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Diablo 2: Resurrected per Xbox Series X – Recensione

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Diablo 2: Resurrected risponde positivamente alla nostra necessità di sapere se uno dei videogiochi più importanti della storia sia ancora divertente e attuale. Nonostante alcune meccaniche vetuste, la versione rimasterizzata di Diablo 2 contiene tutto il fascino dell’opera originale, che è ora racchiusa in una veste grafica al passo con i tempi, ma ancora fedele al capolavoro di 21 anni fa. E ora anche godibile con un joypad in mano.

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Ci sono alcuni videogiochi che hanno cambiato per sempre il settore videoludico, creando nuovi standard di cui hanno beneficiato le opere successive. Diablo 2 è uno di questi e dopo 21 anni abbiamo la fortuna di poterlo raccontare nella recensione della sua versione Resurrected. Come vedremo più avanti, Diablo 2: Resurrected garantisce la stessa esperienza di tanti anni fa; per questo motivo la domanda più lecita è: uno dei giochi più belli di sempre riesce ancora a divertire?

More of the same

Diablo 2: Resurrected è una rimasterizzazione, che grazie all’esperienza dei ragazzi di Vicarious Visions fornisce una veste grafica completamente rinnovata al capolavoro del 2000 e alla sua espansione Lord of Destruction; a questo, sono state incluse una serie di aggiunte atte a migliorare l’esperienza di gioco, senza snaturare l’originale di Blizzard North.

L’idea dietro la versione resuscitata di Diablo 2 è dare la stessa esperienza di 21 anni fa a un pubblico decisamente meno abituato alla difficoltà di un titolo pensato come un gioco da tavolo; infatti, Diablo 2 nasce con l’idea di portare i concetti già visti nei giochi di ruolo cartacei (Dungeons & Dragons, ma non solo) in un contesto digitale. Una scelta geniale che ha re-inventato il genere gdr action, tanto da aver costretto gli addetti ai lavori a coniare un nuovo termine: hack ‘n’ slash.

Nonostante la modalità cooperativa fino a otto giocatori, la riprogettazione dell’interfaccia e l’aggiunta del forziere espanso, che garantisce maggiore fluidità al titolo, Diablo 2: Resurrected rimane sempre lo stesso gioco, che richiede di sperimentare build, morire, ritornare alla base perché l’inventario è pieno e riprovare, non necessariamente in quest’ordine.

Scelta personaggi in Diablo 2 Resurrected

Storia infernale

La trama del gioco continua le vicende del primo capitolo. L’eroe che sconfisse Diablo, ha deciso di imprigionare dentro di sé il mostro. Purtroppo, nel corso degli anni, Diablo riesce a corrompere il suo carceriere e costringe il neo Viadante Oscuro a rilasciare sulla terra una serie di diavoli. Inizia così il pellegrinaggio del viandante verso est, che seguiremo per cinque atti.

La storia di Diablo 2 non è la più originale di sempre, ma la caratterizzazione di tutti i personaggi è la migliore che probabilmente vedrete in un videogioco. Chiunque in questo titolo è pregno di carisma: il narratore Marius, Deckard Cain, Tyrael, ma anche gli stessi malvagi nemici come la signora dell’angoscia Andariel, Azmodan il signore del peccato e ovviamente i Primi Maligni: Diablo, Baal e Mephisto.

Gioco di numeri

Dietro un videogioco in cui bisogna uccidere tutti i nemici che compaiono sullo schermo, mentre si esplorano temibili dungeon, si nasconde un’importante componente narrativa da affrontare con una delle sette classi disponibili, che rendono l’esperienza sempre diversa: amazzone, assassina, negromante, barbaro, paladino, incantatore e druido. Ogni classe ha tre alberi di abilità che permettono diverse build, in base al proprio stile di gioco. I punti abilità sono concessi a ogni livello e possono essere resettati parlando con opportuni personaggi.

All’importante scelta della build, si aggiungono altre due necessità matematiche: i punti alle statistiche (cinque per livello) e l’equipaggiamento. Le statistiche di Diablo 2 sono quattro, tutte da scegliere opportunamente pena avere grosse difficoltà durante il proseguo dell’avventura: forza, destrezza, vitalità ed energia. D’altro canto, inizialmente bisognerà indossare quello che si trova, ma andando avanti con il gioco, sarà fondamentale tenere conto dei bonus di armi, armature e gioielli per portare a termine l’avventura. In altre parole, i numeri contano.

Dungeon in Diablo 2 Resurrected

Xbox Series X: grafica e joypad resuscitati

La più grande novità di Diablo 2: Resurrected è senza dubbio la veste grafica, che è stata completamente ricreata da zero. Il risultato finale è la dura e violenta bellezza di Diablo 2 con un dettaglio grafico tipico del successore, Diablo 3. In altre parole, un rinnovamento piacevole che non cambia la natura cupa e sadica del gioco originale. Menzione d’onore al nuovo gioco di luci, che dona una maggiore profondità agli ambienti, anche se in alcune zone può risultare difficile orientarsi; infatti, ogni tanto i coni di luci si sovrappongo creando confusione sui punti di accesso.

Diablo 2: Resurrected è stato pensato per essere giocato anche con un controller in mano, ma lo stesso non si può dire del peccato originale. Alcune meccaniche di Diablo 2, come il semplice ordinamento della cintura dei consumabili, sono ancora strettamente legate a mouse e tastiera, ma il lavoro Vicarious Visions ha reso l’esperienza su console molto godibile. Il target automatico rende le battaglie agevoli anche su console e raccogliere gli oggetti con lo stesso automatismo non causa mai frustrazione. Infine, l’interfaccia rinnovata permette di muoversi con facilità, anche se il numero di finestre (e sottosezioni) tipiche dei gdr può causare qualche mal di testa.

Naturalmente, la potenza di Xbox Series X non è sfruttata al massimo, ma la resa grafica è superba, mentre i caricamenti sono praticamente immediati.

Andariel in Diablo 2 Resurrected

Il migliore della serie

Diablo 2 è stata una vera e propria rivoluzione, perché ha trasformato delle griglie su carta in un videogioco profondo in tutte le sue principali caratteristiche. In pochi possono vantare un tale livello di innovazione e cura artistica all’interno di un unico gioco uscito 21 anni fa. Per questo motivo, riteniamo il secondo capitolo della serie il migliore di sempre, che Diablo 3 non è riuscito nemmeno a eguagliare. Ci auguriamo che Diablo 4 possa essere il nuovo crack del settore videoludico, ma gli standard da superare sono parecchio elevati.

Per questo motivo, Diablo 2: Resurrected è la migliore esperienza che potete attualmente provare. Il restyling grafico, la possibilità di giocare adeguatamente su console e l’attenzione data alle modalità online (soprattutto la ladder) hanno permesso a questo capolavoro di vincere la sfida del tempo, a un prezzo decisamente onesto.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: gdr d’azione (hack ‘n’ slash)
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: Si
  • Prezzo39,99€

Ho combattuto il male per circa 50 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Arkham Horror: La Collera di N’Kai (Libro) – Recensione

Spesso sentiamo parlare di boardgames tratti da film, videogiochi o libri; meno spesso invece si sente il contrario, ovvero un media derivato da un boardgame, salvo rare eccezioni nel mondo videoludico. Ed a pensarci bene è anche normale che la più proficua sia proprio la prima categoria; prendere un personaggio vivo, un’ambientazione vissuta, con una storia già raccontata, per poi trasformarli in una carta da gioco o un tabellone, modellandone le meccaniche a loro immagine e somiglianza, una trasposizione quasi naturale. Assai più difficile invece fare il contrario, prendere una carta da gioco e da quelle pochissime righe di testo creare un carattere, un modo di porsi, di muoversi, di vivere.

L’opera di cui parleremo oggi, La Collera di N’Kai, appartiene proprio a questa seconda – ed assai più rara – categoria, ed ammetto di aver provato sincera curiosità quando il volume è finalmente giunto in redazione, essendo questa la mia prima lettura di un’opera tratta da un gioco da tavolo. Arkham Horror – questo il nome – è un boardagame cooperativo pubblicato nel lontano 1987; l’universo di gioco a tinte horror/sovrannaturali è pesantemente ispirato alle opere del maestro H.P. Lovecraft, ovvero il papà di tanti esserini, tra cui il più conosciuto è il simpatico Cthulhu.

Cthulhu
Cthulhu, la più famosa creazione di H.P. Lovecraft

Il titolo, assieme al già trattato Keyforge – Racconti del Crogiolo, è il primo frutto dello sforzo congiunto tra Asmodee Italia ed Aconyte Books, che in futuro dovrebbero tradurre e pubblicare tante altre opere tratte da famosi boardgames.

Alla penna troviamo Josh Reynolds, un “veterano” di questo genere di trasposizioni. Vi basti sapere tra i suoi lavori si annoverano opere su licenze del calibro di Warhammer, Warhammer 40.000, ma anche WatchDogs ed addirittura Zombicide, altro famosissimo boardgame. Insomma, un setting da urlo – o da brivido, scegliete voi – ed una penna di tutto rispetto. Sarà riuscito Reynolds a trasformare l’enigmatico universo Arkham Horror in libro?

Una cittadina tranquilla

Arkham, Massachusetts, i primi anni del secolo scorso. Il mondo si è da poco ripreso da un terribile evento, ma gli strascichi della Grande Guerra si sentono tutti; vige il proibizionismo, bande di gangsters impazzano per le strade, i veterani tornano – o quantomeno tentano di farlo – alla normale vita da cittadino statunitense. È un’epoca strana questa, dove un’enorme ripresa economica si scontra con una società sempre più disillusa, quasi decadente. Un’epoca grigia, e forse anche la migliore per far da sfondo alle vicende che La Collera di N’Kai vuole raccontare al lettore.

Così inizia l’avventura di Alessandra Zorzi, Contessa originaria di Venezia, ma cresciuta in giro per l’Europa e non solo. Ladra per professione e per lignaggio, Alessandra presta i suoi servigi ad una peculiare cerchia di clienti, facoltosi personaggi disposti a tutto pur di mettere le proprie mani su strani oggetti, a volte bizzarri, molto più spesso grotteschi e raccapriccianti; tomi riguardanti l’occulto, ma anche reliquie di varia natura, come le tsantsa, meglio conosciute come teste rimpicciolite.

Università Miskatonic, punto d'inizio delle indagini del libro di Arkham Horror
Università Miskatonic, punto d’inizio delle indagini

Il suo prossimo bersaglio si trova proprio nella città di Arkham, ed è il pezzo forte del Museo dell’università Miskatonic. Una mummia ritrovata in Oklahoma, un lavoro alquanto bizzarro anche per Alessandra Zorzi, abituata a quel genere di cose, per di più commissionato da un mecenate che preferisce rimanere nell’ombra. Così, quando durante la Mostra del reperto un gruppo di sgherri irrompe in museo – armi in pugno – battendola sul tempo e prelevando la strana mummia, la contessa capisce che quello non sarà l’ordinario lavoretto che si era immaginata. L’unica certezza è che quella mummia va ritrovata, ed il suo cliente soddisfatto, poiché lei ha una certa reputazione da mantenere, ed il cliente cui si è legata non ammette alcun errore. Da qui partono le indagini della ladra, indagini che si dipaneranno per la quasi totalità dell’opera, e le faranno conoscere i tanti volti di quel luogo dimenticato da Dio, ma non da altre presenza più antiche ed opprimenti.

Il primo degli elementi chiave del racconto è la cittadina di Arkham. Quella che sembrerebbe essere una tranquilla cittadina statunitense come tante altre nasconde invece vizi, segreti e cose inspiegabili, cose incomprensibili. Uno dei grandi pregi di La Collera di N’Kai è sicuramente la rappresentazione della cittadina, all’apparenza ordinaria, banale, ma che sin da subito risulta inquietante, viva, sbagliata. Reynolds riesce a trasporre su libro l’essenza di Arkham Horror ogni qualvolta descrive Arkham, rappresentandola quasi come un’entità che si prende gioco dei protagonisti dell’opera più che un centro urbano. L’indagine di Alessandra porta il lettore a scoprire gli anfratti più bui e nascosti della cittadina; clubs frequentati da malavitosi di ogni specie, grandi ville appartenenti ad enigmatici mecenati, labirinti sotterranei utilizzati dai contrabbandieri ed ancora tanto altro.

La città di Arkham.
Arkham, una città dall’atmosfera sinistra

Lo stesso non si può dire dei tanti, forse troppi, personaggi che fanno capolino lungo le circa 310 pagine cui si compone l’opera. Se la protagonista e la sua spalla, Pepper, risultano ben delineate, lo stesso non può essere detto di praticamente ogni altro individuo incontrato lungo tutta la vicenda; già dopo i primi capitoli si ha la sensazione che tutti i personaggi abbiano una personalità decisamente troppo simile, e che si esprimano grossomodo alla stessa maniera, salvo una o due eccezioni. Sfortunatamente il tutto è accentuato dal fatto che nessuno di loro gode dell’esposizione necessaria a definirne un carattere vero e proprio, e ciò li rende di fatto tutti simili, anonimi e dimenticabili. Un gran peccato, considerando che lo stesso trattamento è riservato anche ad un paio di detective presenti nel boardgame, e che nelle pagine di La Collera di N’Kai prendono finalmente vita.

Pulp, forse sin troppo

Giunti a questo punto ci si aspetterebbe una vicenda dalle spiccate tinte horror/sovrannaturali, attesa che per tanti si rivelerà vana. La Collera di N’Kai è principalmente una storia dalla forte impronta pulp; di fatto il grosso dell’opera vedrà il lettore intento nel seguire le indagini di Alessandra, ed il racconto assumerà i connotati di un vero e proprio poliziesco, con sporadici accenni alla natura oscura della mummia ricercata. Chiariamoci, la lettura dell’opera è comunque scorrevole, ma risulta strano che un libro su licenza Arkham Horror releghi proprio l’aspetto horror ad una mera comparsa, quantomeno per i primi tre quarti della vicenda. Il genere poliziesco cederà il passo al sovrannaturale solamente nelle ultimissime pagine, spazio forse troppo ristretto per i nostri gusti.

Arkham horror vive di orrore che nel libro vivrete di rado.
Arkham horror è soprattutto questo, peccato che nel libro vivrete pochissimi momenti del genere

Il lettore in cerca di racconti su esseri antichi, orrori cosmici e misteri imperscrutabili potrebbe quindi rimanere deluso dal focus che Reynolds rivolge a vicende ben più umane. Voglio però precisare che quanto detto non è un vero e proprio difetto, ma vista la licenza su cui si basa l’opera è doveroso chiarire che La Collera di N’Kai non è assolutamente la tipica novella ispirata all’immaginario del Solitario di Providence.

In conclusione che dire di La Collera di N’Kai quindi? Reynolds riesce a confezionare un’opera certamente non esente da difetti, come personaggi secondari abbastanza dimenticabili ed un bilanciamento tra umano/sovrannaturale che potrebbe risultare indigesto a qualche lettore; è pur vero che il ritmo serrato e la voglia di scoprire chi ha rubato quella dannata mummia – e soprattutto perché – faranno volar via le pagine in un paio di giorni al massimo, risultando in una lettura leggera ma allo stesso tempo avvincente. Il tutto è impreziosito dalla ottima trasposizione della città di Arkham, oscura e malata al punto giusto, che più volte ricorda ai protagonisti che no, quella non è una tranquilla cittadina del Massachusetts. Sicuramente un buon punto d’inizio per la collana di libri su licenza Arkham Horror.

Dettagli e Modus Operandi

Ho indagato sulla Mummia dell’Oklahoma grazie ad una copia del libro gentilmente fornita dal publisher.

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Lost in Random per Xbox Series X – Recensione

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Lost in Random è un bellissimo viaggio nella narrazione transmediale. Le opere cinematografiche di Tim Burton, i classici di Charles Dickens e le maschere teatrali si incontrano in un piccola gemma, che si ispira ai grandi con rispetto. Il meraviglioso lato artistico e il gameplay volutamente casuale che abbiamo amato durante la recensione di Lost in Random forniscono una decina di ore di divertimento, con la ripetitività come unica pecca.

8.5


Il mondo che narriamo nella nostra recensione di Lost in Random è soggiogato da una regina che ha in mano l’unico dado che gli permette di decidere il fato di tutti i suoi abitanti. Il compito di porre fine a questo totalitarismo è nelle mani di una bambina, Even, a cui è stato sottratto l’affetto della sua amata sorella, Odd. Sembrano i presupposti per una bellissima fiaba, invece è la trama che accompagna un meraviglioso videogioco che intreccia lo stile gotico di The Nightmare Before Christmas e Il mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton con i classici romanzi con piccoli protagonisti come Oliver Twist.

Ocadnis in Lost In Random

Le facce del destino

L’opera di Zoink! ed Electronic Arts inizia a Primagora, il peggior posto in cui vivere nel regno di Alea. Tra gli uniani che abitano in questi bassifondi ci sono due sorelle: Even, protagonista del gioco e Odd, sua sorella maggiore. Le regole di Alea prevedono che durante il dodicesimo compleanno, tutti i bambini scoprono il proprio destino attraverso il lancio del dado nero per mano della Regina. Nel caso di Odd, il dado nero ha mostrato un sei, che significa lasciare tutto e partire per il posto più esclusivo del regno: Sest’Incanto.

Letteralmente strappata dalla propria famiglia da Tata Fortuna, Odd comincia la sua nuova vita con la Regina; in quell’esatto momento, inizia anche l’avventura di Even fra realtà e visioni oniriche. La ricerca di Odd ci porterà a visitare i posti più pericolosi di Primagora e fare la conoscenza di un simpatico compagno d’avventura: Dicey. Andando avanti con la trama, scopriremo che prima della dittatura, Alea era il luogo d’incontro dei dadomastri. Essere umani e dadi vivevano insieme in un reame che prevedeva continui scontri, fino a quando la Regina decise di essere l’unica che avrebbe posseduto un dado (nero).

Tata Fortuna di Lost In Random

Un percorso semplice

Even e Dicey viaggeranno per tutte le città del regno, contraddistinti da un nome che ricorda una delle sei facce di un dado, accompagnati da una voce narrante, che ci ricorda costantemente che siamo all’interno di un cupo romanzo.

La storia di Lost in Random procede con linearità, ma gli incontri con i vari personaggi non giocanti saranno sempre vivaci. Questo rende un teorico percorso unidirezionale, un tortuoso viaggio tra le emozioni degli abitanti di Alea, che grazie ad Even prenderanno coscienza di quanto odino il totalitarismo aristocratico.

Dicey

Incontri casuali

La ricerca di Odd porterà Even e Dicey a scontrarsi con le guardie della Regina. Ogni combattimento è in tempo reale e prevede l’utilizzo dei poteri del nostro dado, alimentato da cristalli; essi sono sbloccati colpendo gli avversari con la fionda in un punto specifico, oppure sconfiggendo i nemici. I cristalli permetteranno di pescare delle carte dal mazzo di 15 carte che potremmo formare come meglio crediamo. Una volta pescata la prima carta, potremmo decidere di lanciare Dicey, che genererà una pausa tattica: il valore ottenuto sarà il numero di punti che potremmo spendere per giocare le nostre carte.

Le carte sono divise in armi, pericoli ( danni “magici” extra) e trucchi per ottenere vantaggi. Grazie all’aiuto di Max Mazzieri (e delle monete che raccoglieremo) potremmo avere sempre più carte per formare il nostro mazzo, ma una volta trovata la nostra combinazione preferita, finiremo per optare per la stessa strategia fino alla fine del gioco.

Un’altra modalità interessante in cui affronteremo i nostri avversari è il gioco da tavolo. Saremo catapultati in una plancia di gioco, dove muoveremo la nostra pedina lanciando Dicey. Ogni gioco da tavolo ha le sue regole, ma lo scopo sarà sempre arrivare all’ultima casella.

Arte allo stato puro

Lost in Random ha una qualità artistica di livello assoluto. I disegni ricordano le opere più apprezzate di Tim Burton, ma anche personaggi iconici dei videogiochi. Per esempio, noi abbiamo visto nelle movenze di Tata Fortuna lo sfortunato Abe di Oddworld, di cui il titolo condivide anche lo stile steampunk. Inoltre, a dispetto dei classici platform (come Super Mario o Crash Bandicoot), le avventure di Even hanno un taglio maggiormente ruolistico; chi ne avrà voglia, potrà dialogare con tantissimi personaggi, che aumenteranno esponenzialmente il proprio carisma parola dopo parola.

In questa recensione di Lost in Random, sentiamo il dovere di fare i complimenti al team di Zoink! anche per il comparto audio. Se la componente visiva ci fa assistere a uno spettacolo teatrale, lo stesso fanno le voci forti e caratteristiche di questo videogioco; infatti, ogni personaggio secondario ha la sua “maschera”, che viene sapientemente raccontata dalla maestria del narratore, che ci accompagnerà anche nei momenti più macabri.

L’unico punto negativo che non permette al gioco di annoverarsi tra i capolavori è la costante ripetitività del gioco. Gli avversari saranno gli stessi per la maggior parte dei combattimenti, mentre la trama prosegue un percorso lineare senza mai cambiare radicalmente rotta. I viaggi nei sogni di Even spezzano la monotonia, ma non sono sufficienti per cambiare il ritmo del videogioco.

Deck building di Lost in Random

Xbox Series X

Questa recensione di Lost in Random è stata vissuta su Xbox Series X. Il lato artistico è la parte più bella del gioco e viene ampiamente goduta grazie alla risoluzione 4K della console. Menzione d’onore per i caricamenti, praticamente immediati nella maggior parte dei casi, e che comunque non superano mai una manciata di secondi.

Sogno in Lost in Random

Conclusione

Zoink! si è meritato un posto d’onore in quella terra di mezzo tra i videogiochi indipendenti e i “doppia A”. Lost in Random è una bella avventura platform a tinte GDR adattata a tutta la famiglia, che non indispone mai i fan più hardcore. Un romanzo tra sogno e realtà che ci ricorda il periodo storico che stiamo vivendo: l’era più importante della narrazione transmediale. Lost in Random è un viaggio obbligatorio ed economico, visto il prezzo proposto, per due motivi: ci riporta indietro fino all’infanzia e ci fa guardare con ottimismo il lucente futuro di Zoink!

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: azione, gdr
  • Lingua: Italiano (sottotitoli)
  • Multiplayer: No
  • Prezzo29,99€

Ho combattuto e amato la casualità di Alea per circa 12 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Essays on Empathy per PC – Recensione

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Essays on Empathy è una collezione di esperimenti che dimostrano come un’opera videoludica può essere un medium affascinante per raccontare delle storie con un alto contenuto emotivo, senza necessariamente coinvolgere freneticamente l’utente. Ci piace vedere questo titolo come un buon punto di partenza, in attesa di un seguito maggiormente organico e complesso da parte del talentuoso Deconstructeam.

6.5


Negli ultimi anni, l’importanza culturale dei videogiochi è stata rivalutata, permettendoci di godere di titoli con una forte componente narrativa. Ancor prima di What Remains of Edith Finch, gli sviluppatori di Deconstructeam hanno improntato i loro progetti interamente su esperienze ricche di emozioni umane; Essays on Empathy è una raccolta di dieci opere in cui Jordi, Marina e Paula hanno osato lavori dall’alto impatto emotivo, di cui De Tres al Cuarto è la nuova esperienza di punta.

Brevi, ma intensi

Ad eccezione di De Tres al Cuarto, Essays on Empathy è diviso in nove giochi con una longevità inferiore ai trenta minuti. Ogni opera affronta sempre tematiche diverse, accomunate dal loro essere forti e attuali.

Le opere sono affrontabili in qualsiasi ordine, ma riteniamo che gli autori abbiano seguito un percorso ben preciso, da sinistra verso destra. Il primo gioco è Underground Hangovers, il titolo più dinamico della collezione: un action a scorrimento laterale in cui sono trattate le tematiche dell’alcolismo; i successivi due videogame si concentrano sulla narrativa cyberpunk già vista in The Red Strings Club: Zen and the Art of Transhumanism e Supercontinent Ltd.

Cyberpunk

In Zen and the Art of Transhumanism impersoneremo un’artigiana di perk per essere umani. Questi add-on modificano le caratteristiche fisiche o psichiche del corpo che li ospita: starà a noi decidere se rendere un cliente competitivo o se inibire la sua volontà, rendendola semplicemente felice.

Supercontinent Ltd è un intrigo testuale con protagonista un hacker, coinvolto suo malgrado in un rapimento. L’intero videogioco si svolge al telefono e si divide in due fasi principali: trovare i numeri, da scrivere rigorosamente a mano, e usare le parole giuste per scoprire il contorto meccanismo che si cela dietro a tutta la vicenda.

Tragiche decisioni

In ogni caso, starà a noi decidere che strada intraprendere in Essays on Empathy.

Engolasters January 2021 dovremmo trovare un difficile equilibrio nella nostra vita. Muovendoci in una mappa innevata dovremmo bilanciare due eventi distinti: fenomeni paranormali, che potrebbero lanciare la nostra carriera giornalistica e la forte volontà di nostro figlio di scappare via da casa. Lo stesso gameplay è il motore di Dear Substance of Kin, il cui protagonista può plasmare il carattere degli abitanti di un piccolo villaggio, rimuovendo le caratteristiche che preferisce al costo di sacrifici umani.

Decisioni ancora più traumatiche possono essere prese in Eternal Home Floristry, dove creare un bouquet significa far incontrare sessualità e morte. Qualcosa di meno doloroso, se lo vorremmo, potremmo provarlo in The Bookshelf of Limbo: dovremmo “semplicemente” leggere titoli e prefazioni di libri, il regalo per nostro papà.

Vittime della vita

Quelli che riteniamo i giochi più riusciti della collezione hanno come protagoniste due donne. Behind Every Great One racconta la routine di una moglie costretta a subire le subdole pressioni del marito artista e della sua famiglia. In quest’opera, vestiremo i panni di una casalinga vicina all’esaurimento nervoso, che dovrà sacrificare se stessa per la carriera del marito.

Anche più macabra è l’avventura 11.45 A Vivid Life: lo scopo del gioco è asportare parti del nostro corpo e dare una motivazione delirante per giustificare l’autolesionismo.

De Tres a Cuarto

L’inizio dell’avventura ci avverte che questo videogame durerà circa 90 minuti e non ci saranno punti di salvataggio: gli autori ci vogliono raccontare una storia senza interruzioni, tutta d’un fiato.

De Tres a Cuarto è un duo comico in tournée, che aprirà svariati spettacoli in giro per la Spagna. Impersoneremo un giovane cabarettista, che pronuncerà le proprie battute seguendo un sistema di deckbuilding formato da quattro carte carte: blank, poor, punch e build. Le prime tre, dalla più scadente alla migliore, concludono la battuta e forniscono un punteggio in monete; la carta build permette di continuare il dialogo, aumentando anche il livello delle battute.

Nonostante il mazzo e la qualità delle battute sia migliorabile, l’obiettivo di De Tres a Cuarto è narrare la storia di due giovani artisti omosessuali, che stanno costruendo una relazione raccontando le proprie avventure, paure e ambizioni, senza alcun tabù.

Oltre il gioco

Dare eccessiva impoortanza al lato tecnico di Essays on Empathy significherebbe demolire delle ottime idee, che ci hanno permesso di riflettere sulla nostra vita per svariate ore. Il titolo di Devolver Digital e Deconstructeam presenta svariati bug, anche molto basilari. Per esempio, a volte, non è possibile passare a schermo intero o bisogna chiudere un titolo con ALT+F4; inoltre, i giochi sono spesso legnosi e i comandi non sempre rispondono come dovrebbero.

D’altro canto, la pixel art crea la giusta empatia con il videogiocatore, che percepirà esattamente le emozioni che gli sviluppatori vogliono trasmettere. Allo stesso modo, musiche e suoni riescono a farci percepire intensamente le (molto spesso) tragiche scelte della trama.

Conclusione

Essays on Empathy è una collezione per chi considera i videogiochi un altro modo di raccontare, per chi percepisce il medium videoludico come una valida alternativa a cinema e libri. Il titolo di Deconstructeam non è la migliore avventura interattiva che sia mai arrivata sul mercato, ma riesce a raggiungere il cuore e la mente del videogiocatore fornendo qualche ora di impegnativo divertimento.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Avventura
  • Lingua: Inglese
  • Multiplayer: No
  • Prezzo11,49€

Ho vissuto vite altrui per circa 6 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Death’s Door per Xbox Series X – Recensione

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Death’s Door è la versione contemporanea dei giochi d’azione old school. Il titolo è decisamente meno impegnativo dei suoi predecessori, ma fornisce un’esperienza praticamente perfetta in tutte le sue componenti. L’opera di Acid Nerve non ha nessun punto debole e qualunque sia la vostra priorità quando valutate un videogioco, Death’s Door vi sorprenderà, facendovi divertire per ore.

9


Negli ultimi anni, i videogiochi indipendenti hanno colmato il vuoto delle major producendo titoli action che hanno settato i nuovi standard dell’industria. Dopo i successi di Supergiant Games (Hades) e Motion Twin con (Dead Cells), riuscire a produrre qualcosa di innovativo è decisamente complicato, ma neanche necessario. Death’s Door è la dimostrazione vivente che per creare una piccola gemma è sufficiente prendere il meglio di quanto già giocato, adornalo con uno stile artistico sublime e cucirgli addosso una trama toccante.

L’ineluttabilità della morte

Death’s Door racconta la ciclica vita dei corvi, animali che hanno il compito di traghettare gli esseri viventi dal mondo dei vivi verso l’aldilà. Ad ogni soul reaper viene assegnata una porta, che rimane aperta fino a quando l’anima prescelta non passa a miglior vita. Una volta terminato il compito, la porta si chiude e un’altra si apre, in un ciclo infinito.

Dietro questa fondamentale missione ci sono pennuti costretti a un lavoro ingrato e noioso; di gran lunga più simile a un’ordinaria giornata d’ufficio postale, piuttosto che a fantastiche avventure in un contesto mitologico.

Purtroppo, anche questo moto perpetuo è imperfetto: ci è stata sottratta la nostra ultima anima, con il risultato che non potremmo chiudere la nostra porta fino a quando non la ritroviamo. Come da contratto, fino a quando una porta è aperta, siamo mortali e rimarremo tali fino a quando essa non sarà chiusa.

Nella realtà dei fatti, le porte che dovremmo aprire prima di raggiungere l’agognata meta saranno svariate. Muoversi all’interno delle porte comporterà scontrarsi con creature, che si opporranno alla nostra missione; solo i colpi di arma da taglio e magia ci permetteranno di avanzare. I tanti scontri che affronteremo ci condurranno alla Death’s Door; la porta che nasconde un triste passato fatto di regnanti oppressori, che ingiustamente hanno sovvertito la naturale regola della mortalità, almeno fino ad oggi.

Inspirato

Death’s Door è un crogiolo di riferimenti dei migliori videogiochi degli ultimi anni. Un videogiocatore attento noterà citazioni in tutte le componenti del titolo e rimarrà sorpreso di quanto siano geniali quelle su The Legend of Zelda e Dark Souls.

Nonostante il sub-genere più pertinente sia l’action isometrico, l’opera di Acid Nerve contiene al suo interno un’anima da Metroid “opzionale”; infatti, anche sbloccando nuove abilità, sarà necessario tornare indietro solo per brevi tratti, a meno che non si voglia completare il gioco al 100%. In quest’ultimo caso, dovremmo rivedere i livelli precedenti e utilizzare le nuove magie per raggiungere mete secondarie.

Nonostante la visuale isometrica ricordi Diablo e Hades, Death’s Door adotta un gameplay molto più simile alle avventure Nintendo. Il gioco è suddiviso in livelli a cui accederemo attraverso una hall come in Super Mario 64, ma ognuno di questi è un vero e proprio micro-mondo di The Legend of Zelda; infatti, le mappe sono predefinite, i nemici respawnano sempre negli stessi punti e sarà fondamentali imparare i percorsi da seguire e i pattern dei nemici.

Pochi precisi colpi

Death’s Door non offre un gameplay particolarmente variegato, ma tutto funziona estremamente bene. I nostri attacchi principali sono tre: attacco base con un certo numero di colpi consecutivi (swing) che dipendono dall’arma; attacco caricato, che dopo un attimo di pausa fa un danno ad area; attacco in corsa, che dopo una capriola effettua un danno ad area, ma necessita di prendere le misure con estrema accuratezza.

A questi, si aggiungono gli attacchi speciali: essi permettono di fare danno magico aggiuntivo, ma il loro scopo principale è risolvere una serie di enigmi ambientali per andare avanti tanto nella missione principale quanto nei percorsi secondari.

Piccole migliorie

Durante la partita partiremo con quattro cuori, che rimarranno tali, a meno di non riuscire a trovare tutti e quattro gli altari nascosti, che ci permetteranno di avere al massimo un cuore in più (il medesimo discorso vale per le barre dell’attacco speciale).

La stessa pecunia di miglioramenti vale per armi e abilità. Le prime sono cinque e totalmente opzionali: si trovano solamente seguendo percorsi alternativi e cambiano solo parzialmente il vostro stile di gioco rendendolo più o meno veloce. Le abilità, invece fanno parte della storia principale e saranno fondamentali per svolgere gli enigmi tanto della missione principale quanto dei percorsi più nascosti, ma anch’essi sono solamente quattro: arco, gancio, palla di fuoco e bomba magica.

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Loop Hero per PC – Recensione

Potremmo acquistare dei miglioramenti alle statistiche con una valuta ottenibile sconfiggendo i nemici che incontreremo lungo il percorso; considerando che ogni volta che moriremo, le creature ritornano in vita, sarà impossibile avere un vero e proprio stallo, poiché la morte ci consentirà comunque di accumulare risorse da spendere per diventare più forti.

Death’s Door non è un titolo estremamente difficile, ma la possibilità di errore è ridotta al minimo a causa del basso numero di cuori e barre di attacco speciale (che si ricaricano dopo ogni colpo messo a segno). Aspettatevi di morire e ripartire dall’ultima porta più volte, ma chiunque dovrebbe essere in grado di arrivare al boss finale, che richiede un maggiore impegno (e un’attenzione ai dettagli maniacale) rispetto al resto del gioco.

Pattern collaudati

Tutte le creature che dovremmo affontare, dai minion fino alle giant soul, hanno dei movimenti e degli attacchi predefiniti; questo rende il gioco abbastanza prevedibile per i più esperti, ma anche un’ottima palestra per i casual gamer. I boss principali da affrontare sono cinque, a cui si aggiungono una serie di mini-boss decisamente coriacei. Queste creature hanno un enorme carisma che proviene dal loro set di mosse e movimenti e che aumenta ulteriormente per le giant soul; infatti, queste anime dialogheranno con noi e ci mostreranno la grandezza della loro immortalità attraverso un level design dei loro mondi sublime, oltre a una caratterizzazione artistica di prim’ordine.

Conclusione

Death’s Door è un titolo eccezionale, che ricalca i capolavori del passato fornendo un’esperienza di gioco completa in tutti i suoi punti principali: il livello artistico è magnico; il level design rende la sfida sempre nuova e intrigante; i nemici principali hanno carisma da vendere; il titolo riesce a essere impegnativo, ma mai impossibile.

Per il prezzo a cui viene proposto, Death’s Door è un must per qualsiasi videogiocatore che voglia cimentarsi in un action isometrico per una decina di ore: gli esperti potranno cogliere i riferimenti ai vari capitoli di The Legend of Zelda, dalle armi alle creature; i neofiti potranno innamorarsi di un genere storico, provando un po’ di frustrazione tipica di questo genere, senza mai avere la paura di doverlo abbandonarlo per un eccesso di difficoltà.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Action isometrico
  • Lingua: Inglese
  • Multiplayer: No
  • Prezzo19,99€

Ho traghettato le anime più affascinanti del mondo per circa 10 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Hearthstone, Uniti a Roccavento – Recensione

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Uniti a Roccavento è un’espansione di transizione con spunti molto interessanti: i ferri di mestiere e le serie di missioni ripescano da un glorioso passato, fornendo una gradevole aggiunta al gioco. Quest’ultime in particolare sono carte decisamente forti che ci permettono di attendere la nuova modalità Mercenari con la giusta dose di divertimento.

7.5


Hearthstone si rinnova con la seconda espansione dell’anno del grifone: Uniti a Roccavento. La quinta espansione del formato standard è dedicata all’Alleanza e molti membri di questa fazione di World of Warcraft ritroveranno tante vecchie conoscenze. Uniti a Roccavento ha 135 nuove carte e presenta tre feature, di cui una ci riporta indietro a quattro anni fa, precisamente a Viaggio a Un’Goro: sono tornate le carte missioni, con una piccola innovazione.

Scambio

Stormwind è il centro nevralgico dell’economia dell’Alleanza e una la meccanica scambio lo enfatizza. Una volta pescate, queste carte possono essere barattate con una carta casuale del mazzo, alla modica cifra di 1 mana.

I mazzi di Hearthstone sono formati da solamente 30 carte. Di conseguenza, questa meccanica potrebbe abbattere la varianza e farci trovare la carta giusta al momento giusto. Gli archetipi che sfruttano al meglio questa feature sono i control e i combo, ma può tornare utile in tutti quei casi in cui si abbia l’esigenza di pescare la propria finisher. Scambio è per forza di cose molto meno interessante per i tempo e gli aggro, che tendono a massimizzare le riserve di mana.

Come al solito, il tempo ci dirà quali sono le carte più forti dell’espansione, ma sicuramente qualcuna è da tenere sotto osservazione già adesso:

  • Sovrascarico: non sappiamo se si arriverà addirittura a costruirci un archetipo attorno, ma questa magia aggiunge qualcosa che non si era mai visto su Hearthstone: sbloccare il Mana in sovraccarico. In generale, lo sciamano ha tante carte forti, che sono bilanciate dal sovraccarico: questo induce il giocatore a ragionare su due, o addirittura tre turni, prima di usare determinate carte con questa meccanica. Con Sovrascarico, invece aumenterà la possibilità di vedere dei tempo shaman seriamente competitivi.
  • Estorsione dell’IR:7: tre danni a costo uno, sinergia con la missione di classe e si può anche scambiare se la partita va avanti nel tempo. La rivedremo in tanti mazzi del ladro.
  • Bandistrice d’Asta Jaxon: anche se questa carta può sembrare lenta, potrebbe trovare molto spazio in alcuni combo deck: la possibilità di rinvenire dal proprio mazzo, ogni volta che giochiamo una carta scambio, aumenta le probabilità di avere le carte giuste al momento giusto. Una creatura interessante per gli OTK.

Ferri del Mestiere

Un altro ritorno sono le armi con 0 di attacco, che in Uniti a Roccavento prendono il nome di ferri del mestiere. Rispetto alle armi di Coboldi & Catacombe, che attivavano degli effetti all’inizio o fine del turno, i ferri del mestiere forniscono degli effetti dopo che sono state rispettate determinate condizioni. Tutte le armi sembrano avere un potenziale, ma è necessario un mazzo che ne sfrutti le doti. Tra le più interessanti abbiamo:

  • Set d’Inchiostro Celestiale (Mago): la sinergia con la nuova missione del mago può garantire una magia a costo 5 totalmente gratis.
  • Verga di Mithril Runica (Stregone): esattamente come per il mago, quest’arma è già usata nei mazzi Questline Lock: in hearthstone, tutto quello che riduce il costo in mana è pericoloso.
  • Frenesia del Leone (Cacciatore di Demoni): quest’arma può potenzialmente tradare qualsiasi creatura ed essere al contempo una finisher strepitosa, ma deve avere a supporto un mazzo che consenta di pescare tante carte in un singolo turno.

Serie di Missioni

Le quest di Viaggio a Un’Goro erano fortissime, ma avevano un forte limite: se non si attivavano per tempo, le partite erano una vera e propria agonia. Le serie di missioni, invece si dividono in più parti: ogni volta che viene completata una sub-quest, si riceve una ricompensa e una nuova missione. La ricompensa solitamente attiva un effetto che permette di far respirare il proprio gioco fino all’ottenimento della ricompensa finale, che facilita notevolmente la nostra partita.

I mazzi questline sono ovviamente i più provati in questa prima parte del meta e siamo certi i prossimi tier 1 gireranno attorno questa meccanica. Queste sono le tre serie di missioni per noi più interessanti:

  • Seme Demoniaco (Stregone): sacrificare più punti vita possibili per ottenere i grandi vantaggi delle carte del warlock e attivare la ricompensa finale, che trasforma il proprio dolore in danni inflitti all’avversario. La consistenza è tutta da verificare, ma lo stregone ha molte carte che permettono di rendere questo archetipo intrigante.
  • Difendere il Distretto (Cacciatore): l’hunter ha già degli archetipi molto forti, ma ci piacerebbe tanto giocare nuovamente lo spell hunter . L’idea è fare danni con le magie per poi aggiungere alla mischia anche il potere eroe. Semplice e, forse, efficace.
  • Stratagemma dell’Occultista (Mago): non siamo certi che sia una delle tre migliori quest, ma l’archetipo spell è una variante storica del mago. Avere +3 danni magici permette di tradare qualsiasi costa a costi irrisori e fare danni diretti molto seri.

Conclusione

Uniti a Roccavento è un’espansione che innova un glorioso passato con idee divertenti. Non si tratta di una rivoluzione, che si spera arrivi con la nuova modalità Mercenari del prossimo autunno, ma la nuova espansione di Hearthstone rimescola gli archetipi grazie alle serie di missioni: le quest sono sempre state molto forti per essere trascurate e anche questa volta manterranno la scena fino al prossimo grande evento.

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KeyForge, Racconti del Crogiolo – Recensione

Nell’era della crossmedialità, ogni successo deve potersi muovere da un mezzo di comunicazione all’altro per fornire diversi aspetti dell’opera: superata quota 1,5 milioni di deck venduti a fine 2019, KeyForge rientra tra le scommesse vinte. Esattamente come Magic: l’Adunanza, anche il nuovo gioco di carte del medesimo autore, Richard Garfield, è diventato un’opera letteraria. KeyForge – Racconti del Crogiolo è un libro contenente nove racconti, che ci hanno piacevolmente raccontato la variegata ed entusiasmante vita all’interno del Crogiolo

Autori armati

L’opera a cura di Charlotte Llewelyn-Wells prende vita dalla penna di nove autori. Circa metà di questi hanno già avuto modo di raccontare l’altrettanto diversificato universo di Warhammer 40.000, mentre i restanti hanno un prolifico background nel mondo fantasy e fantascientifico. Nei racconti del Crogiolo, questa esperienza si tramuta in una serie di novelle travolgenti e scanzonate, che ci hanno fatto passare diverse ore di divertimento, senza mai chiedere al lettore di conoscere accuratamente il mondo di KeyForge.

La paura del nuovo

In KeyForge, i giocatori impersonano gli Arconti, che sfruttano i poteri dei protagonisti del Crogiolo, divisi tra loro in fazioni denominate Case del Crogiolo. Nelle avventure che abbiamo letto, le Case si intrecciano tra loro vivendo la vita le proprie convinzioni e pregiudizi, ricordandosi che sopra di loro ci sono sempre gli Arconti.

La prima storia che leggeremo è “Il Contratto”: le avventure di un membro delle Ombre che è stato di recente catapultata nel Crogiolo. Vittima del caos, ha accettato un accordo che prevede l’abbattimento di “Url Il Poderoso”, anche se lo scopo della novella è raccontare il malessere di stare in un nuovo luogo all’improvviso, senza una vera volontà di rimanerci. Spaesata e costretta a lottare per sopravvivere, la protagonista, prima di affrontare Url Il Poderoso, dovrà fare i conti con se stessa e vincere la paura di appartenere a un mondo che ha trovato in lei qualcosa di positivo.

Amicizia e amore

I racconti del Crogiolo narrano anche, e soprattutto, di protagonisti ormai dentro il sistema. “Nell’Apprendista”, Roz lavora nell’officina di Grizl Crustic, un buon capo con il vizio dell’azzardo, tanto da giocarsi TRIS, il robot guardiano di Roz, a cui deve la vita. L’Apprendista narra la favola di chi non vuole perdere ciò che ama, combattendo fino in fondo e ottenendo come ricompensa un amore ancora più grande. Nella novella di Cath Lauria, tutto questo si tramuta in una nuova avventura per Roz, che parte alla ricerca di un tesoro da barattare al posto di TRIS e che termina con un nuovo etereo amico.

Anche “Il Duello della Bibliotecaria” parla di amore. La trama di Hutchins racconta della piccola Marya, uno spirito che vive dentro la biblioteca della madre Arash: una donna che ha speso tutto i suoi avere per permettere a sua figlia di materializzarsi sotto forma di ectoplasma tra i libri. Infatti, Marya si nutre di divertimento, emozione necessaria per essere ben visibile agli occhi della madre. Il racconto è una vita di sacrifici, che diventa infernale quando Arash è costretta a ripagare un libro non può permettersi. Solo a questo punto, la madre farà conoscenza di chiassosi brobnar, che dimostreranno come anche personalità estremamente differenti possano coesistere, se l’amore e la volontà di fare del bene sta al centro di tutto.

Totalitarismo

Nel Crogiolo, la vita in comunità è difficile. Soprattutto se il tuo corso di laurea prevede una ricerca nella casata di Marte, una fazione xenofoba sempre sul piede di guerra. “L’Esame di Stermino” narra della scarsa propensione dei marziani di fidarsi del prossimo, con risultati che possono diventare catastrofici per due laureande. La storia di Kolli e Nal’ai nasconde al suo interno la dura realtà del provare a far integrare una comunità che non vuole far parte di un mondo multiculturale, anche se non conosciamo mai a fondo i motivi per cui l’impero marziano sia così ostile.

La Casa di Marte, oltre a essere poco socievole con le altre razze, ritiene la competizione l’unico modo per sopravvivere nel Crogiolo. “L’Organismo Perfetto” ci mostra le ricerche di Briilip volte a creare l’arma definitiva che possa sconfiggere il Tiranno. La volontà di eccellere di Briilip non è un egoismo personale, perché va contro le regole dell’impero marziano: è un disperato tentativo di sopravvivere alla rieducazione della regione di Nova Hellas, un mix tra le pratiche del Vietnam e Arancia Meccanica. In questo contesto così duro, Briilip rinnova la sfida tra Angeli ed Evangelion mostrando quanto possa essere dura la vita in una dittatura militare.

Xenofobia demoniaca

Il tema della xenofobia, con toni più cupi, si può constare anche in “Utili Parassiti”: la novella narra di un elfo curatore che alleva un parassita demone Dis in grado di rimuovere il dolore dalle persone. L’intreccio di amore, nostalgia per un affetto passato e xenofobia della comunità si uniscono in un finale per nulla banale, in cui il buon senso prevale, spiegando come alcune creature hanno comunque i propri istinti, che possono scontrarsi con il bene degli altri.

Azione

I racconti del crogiolo contengono anche storie più avventurose, in cui l’intrigo è la parte fondamentale della lettura come in “Caccia al Ladro” e “Wibble e Pplmiz, Investigatori in Vendita”.

“Caccia al Ladro” di Thomas Parrot ha una trama degna di Lupin. Nalea è una ladra di preziosi, ma dovrà scontrarsi con uno dei più abili detective del Crogiolo: un plot twist effervescente, che ci ha piacevolmente coinvolti e condotti fino alla fine di un racconto della Casa delle Ombre. “Wibble e Pplmiz, Investigatori in Vendita” è invece la ricerca di una sorella scomparsa sotto l’esperta guida di due investigatori, tanto strani quanto abili. Ancora una volta i demoniaci Dis sono i cattivi senza scrupoli, ma l’insegnamento è importante: i problemi che ci vengono addosso, a volte, sono figli delle nostre scelte egoistiche.

Per i fan

Infine “Criptomani” è un elogio agli appassionati dei medium contemporanei. Gli amanti dei giochi di carte, giochi da tavolo e cosplay trovano in questo racconto di David Guymer un vero e proprio ringraziamento. Criptomani racconta la battaglia campale definitiva, svolta in un vero e proprio gioco di ruolo dal vivo. Una storia di passione così esilarante, che a tratti ricorda Febbre da cavallo dell’immortale Gigi Proietti.

Conclusione

KeyForge – Racconti del Crogiolo usa lo stile di James Joyce per raccontare un mondo variegato e molto spesso complicato. Le storie sono tutte abbastanza diverse tra loro e nessuno faticherà a trovare almeno un racconto da leggere con piacere. Alcuni autori riescono a creare un livello empatico maggiore rispetto ad altri, pur mantenendo lo stile di lettura estremamente semplice e chiaro, ma tutti i racconti sono piacevoli.

I racconti del Crogiolo sono un’ottima lettura estiva per tutte le età: ogni novella è contenuta in una trentina di pagine e la necessità di ricordare nomi e fatti è minima. Le storie non necessitano di una particolare conoscenza di KeyForge: questo rende il libro adatto veramente a tutti, anche se i fan del gioco di carte potrebbero storcere il naso. Infatti, alcune trame sembrano adattate a KeyForge e potremmo trovarle in qualsiasi altra ambientazione, come Warhammer 40.000 di cui molti autori sono esperti conoscitori.

Dettagli e Modus Operandi

Ho conosciuto il complesso universo del Crogiolo grazie a una copia del libro gentilmente fornita dal publisher.

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Dariusburst Another Chronicle EX+ per Nintendo Switch – Recensione

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Dariusburst Another Chronicle EX+ è un ottimo videogioco, che subisce un pessimo porting da cabinato. Il gameplay è eccezionale e i contenuti sono tantissimi, ma la fruizione su console è ostica, a tratti frustrante. Il prezzo non proprio budget rende l’acquisto interessante solo ai veri appassionati, consapevoli che Nintendo Switch non è la miglior piattaforma su cui usufruire di tale esperienza.

6.5


Quante volte avete desiderato che i cabinati, siti nella sempre amata saletta giochi, si teletrasportassero direttamente nella vostra stanza? Io tante, tantissime volte, e scommetto che chi ha vissuto gli anni 80-90 ha condiviso con me quel desiderio. Schiere di cabinati, ognuno dal considerevole peso ed ingombro, sfoggiati in file ordinate, pronti per l’ennesimo giro in cerca dell’highscore.

Ora corre l’anno 2021 e la tecnologia ha fatto davvero passi da gigante; dieci, cento, mille cabinati, tutti racchiusi sul palmo della nostra mano, tutti a nostra disposizione. È incredibile pensare come quintali, tonnellate di scatoloni metallici possano esser racchiusi in una minuscola scheda MicroSD dal peso di appena 2 grammi, prontamente usufruibili, e soprattutto non richiedano più quelle dannate monetine, che puntualmente mancavano al me stesso di circa 23 anni fa.

Eppure – come già avevo accennato durante la recensione di R-Type Final 2 – un cabinato sul palmo di una mano semplicemente non è un cabinato; il feeling è differente, l’ergonomia è differente, le caratteristiche hardware sono differenti. Dariusburst Another Chronicle EX+ è il perfetto esempio di come un cabinato ed una console portatile non vadano sempre equiparati.

Dariusburst nasce come titolo prettamente arcade, ovvero destinato alle sale sale giochi, e Another Chronicle EX+ è di fatto un remix del capitolo originale Dariurburst; abbiamo quindi a che fare con il porting – ad opera di Pyramid – di un titolo per cabinato, e questo causerà più di qualche problema alla fruizione su console, ma andiamo con ordine.

Ittiologia spaziale

Lo sappiamo tutti, la trama non è proprio l’elemento centrale di uno Shoot ‘em Up a scorrimento, e la saga di Darius non fa eccezione. Vi basti sapere che l’umanità anche stavolta deve vedersela con l’Impero Belsar, e per farlo ha a disposizione un’unica, potentissima arma, ovvero il caccia Silverhawk. Fin qui nulla di nuovo, umanità contro razza aliena ed un’astronave pronta a vincere la guerra, ovviamente in solitaria. Quel che sin dal primissimo capitolo – rilasciato nel 1986 – ha contraddistinto la serie è proprio l’aspetto peculiare dei nemici; esseri meccanici dalle fattezze di pesci, crostacei, molluschi e varie creature marine. Ovviamente Dariusburst Another Chronicle EX+ non fa eccezione, proponendo per l’ennesima volta scontri con nemici storici, stavolta reinterpretati in praticamente ogni colorazione possibile, con decine di varianti dei tanti boss presenti.

Un calamaro meccanico, tipico design di qualsiasi nave spaziale che si rispetti

A contrapporsi a questo grande acquario spaziale abbiamo la storica navetta Silverhawk, sola ed unica protagonista dell’intera saga. In contrapposizione a ciò che avviene con tanti shmups moderni – ovvero inserire meccaniche su meccaniche – Darius continua nel suo approccio più classico al genere. La Silverhawk è equipaggiata con un cannone primario ed un fuoco secondario – solitamente missili o bombe – e può potenziare il proprio armamentario raccogliendo globi colorati, prontamente rilasciati dai nemici abbattuti. È però presente una novità, che dà anche il nome alla nuova serie di capitoli. La Silverhawk è infatti equipaggiata con un Cannone Burst, un grande laser in grado di infliggere enormi danni ed eliminare quasi tutte le pallottole nemiche che incontra. Ovviamente un’arma tanto potente ha anche un utilizzo limitato, e va ricaricato abbatendo nemici o schivando pallottole. Vi è inoltre la possibilità di sganciare il modulo burst dalla nave, utilizzandolo così come una torretta in grado di coprire una certa porzione di schermo ed a funzionare da scudo al tempo stesso.

Attenzione ai laser nemici!

I livelli, come sempre, sono contrassegnati da varie lettere, presentando una struttura ad albero; si comincia scegliendo da quale dei tre stage iniziali si voglia partire, ed all’abbattimento dell’immancabile boss viene data la possibilità di scegliere quale tra le due zone successive si desideri affrontare. Ogni partita dura esattamente 3 livelli, di difficoltà ovviamente crescente. Ciò porta il totale degli stage a 12, ma come vedremo a breve in realtà gli stage sono molti, molti di più tra varianti e remix.

Il titolo si compone di 4 modalità. Original Mode, ovvero la modalità standard, e Original Mode EX, l’hard mode, che consiglio solo ai veri appassionati, visto l’elevatissimo grado di sfida. Event Mode, composta da 21 stage remixati e rilasciati per il cabinato originale, oggi finalmente disponibili anche su console. E poi quella che considero la modalità più interessante, ovvero la Chronicle Mode; centinaia di stage in multiplayer asincrono, in cui i giocatori sono chiamati a liberare vari sistemi solari, respingendo pian piano l’impero Belsar in vari stage che presentano le condizioni più disparate, come ad esempio il completamento con un solo credito a disposizione. Insomma, di contenuti ve ne sono davvero tantissimi, e terranno impegnati per decine di ore, seppur manchi un qualsivoglia contenuto sbloccabile che giustifichi un esborso di tempo simile.

Ecco la schermata di selezione che verrà presentata a stage ultimato

È particolarmente encomiabile la cura riposta nella realizzazione di ciascuno stage, che suggerisce da subito al giocatore l’utilizzo del cannone burst; non è raro infatti che i nemici attacchino su più lati dello schermo, rendendo così necessario l’utilizzo del modulo burst per fronteggiare un’ondata mentre la navetta comandata dal giocatore ne sistema un’altra; o ancora, potrebbe rivelarsi necessario utilizzare il cannone burst per fronteggiare i cannoni laser nemici, o utilizzarlo come screenclear nelle fasi più concitate.

Insomma, per quanto concerne il gameplay siamo davanti ad un lavoro sopraffino, e pad alla mano il divertimento è tanto. Ed a proposito di pad, è d’obbligo citare l’implementazione del HD Rumble in Dariusburst; potente e ritmata, la vibrazione del pad restituisce un ottimo feeling, e rende l’esperienza decisamente più appagante. Devo però precisare che a volte la vibrazione è anche troppo potente, e più di una volta mi sono chiesto se quel rumble – praticamente continuo durante gli stage – facesse bene alla mia Switch. Fortunatamente vi è la possibilità di settarne l’intesità – che è impostata al massimo di default – nel menù principale, graditissima aggiunta.

Uno spiacevole retaggio

Eccoci arrivati al più grande difetto di Another Chronicle EX+, ovvero la sua natura da titolo arcade. Il cabinato di Dariusburst si compone di due schermi da 32″ posti uno di fianco all’altro, ed il gioco è creato proprio in quel formato; la visuale dello stage è decisamente più ampia rispetto alla quasi totalità degli shmups in commercio e questa soluzione hardware garantisce un colpo d’occhio notevole, avvolgendo chi si trova davanti ad un arcade simile.

Qui però sorge il problema, come avranno fatto i ragazzi di Pyramid a rendere tale aspetto su una console portatile con schermo da 6,62”? Come vi avevo anticipato ci troviamo davanti ad un porting nudo e crudo – arricchito di qualche trascurabile opzione – quindi l’unica soluzione possibile è l’inserimento di due vistosissime bande nere all’estremità superiore ed inferiore dello schermo, soluzione già adottata per tante conversione di shmups; soluzione che ahimè non funziona per Dariusburst, essendo il titolo sviluppato per una visuale estremamente ampia.

Immaginate di dover leggere queste scritte su di uno schermo 6,62″

Il risultato è che la fruizione del titolo risulta davvero ostica, specie in modalità portatile, con una piccola porzione di schermo che deve racchiudere davvero troppi elementi; più di una volta ho riscontrato difficoltà nel manovrare la nave o vedere un proiettile nemico, visto quanto risultano piccoli sullo schermo di Switch. Dariusburst è un ottimo shoot ‘em up, ed usufruirne in tale maniera non rende per nulla giustizia alla qualità del gameplay proposto. La situazione migliora leggermente su TV, a patto però di possedere un pannello di dimensioni adeguate; personalmente ho trovato accettabile la resa a schermo sul mio TV da 55″, ma non vi nego che anche in queste condizioni avrei preferito uno schermo più grande.

La dimensione dello schermo Switch di sicuro non vi aiuterà in fasi simili

I retaggi da arcade non si fermano qui. Another Chronicle EX+ è un titolo davvero stracolmo di contenuti, ma tali contenuti vengono presentati al giocatore in maniera confusionaria; minuscoli testi quasi illegibili in modalità portatile, la onnipresente scritta “freeplay” ed un simpatico “mind the head” alla fine di ogni sessione sono solo alcuni degli elementi che rivelano la natura di conversione del titolo da cabinato. Risulta quindi inspiegabile la scelta di rendere disponibile Another Chronicle EX+ piuttosto che il capitolo creato ad hoc per console portatili Chronicle Saviours – sempre sviluppato da Pyramid – titolo decisamente più adatto per un Nintendo Switch.

In conclusione

Questa è davvero una strana recensione, poiché Dariusburst Another Chronicle EX+ è di fatto un ottimo titolo, pieno di contenuti, con un gameplay divertente e frenetico ed una OST da paura. Sfortunatamente alla bontà del titolo si contrappone la fruizione dello stesso, che risulta davvero ostica, specie in modalità portatile, dove i 6,62″ di Switch proprio non rendono giustizia alle battaglie della Silverhawk. Il problema è leggermente mitigato su TV di una certa dimensione, certo, ma non viene mai davvero risolto. Questo – unito ad un prezzo non proprio irrisorio – mi porta a consigliarlo solo agli appassionati duri e puri del genere, consci del fatto che Switch non è esattamente la console migliore su cui giocarlo.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Arcade/Shoot ‘em up
  • Lingua: Inglese
  • Multiplayer: Si
  • Prezzo39,99€

Ho abbattutto banchi di pesci spaziali per circa 10 ore, grazie ad un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Monster Hunter Stories 2: Wings of Ruin per Nintendo Switch – Recensione

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Monster Hunter Stories 2: Wings of Ruin è una piacevolissima sorpresa. Un jrpg solidissimo, con una trama semplice ma avvincente, personaggi ben scritti, uno stile grafico delizioso e una quantità di contenuti davvero enorme. Il battle system offre un ottimo grado di sfida, mentre i problemini di performance non minano la fruizione di uno dei migliori jrpg degli ultimi tempi.

9


Collezionare mostri, tanti mostri, un concetto tanto semplice che ha fatto entrare di diritto Pokémon tra le fila dei franchise più famosi e redditizi al mondo. Eppure di titoli che tentino di seguire le orme tracciate dal gigante nipponico se ne trovano davvero pochi, a riprova che sì, il concetto del catturare mostriciattoli è semplice, ma non facilmente replicabile. È proprio qui che entra in scena Capcom, che a sorpresa annuncia Monster Hunter Stories 2: Wings of Ruin, la stessa Capcom che negli ultimi anni sembra essersi trasformata in uno strano Re Mida del mondo videoludico, sfornando capolavori su capolavori e riportando in auge saghe che non se la passavano troppo bene; da Monster Hunter World ai remake della serie Resident Evil, per poi passare a Devil May Cry V e Monster Hunter Rise. A tutto ciò va anche aggiunto che la saga di Monster Hunter sta meritatamente vivendo un periodo d’oro, con i capitoli World e Rise campioni di vendite, ed addirittura un film prodotto sul franchise, che sarò onesto, non ha ricevuto il magico tocco delle serie videoludiche di Capcom.

Con queste premesse le aspettative non potevano che essere alte, soprattutto per il sottoscritto, grande estimatore della saga di Monter Hunter, ed al contempo dello spinoff sviluppato per Nintendo 3DS nel lontano ottobre 2016, un validissimo jrpg piuttosto sfortunato, rilasciato durante quello che definirei il canto del cigno della portatile a doppio schermo. Insomma, la domanda è semplice, sarà riuscita Capcom ad imprimere il magico tocco anche stavolta, l’ennesima volta? Si, vi assicuro che ci è riuscita, ed ha sorpreso un po’ tutti, ma andiamo ad analizzare l’ultima magia della fortunata – o magica, decidete voi – casa di sviluppo nipponica.

Un cielo cremisi

La nostra avventura ha inizio nel villaggio di Mahana, unico insediamento umano sulla piccola isola di Hakolo. Il cielo si tinge di rosso – no, non è colpa del Valstrax stavolta – e tutti i Rathalos presenti sull’isola si alzano in volo, diretti da qualche parte oltre il mare, oltre l’orizzonte. Anche il Ratha Guardiano, inseparabile compagno di Red, nonno del protagonista, non riesce a resistere a quel bagliore cremisi, ma prima di spiccare il volo ci affida uno strano uovo, che stando ad un’antica profezia potrebbe contenere il Ratha Tagliente, malvagio essere che porterà distruzione su tutto il mondo.

L’evento che segnerà l’inizio della nostra avventura

Questo rappresenta l’inizio di un epico viaggio in cui vestiremo i panni di un giovane Rider – creato tramite editor – alla ricerca della verità sulla profezia delle Ali della Distruzione e sul destino di Ratha, accompagnati da Ena ,Wyverniana dal cuore gentile, e Navirou, uno strambo Felyne che si proclama addirittura come il Felyne Leggendario. E non mancheranno tanti altri comprimari, sorprendentemente caratterizzati, che renderanno il nostro vagabondare per il continente un’esperienza ancor più piacevole e meno solitaria.

Sappiamo benissimo che nella saga di Monster Hunter il comparto narrativo spesso si è rivelato essere un mero pretesto per riempire di botte bestie di ogni specie e forgiare nuovi attrezzi del mestiere, ed anche il primo Monster Hunter Stories – nonostante proponesse degli spunti interessanti – non si discostava poi troppo dalla classica forma della saga Capcom. É proprio qui che Monster Hunter Stories 2 sorprende maggiormente, compiendo enormi passi avanti rispetto il predecessore. La storia non è più un semplice mezzo per giustificare la presenza di questo o quel mostro da affrontare, ma assume un ruolo centrale durante tutto l’arco dell’avventura, con colpi di scena riusciti, personaggi ben caratterizzati, ed un intreccio narrativo semplice nella forma, ma decisamente godibile, che saprà catturare il giocatore in più di un’occasione. Ed ovviamente non mancano i siparietti comici che permeavano il primo titolo, che devo ammetterlo, mi hanno strappato più di qualche risata e soprattutto non si sono mai rivelati essere fuori luogo.

Ecco l’allegra combriccola

Sorprende anche la sapienza con cui vengono affrontati i tanti temi presenti nel gioco, dall’amicizia all’importanza dei legami creati, la fiducia, la vendetta, ma soprattutto la capacità di non fermarsi all’apparenza delle cose, ed anzi, di voler comprendere davvero chi si ha davanti. Tutti temi trattati in maniera sì leggera, ma efficace ed oserei dire potente in un paio d’occasioni, che faranno riflettere sia i giocatori più o meno giovani. L’intero comparto narrativo è poi supportato da sequenze cinematiche di prim’ordine, che ci faranno immedesimare ancor di più nei protagonisti della nostra avventura, ed a volte si avrà anche la sensazione di guardare un anime vero e proprio, merito della deliziosa direzione artistica. Insomma, tutto quel che concerne il comparto narrativo di Monster Hunter Stories 2 è davvero solido, e dimostra che anche Monster Hunter può fregiarsi di una trama di tutto rispetto, che spero vivamente verrà proposta anche in un titolo della saga principale, prima o poi.

La profezia del Ratha Tagliente

Che dire poi del mondo di gioco? Cavalcare tra cime innevate o aridi deserti è davvero una piacevole esperienza; seppure Monster Hunter Stories 2 non sia un capolavoro tecnico, il grosso dell’ottimo lavoro svolto è da ricercarsi nell’azzeccatissima direzione artistica, che opta per ambienti coloratissimi e molto particolareggiati. É inoltre presente una funzione di spostamenti rapidi, che risulta accessibile in ogni istante ed è un vero e proprio toccasana per il ritmo di gioco, poiché ,qualora si vogliano completare le tantissime subquest presenti, vi assicuro che i giri da fare saranno tanti, davvero tantissimi. Le nostre lunghe camminate vengono poi accompagnate da una colonna sonora che risulta sempre coerente con ciò che si vede a schermo, ed offre tracce di ottima qualità. Il tutto è impreziosito da entrambi i doppiaggi presenti – in lingua inglese e giapponese – di buon livello, e di sottotitoli ovviamente in italiano.

Una nota di rammarico invece per le performance della versione provata, con gli stupendi filmati che spesso e volentieri scenderanno anche sui 20 fotogrammi al secondo, ed un’esplorazione talvolta resa fastidiosa da performance claudicanti. Appare inoltre inspiegabile la scelta di mantenere il framerate totalmente sbloccato e non inserire un cap ai canonici 30fps, con il risultato che in alcuni ambienti – i più piccoli – il titolo andrà a 60fps, per poi passare a 30, 20, 40 e così via, rendendo l’esperienza poco fluida ed omogenea. Fortunatamente durante le fasi di combattimento la situazione migliora ed il framerate si assesta sui 30fps quasi granitici, offrendo un’esperienza molto più godibile. Dopo aver riscontrato performance tanto problematiche inoltre mi chiedo, davvero ciò di cui noi fan di Nintendo abbiamo bisogno sia uno schermo OLED? Ed insomma, la scelta di Nintendo si fa sempre più inspiegabile.

Gotta ride ‘em all!

Chi sono i Rider? A differenza dei Cacciatori, protagonisti indiscussi della saga principale di MH, i Rider potrebbero essere definiti come “addestratori di mostri”, individui che riescono a creare un forte legame con i propri Monsties – questo il nome dei mostri “addomesticati” – e lottare assieme a loro, in perfetta sincronia. Proprio in questa figura – davvero simile ad un allenatore Pokémon – risiede la peculiarità di Monster Hunter Stories.

Il Rider ed un Nargacuga eseguono l’abilità legame

Sono proprio i Monsties i veri protagonisti di Monster Hunter Stories 2, ed alzi la mano il fan che non ha mai sognato di cavalcare uno Zinogre o un Mizutsune. Sono tanti, davvero tanti, se ne contano un centinaio circa, ognuno contraddistinto da tipo, elemento ed abilità spesso uniche, oltre ad una spettacolare mossa legame per ognuno. Insomma, se cercate un titolo in cui collezionare mostriciattoli, ma i Pokémon vi sembrano troppo carini, qui troverete pane per i vostri denti. Si va dal Glavenus, un wyvern brutale specializzato nell’utilizzo della lama/coda, a Monsties più bizzarri, come il Nerscylla, Temnoceran – o grande aracnide, che dir si voglia – specializzato nell’ infliggere status alterati. Di varietà ve ne è davvero tantissima, tanto che più e più volte ho letteralmente speso minuti interi a decidere quale Monstie portare con me, dato che mi piacevano praticamente tutti; i dubbi vengono ulteriormente rinforzati dal fatto che ogni Monstie ha una sua abilità “ambientale” utile ad esplorare le varie mappe di gioco, come ad esempio il Velocidrome che può saltare, o lo Yan Kut Ku che ha la capacità di frantumare alcune rocce, dove spesso si nascondo dei preziosi scrigni. Bisogna inoltre fare i complimenti a Capcom per quanto concerne la realizzazione di mostri e personaggi, tutti ricreati con una curia maniacale, dalle movenze alle stupende animazioni di attacco. Dopo questa piccola parentesi passiamo invece a ciò che definisce un jrpg, ovvero il battlesystem.

Il titolo si presenta come un classico jrpg a turni, dove tutto ruota attorno ad un sistema di resistenze e debolezze molto simile alla morra cinese. Quasi tutti gli attacchi si suddividono in tre macrocategorie, ovvero potenza, velocità e tecnica, ed ognuna di esse ha la meglio su una ma soccombe all’altra. É importantissimo infatti selezionare il giusto attacco da sferrare, al fine di vincere lo scontro frontale, o Testa a Testa, al fine di riempire la barra legame, il “mana” di Monster Hunter Stories. A noi viene data la possibilità di comandare il Rider, che dispone di vari tipi di armi ed abilità, mentre Monsties ed alleati vengono invece gestiti dalla CPU, anche se il Monstie può ricevere ordini direttamente da noi tramite l’utilizzo della barra legame. É poi possibile, previo riempimento della barra legame, salire in sella al proprio Monstie, per poi sferrare una spettacolare abilità legame, attacco devastante e coreograficamente stupendo; a tal proposito vi consiglio di provare quello del Brachydios, davvero fuori di testa!

Un attacco doppio tra Rider e Monstie

I combattimenti di Monster Hunter Stories sono lunghi, parecchio più lunghi di quelli presenti nella stragrande maggioranza dei jrpg, ciò però non significa che gli scontri siano noiosi, anzi, tutt’altro, ogni combattimento assomiglia ad una piccola bossfight, con i mostri avversari che alternano varie fasi d’attacco, passando da potenza a tecnica ad esempio, per poi andare in enrage, seguendo un pattern ben preciso. Inoltre i mostri avversari – nella maggior parte dei casi – sono composti da più parti, ognuna con la propria resistenza e debolezza a danni contundenti/perforanti/taglienti, proprio come nella serie principale, e spesso sarà necessario “rompere” una parte per stordire l’avversario, renderlo più vulnerabile o bloccare un suo attacco particolarmente pericoloso. Tutti questi elementi culminano nelle bossfight, di difficoltà via via crescente, che riserveranno non poche sorprese.

Capcom quindi riesce nell’arduo compito di rendere ogni singolo scontro soddisfacente e mai banale, dando anche l’opzione al giocatore di velocizzare il tempo di battaglia a 2x o 3x, e qualora volessimo “farmare” dei mostri più deboli, di porre istantaneamente fine alla lotta, non tediandoci con i classici scontri da jrpg “usa il comando attacca fino allo sfinimento”, un risultato mica da poco.

Il Mizutsune è sicuramente un graditissimo ritorno

Come avrete capito il sistema di combattimento di Monster Hunter Stories, a prima occhiata piuttosto semplice, nasconde invece una complessità non indifferente che metterà alla prova le nostre capacità strategiche; ogni Monstie appartiene ad una delle tre categorie d’attacco, quindi è imperativo costruire una squadra ben bilanciata al fine di fronteggiare ogni tipo di avversario. Inoltre, come già detto, ogni Monstie è contraddistinto da un elemento ed una debolezza elementale, dati che inizialmente potrebbero sembrare superflui – vista la discreta facilità delle prime ore – ma che nelle fasi avanzate dell’avventura si riveleranno di vitale importanza, quando gli avversari picchieranno sempre più forte, e scegliere il Monstie sbagliato potrebbe portarci ad una rapida sconfitta. Così come è di vitale importanza la scelta dell’equipaggiamento del Rider, punto che toccherò a seguire.

Piccoli genetisti crescono

Fin qui abbiamo discusso di storia, battlesystem, ma tutti sappiamo che in ogni jrpg che si rispetti è di fondamentale importanza la scelta dell’equipaggiamento così come la costruzione della propria squadra, e fidatevi, qui Monster Hunter Stories non teme rivali. Ogni singolo Monstie è contraddistinto da un proprio “quadro genetico”, ovvero una griglia 3×3 che ne determina parametri ed abilità, ed è generata in maniera semi-casuale alla schiusura di ogni uovo. Tramite il Rituale Sciamanico è poi possibile trasferire un singolo gene da un Monstie all’altro, perdendo il “donatore” nel processo, ed è qui che si apre letteralmente un gioco nel gioco. Volete un Arzuros che sputi fuoco come un Rathalos? Potete farlo. Amate il vostro Tigrex ma la sua abilità Lancia Pesante vi sembra poco utile? Sostituitela con qualcos’altro. Volete creare un Monstie in grado di rispondere ad ognuno dei 3 tipi di attacchi, a discapito di bonus passivi? Anche qui la risposta è, createvelo pure. Le possibilità sono davvero infinite, ed incasellando tre geni dello stesso tipo/elemento si fa “bingo” potenziando quella data categoria/elemento del Monstie. Come se non bastasse i geni hanno più livelli – ad esempio esiste Punto Debole 1 o la versione potenziata, Punto Debole 2 – quindi creare il “Monstie perfetto” richiederà tanta dedizione, ma anche un enorme grado di soddisfazione.

Un cucciolo di Tigrex, speriamo abbia qualche gene raro!

E che dire del Rider? I tipi di armi presenti in Stories sono 6, ovvero spadone, spada e scudo, martello, corno da caccia, arco e lancia-fucile; ognuna di esse ha accesso a diverse abilità e stili di gioco. Ad esempio il martello è un’arma totalmente votata agli scontri Testa a Testa ed acquisisce una carica ogni volta che ne vinciamo uno, per poi utilizzarli in devastanti attacchi come la Meteora Vorticante. Il corno da caccia è invece un’arma che fa del supporto il suo punto forte, grazie a cure o numerosi buff che potenziano l’intera squadra. Sappiate che la quantità di equipaggiamenti è davvero enorme, potremo scegliere tra centinaia di spadoni, spade, martelli e chi più ne ha più ne metta. Ovviamente altro tassello fondamentale dell’equipaggiamento sono le armature, che di fatto andranno a definire le difese del nostro Rider, ma soprattutto le sue abilità, dando così vita ad ogni sorta di build. Amate il corno da caccia? Allora un’armatura con Maestro Corno+1/2 etc. è d’obbligo. O magari preferite puntare tutto sui colpi critici? Vi consiglio di fare scorta di materiali Nargacuga! Non possono poi mancare i talismani, oggetti equipaggiabili generati casualmente che ci forniranno ulteriori abilità per affinare la nostra build. La scelta è davvero vastissima, ed ogni giocatore potrà creare la propria combinazione di armi ed armature, puntando più sul Rider o magari cercando una maggiore sinergia con la propria squadra di Monstie. É davvero sorprendente come Capcom sia riuscita a trasporre perfettamente ognuna delle 6 tipologie di arma in salsa jrpg, rispettandone in pieno lo stile di gioco della saga principale, così come è incredibile la varietà di approcci data al giocatore, che sarà costantemente spronato nel creare nuovo equipaggiamento, in un loop davvero piacevole. Insomma, se siete amanti della customizzazione e/o del min/maxing state certi che in Monster Hunter Stories 2 troverete un titolo irrinunciabile.

Cavalcare in compagnia

Potrei già dire che Monster Hunter Stories 2 offra una mole di contenuti enorme nella sola campagna principale – che per inciso, andando spediti dura almeno 35-40 ore – ma non si ferma qui. Una volta ultimato il titolo sarà possibile accedere ad una miriade di contenuti postgame, come un dungeon “finale”, nuovi mostri presenti solo qui, ed in generale un nuovo grado di sfida, ovvero l’ Alto Grado. Vi basti sapere che praticamente ogni singolo pezzo di equipaggiamento potrà essere nuovamente forgiato in forma più potente, e che il postgame è potenzialmente più cospicuo della storia principale, che col senno di poi potrei definire un grande e lungo tutorial. Infatti è proprio in questa porzione di gioco che l’asticella si alza ulteriormente, offrendo delle bossfight davvero toste, che richiederanno squadre create ad hoc e la padronanza totale del battlesystem per essere superate. Mi piacerebbe parlarvi di quanto il postgame mi abbia stupito, ma vi invito a scoprirlo da soli, perchè ne vale davvero la pena!

Ecco cosa succede quando fate arrabbiare un mostro

Altra importante componente del titolo è la cospicua modalità multiplayer, che viene sbloccata solo dopo qualche ora di avanzamento nella trama principale, e si compone di esplorazioni, sfide ed una vera e propria modalità competitiva. É proprio durante le sfide ed esplorazioni che il titolo propone i contenuti più ardui, per cui se volete davvero fare tutto il fattibile senza il fardello di un compagno mosso dalla CPU l’online è l’unica scelta disponibile. Va segnalato che il matchmaking agisce in forma totalmente automatica, e trovare una stanza che fa al caso nostro sarà un gioco da ragazzi, essendo l’online decisamente popolato al momento della stesura di questa recensione. Ho provato per diverse ore tale modalità, e se da un lato posso affermare con certezza che sì, funziona, dall’altro mi sentirei di consigliarla davvero solo qualora si abbia la possibilità di giocare con un amico, piuttosto che con sconosciuti. Ovviamente un jrpg a turni non è proprio il genere di videogioco più adrenalinico, e giocare con uno sconosciuto che magari perde tempo nel selezionare la mossa da utilizzare risulta spesso davvero noioso; discorso diverso invece se si ha la possibilità di giocare con un amico, chiacchierarci, concordare una determinata strategia. In quel caso il multiplayer di Monster Hunter Stories 2 risulta una modalità di tutto rispetto, capace di regalare ore ed ore di contenuti, farming e sfide davvero ardue.

In conclusione

Monster Hunter Stories 2: Wings of Ruin è l’ennesima stregoneria Made by Capcom. Uno stile grafico delizioso, tantissimi mostri da collezionare, grande cura per i dettagli, una trama piacevolmente narrata, quasi fiabesca, che tratta in maniera efficace temi sempre attuali, un battlesystem solidissimo e molto stratificato. A tutto ciò va aggiunta la possibilità sconfinata di customizzazione dei propri Monstier, così come del Rider, che farà felice qualsiasi patito di statistiche e personalizzazione. Contenuti postgame davvero cospicui, nuove sfide da affrontare ed una modalità multiplayer che può regalare tante soddisfazioni. Tutti questi elementi riescono nell’arduo compito di trasporre Monster Hunter in un jrpg dalle qualità altissime, che rispetta in tutto e per tutto la saga principale, creando al tempo stesso quello che reputo uno dei migliori spin-off degli ultimi anni. Certo, su Nintendo Switch le performance non sono proprio esaltanti, ma una sbavatura simile non può in nessun modo oscurare le enormi qualità di cui Monster Hunter Stories 2 riesce a fregiarsi.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: JRPG
  • Lingua: italiano/inglese
  • Multiplayer: si
  • Prezzo59,99€

Ho scoperto la verità sulla profezia del Ratha Tagliente per circa 70 ore, grazie ad un codice gentilmente concesso dal publisher.

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Recensioni

Labyrinth City: Pierre The Maze Detective per PC – Recensione

Recensione in un Tweet

Gioco interessante solo per un pubblico di giovanissimi. Paga cara la ripetitività e la scarsa capacità di coinvolgere il giocatore. Buona la parte tecnica che si salva in corner per la bellissima ambientazione, completamente disegnata a mano, e le musiche interessanti. Decisamente da rivedere la parte di gameplay, che dovrebbe rappresentare un punto importante di qualunque videogame.

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Labyrinth City: Pierre The Maze Detective è un gioco sviluppato da Pixmain. Il suo genere di appartenenza può essere identificato in un puzzle-game 2-D, rivolto ad un pubblico di minori. A primo impatto, il gioco mi è sembrato una delle tante rivelazioni indie, capaci di rappresentare vere opere d’arte (come Genesis Noir), ma purtroppo mi sono dovuto ricredere nonostante la grafica carina e l’accattivante aspetto old style, mi avevano incuriosito e non poco.

Il protagonista del gioco è Pierre, un curioso detective che deve inseguire il cattivissimo Mister X. L’appena citato cattivo ha rubato la “Maze Stone”, una pietra che ha il potere di creare labirinti complessi a piacere.

Il gioco è basato completamente, sia per la storia e sia per i livelli, sul libro omonimo. Sulla falsa riga dell’opera letteraria, il titolo si dipana in “missioni”, incentrate sull’inseguimento lungo vari labirinti.

Altro elemento rilevante è la localizzazione in italiano dei dialoghi. Questo è un elemento che sta diventando raro e che riesce ad essere un problema importante. Come sottolineato in precedenza, diventa fondamentale la localizzazione corretta ed approfondita dei giochi al giorno d’oggi, in particolare con il ritorno in auge di tanti generi basati su complesse e lunghe sessioni di dialoghi.

Disegni artistici e musiche coinvolgenti

Labirinto cittadino
Scorcio di uno dei “Labirinti” da affrontare.

Il gioco ha sicuramente dei punti di forza a livello artistico. Personalmente trovo apprezzabile la riproduzione, quasi completamente a mano, di tutte le ambientazioni principali.

Questo rende il titolo vicino ad essere un’opera d’arte, grazie un importante colpo d’occhio decisamente artistico. Il tocco d’artigianato impresso nel game-design è apprezzabilissimo, riuscendo così a stravolgere il concetto di puzzle-game. All’inizio, nonostante l’entusiasmo, temevo che il classico gioco a labirinti mi avrebbe facilmente annoiato, anche a livello visuale. Invece, per fortuna, sono stato smentito da un’ottima grafica, che rende l’opera dissimile a qualunque altra presente nel panorama videoludico.

Anche le musiche sono ben caratterizzate e sebbene non siano della stessa qualità del game-design, riescono a fare la loro bella figura, adattandosi al gioco come un sontuoso vestito.

Il connubio di musiche, ambientazioni e design grafico riesce ad essere attrattivo, soprattutto verso un pubblico di bambini. In questo modo inoltre il videogame si innalza nel diventare una vera e propria forma d’arte e metodo di espressione moderno.

Ma cosa si intende per “metodo di espressione moderno”? Beh, immaginate di prendere una qualunque fiaba per bambini, di quelle da raccontare la sera farmi addormentare. Come la scrittura e la diffusione della stampa, a suo tempo, hanno favorito l’innalzamento del livello culturale della nostra specie, un gioco capace di unire interattività a storie per bambini, potrebbe rappresentare il nuovo orizzonte pedagogico per i pre-adolescenti.

La grande scommessa vinta da “Labyrinth City: Pierre The Maze Detective” è quella della modernizzazione, senza stravolgerne il contenuto, di una storia ad illustrazioni classica, risultando, aldilà del punto di vista e gusto personale, innovativo.

Gameplay ed interazioni decisamente da rivedere

Mercato nero
Illustrazione del mercato nero.

Pur apprezzando la grafica e le musiche, c’è da dire che a parte un ristretto gruppo di appassionati, è difficile trovare piacevole alla lunga le sessioni di gioco.

Nonostante siano presenti molti interessanti riferimenti a videogiochi cult (fra tutti la saga di Assassin’s Creed), questi sono appunto solo “riferimenti”. La mancanza di azioni o interazioni conseguenti a queste scenette, tendono a renderle sterili e a malapena curiose. Le brevi interazioni presenti, in forma di mini-giochi dentro al gioco stesso. tendono ad essere carine all’inizio, ma decisamente ripetitive alla lunga.

Gli obiettivi presenti nelle missioni tendono ad essere abbastanza ripetitivi, sempre nella stessa forma. Infatti in tutti i livelli, si potrà fare solamente lo stesso set di “gruppi” d’azioni:

  • Trovare i forzieri.
  • Cercare l’oggetto “speciale”.
  • Ricercare le stelle.
  • Raccogliere gli appunti di Mister X.
  • Parlare con l’orso per i mini-giochi.
  • Dialogare con i personaggi principali o secondari.

All’apparenza sembrano tante le azioni, ma l’assenza di vere e proprie conseguenze dopo i dialoghi, di azioni aggiuntive da poter svolgere in seguito al ritrovamento degli appunti o qualsivoglia forma di interazione “attiva” e “conseguente”, rende il tutto molto statico e sterile. Ogni azione è infatti slegata dalle altre e non fornisce nessun contributo utile o conseguenze tangibili nei vari livelli.

Tutto questo rende le interazioni molto ripetitive e alla lunga noiose. Inoltre la totale assenza di legami fra le varie azioni rende di fatto inesistente il gameplay. L’intimo legame fra input del giocato ed intelligenza artificiale infatti è un fattore cruciale per qualunque gioco, come già sottolineato con forza. Altrimenti l’impressione è quella di ripetere senza sosta un determinato insieme di azioni quasi senza un nesso logico, facendo mancare il coinvolgimento emotivo del giocatore.

Conclusioni

Il gioco ha sicuramente uno spiccato lato artistico. Graficamente infatti è degno di nota ed ha un ottimo connubio grafico-musicale, che rende l’esperienza a tratti piacevole. Detto questo, si fa sicuramente sentire l’assenza totale di gameplay e la ripetitività delle sessioni di gioco, che ne precludono il coinvolgimento.

Il motivo principale di tale scelta penso sia stata dettata dalla natura del videogame, che strizza l’occhio ad un pubblico esclusivamente pre-adolescenziale, e dalla trama da cui prende spunto, Alla ricerca della pietra del labirinto. Pierre detective di Hiro Kamigaki.

Per questo motivo consiglio e credo che possa essere godibile solo per chi è già un appassionato del libro illustrato originale o ad un pubblico di giovanissimi.

Degna di nota la totale assenza di bug o problemi durante l’esperienza di gioco.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Puzzle-game,
  • Lingua: italiano
  • Multiplayer: no
  • Prezzo11,99€

Ho inseguito il famigerato Mister X per circa 6 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.