L’industria videoludica vive di grandi picchi, positivi e negativi, sin dai suoi albori. Il grande entusiasmo per l’arrivo di una nuova IP o una nuova tecnologia è spesso seguito da una profonda crisi che porta aziende a fallire oppure a essere molto vicini dal farlo, indipendentemente dalla loro importanza nel settore del gaming. La ciclicità di queste eventi si è ripetuta anche in questi anni venti del 2000. Subito dopo il “pandemico” boom del 2020, l’industria dei videogiochi ha sofferto e sta affrontando un’importante contrazione, una vera e propria crisi economica, ma soprattutto d’identità, che ha già reso disoccupati migliaia di persone.
Tra il 2023 e il 2024, l’industria dei videogiochi ha diminuito il proprio personale di circa 18.000 persone, di cui ben otto mila solo nel periodo gennaio e marzo 2024. I tagli, oltre all’ovvia perdita di lavoro per migliaia di dipendenti, hanno causato anche la cancellazione di diversi giochi e la dipartita di alcuni studi di sviluppo sia nel Nord America che in Europa (emblematico i casi di Ridgeline Games e Deviation Games, falliti dopo pochissimo tempo). Secondo alcuni studi, le proiezioni di decrescita del settore variano da un ottimistico 2% fino a più temibile 10% in meno.
In questo articolo vogliamo analizzare le cause della crisi del settore dei videogiochi di questi anni, che non si limitano a un singolo evento ma sono invece un agglomerato di fattori che hanno cominciato a scatenarsi a partire dalla pandemia da COVID-19 che ha drogato un mercato immaturo e impreparato a gestire le conseguenze di ingenti e folli investimenti.
I costi spropositati dei giochi AAA
I videogiocatori accolgono sempre con grande entusiasmo le notizie in cui si parla di titoli con costi esorbitanti. Per esempio, ci sono rumor che sostengono che Grand Theft Auto VI abbia un budget di 2 miliardi di dollari. Se così fosse perl, le conseguenze di questa scelta potrebbero essere nefaste per tutto il settore.
La causa di maggior rilievo, in quanto vera e propria novità della crisi dell’industria dei videogiochi attuale, riguarda gli elevati costi dei giochi Tripla A. I pochi grandi publisher hanno cercato di imporsi nel mercato videoludico proponendo titoli con una grafica travolgente arricchita di cinematic, e attori hollywoodiani, che contribuiscono in maniera significativa al costo di creazione di un videogioco. Tra gli effetti negativi di queste opere è l’impossibilità, a causa della contrazione economica mondiale del 2024, di poter iniziare nuovi progetti con la facilità con cui avveniva prima. Inoltre, limitare le proprie IP rende le software house dipendenti dal successo di un singolo titolo e allo stesso tempo favorisce la riduzione del personale, che quando non lavora al titolo principale, può essere tranquillamento lasciato a casa.
Per questo motivo Embracer Group ha annunciato la cancellazione di 29 titoli, tra cui anche quelli di Eidos Montréal, che ha licenziato 97 persone e cancellato il nuovo capitolo di Deus Ex, in sviluppo da due anni. Allo stesso modo, Riot Games ha licenziato 530 persone, riducendo la sua forza lavoro dell’11%.
Esuberi e fine del lockdown
Come abbiamo già detto, la crisi dei videogiochi del 2023 e 2024 è figlia del lockdown da COVID-19. In particolare, anche se in una forma più importante, il post-pandemia ha seguito quanto avevamo già visto con l’uscita dell’ultimo Animal Crossing: nel 2020 ci ha giocato chiunque, ma nel giro di un anno tutto è tornato alla normalità. Oggi, nel 2024, le nicchie giocano ai propri videogiochi.
Secondo IDC, nel 2020 le entrate dei giochi per dispositivi mobili sono aumentate del 32,8%, raggiungendo i 99,9 miliardi di dollari. Anche la spesa per i giochi per console domestiche è aumentata in modo significativo, raggiungendo i 42,9 miliardi di dollari, con un incremento del 33,9%. Negli anni successivi, questo modello di crescita si è bruscamente interrotto. I ricavi dei videogiochi per dispositivi mobili è scesa del 15% nel 2021, per poi diminuire ulteriormente nel 2022 e nel 2023 di circa il 3% ogni anno. In altre parole dopo, l’impennata del 2020, la spesa per i giochi si è stabilizzata nel 2021, è calata del 3,4% nel 2022, ed è tornata a crescere del 5,9% solo nel fantastico 2023.
Tutto questo ha portato inizialmente a un boom delle assunzioni nel periodo del lockdown, anno in cui le grandi aziende hanno cominciato a credere di poter mantenere profitti su standard lontani dall’ordinario per poi licenziare in massa quando i costi non hanno più permesso di credere in questo enorme e ingestibile sogno.
La mortale noia dei Live Service e Mobile Game
Alcuni publisher come Sony e Warner Bros. Games hanno ben pensato di ridurre i costi buttandosi nei giochi con un alto tasso di monetizzazione come i giochi per smartphone e GaaS (Game as a Service). Purtroppo, il mercato dei casual gamer non è bastato a mantenere in vita buona parte dei Live Service, tanto che alcuni GaaS lanciati nel 2023 hanno già chiuso i battenti, come ben sanno Epic Games e Bungie.
I problemi di fondo di questo genere di titoli sono due: il primo è l’esistenza di un vero e proprio monopolio nei GaaS, dove pochissimi arraffano i profitti di tutti gli altri. I Game Live Service sono un mercato giovane ma che è in realtà già saturo; infatti, i GaaS tendono ad assuefare il gamer che non è invogliato a provare tante opere, ma semplicemente sempre los tesso; il secondo problema è invece la mancanza di innovazione, cioè una vera e propria stagnazioni dell’inventiva e della novità, che porta il gamer a scegliere tra giochi fin troppo simili e, semplicemente, troppo noiosi per poter essere una forma di intrattenimento soddisfacente, soprattuta se paragonata a settori più maturi come quello del cinema, delle serie TV, dei fumetti e dei libri.
Fusioni e Acquisizioni
“È un’industria che non è cresciuta. E cosa succede quando un settore non cresce? Si finisce per eliminare alcuni posti di lavoro, come è successo a noi”. La dichiarazione di Phil Spencer, CEO di Microsoft Gaming, chiude il cerchio. Se l’industria dei videogiochi non cresce e quindi non genera nuovi profitti, l’unico modo per mantenere un bilancio positivo risiede nell’abbattere i costi. Se i Tripla A devono essere costosi e i piccoli sviluppatori indie non hanno più spazio, l’unico modo per farlo sta nel licenziare la forza lavoro. Di conseguenza, c’è chi chiude, chi cancella i propri titoli e c’è chi si fonde o acquisisce aziende per ridurre il personale due aziende coinvolte.
Non a caso sono ben 1900 i dipendenti licenziati da Microsoft a gennaio 2024, cioè subito dopo la conferma sull’acquisizione di Activision Blizzard.
Conclusione
Il boom del 2020 del settore videoludico è stato un magnifico sogno a cui hanno creduto investitori ed ex-dipendenti che hanno scelto il mercato dei videogiochi per continuare la propria carriera. Una volta conclusa la pandemia però si è tornato con i piedi per terra e ci si è resi conto che l’industria non sta vivendo una vera e propria crescita, tale da poter mantenere costi così elevati.
Questo sogno, figlio di scelte di business aggressive e miopi (si veda Embracer Group), è costato il lavoro a tanti professionisti, e come mostrato in un grafico da PC Gamer, ha impattato ben 16.000 persone. Un risultato che dimostra non solo le difficoltà da parte dei videogiochi di affermarsi come una forma di intrattenimento stabile al pari di cinema e libri, ma soprattutto che questa transizione, che dovrebbe essere portata avanti dai grandi dell’industria, è nelle mani di pochi attori estremamenti immaturi e incapaci di gestire e valorizzare quello che realmente è il videogioco: una forma d’arte.