contare sulle dita di una mano). Dopotutto possiamo ritenere possibile che quanto mostrato ora sia il frutto di mesi di lavoro passati in quarantena o in smartworking, un periodo in cui poteva essere difficile essere produttivi.

Dopo una pausa di due anni dell’E3 era lecito aspettarsi qualcosa di fenomenale, possibilmente su next-gen. Invece continua a mancare la “killer app”, quel videogioco capace di farci rompere ogni indugio per cercare e acquistare a tutti i costi una PlayStation 5 o una Xbox Series X|S. Finora ero convinto di aspettare la disponibilità in negozio (senza fare la fila online) o qualche bundle interessante, e niente di quanto visto pochi giorni fa mi ha fatto vacillare: continuerò ad attendere.

A distanza di mesi, è ancora la miglior esclusiva next-gen.

L’E3 2021 che avrei voluto

Non mi aspettavo di certo che gli annunci originariamente pianificati per il 2020 avrebbero subito un rinvio di 12 mesi, ma sicuramente al primo E3 post-next-gen avrei accolto con gioia una sorta di rivoluzione” improntata molto più su PlayStation 5 e Xbox Series X|S. Anche perché i videogiochi annunciati possono uscire anni dopo aver mostrato un trailer.

Sarà che forse avevo aspettative troppo alte, e che reputo l’E3 il palco più prestigioso per certi annunci, ma ho recepito in maniera un po’ sofferente i vari DLC o le nuove stagioni di prodotti già usciti, i remake e gli spin-off: probabilmente è una questione legata alla situazione in cui ci troviamo, che ha portato a un rallentamento dei lavori di sviluppo e la scarsità di console, e di conseguenza numero di giocatori che possono fruire dei nuovi videogiochi.

Sarà interessante capire le novità che ci saranno da qui a fine anno, anche per capire come sta andando la produzione e quali saranno le prime compagnie che romperanno gli indugi per produrre quei videogiochi che PlayStation 4 e Xbox One proprio non possono supportare.

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Nintendo Direct E3 2021: concretezza con una punta di amarcord

E così si è concluso il tanto atteso E3 2021, il più grande evento del mondo videoludico al mondo, e come di consueto è stata Nintendo ad occupare lo spot finale dello show. Le aspettative erano sicuramente alte, a ragione considerata la non proprio stellare comunicazione cui Nintendo ci ha abituati nell’ultimo periodo, e devo esser sincero, il Direct le ha in larga parte rispettate, sorprendendo con alcuni annunci.

A volte ritornano

In un E3 generalmente sottotono divenuto nei primi giorni soprattutto una vetrina per l’Xbox Game Pass e letteralmente invaso da orde di titoli co-op online, openworld e spesso GaaS per non farci mancare nulla, Nintendo punta nella direzione diametralmente opposta, spostando il focus su generi di nicchia e saghe a volte dormienti, come Metroid, ed a volte letteralmente dimenticate, da anni.

E così, dopo l’immancabile annuncio del nuovo combattente di Super Smash Bros. Ultimate, ovvero Kazuya Mishima, ed il timido accenno ad un Prime 4, ecco che arriva ciò che tutti aspettavamo da quando lasciammo Samus Aran in fuga dalla Federazione, all’incirca 19 anni fa. Metroid Dread, il seguito dell’ormai lontanissimo Metroid Fusion, viene finalmente annunciato, con tanto di gameplay showcase e data di lancio, ovvero 8/10/2021.

Un incontro ravvicinato con E.M.M.I. , il simpatico robot che ci braccherà

Sviluppato dal talentuoso team spagnolo Mercury Steam, già fautori dell’ottimo Metroid: Samus Returns per Nintendo 3DS, e diretto dal grande Yoshio Sakamoto, Dread si presenta subito come il capitolo che chiuderà l’arco narrativo iniziato nel lontano 1986, anno d’uscita del primissimo Metroid per NES. Insomma, un annuncio tanto sofferto quanto gradito a tutti i fan della Cacciatrice di taglie più famosa della galassia.

È poi il turno di Mario Party Superstars, il nuovo capitolo dell’ottimo party game con protagonista il celeberrimo idraulico, che propone 5 tabelloni ripresi dai 3 capitoli della saga prodotti per Nintendo 64, oltre 100 minigiochi e la possibilità di divertirsi sia in co-op locale con i propri amici o sfidare altri appassionati grazie alla funzione di matchmaking online. Anche in questo caso, la parola d’ordine è concretezza, e la data di rilascio è subito resa pubblica, ovvero 29/10/2021.

Nahobino, l’enigmatico protagonista di Shin Megami Tensei V

Altro grande protagonista del Direct è sicuramente Shin Megami Tensei V, il JRPG targato Atlus che venne annunciato nel lontano 2017, e che può finalmente mostrarsi con un bel trailer di gameplay ed una long session trasmessa durante il Treehouse. Toni seri, atmosfera cupa, direzione artistica di primissimo livello, il tutto unito ad un battlesystem che è già una garanzia ed un grado di sfida che sicuramente metterà in crisi più di un videogiocatore. E come di consueto, ecco a voi la data di rilascio, ovvero il 12/11/2021.

A questo punto Nintendo sorprende un po’ tutti, tirando fuori un nome che non si sentiva da tanto (troppo) tempo. Viene così presentato Advance Wars 1+2: Re-Boot Camp, remake di due capolavori senza tempo, gli strategici a turni Advance Wars ed Advance Wars: Black Hole Rising, titoli rilasciati per l’amatissimo Game Boy Advance rispettivamente nel 2001 e 2003. Qui c’è poco da dire, la serie Wars di Intelligent Systems è una garanzia di qualità, e per l’occasione il team nipponico collabora con WayForward, il talentuoso team dietro la saga di Shantae. Insomma, potremo tornare a comandare le truppe di Orange Star a partire dal 3/12/2021.

Il remake dei primi due Advance Wars è stata una piacevolissima sorpresa

E poi arriva lui, il titolo più atteso dell’intero E3 probabilmente. Parliamo ovviamente del sequel di Breath of the Wild. Lo chiamiamo “sequel” poiché, curiosamente, Nintendo ha deciso di non rivelare il nome definitivo del progetto, che con tutta probabilità andrebbe a dare forse qualche informazione di troppo ai fan. Il trailer è breve, molto breve, eppure in quel piccolo lasso si intravede una piccola parte di ciò che il nuovo TLoZ sarà ed apre a mille possibilità, tant’è che la fandom sta già ampliamente speculando su quello che, in fin dei conti, è un minuto scarso di trailer in cui Nintendo ci ha voluto dare giusto un piccolo assaggio. Poi il trailer finisce ed arriva la mazzata. Un generico 2022, che probabilmente si tradurrà in un “holiday 2022”.

Guardando solamente questo screenshot potremmo speculare per ore

La Strega di Umbra risulta invece essere non pervenuta, e dall’annuncio di Bayonetta 3 sono ormai trascorsi 4 anni, 4 anni in cui non è stato mostrato letteralmente nulla. Il maestro Hideki Kamiya continua a rassicurare i fan, seppur con i suoi “particolari” modi, ribadendo che la Strega è viva e vegeta e gode di ottima salute, e nel frattempo il mistero si infittisce.

In definitiva Nintendo si presenta con un ottimo Direct; ritmo serrato, tanti annunci interessanti, focus solo ed unicamente sui giochi e soprattutto date di lancio. Si sente l’ennesima mancanza di Bayonetta 3 e la realizzazione che BotW 2 è più lontano di quanto si sperasse fa male, ma mi ritengo pienamente soddisfatto di ciò che è stato mostrato.

Un Direct per trentenni(e non solo)

Il titolo del paragrafo è volutamente provocatorio, ma non credo si discosti poi tanto dalla realtà delle cose. Con questo Direct Nintendo si rivolge principalmente al pubblico più “maturo”, o per meglio dire, anagraficamente maturo. Puntare su di un titolo singleplayer, metroidvania (che per forza di cose non può raggiungere longevità folli), 2.5d, di una saga che non vede nuovi capitoli da quasi 2 decenni è una mossa che nel mercato videoludico attuale è, per utilizzare un eufemismo, anomala, soprattutto quando la competizione è composta in larga parte da battle royale, co-op online, GaaS ed openworld spesso anche troppo longevi, ma generalmente molto apprezzati.

Il secondo piatto forte, Shin Megami Tensei V, è un JRPG duro e puro, con sistema di combattimento a turni, cupo, dallo stile peculiare, complesso e con tutta probabilità non proprio semplice da portare a termine; insomma, non un titolo per tutti. Anch’esso appartiene ad una saga che non vede un nuovo capitolo principale da 8 anni.

Ed ancora, la riproposizione dei primi due capitoli di Advance Wars, di cui, personalmente, mai mi sarei aspettato una riproposizione con quasi vent’anni sul groppone. Chiunque si sarebbe aspettato un remake/remaster della celebre saga Fire Emblem, molto più semplice da vendere nonostante il genere d’appartenenza di nichia.

Certo, non sono mancati annunci più “moderni”, come Mario Party Superstars, o il bramatissimo trailer di Breath of the Wild “2”, ma sono sicuro che questo Direct abbia fatto la felicità di tantissimi (me compreso) fan di vecchia data; ragazzi ormai cresciuti e nel pieno dei loro “-enta”, non proprio la demografica che viene spesso, ed erroneamente a mio parere, attribuita all’utenza principale Nintendo.

Ma questo non vuol dire che questi titoli sono rivolti solo ed unicamente a vecchietti come il sottoscritto, tutt’altro, vedo la riproposizione di vecchie glorie in salsa moderna (pur mantenendo intatta l’essenza) come un’opportunità per tutti, anche i più giovani, di approcciarsi a delle saghe che hanno fatto la storia del videogioco, scoprendo magari che un metroidvania 2.5d può regalare le stesse emozioni di un openworld da 150 ore, ed a volte anche più intense.

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E3 2021, la strategia coloniale di Xbox e le contromisure nipponiche

Dopo l’acquisizione di ZeniMax Media da parte di Microsoft, il settore videoludico sta attraverso un periodo di colonialismo in cui i colossi dell’industria stanno intensificando le acquisizione e le collaborazioni con i publisher third-party. L’E3 di Xbox è stata la risposta all’alleanza nipponica del 2021 tra PlayStation e Capcom con Resident Evil Village, ma le schermaglie sembrano solamente appena iniziate.

L’acquisizione statunitense

Ad oggi, Xbox Game Studios contiene 15 studi di sviluppo e la recente acquisizione di Id SoftwareBethesda Softworks e Arkane Studios ha causato un profondo terremoto nel settore. Per questo, da settembre 2020, Sony e Nintendo stanno sicuramente riflettendo su come arginare la valanga di dollari che si è riversata sull’industria dei videogiochi, ma ora devono affrontare i colpi più potenti di Xbox presentati durante l’E3 2021.

Mentre le console next-gen scarseggiano e le grandi esclusive PlayStation 5 sono rinviate al 2022 (God of War, nonostante l’eccezione Ratchet & Clank: Rift Apart), Microsoft propone sul proprio abbonamento 29 titoli nel solo 2021 tra cui Halo Infinite, l’intera serie Fallout, un aggiornamento next-gen per Doom Eternal e Yakuza: Like a Dragon di cui parleremo a breve.

Infografica degli annunci E3 sull’Xbox Game Pass

L’asse del Sol Levante

Per rispondere al colonialismo yankee, sin dalla prima parte del 2020, Sony ha stretto un evidente accordo con due dei maggiori publisher giapponesi: Square Enix e Capcom. La prima gli ha portato in dote l’esclusiva (teoricamente) temporale di Final Fantasy VII Remake, mentre Capcom ha basato tutto il marketing di Resident Evil Village su PlayStation 5. Infatti, tutti i filmati sono stati registrati su PS5 ed entrambe le demo sono prima arrivate sulla console nipponica.

Sicuramente anche Sony guarda fuori dalla propria casa come dimostra l’acquisizione di Team Asobi (Astro’s Playroom), ma la strategia sembra basata sul consolidare la propria presenza in ambienti già collaborativi. Per questo motivo, ci aspettiamo che il marchio PlayStation porti con sé una serie di esclusive temporali con i maggiori publisher third-party, non necessariamente orientali. Per farlo, sarà necessario curare bene la fase diplomatica su cui Sony ha dimostrato difficoltà come quando ha escluso Cyberpunk 2077 dallo store PlayStation oppure durante le diatribe con il guru giapponese Hideo Kojima, che ad oggi non si capisce quale parte abbia scelto.

I dissidenti nipponici

La strategia Sony ha portato enormi successi durante l’ultima generazione, ma non tutte le terze parti orientali stanno formando un solido muro intorno al prodotto giapponese. Yakuza: Like a Dragon, uscito poco più di sei mesi fa, è stato appena annunciato sull’Xbox Game Pass, che ha così l’intera serie sul proprio catalogo. Una notizia interessante, che diventa importante se pensiamo all’interesse dimostrato da Xbox durante l’E3 su una serie sviluppata da giapponesi (SEGA), che parla di giapponesi e pensata soprattutto per i giapponesi.

Il secondo e terzo indizio che fanno una prova sono altri due titoli chiaramente provenienti dal Sol Levante e annunciati durante l’E3: Eiyuden Chronicle: Hundred Heroes e lo spin-off Eiyuden Chronicle Rising. L’erede spirituale di Suikoden di Konami è stato realizzato da Rabbit & Bear Studios sotto la supervisione proprio di Yoshitaka Murayama ed è chiaramente molto più appetibile in Giappone piuttosto che in Occidente.

Bunker Nintendo

In attesa della presentazione di Nintendo all’E3 2021, possiamo solo dire che la strategia di Shuntaro Furukawa sembra essere fortemente conservativa. Nintendo continua a mantenere buoni rapporti con i publisher giapponesi senza forzare la mano, come dimostra la sola esclusiva temporale di Monster Hunter Rise e non sembra interessata a partecipare alla corsa coloniale, limitandosi ad acquisire team praticamente interni (Next Level Games) e creando i propri capolavori a casa con gruppi ormai consolidati da decenni.

Attualmente i dati dimostrano che la soluzione Nintendo funziona, che forte dell’appeal dei suoi marchi porta avanti importanti partnership come quella con Ubisoft dell’appena annunciato Mario + Rabbids: Sparks of Hope. In altre parole, un attendismo prudente di un’azienda consapevole della forza delle sue IP.

Conclusione

La pandemia ha inciso molto sulle carenti uscite dei videogiochi nell’ultimo anno e mezzo, ma i grandi del settore non hanno perso tempo, stabilendo strategie più o meno chiare sul futuro.

Microsoft sta sferrando i suoi colpi più potenti, mentre Sony prova a mitigare l’avanzata con la forza del proprio marchio, che ammalia i brand third-party più influenti del Sol Levante. D’altro canto, Nintendo sta guadagnando i massimi approfittando delle difficoltà della next-gen e producendo i suoi capolavori, con estrema calma, nei suoi studi interni.

Difficile dire come sarà il settore videoludico tra qualche anno, ma sembra che le distanze si stiano sempre di più assottigliando grazie a una maggiore competizione tra i brand, che portano a un unico vincitore: il videogiocatore.

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Videogiochi un altro modo di raccontare, una rivista che merita la nostra attenzione

Quando ho iniziato a scrivere su queste pagine digitali, l’obiettivo primario era fornire un punto di riflessione che esulasse dall’attuale giornalismo eccessivamente frenetico, ma ben presto mi sono reso conto che non è facile mantenere un ritmo che dia tempo di ragionare. Ogni giorno sono battute migliaia di parole e decine di notizie sui videogiochi, in una corsa disperata per appagare la fame del lettore videoludico ed entrare nel vortice, diminuendo la qualità a favore della quantità, è fin troppo semplice. Per fortuna, Videogiochi un altro modo di raccontare mi ha ricordato che la qualità deve regnare su tutto.

Pedagogia e videogiochi

Videogiochi un altro modo di raccontare è il 49esimo volume della rivista Hamelin, nata dall’omonima associazione culturale nata nel 1996 da un gruppo di pedagogisti ed esperte di letteratura per l’infanzia, fumetto e illustrazione, che si occupa di promozione della lettura. La rivista è ovviamente formata da svariati articoli, ma la qualità di stampa la rende più simile a un libro, affronta sempre argomenti diversi e, per nostra fortuna, questa volta è stato il turno dei videogiochi.

All’interno dell’opera, che ho letteralmente divorato, troverete nove scritti, tra cui un’opera fumettistica di Jesse Jacobs dedicata al videogioco con cui ha collaborato, Spinch. In questo viaggio letterario, sono rimasto affascinato da diversi temi, che meritano di essere prima conosciuti e poi discussi, se vogliamo innalzare l’importanza culturale dei videogame.

Spinch, Queen Bee Games

Non tutti i giochi sono uguali

Ho trovato illuminante leggere delle basi psicologiche, fondate sulla Self-Determination Theory, che giustificano il motivo per cui i videogiochi sono così apprezzati e mi sono reso conto che “videogiochi” è una parola troppo generica per racchiudere il valore culturale di questo medium. Così come esiste una dicotomia tra le opere di Stanley Kubrick e i cinepanettoni, così i videogiochi si dividono in opere profonde come Hollow Knight e puro piacere fine a se stesso:

Non moralizziamo il piacere. Non c’è niente di male in una sessione di gioco di ore e ore: c’è chi legge o studia per ore, ognuno ricerca le sue fonti di piacere.

Matteo Gaspari, Gruppo Ippolita e Marta Palvarini, A difesa del videogioco

“Videogiochi un altro modo di raccontare” è riuscito ad innalzare nuovamente la mia visione del videogioco a un livello che va oltre a quello dell’appassionato, grazie a studi scientifici coadiuvati da interessanti test, riflessioni molto accurate di generi controversi come gli horror o le tanto bistrattate avventure, troppo spesso rinominate in modo dispregiativo in Walking Simulator, e riferimenti videoludici a temi delicati come immigrazione, sessualità e violenza.

In altre parole, la rivista mi ha fatto capire che troppo spesso sono rimasto così affascinato dal nuovo titolo AAA da dimenticare che siamo all’interno di un universo in cui le opere videoludiche possono fornire spunti di riflessione o raccontare uno spaccato di vita lontano per percezione, ma più vicino di quanto possiamo immaginare.

Death Stranding, Kojima Productions

Conclusione

“Videogiochi un altro modo di raccontare” ha pervaso la mia percezione dei videogiochi di concetti che avevo momentaneamente abbondonato a favore della ricerca del mero piacere di giocare, utile per riposare la mente, ma pericoloso se prolungato, perché ferma la ricerca di videogiochi che meritano la nostra attenzione. Con estremo imbarazzo, ho notato che non ho giocato nessuno dei titoli proposti alla fine della rivista, la cui conoscenza mi fornirebbero una visione di gran lunga migliore, o sicuramente più stratificata, di quel complesso medium che chiamiamo videogioco. E non c’è modo migliore di recuperare questa grave lacuna facendo quello che più mi piace: videogiocare.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: rivista
  • Lingua: italiano
  • Prezzo14 euro

Ringrazio l’associazione culturale Hamelin per avermi fornito una copia di Videogiochi un altro modo di raccontare, perché mi ha permesso di tornare a vedere i videogiochi come opere fondamentali per la comunicazione contemporanea. Il volume è un acquisto obbligato per tutti coloro che scrivono o sono interessati ai videogame come medium, ma può fornire una visione più cosciente del fenomeno a praticamente qualsiasi persona interessata all’universo videoludico.

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Non solo CD Projekt. In borsa, i videogiochi sono instabili

Dopo il controverso lancio di Cyberpunk 2077, CD Projekt sta vivendo un periodo difficile sul lato della credibilità aziendale. Nonostante, i preordini del gioco di ruolo siano stati straordinari, l’azienda polacca sta ancora soffrendo in borsa. I costi di produzione sono stati recuperati nei primissimi giorni, ma le azioni sono crollate di oltre il 40% rispetto al massimo registrato il 4 dicembre, a pochi giorni dall’uscita.

Chiunque investa in borsa, è cosciente che la varianza è parte integrante del “gioco”, mentre chi conosce la matematica sa che per limitarla bisogna valutare un titolo nel lungo periodo. Chi ha creduto veramente in CD Projekt, e in Cyberpunk 2077, ha probabilmente investito il suo denaro in borsa intorno al 2013, quando l’azienda valeva 6,50 zloty, equivalenti a circa 1,40 euro. Valori ridicoli se paragonati a oggi, dove in uno dei suoi periodi peggiori, cioè poche settimane fa, CD Projekt valeva in borsa 253 zloty, cioè circa 55 euro, mentre nel momento in cui sto scrivendo questo articolo, il titolo è quotato a 305,90 zloty, circa 67,83 euro.

Naturalmente, la notizia clamorosa c’è, perché dopo l’uscita di Cyberpunk 2077, gli investitori si aspettavano che le quotazioni aumentassero ulteriormente e molti speravano di chiudere il 2020 ai massimi. Così non è stato, ma non dobbiamo pensare che si tratti di un caso isolato. I videogiochi sono un prodotto ed è facile capire che se un’azienda produce un titolo che delude le aspettative, il suo valore in borsa crolla. Questo però non significa che la società sia sull’orlo del baratro.

Azioni di CD Projekt (febbraio 2021).
Azioni di CD Projekt (febbraio 2021).

La scalata dello Strigo

L’ultimo titolo prodotto da CD Projekt risale al 18 maggio 2015. Il 1 giugno 2015, subito dopo l’uscita del capolavoro amato da tutti, The Witcher 3: Wild Hunt, l’azienda polacca valeva 23,78 zloty, cioè 5,27 euro. E nessuno avrebbe mai pensato che stesse andando male. La logica ci porta a pensare che un investitore sapiente, avrebbe dovuto investire i suoi soldi subito dopo il clamoroso successo di The Witcher 3, con la consapevolezza che Cyberpunk 2077, già annunciato a cavallo tra il 2012 e il 2013, sarebbe uscito dopo qualche anno con una cura addirittura superiore a quella del gioco dello strigo. Chi lo ha fatto, si è arricchito e il suo guadagno è stato enorme anche se ha deciso di vendere ai minimi, subito dopo l’uscita di Cyberpunk 2077.

CD Projekt non valeva nulla in borsa quando uscì The Witcher 3.
CD Projekt valeva poco quando uscì The Witcher 3.

Per questo motivo, trovo improbabile credere che CD Projekt possa fallire o essere acquisita nel 2021, anche perché Cyberpunk 2077 sarà supportato ancora a lungo e la società polacca avrà tutto il tempo di stabilizzare il suo titolo azionario, che probabilmente era troppo gonfiato dall’hype dagli investitori dell’ultim’ora.

Qualcuno obietterà che il tonfo c’è stato e l’abbiam sentito tutti. Sono d’accordo con voi. CD Projekt poteva registrare dei picchi di massimo molto più alti, se il titolo avesse mantenuto le aspettative, ma siamo certi che il “caso CyberBug 2077” sia così unico nel mondo delle quotazioni in borsa?

Il conquistatore francese

Ubisoft sta lottando con CD Projekt per il titolo di società videoludica più importante d’Europa e in questo esatto momento il colosso francese sta vincendo la guerra con un valore di 83,90 euro, ben al di sopra dei 67,83 euro dei polacchi. Però, non è sempre stato tutto rose e fiori come dimostra il tonfo di pochissimi anni fa, con una perdita del 40% del valore azionario dell’azienda.

Il 1 aprile 2019, la società francese rompe il muro degli 85 euro e finito l’effetto inebriante di Assassin’s Creed Odyssey datato 5 ottobre 2018, le azioni cominciano una corsa verso il basso che raggiungono il picco minimo di 52,94 euro il 1 ottobre 2019, probabilmente anche a causa di giochi mediocri come Far Cry New Dawn, remastered per Nintendo Switch e un’ampia collezione di titoli mobile. In un anno, il titolo ha perso il 40%, ma oggi Ubisoft è ancora qui, a dominare il mercato europeo.

Azioni di Ubisoft (febbraio 2021).
Azioni di Ubisoft (febbraio 2021).

Lo yankee vagabondo

Un esempio ancora più incredibile per chi crede che CD Projekt sia un caso isolato proviene dagli Stati Uniti. Oggi, siamo abituati a vedere Activision Blizzard come un colosso immortale, ma anche l’azienda americana ha vissuto dei grandi periodi di difficoltà. Attualmente la società americana vale 91,32 dollari, cioè circa 75 euro, ma il suo picco peggiore ha causato una caduta del 50% del valore delle azioni.

Activision Blizzard raggiunge i suoi massimi il 1 agosto 2018 con un valore di 83,19 dollari, dopo una galoppata inesorabile che inizia nel 2016. Però, il ritorno estivo di Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy e titoli mediocri usciti nei mesi precedenti come Destiny 2 e Call of Duty: WWII hanno aiutato a creare dei dubbi nella testa degli azionisti, che decidono di vendere le azioni per tutto l’anno e buona parte del 2019, quando l’azienda tocca quota 42,14 dollari. In sei mesi, Activision ha dimezzato il suo valore in borsa.

Azioni di Activision Blizzard (febbraio 2021).
Azioni di Activision Blizzard (febbraio 2021).

Harakiri giapponese

L’elenco degli esempi potrebbe continuare ancora un po’, ma penso sia sufficiente vedere i dati di Nintendo per capire come il mondo videoludico soffra il mercato azionario più di tanti altri settori. Del resto, se un prodotto non gode dei favori del pubblico è logico pensare che il suo titolo in borsa ne risenta. Allo stesso tempo, stiamo parlando del mondo dei videogiochi, il new media per eccellenza, un settore acerbo sotto tanti punti di vista, che è troppo spesso in balia di rumor, fake news e tanto giornalismo poco professionale.

Azioni di Nintendo (febbraio 2021).
Azioni di Nintendo (febbraio 2021).

Lungi da me voler sembrare un esperto di borsa, ma vorrei far presente che le notizie di un rumor che parla di un fallimento di CD Projekt, o di un interesse da parte di Microsoft per l’acquisizione, vengono dalla stampa online più grande e importante, sia in Italia che nel resto del mondo. Basta vedere il caso GameStop di questi giorni per capire quanto sia facile drogare il mercato azionario e una maggiore serietà da parte di chi è iscritto all’ordine dei giornalisti sarebbe gradita, perché non si tratta solo di infantili videogame.

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Società

Le previsioni dei guadagni dei videogiochi aumentano ancora

Newzoo ha nuovamente rivisto le sue previsioni sul mercato globale dei videogiochi, aumentando le sue proiezioni per il 2020 da 159,3 miliardi di dollari a 174,9 miliardi dollari, quindi un incremento di quasi il 20% anno su anno.

Nel nuovo rapporto, l’azienda di analisi e ricerca di mercato specializzata nell’industria videoludica afferma che l’aumento della proiezione deriva dall’analisi dei rapporti finanziari delle aziende di videogiochi per la prima metà dell’anno. In questo periodo si è constatata un’accelerazione delle tendenze di gioco segnalate in precedenza. Inoltre, sebbene il picco iniziale del coinvolgimento sia rallentato, i consumatori continuano a interagire con i giochi più di quanto non facessero prima della pandemia, anche nelle aree in cui le misure di blocco sono cessate.

Piattaforme

La previsione ha un impatto su tutti i flussi di entrate, portando i guadagni dei videogiochi su:

  • PC fino a 37,4 miliardi dollari rispetto i precedenti 36,9 miliardi.
  • dispositivi mobili a 86,3 miliardi di dollari rispetto i precedenti 77,2 miliardi.
  • console a 51,2 miliardi di dollari rispetto i 45,2 miliardi previsti.

L’universo console ha registrato l’aumento più significativo, con una crescita del 21% su base annua, più del doppio rispetto alle previsioni originali, che si stimavano dovessero essere inferiori a causa dell’arrivo delle console di nuova generazione.

Mercati

Cina e Stati Uniti rimangono i due maggiori mercati dell’industria videoludica. I guadagni da console e giochi mobili sono maggiormente aumentati dalla pandemia, ma quando si tratta di regioni, l’impatto è distribuito in modo relativamente equo. La Cina e gli Stati Uniti rappresentano ancora il 49% del mercato mondiale dei videogiochi in termini di guadagni generati dai consumatori.

Evidentemente, non è stato solo Animal Crossing: New Horizons a causare un incremento dei videogiocatori. Voi che ne pensate?

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Società

PlayStation 4 non è stato un successo grazie alle esclusive

Quando leggiamo i motivi per cui dovremmo comprare una PlayStation 5, il punto principale sono le esclusive delle console Sony. Infatti, non è un caso se l’azienda giapponese ha già mostrato sia i titoli che arriveranno al lancio come Demon Soul’s e Marvel’s Spider-Man Miles Morales che quelli ancora in sviluppo come God of War Ragnarock, Gran Turismo 7 e Ratchet & Clank Rift Apart. La scelta di dare così spazio alle esclusive fa pensare che storicamente le console nipponiche siano acquistate proprio per questi titoli, ma non è stato così per PlayStation 4.

Le esclusive PlayStation 4

Sony PlayStation 4 ha venduto 112,1 milioni di copie demolendo nelle vendite il suo principale, e forse unico, competitor Xbox One, che si è fermato a un valore stimato di 50 milioni di console vendute, ben al di sotto delle 84 milioni vendute dal suo predecessore Xbox 360.

Le vendite dell’ottava generazione di console fanno ben sperare Sony, ma Microsoft si sta muovendo con un hardware molto competitivo e un Xbox Game Pass davvero interessante. D’altro canto, PlayStation 5 punta tutto sul suo controller DualSense e soprattutto sui titoli in esclusiva, che stanno ricevendo molta spinta da parte della stampa specializzata. Però dati alla mano, il successo del brand e soprattutto di PlayStation 4 deve essere analizzato più accuratamente, perché il gioco più venduto per PlayStation 4 è GTA 5 e nella top 3, solo uno è un’esclusiva Sony: Uncharted 4.

Vendite best seller PS4 (in milioni).
Vendite best seller PS4 (in milioni).

Inoltre, come si può vedere dal grafico in basso, PlayStation 4 ha venduto 102,4 milioni di copie di videogiochi in esclusiva. Ovviamente stiamo parlando di un numero mostruoso, ma se consideriamo che le copie di titoli venduti in totale per PlayStation 4 è di oltre 1 miliardo, allora possiamo affermare che le esclusive PlayStation 4 pesano non oltre il 10% del totale. In aggiunta, se prendiamo in considerazione le 112,1 milioni di console vendute, in media, e ipotizzando che ogni acquirente abbia preso una sola console, possiamo dire che ogni giocatore di PlayStation 4 abbia nella sua collezione un solo gioco in esclusiva.

Vendite esclusive PS4 (in milioni).
Vendite esclusive PS4 (in milioni).

Le esclusive Nintendo Switch

Per dare un peso a questi numeri, ho preso in considerazione i dati di una console oggettivamente conosciuta per avere delle esclusive che la mantengono in vita, Nintendo Switch. Franchise come Super Mario, The Legend of Zelda, Pokémon e Super Smash Bros. hanno permesso all’azienda di Kyoto di piazzare 62 milioni di unità. Come possiamo vedere dal grafico in basso, le esclusive per Nintendo Switch hanno venduto 217,1 milioni di copie su un totale di 406,67 milioni di videogiochi venduti. La percentuale di giochi esclusivi venduti rispetto al totale è del 53%, cioè più di 1 titolo su 2. Inoltre, con le stesse premesse elencate per PlayStation 4, ogni utente che ha acquistato il Nintendo Switch ha in media 3,6 giochi esclusivi nella propria collezione.

Giochi Nintendo Switch più venduti (in milioni).
Giochi Nintendo Switch più venduti (in milioni).

Conclusione

PlayStation 4 è stato un successo incredibile, ma il fattore principale non sono le esclusive. È di gran lunga più probabile che il successo della console di Sony sia dovuta alla forza che ha il brand. Del resto, mia madre difficilmente mi dirà di spegnere l’Xbox One, perché per lei tutte le console sono PlayStation. Da 25 anni, la console nipponica è il simbolo di un intero settore come lo è Mike Tyson per la boxe o Hulk Hogan per il wrestling. Di conseguenza, chi ha comprato PlayStation 4 probabilmente lo ha fatto perché si tratta del franchise delle console casalinghe per definizione.

Inoltre, non bisogna dimenticare che all’uscita dell’ottava generazione nel novembre 2013, fu rimarcato che PlayStation 4 era leggermente più potente di Xbox One, cosa che spinse molti videogiocatori ad abbracciare il brand giapponese.

Oggi il marchio Xbox si è rafforzato molto grazie a dei colpi mirati da parte di Microsoft, come l’acquisizione di Bethesda, ma bisogna essere coscienti che probabilmente PlayStation 5 sarà un grande successo, anche perché il nome Xbox non è ancora entrato del tutto nell’immaginario collettivo e solo qualcosa di veramente grande può far cambiare idea a chi è rimasto soddisfatto dalla PlayStation 4. Nintendo ce l’ha fatta, ma ha deciso di non competere più con Sony e Microsoft. Xbox invece è ancora in corsa e sta cercando di imporsi con il suo ecosistema. Xbox Game Pass basterà per scontrarsi contro il colosso PlayStation?

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Il settore dei videogiochi del Regno Unito sta battendo ogni record

La crescita del settore dei videogiochi nel Regno Unito è stata più rapida nel 2019/2020 di quanto non sia mai stata da quando l’associazione di categoria inglese dell’industria dei videogiochi, TIGA (equivalente dell’italiana IIDEA), ha iniziato a redigere rapporti annuali nel 2007/08.

I numeri

L’ultimo rapporto di TIGA ha riportato un tasso di crescita annuo del 12,2% in termini di personale creativo negli studi di sviluppo, con l’organico che è cresciuto da 14.353 a 16.836 da novembre 2018 ad aprile 2020. La forza lavoro totale per lo sviluppo di giochi, che comprende gli imprenditori, è aumentata 16.532 a 18.279 anno su anno.

Le entrate generate dall’industria dei giochi del Regno Unito hanno raggiunto quota 907 milioni di sterline nel 2019/2020, rispetto ai 747 milioni dell’anno precedente. Si tratta di entrate fiscali dirette e indirette combinate. Anche gli investimenti annuali degli studi sono aumentati, da 818 milioni di sterline nel 2018/2019 a 993 milioni di sterline.

Nel complesso, ciò significa che il contributo dell’industria videoludica del Regno Unito al prodotto interno lordo del paese è salito a 2,2 miliardi di sterline, rispetto gli 1,8 miliardi dell’anno precedente.

Fondi e sgravi fiscali

Il CEO di TIGA, Richard Wilson, ha menzionato il ruolo positivo dello sgravio fiscale per i videogiochi del Regno Unito. Si tratta di uno sconto sulla spesa di produzione che secondo lui ha permesso di mantenere in salute il settore negli ultimi anni. Dalla sua introduzione nel 2014, la crescita annuale dei giochi del Regno Unito ha raggiunto l’8,9%, rispetto a una diminuzione media del 3,1% annuo dal 2008 al 2011.

Wilson ha anche chiesto l’introduzione di un fondo di investimento per videogiochi, che è qualcosa che TIGA chiede da un paio d’anni. Inoltre, l’associazione vorrebbe anche che lo UK Games Fund venisse rafforzato poiché “molti studi hanno ancora difficoltà a crescere, accedere a finanziamenti e personale qualificato”.

Il 73% degli studi di sviluppo del Regno Unito sono micro-studi, il che significa che hanno quattro o meno dipendenti a tempo pieno. “Negli ultimi dieci anni, il 40% di tutti gli studi che esistevano nel Regno Unito hanno chiuso”, ha aggiunto Wilson. Inoltre, ha sottolineato che negli ultimi tempi il settore sta andando molto bene a livello globale.

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Videogiochi violenti incolpati degli omicidi quando l’assassino è bianco

In un anno in cui il razzismo è stato padrone delle prime pagine e i videogiochi come Animal Crossing: New Horizons hanno sollevato il morale di un mondo sotto assedio dalla pandemia del Covid-19, vale la pena soffermarsi a leggere gli studi che ci portano a pensare che gli uomini di potere, in famiglia o tra i politici, incolpano i videogiochi violenti per nascondere il proprio razzismo.

Secondo una ricerca pubblicata dall’American Psychological Association, le persone sono più propense a incolpare i videogiochi violenti come causa di sparatorie nelle scuole quando gli autori sono bianchi rispetto a quando il colpevole è afroamericano. Probabilmente questo pensiero è causato da stereotipi razziali, che associano le minoranze al crimine violento.

Manhunt (Rockstar Games)
Manhunt (Rockstar Games)

Campione e risultati

I ricercatori hanno analizzato più di 200.000 notizie su 204 sparatorie di massa in un periodo di 40 anni.

I risultati dell’analisi dicono che i videogiochi avevano otto volte più probabilità di essere menzionati quando la sparatoria avveniva in una scuola e l’autore era un maschio bianco rispetto a quando il colpevole era un maschio afroamericano.

Quando un atto violento viene compiuto da qualcuno che non corrisponde allo stereotipo razziale di come appare una persona violenta, le persone tendono a cercare una spiegazione esterna per il comportamento efferato […]. Quando un adolescente bianco commette un orribile atto violento come una sparatoria a scuola, è più probabile che le persone incolpino erroneamente i videogiochi.

Patrick Markey, professore di psicologia presso l’Università di Villanova (Pennsylvania)

Il prof. Markey ha ribadito che i numerosi studi scientifici non hanno trovato un collegamento tra videogiochi violenti e sparatorie di massa, ma alcuni politici e la copertura dei media citano spesso i videogiochi come una potenziale causa, in particolare per le sparatorie nelle scuole.

Tra l’altro, i videogame sono spesso associati ai giovani, anche se l’età media dei giocatori è di 30 anni.

I videogiochi sono spesso usati dai legislatori, e non solo, come una falsa pista per distrarre da altre potenziali cause di sparatorie nelle scuole […]. Quando l’assassino è un giovane maschio bianco, si dice che la causa della sparatoria siano i videogiochi violenti. Quando chi spara è un uomo più anziano o un afroamericano, non lo facciamo.

Patrick Markey

Esperimento

Durante un esperimento, 169 studenti universitari (65% donne, 88% bianchi) hanno letto un finto articolo di giornale che descriveva una sparatoria di massa immaginaria perpetrata da un ragazzo di 18 anni, descritto come un appassionato di videogiochi violenti. La metà dei partecipanti ha letto un articolo con una piccola foto segnaletica di un colpevole bianco, mentre l’altra metà ha visto una foto segnaletica di un autore afroamericano.

Doom (id Software)
Doom (id Software)

Nelle risposte al questionario, i partecipanti che hanno letto l’articolo con la foto di un delinquente bianco erano significativamente più propensi a incolpare i videogiochi come un fattore che ha indotto l’adolescente a commettere la sparatoria a scuola, rispetto ai partecipanti che hanno visto il ragazzo afroamericano. Inoltre, i partecipanti che non giocavano ai videogiochi erano anche più propensi a incolpare i videogiochi violenti per le sparatorie nelle scuole.

Patrick Markey ha concluso che incolpare i videogiochi violenti per le sparatorie nelle scuole da parte di autori bianchi potrebbe essere un segno di un problema razziale più ampio, in cui agli autori afroamericani viene assegnato un maggior grado di colpevolezza per i loro crimini, che potrebbe portare a un trattamento ingiusto da parte del sistema giudiziario.

Mortal Kombat II (Midway Games)
Mortal Kombat II (Midway Games)

Conclusione

Questa ricerca mostra come troppo spesso i videogiochi violenti siano incolpati per distogliere l’attenzione da problemi più seri, in questo caso il razzismo.

Non bisogna sottovalutare la pericolosità di giustificare un omicidio con una scusa, come possono essere i videogame. Incolpare un gioco significa non scavare in fondo sulle problematiche che hanno portato queste persone a compiere atti orribili e in questi casi approfondire è fondamentale, perché potrebbe salvare la vita a tanta gente. Infatti, un disagio sociale può colpire più individui e scoprirne la causa può fermare per tempo dei potenziali criminali dal compiere una strage.

Fonte: medicalxpress