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Super Metroid è ancora divertente – Recensione


Recensione in un Tweet

Super Metroid è invecchiato bene. Il titolo Nintendo dimostra di essere ancora all’avanguardia in termini di level design. Una versione rimasterizzata che migliori alcuni comandi vetusti, potrebbe sfidare i metroidvania moderni. La difficoltà può essere un ostacolo, ma è un must da giocare almeno una volta nella vita.

8.5


Ho giocato Super Metroid nel 2020. Oltre che per il mio personale divertimento, ho rivissuto questa avventura per capire se il titolo ha resistito al tempo. Mi riferisco un po’ a tutto il gioco. Dalla grafica, all’audio, dal gameplay al game design e se può reggere il confronto con i metroidvania del momento. Con questa recensione nel 2020 di Super Metroid voglio spiegarvi perché il titolo è ancora divertente e perché dovreste giocarlo anche voi.

Un’anima diversa

Super Metroid esce nel 1994 per Super Nintendo. Si tratta di un platform 2D, un genere comune per il tempo, ma con un’anima totalmente diversa. Le caratteristiche principali del titolo sono due: problem solving e upgrade.

Il gioco per SNES è ambientato in un’unica mappa che esploreremo in modo non lineare. L’esperienza di gioco di molti di platform 2D è molto basilare: entro in una zona, vedo un enigma e rimango lì finché non lo risolvo. Poi posso passare alla prossima area. Ripeto e ripeto.


Super Metroid parte invece dall’idea che ci sono più percorsi all’interno di una zona e molto spesso alcuni di questi non sono attraversabili con l’equipaggiamento che si ha all’inizio. Da questo particolare punto prendono spunto i metroidvania moderni come SteamWorld Dig 2, Hollow Knight, Guacamelee, gli Ori e Dead Cells per citare solo i più noti.

Golden Statue in Super Metroid
La Golden Statue in Super Metroid

Già in Crateria, la prima area di gioco, ci ritroviamo di fronte a un’enorme statua d’oro, che sembra totalmente inutile, ma che sarà il punto nevralgico dell’end-game. Le statue sono parte integrante del titolo e molto presto imparerete ad amare le statue Chozo, almeno finché una di queste non tenterà di uccidervi. Esse contengono gli upgrade principali per l’armatura di Samus Aran e ci permetteranno di andare avanti con l’avventura.

The Beautiful Mind

La soddisfazione di un nuovo equipaggiamento non è spiegabile a parole. Immaginate di attraversare intere aree con piccoli cunicoli in cui non potete entrare e dopo qualche ora avere la possibilità di diventare una pallina che può cimentarsi in qualsiasi tunnel dalla grandezza di un quadrato. Il vostro cervello riceverà una sensazione simile a quanto visto in The Beautiful Mind.

La voglia di tornare indietro per capire cosa vi siete persi è alle stelle e mi sento ridicolo quanto vi dico che ho avuto la sensazione di sentirmi più intelligente delle media, perché avevo colto particolari che in realtà avevano già notato tutti prima di me. Un po’ come quando ti guardi attorno mentre guardi un film con gli amici perché hai capito una parte di trama non rivelata, ma ti calmano subito perché loro l’avevano compreso 15 minuti fa.

Statua Chozo in Super Metroid
Statua Chozo in Super Metroid

Se siete dei videogiocatori con una grande memoria, il gioco vi potrà dare solo soddisfazioni, ma se come me, non siete attenti a tutti i minimi particolari, probabilmente vi ritroverete in dei punti in cui non saprete cosa fare. Super Metroid è un titolo tanto divertente quanto difficile perché il problem solving è crudele. Infatti, a volte non è possibile andare avanti e dovrete aspettare il prossimo upgrade, come per esempio il wave beam che vi permetterà di avere una sorta di rampino per superare delle zone costruite ad hoc.

Altre volte, invece, il problema è solamente difficile, ma è complicato rendersene conto. Questo ci costringerà a fare un sacco di giri inutili per ritornare nuovamente in quella zona e capire che bastava tirare una bomba accanto un muro per aprire un varco, che ci spiana la strada per molte ore di gioco.

L’età che avanza

Ovviamente il gioco è difficile per sua natura. Siamo negli anni ’90 e i giochi sono tremendamente ardui. Ci sono quattro boss principali nel gioco, oltre ai vari mini-boss e sono veramente sfidanti.

Phantoon mi ha messo in vera difficoltà e sono dovuto morire un numero considerevole di volte prima di capire come saltare a tempo per evitare di farmi massacrare. Se lo guardi in un video sembra relativamente facile, ma proprio la sua naturalezza lo rende complicato. Pensi di dover scoprire chissà quale segreto, come avviene durante alcuni scontri, come per esempio con Draygon, e invece basta saltare al momento giusto. E oggi saltare in Super Metroid è tanto fondamentale quanto difficile.

Phantoon in Super Metroid
Phantoon in Super Metroid

Il gameplay è l’unica cosa che è parzialmente invecchiata in Super Metroid. In realtà sono due i problemi principali: i dorsali per mirare in diagonale e il sistema di salto in casi particolari come il wall jump o lo screw attack.

Oggi gli analogici ci permettono di mirare in diagonale, mentre il titolo per Super Nintendo usava i tasti dorsali L/R per permettere questo movimento fondamentale con alcuni nemici, come il boss finale, Mother Brain.

Nonostante sia vero che arrivati a quel punto si prenda padronanza del movimento, durante tutto il gioco ho avuto difficoltà a mirare in diagonale. Non potete nemmeno immaginare il numero di parole fuori luogo che ho tirato quando sbagliavo a usare il rampino, con conseguente caduta e necessità di rifare tutto un pezzo da capo, mentre il gioco che se la ride perché sa di essere severo, ma ritiene che me lo meriti.

Salti malefici

Il wall jump è malefico. Sembra facile, ma può essere eseguito solamente rilasciando il tasto del salto quando si cambia direzione. Una scelta tecnica completamente differente rispetto a quanto avviene già da molto tempo nei videogiochi. Di conseguenza, è impossibile da maneggiare se non si prova e sbaglia decine e decine di volte.

Screw Attack in Super Metroid
Lo Screw Attack in mano a una statua Chozo in Super Metroid

Quando ho ricevuto l’ultimo upgrade, lo Screw Attack, ero contentissimo di poter diventare una palla di elettricità che potesse distruggere qualsiasi cosa in aria. L’idea di rimanere sospeso e superare tutte le zona platform difficili mi facevano sentire un Dio, ma poi la triste verità. Ho dovuto consumare tutta la pelle del mio pollice per riuscire a capire come superare le zone verticali con lo screw attack, perché l’analogico non lavora bene in questa situazione e il D-Pad mi ha fatto tornare in mente tutti i dolori fisici provati con il Super Nintendo e la PlayStation.

Le perle

Parliamoci chiaro, Super Metroid è ancora divertente e ha mantenuto intatto il suo fascino. La grafica è ancora bella. L’armatura di Samus ha dei colori sgargianti che vanno in contrasto con un’ambientazione che passa dal selvaggio allo sci-fi con una naturalezza incredibile.

Se non ci sono testi in Super Metroid è perché grafica e audio li rendono poco importanti. Le colonne sonore di Kenji Yamamoto sono ancora oggi delle perle, quindi ricordatevi di tenere l’audio a palla quando giocate questo titolo.

Metroidvania

Ci saranno altri momenti per approfondirlo, ma Super Metroid non è un metroidvania. La serie Metroid è sui generis e giocarlo è assolutamente obbligatorio se volete capire come si è evoluto il platform 2D negli anni.

L’esperienza di gioco dei metroidvania odierni è totalmente diversa da quella del titolo per Super Nintendo. Super Metroid è ancora divertente, ma per poterlo capire dovete assolutamente provarlo, perché la sua profondità non sempre rende bene in un video su YouTube. In definitiva, il mio consiglio è di giocare Super Metroid, perché è un’esperienza che nessun altro videogame può darvi.

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Il Postmodernismo fa rinascere i videogiochi

La modernità nei videogiochi è morta. Possiamo spiegare questo periodo storico dei videogiochi storpiando la famosa frase di Friedrich Nietzsche. Come ogni momento storico, ha avuto un suo inizio e avrà una sua fine, ma i remake, i remastered e gli indie permettono al postmodernismo di entrare nel mondo dei videogiochi e farli rinascere.

Postmodernismo nei videogiochi

Il termine postmodernismo nasce nel 1934 all’interno del saggio La condizione postmoderna: Rapporto sul sapere di Jean-François Lyotard e definisce la crisi e il superamento della modernità. Il postmodernismo è presente in tutte le forme d’arte e di conseguenza doveva arrivare anche nei videogiochi.

Gli anni duemila sono stati molto importanti per il movimento nelle opere d’arte più note nella società moderna, come film e musica. Registi come Quentin Tarantino e generi come l’horror sono bandiera del genere grazie al loro attingere ad opere precedenti. Lo stesso vale per la musica con la feroce critica della Retromania di Simon Reynolds.

Metal Gear Solid: The Twin Snakes per Nintendo Gamecube. Il postmodernismo nei videogiochi del 2000
Metal Gear Solid: The Twin Snakes per Nintendo Gamecube

I remastered non sono un’innovazione di questi anni. Con l’avvento del Game Boy, molti videogiochi per NES e Super Nintendo sono stati ricreati in formato portatile. Già dall’inizio 2000, si riscontrano titoli remastered per le console casalinghe, come Metal Gear Solid e i Resident Evil per Nintendo Gamecube.

Il periodo attuale è però molto diverso per due motivi. Il primo è la grande quantità di remake, che si differenziano dai soliti remastered. Il secondo, e forse più importante, è la nuova generazione di videogiocatori.

Remastered e Remake

I remastered sono videogiochi a cui è stata dato un comparto tecnico che possa reggere il peso del tempo senza snaturare il gioco. Solitamente si tratta di titoli che mantengono gli stessi pregi e difetti del titolo originario, con modifiche solo sul comparto tecnico. Di tanto in tanto, i giochi vengono migliorati anche con piccole feature sul gameplay. Un esempio è Resident Evil Remaster del 2002, con una configurazione migliorata dei controlli.

I remake sono dei titoli ex novo. Hanno un comparto tecnico completamente rinnovato così come il gameplay. Resident Evil 2 Remake, Resident Evil 3 Remake e Final Fantasy VII Remake sono sicuramente i titoli di punta di questa generazione.

Il loro scopo è far vivere ai nuovi videogiocatori un’esperienza unica, ma profondamente diversa, tanto da avere anche cambiamenti in termini di linea narrativa o addirittura finale come successo in Final Fantasy VII.

I motivi del postmodernismo nei videogiochi

Il motivo principale dell’ascesa del postmodernismo nei videogiochi è la nuova generazione di videogiocatori. In primis, si tratta di giocatori giovani che non hanno avuto modo di vedere i titoli originali.

Ho giocato Final Fantasy VII a otto anni e adesso ne ho ventinove. I nuovi videogiocatori di 14 anni non hanno fisicamente avuto la possibilità di provarlo e tentare di provarlo oggi potrebbe essere molto ostico.

Il secondo motivo è che i videogiochi di 15 anni fa erano molto più difficili, un po’ per la necessità di allungare giochi con storie relativamente brevi, un po’ per il sadismo degli sviluppatori che rivolgevano le proprie opere a un pubblico di nicchia.

Oggi invece i videogame sono per tutti, devono essere più semplici e devono attirare l’attenzione dei più giovani. Per questo motivo si fa leva sulla nostalgia dei più esperti per fare presa anche su di loro.

Ori and the will of the wisps. Il postmodernismo nei videogiochi indie
Ori and the will of the wisps, un indie meraviglioso

La nostalgia è un fattore predominante nel postmodernismo videoludico. Si parla dei videogiochi del passato come qualcosa di perfetto, ma è chiaramente l’effetto del tempo sulla mente. Di problemi di natura tecnica e narrativa ce ne sono a bizzeffe nella storia dei videogame. Però non sempre la nostalgia è un sentimento negativo.

Nel nostro caso, ci ha permesso di avere grandi remake dedicati a Resident Evil e Final Fantasy, ma anche l’affermazione di generi che hanno scosso l’industria con una vera e propria crisi dei videogiochi tripla A. Mi riferisco ai Metroidvania, che hanno permesso agli sviluppatori indipendenti di spezzare il legame per cui un grande gioco possa essere prodotto solo da una grande casa di sviluppo.

Conclusione

La consacrazione dei Metroidvania è il simbolo di quanto avvenuto negli ultimi anni. L’industria videoludica indipendente può competere con i grandi nomi dell’industria dei videogiochi, che negli ultimi anni hanno peccato con titoli tripla A mediocri. Ovviamente i grandi dell’industria non sono rimasti con le mani in mano e in questo caso bisogna distinguere tra remake o remaster positivi e negativi.

Capcom e Square-Enix hanno dimostrato di saperci mettere il cuore e il coraggio rinnovando titoli affermati e difficili da cambiare. Altre case di sviluppo si sono invece limitate al compitino per poter fare cassa con il minimo sforzo.

Se da un lato i remastered possono dare la possibilità ai più giovani di provare grandi titoli del passato come avventure grafiche del calibro di Monkey Island e Day of The Tentacle, dall’altro lato è innegabile che troppo spesso il loro fine sia guadagnare troppo sforzandosi il minimo.
Il postmodernismo è il campo di battaglia in cui sviluppatori indie con la mania per la grafica a 8-bit e grandi aziende con capolavori da rinnovare si stanno affrontando per tracciare il futuro del mercato dei videogiochi. Ai posteri l’ardua sentenza.

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Editoriali

Console war 2020, non fate la guerra ma la community

Sono state annunciate le console della prossima generazione e i media del settore videoludico si stanno concentrando sui paragoni tecnici. Gli utenti di internet sono bombardati di notizie e video su specifiche video, audio e dischi di memoria. In questo momento siamo inondati da tutti gli scoop sul nuovo controller DualSense di PlayStation 5 di cui non abbiamo bisogno. La console war 2020 è iniziata e la stampa non vuole fare prigionieri.

Console wars

Le console wars furono raccontate da Blake J. Harris nell’omonimo libro, che narra della guerra tra Sega e Nintendo in cui in gioco c’era la sopravvivenza delle aziende e tutti i dipendenti che ci lavoravano. La guerra attuale è un capriccio delle stampa per invogliare i lettori a schierarsi per una squadra e portarne la bandiera, così da riempire le loro notizie di commenti.

Console Wars di Blake J. Harris
Console Wars di Blake J. Harris

La guerra tra Nintendo e Sega avvenne tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90. In quel frangente era importante vincere ogni battaglia, perché si era appena usciti dalla crisi dei videogiochi del 1983, ma oggi perché abbiamo bisogno di scegliere una fede videoludica? Viviamo in un periodo molto florido per i videogame. I videogiocatori non sono più una nicchia mal vista, oggi giocare è cool.

I dati parlano di una popolazione di videogiocatori e videogiocatrici al 50/50. In altre parole, le cose vanno bene e dovremmo pensare a fare community piuttosto che la console war. Non ha alcun senso odiare un titolo, una console o un’azienda solamente perché non ci piace o perché non l’abbiamo scelta.

Esperienze uniche

Non tutti si possono permettere diversi dispositivi, ma chi può farlo dovrebbe godere di tutte le esclusive che può, perché ogni grande gioco che sia per Xbox, PlayStation, Switch, PC o Stadia può avere qualcosa in più da offrire che non conosciamo e che vorremmo scoprire. Ogni device ha la sua caratteristica e nessuno di questi dovrebbe essere sminuito, perché paragonare il Nintendo Switch a un PC è come paragonare un portiere a un attaccante.

Il mondo dei videogiochi del 2020 è molto variegato, offre prodotti diversi e chi è lungimirante può godere di più esperienze uniche. Giocare a Ori and the blind forest su PC non è come giocarlo su Nintendo Switch. Sono due sensazioni diverse.

La console Nintendo è un ibrido che permette di giocare in movimento, ma anche quando sei steso sul letto e non vuoi arrivare in salotto. Se non fosse così, non si spiega il successo della console giapponese durante questo periodo di quarantena.

D’altro canto, il computer permette di godere di un’esperienza di gioco totale grazie a un’immersione mostruosa data da un comparto tecnico inarrivabile. Un’esperienza unica dovuta anche dal vecchio stile mouse e tastiera.

Prima di arrivare alla next-gen, non dimentichiamoci dei dispositivi mobili Android e iOS, che hanno permesso a miliardi di ragazzini di resistere alle rimpatriate di famiglie durante le festività. E il cloud gaming. Per adesso capitanato da Google Stadia può dare tanto a chi non vuole comprarsi una console, ma ha puntato solo pochi titoli. Se disponibile, un’ottima fibra ottica non costa molto ed il suo costo è ammortizzato nel tempo dalla sua utilità.

Non vogliamo la console war 2020, ma la console peace
Console peace

La guerra è finita

Infine, arriviamo alla next-gen console war 2020 che nessuno vuole. Xbox Series X e PlayStation 5 sono due console che possono sembrare molto diverse quando leggiamo gli articoli del settore, ma in fondo vedono il futuro del gaming allo stesso modo, un bazooka di qualità audio e video da sparare in faccia all’utente per immergerlo completamente.

L’idea non è troppo diversa da quella del PC, con la differenza che i costi e la facilità di utilizzo non sono per nulla trascurabili in un settore come quello videoludico. Possiamo stare ore a parlare del pulsante del microfono del DualSense, ma non avrebbe alcun senso, perché entrambe le console possono offrire una grande esperienza completamente unica.

Se da un lato ci sono titoli esclusivi in abbondanza, dall’altra parte c’è un’intera infrastruttura che solo la Microsoft può dare e che probabilmente ci stupirà.

La community di videogiocatori è abbastanza matura per poter provare della sana invidia per quello che non può giocare o per acquistare più device diversi, essendo consapevoli che possono portare esperienze completamente diverse.

La console war 2020 è morta ancor prima di iniziare, ma spetta a noi dare vita a una nuova era in cui la community possa parlare di videogame come si parla di libri. Non possiamo leggerli tutti, ma possiamo amarli per l’esperienza che hanno dato a coloro che ce li stanno raccontando.

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Emulatori, l’importanza del ROM hacking per la storia dei videogiochi

I remaster dei videogiochi esistono ormai da decenni, ma è con questa generazione di videogame che hanno avuto un forte risalto tanto da essere parte fondamentale del panorama videoludico, insieme ai remake. Il rifacimento di videogiochi di successo ha permesso a una nuova generazione di videogiocatori di investigare sulla storia dei videogiochi riscoprendo grandi perle del passato.

Negli anni ’90, questo compito fu affidato al ROM hacking e agli emulatori che sono stati fondamentali per scoprire la storia dei videogiochi.

Cosa sono gli emulatori e il ROM hacking

Il ROM hacking è una tecnica che permette la modifica di un’immagine ROM, la memoria read-only in cui è contenuto il videogioco. Questa tecnica è già conosciuta da tempo ed è divenuta importante con la prima console Nintendo, il NES, e successivamente con il Super Nintendo.

Un emulatore è un software che permette di replicare in funzionamento di una macchina e, nel contesto videoludico degli anni ’90, significava permette a chi possedeva un computer di giocare ai titoli delle console Nintendo più datate, che non richiedevano dei tempi di computazioni così esagerati come poteva accadere per una Playstation o per la più recente Nintendo 64.

Il Game Boy Color

Nel 1998, arriva in tutto il mondo il Game Boy Color. Versione compatta e a colori dell’innovativo Game Boy, ha permesso a molti di noi di rigiocare in portabilità tanti giochi già disponibili per NES e Super Nintendo. Dopo poco l’uscita della console, arrivò su internet anche il suo emulatore e l’impatto fu clamoroso. Il Game Boy Color era una console portatile con poca potenza di calcolo e quindi gli emulatori riuscivano a replicare i videogiochi della console senza alcuna fatica.

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Pokémon Blu e Pokémon Rosso

Sono stato un possessore di Game Boy Color, ma l’aneddoto farà sorridere molti di voi più esperti. Navigando su internet alla ricerca di news sul nuovo portentoso gioco Nintendo, Pokémon Blu, trovai un sito in inglese che parlava di emulatori e ROM hacking per videogiochi. Bastava scaricare un piccolo file per poter giocare a tutti i Pokémon che volevo.

Semplicemente fantastico!

Scaricai quindi la ROM e feci partire. Non successe assolutamente nulla! Windows 98 mi chiedeva come aprire il file, ma io non capivo e la lingua di Albione non mi era di aiuto.

Rinunciai e pochi mesi dopo feci il mio più grande acquisto da videogiocatore. Il Game Boy Color era tra le mie mani con Pokémon Blu, a cui sarebbe seguito Pokémon Argento. Ai più giovani questo non dirà nulla, ma chi ha qualche anno in più riderà della mia ingenuità.

Avevo speso centinaia di euro (lire), perché non avevo capito che bisogna scaricare l’emulatore! Mai errore fu più azzeccato, perché il Game Boy Color fu una scelta che mi ha concesso tante ore piene di divertimento.

Alla scoperta di nuovi giochi

La mia storia con gli emulatori non finì così velocemente. Dopo aver esplorato molti giochi per la console portatile Nintendo, decisi di tornare alla carica sugli emulatori e scoprii il fantastico mondo dei titoli per Super Nintendo. La mia conoscenza videoludica è un po’ più ampia della media, perché il ROM hacking mi ha permesso di conoscere molti titoli sconosciuti ai più, che però hanno dato un enorme impatto alla creazione di videogiochi più noti.

Avevo una Super Nintendo, ma eravamo già verso la fine del suo ciclo e molti giochi non era più disponibili, ma gli emulatori di videogiochi mi hanno comunque permesso di conoscere pietre miliari che ancora oggi sono parte integrante del tessuto videoludico.

Mi viene in mente Super Mario Kart che ha rivoluzionato il genere e Super Metroid, ancora divertentissimo oggi e che ha permesso a tutti i Metroidvania di questa generazione di esistere.

Però non posso non pensare a tutte le ore passate su giochi meno conosciuti come Spy vs Spy. Nato dall’omonima serie di fumetti dell’autore cubano Antonio Prohias, bisogna muoversi tra le stanze in uno scenario che mi ricorda giochi come This War of Mine al fine di danneggiare l’avversario.

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Spy vs Spy per Game Boy Color

Anche la generazione successiva capitanata dal Gameboy Advance ha avuto il suo emulatore e oggi permetterebbe di valutare giochi che non hanno ricevuto porting o remake, ma che lo meriterebbero come Advance Wars, o titoli mai arrivati in Europa come Captain Tsubasa, Eikou no Kiseki su cui passai un’infinità di giorni.

Le traduzioni dal giapponese

Il contributo fondamentale che il ROM hacking ha dato all’industria videoludica sta in tutti quei giochi che non sono mai arrivati in Europa. Qui, gli hacker del tempo hanno avuto due grandi pregi. Il primo è fornire i videogiochi anche nel vecchio continente. Il secondo è tradurre dal giapponese, e cinese, per permetterci di capirci qualcosa! E mi sto riferimento chiaramente alla serie più amata in Italia, ma peggio sfruttata in termini di videogame, Holly e Benji.

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Captain Tsubasa IV: Pro no rival tachi

Captain Tsubasa, come lo chiamano i giapponesi, ha avuto ben cinque titoli per il solo Super Nintendo. La meccanica era sempre la stessa, ma la qualità grafica migliorava di volta in volta. I titoli erano una versione arcaica dell’attuale Inazuma Eleven. Si andava avanti con il pallone e quando si incrociava un avversario partiva una schermata in pieno stile Pokémon che ti chiedeva se passare, tirare o dribblare l’avversario. Unita alla fantasia di Holly e Benji il risultato era unico per il tempo e a tratti sarebbe ancora divertente oggi.

Purtroppo, come si può intuire da titoli come Captain Tsubasa III: Kōtei no chōsen e Captain Tsubasa IV: Pro no rival tachi, i videogiochi non lasciarono mai il Sol Levante e sarebbero stati incomprensibili a quasi tutti gli occidentali, se qualche genio non avesse deciso di usare delle ROM per tradurre i titoli in inglese, e se ricordo bene, anche in italiano.

Il paragone con il passato

Infine, vorrei far notare come ancora oggi, nonostante i titoli remaster, il ROM hacking potrebbe avere la sua valenza perché permetterebbe ai più giovani di capire perché chi ha più esperienza di loro dice che i titoli di nuova generazione sono troppo semplici. Molti metroidvania attuali, che possono vantare anche una spiccata difficoltà, hanno un sistema di gameplay innovativo e ben spiegato. Vi assicuro che lo stesso non si può dire per Super Metroid, dove potresti bloccarti perché nessuno ti ha detto che esiste il tasto per correre.

Anche se le case di sviluppo saranno contrariate dal trovare degli aspetti positivi, gli emulatori hanno permesso a molti loro giochi di diventare famosi anche in Occidente e ottenere un clamore di pubblico che altrimenti oggi non sarebbe mai potuto arrivare.

Il mio caso

Ho abbandonato gli emulatori da molto tempo, ma noto che per questo blog sarà necessario recuperare alcuni titoli passati, che per qualche assurdo motivo non hanno ricevuto un porting in alcune console che lo meriterebbero.

Per rimanere in tema di metroidvania, mi viene in mente Castlevania: Symphony Of The Night, disponibile ora per Android, ma che ancora non ha ricevuto nessun porting per Nintendo Switch e ovviamente una recensione dedicata non potrebbe contemplare l’utilizzo dei controlli touch dello smartphone.

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Final Fantasy VII, i ricordi di un bambino

Final Fantasy VII arriva in Europa il 17 Novembre 1997. Avevo sette anni e condividevo con molti altri bambini l’ignoranza sulla serie Final Fantasy e sugli JRPG. Se pensate che abbia acquistato il gioco al day-one, vi devo smentire. Probabilmente questa affermazione è vera per molti videogiocatori che seguivano la scena con estrema attenzione, ma io ero piccolo e in Europa il JRPG era ancora un genere praticamente sconosciuto.

Ho deciso di comprare Final Fantasy VII esattamente un anno dopo, nel Novembre 1998. Il motivo è semplice, ne avevo sentito parlare molto bene nelle riviste dedicate ai videogame.

La custodia gigante

Per la prima volta nella mia vita vedevo una custodia di un videogioco così spessa e con all’interno ben quattro cd. Era qualcosa di assolutamente epocale, tanto da chiedermi come sarebbe stato possibile togliere un cd e inserirne un altro per continuare senza far implodere la Playstation. All’epoca aprire la Playstation mentre il gioco stava girando era pura follia, da pena di morte.

Final Fantasy VII, Playstation Platinum
Final Fantasy VII, Playstation Platinum

Che braccia, e che carattere!

Quello che sto per dire farà sorridere molti a pochi giorni dal rilascio di Final Fantasy VII: Remake, ma il titolo originale aveva una grafica incredibile. Nonostante le braccia dei personaggi facessero impressione anche ai suoi tempi e somigliavano più a dei mattoni impilati che a degli arti superiori, Final Fantasy VII era il primo capitolo della serie realizzato in 3D. La sua ambientazione sci-fi lasciava a bocca aperta. I robot giganti, un marchio di fabbrica delle produzioni giapponesi, erano spettacolari così comei video di intermezzo.

Dal protagonista Cloud all’ultimo dei boss, i personaggi avevano tutti una caratterizzazione introvabile in qualsiasi altro videogame del periodo. Anche se c’era la possibilità di modificare il nome dei personaggi giocabili, ogni loro particolare era così perfetto e calzante che decisi di lasciare invariati i loro nomi, perché solo così li potevo lasciare intonsi, privi di una personalizzazione di cui non avevo bisogno.

L’inizio

I miei ricordi da bambino sui primi minuti di Final Fantasy VII sono indimenticabili. Che fretta! Le vicende narrano di un reattore da sabotare e di un count-down per scappare dalla città. Dialoghi e musiche accelerate rendevano esattamente quella premura. Ogni singolo combattimento con qualsiasi entità era una lotta contro il tempo, anche se si era consapevoli che il sistema di combattimento di Final Fantasy VII permetteva di prendersi tutto il tempo di cui si aveva bisogno.

L'inizio di Final Fantasy VII
L’inizio di Final Fantasy VII

Combattimenti strani e lingua stranissima

Avremmo presto conosciuto quelle tipologie di combattimento e le sue schermate con la serie Pokémon, ma il settimo capitolo di Final Fantasy fu il primo vero gioco popolare a includere il sistema di combattimento JRPG.

Per un bambino di otto anni abituato a pane e Crash Bandicoot, era totalmente strano dover ragionare su ogni singola mossa. Infatti, molto spesso anche a causa del titolo completamente in inglese, mi trovavo a dover andare a tentativi sia nel combattimento tanto nello svolgere le missioni.

La traduzione inglese fu definita scarsa anche per il suo tempo, ma noi bambini del ’90 non ce ne rendemmo conto e vocabolario alla mano provavamo ad andare avanti fino alla fine. Inutile dire che alcune feature erano totalmente oscure. Mi ricordo, con un certo imbarazzo, che usavo le Materia totalmente a caso. Ancora oggi non sono certo, se ho fatto un buon lavoro o meno.

Un gioco senza fine

Non ho mai portato a termine il videogioco, ma arrivai molto lontano. Final Fantasy VII non è il JRPG più longevo del mondo, ma richiede circa quaranta ora per essere portato a termine. Tanto quanto bastava per abbandonarlo quando eri un bambino che voleva provare sempre nuovi titoli.

Il Remake

Purtroppo non ho un device adatto per giocarlo e la scelta di dividere in capitoli Final Fantasy VII: Remake non mi porteranno ad acquistarne una. Ci penserò su quando deciderò se comprare una Playstation 5.

Attualmente, a pochi giorni dall’uscita, il titolo sembra molto allettante. Ritengo che i bambini di oggi potranno godere di un grande videogioco, localizzato in italiano, che marchierà a fuoco la loro infanzia, perché se ci sono riusciti degli omini con le braccia a forma di martello, allora non c’è motivo di pensare che non ci riesca un remake che sembra promettere molto di più di quanto ci si potesse aspettare.

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Resident Evil, storia dell’errore action di Capcom

Sono ormai uscite tutte le recensioni su Resident Evil 3 Remake. La votazione su Metacritic è pari a 8/10, al di sotto delle aspettative, se consideriamo l’attuale periodo storico. Per chi segue le recensioni in questi anni, si è reso conto dell’enormità di titoli con votazioni superiori all’otto e mezzo. Questo rende gli attuali otto dei titoli con del potenziale, ma poco di più.

Questo articolo non è una recensione di Resident Evil 3 Remake, ma affronta un problema ben chiaro e delineato: la testardaggine della Capcom nel voler proporre il loro Survivor Horror di punta in chiave action. Analizzerò il problema storico della serie per trarre le nostre conclusioni.

Resident Evil 3 Remake

Resident Evil 3 Remake è tecnologicamente stupendo come il remake di Resident Evil 2. L’ambientazione è immersiva e ci si addentra facilmente nel gioco, ma non basta.

Il problema nasce già dai personaggi. Gli esperti militari della S.T.A.R.S. che interpreteremo sono delle macchine d’assalto e quel gioco tetro, cupo, pieno di enigmi, che costringeva il videogiocatore a usare la testa per evitare gli scontri, non c’è più. Ora abbiamo un ritorno dell’action con una longevità di circa cinque ore.

Jill Valentine in Resident Evil 3 Remake
Jill Valentine in Resident Evil 3 Remake

E questo signori, non è Resident Evil, ma solo una versione peggiorata di Resident Evil 3, cioè un action game in cui manca anche la costante ansia del Nemesis.

Gli albori

Resident Evil e Resident Evil 2 si basavano sull’idea di Survivor Horror, cioè evitare gli scontri e prediligere un gameplay basato sugli enigmi. Ho di recente giocato Resident Evil HD Remaster e la tensione nel girare ogni angolo è ancora vivida. I rompicapo sono complessi e il gioco non è banale.

Aggiungo a questo stile anche Resident Evil 0. Uscito per Nintendo Gamecube, ebbe grande successo dalla critica, perché era il continuo spirituale di Resident Evil con un livello di difficoltà maggiore. Purtroppo, ebbe pessimi incassi, perché uscito in una console che fu un flop di vendite.

Resident Evil 0
Resident Evil 0

Resident Evil 3 nasceva come primo esperimento per portare all’interno dei Survival Horror la componente action. Infatti, in Resident Evil 3: Nemesis è presente la schiavata d’emergenza, la possibilità di spintonare uno zombie e la possibilità di ruotare di 180° premendo un paio di pulsanti.

I giocatori giustificarono lo snellimento dei movimenti nel gameplay grazie alla presenza del Nemesis e perché interpretavano dei militati esperti come personaggi principali. Nonostante il titolo è oggi ricordato con grande nostalgia, Resident Evil 3: Nemesis fu considerato a suo tempo come il peggiore della trilogia e la sua rivalutazione è soprattutto dovuta al cambiamento repentino di gameplay presente nel capitolo successivo.

L’action che funziona

Resident Evil 4 è stato un capolavoro. Ho avuto la fortuna di giocarlo al day one prima di molti altri grazie all’esclusiva temporale per Nintendo Gamecube. Il gioco cambiava radicalmente il suo gameplay con uno stile action che funzionava.

Il titolo fu rinviato parecchie volte perché la prima versione prevedeva il ritorno in una casa infestata da fantasmi. Le immagini di quell’ambientazione prevedevano un Leon preoccupato ad affrontare degli ectoplasmi. L’idea fu scartata e quando il gioco uscì, trovammo Leon Scott Kennedy in un villaggio spagnolo ad affrontare delle mutazioni genetiche a suon di balzi spettacolari, motoseghe e lanciarazzi.

Leon Scott Kennedy in Resident Evil 4
Leon Scott Kennedy in Resident Evil 4

Quello che rese spettacolare il videogioco fu la scelta di mantenere lo stile dei prime due capitoli per quanto riguardava la raccolta di informazioni e la forte caratterizzazione dei personaggi.

Il tracollo

Forte di questo successo, la Capcom si spinse più in là con dei titoli che sono nel mio backlog e ci rimarranno a lungo, probabilmente per sempre. Il quinto e il sesto capitolo di Resident Evil sono stati bocciati all’unanimità, perché non sono dei Survival Horror. Infatti, si trattava di action game che storpiano il nome della serie. La Capcom incassò il colpo e cominciò una leggera inversione di rotta.

Il grande ritorno

Resident Evil 7 e Resident Evil 2 Remake sono fatti della stessa pasta. Capcom è tornata alle origini con il settimo capitolo e ha rinnovato senza snaturare. Il risultato è brillante, perché in Resident Evil 7 si torna in una casa ad usare il cervello, mentre Resident Evil 2 Remake svecchia la parte di combattimento mantenendo sempre la stessa idea dei primi capitoli: evitare il combattimento a favore di azioni più furbe e meno da kamikaze.

L’errore di Resident Evil 3 Remake

Quanto fatto con Resident Evil 3 Remake è un errore. Purtroppo il vizio della Capcom di proporre un titolo molto action per i giocatori più giovani è stata la principale motivazione della debacle di Resident Evil 3 Remake. Anche se non possiamo dimenticare le cinque misere ore di gioco necessarie per portarlo a termine.

Ipotizzo che la scelta del ritorno all’action totale di Capcom sia data dalla volontà della casa giapponese di voler rendere appetibile il gioco ai gamer più giovani. I Survival Horror sono una categoria di nicchia. Dopo il successo di alcuni titoli indie come Outlast e Amnesia, negli ultimi anni i Survival Horror sono tornati in una fase di declino ravvivata soltanto dalla serie Resident Evil.

È comprensibile la scelta di Capcom di voler trasformare la serie in qualcosa di più vendibile, ma le vendite sono state buone anche con Resident Evil 2 Remake e Resident Evil 7.

Anche Resident Evil 3 Remake ha avuto ottime vendite, ma hanno nuovamente forzato la mano e se vorranno ravvivare la fiamma, saranno costretti a tornare indietro, di nuovo.

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Editoriali

Nintendo Direct potrebbe arrivare a breve

Nintendo ha pubblicato con estrema sorpresa proprio ieri il suo attesissimo Nintendo Direct Mini. Nonostante ci fossero diversi leak che parlavano di un Nintendo Direct, non è stato fatto nessun annuncio ufficiale anticipato e tutti avevamo perso le speranze.

Però, all’improvviso, è spuntato nella sua forma Mini. La desinenza finale sta nella durata del video che è la metà rispetto alla sua forma classica.

2K annuncia i suoi migliori titoli di punta per Nintendo Switch

Perché Mini?

Ci sono stati diversi titoli annunciati, anche di grande impatto per essere delle terze parti. Non si tratta di nulla realmente nuovo e che non era già stato discusso prima ufficialmente.

Personalmente mi fa piacere avere la possibilità di giocare in portabilità XCOM 2, finire la saga di Bioshock e provare Borderland, ma mi aspettavo di più. Anche Xenoblade Chronicles e Bravely Default II sono titoli estremamente interessanti, ma ancora non mi basta.

Mi aspettavo qualche news su Zelda: Breath of The Wild 2 o qualche altra IP Nintendo che potesse farci gridare al miracolo, ma non è arrivata. Però possiamo stare tranquilli, perché i dati sono a nostro favore.

I dati

Sono andato a spulciare all’interno degli archivi Nintendo alla ricerca dei Nintendo Direct Mini, perché mi suona molto strano, che in un periodo in cui la community stia letteralmente impazzendo per gli annunci digitali della Nintendo, la casa di Kyoto decida per una versione dimezzata.

Il primo Nintendo Direct è stato pubblicato il 21 ottobre 2011 e l’ultimo è stato il numero 63 considerando anche gli speciali per singolo videogame e quelli dell’E3. Solamente 5 di questi sono stati dei Nintendo Direct Mini, ma è sempre stato seguito da un Nintendo Direct di un’ora con una frequenza media di 30 giorni.

In altre parole, ci sono alte possibilità che entro la fine di Aprile ci sarà un altro Nintendo Direct, che ci darà dettagli sulle IP Nintendo che tanto vogliamo.

Data Tipologia Differenza in giorni
27/11/2012 Mini 8
05/12/2012 Classico
13/03/2013 Mini 35
17/04/2013 Classico
18/07/2013 Mini 20
07/08/2013 Classico
11/01/2018 Mini 56
08/03/2018 Classico
Media 29,75

Personalmente mi auguro che si cominci a parlare di Zelda: Breath of The Wild 2, perché il titolo è stato annunciato durante lo scorso E3.

Allo stesso modo, mi auguro che ci sia detto di più in merito a Metroid Prime 4, anche se è stato rinviato. Nel frattempo potremmo almeno consolarci con la trilogia di Metroid Prime, se fosse annunciata entro l’anno.

E voi, quali titoli vorresti vedere quest’anno su Switch?

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Editoriali

Nintendo Switch, il dramma di averlo comprato in ritardo

Le vicende di questo articolo si basano su una storia vera, la mia. Sono un fiero possessore di Nintendo Switch, che è purtroppo arrivata in casa in ritardo. Solamente nel 2019. Purtroppo, queste mancanza di puntualità non mi ha permesso ancora di giocare alcuni dei maggiori titoli della console, poiché mi è ancora estremamente complesso recuperarli a causa del mio essere un lavoratore.

A questo, bisogna aggiungere che c’è una profonda differenza tra le ultimissime generazioni Nintendo e l’attuale, che rendono tutto più complicato. I motivi sono due: il ritorno ai videogiochi difficili e l’enorme quantità di titoli presenti su Nintendo Switch, che rendono l’acquisto di una Switch oggi un vero e proprio dramma.

Videogiochi difficili

Sappiamo che essere un gamer può essere estremamente impegnativo. Ci sono videogame che ci mettono a dura prova e che rischiamo di abbandonare per il senso di frustrazione che ci provocano. Questo sistema è stato ampiamente usato agli albori dell’industria e in moltissimi casi negli anni ’90. Infatti, come insegna Super Metroid, per motivi tecnologici, si rendeva volutamente difficile determinati titoli costringendo i videogiocatori a dover ripetere la stessa sequenza diverse volte, prima di riuscire ad arrivare alla fine.

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Le ultime generazioni, invece, hanno goduto di videogiochi più semplici da portare a termine, anche perché la mole di titoli è stata incredibilmente più ampia, così da bilanciare i due fattori. Ovviamente per la mia felicità, quest’ultima generazione fa eccezione.

Siamo nell’era del Postmodernismo nei videogiochi, in cui i remaster e i titoli indie hanno un peso specifico importante. Entrambi queste tipologie di giochi fanno riferimento all’epoca degli anni ’90, dove spesso i videogame erano più complicati di oggi. Questo significa che abbiamo tanti giochi, ma molti sono videogame degli anni ’90, difficili e impegnativi.

Un’infinità di videogiochi lunghissimi

La Nintendo Switch conta attualmente 2190 titoli. Il Nintendo 64 ha nella sua lista un totale di 388 videogiochi, mentre il Nintendo Gamecube ha avuto un parco titoli di 657 titoli. Storia a parte fa l’altra casa giapponese, la Sony, in cui il numero di titoli è sempre stato elevato anche nelle precedente generazione.

Però, Nintendo si distingue per un’importante aggiunta che i competitor non hanno in una forma così decisa, le Intellectual Property, i giochi prodotti dalla stessa Nintendo, che hanno fatto la storia videoludica di questo pianeta.

Le IP Nintendo da giocare assolutamente sono aumentate nel tempo, perché è migliorata la qualità di alcune di quelle saghe considerate minori. Basti pensare a Fire Emblem: Three Houses che è diventato un titolo di punta dell’azienda.

Inoltre, i titoli made-in Nintendo hanno una longevità non trascurabile, tanto da rendere il contesto della grande N molto più denso. Di conseguenza, per un fan Nintendo, la generazione attuale è molto impegnativa, perché potrebbe costringere molti giocatori a dove lasciare alcuni titoli indietro.

A queste difficoltà, bisogna aggiungere una precisa politica aziendale, che ha deciso di aprire alle terze parti. Se a questo uniamo l’esplosione del mercato indie, estremamente pieno di ottimi titoli, se non capolavori, allora otteniamo un mix esplosivo che ha fatto la fortuna del Nintendo Switch e la sfortuna di chi vuole giocare tutto, ma non ne ha il tempo.

Le IP Nintendo sono tantissime
Le IP Nintendo sono tantissime!

Il mio caso

Nel mio caso, il ritardo dell’acquisto del Nintendo Switch mi ha portato a non poter giocare a tanti titoli importanti che devo ancora recuperare come Luigi’s Mansion 3, Astral Chain o The Legend of Zelda: Link’s Awakening. Infatti, ho potuto giocare solamente pochi titoli a causa della loro importante longevità.

Se prima sarebbe stato fattibile giocare a Fire Emblem: Three Houses con calma, oggi bisogna scontrarsi con l’idea che dopo un mese arriva Astral Chain, subito dopo The Legend of Zelda: Link’s Awakening e poi Luigi’s Mansion 3.

zelda-recensioni-ilvideogiocatore

Oppure, mentre oggi stai ancora giocando a The Legend of Zelda: Breath Of the Wild, con la sua durata media di oltre 90 ore, sono già usciti Splatoon 2 e ARMS. Però vuoi provare Super Mario Odyssey e dopo poco è già arrivato Xenoblade Chronicles 2, che ti impegnerà quasi tanto tempo come Zelda.

E la cosa sconvolgente è che in tutti questi esempi, non sono stati nominati tutti i titoli indipendenti e remaster, che dovrebbero essere recuperati assolutamente. Tra tutti i metroidvania ,come Dead Cells e SteamWorld Dig 2 agli ottimi remaster come Devil May Cry 3.

La Soluzione

La mia soluzione è scegliere con largo anticipo i titoli che voglio giocare necessariamente e comprarli incondizionatamente. Magari acquistandoli in preorder, anche rischiando di aumentare il proprio backlog. A questo punto, devo solo giocarli, terminandoli la prima volta completando solamente la storia principale. Ormai molti videogiochi godono di una buona rigiocabilità, effettivamente difficile da praticare per chi ha poco tempo come me, ma comunque possibile.

Fire-Emblem-Three-Houses-Ilvideogiocatore

Ovviamente, a questa strategia bisogna unire una buona organizzazione in modo tale da riuscire a completare un videogame prima che il prossimo acquisto sia disponibile. In alcuni casi, i titoli che vorremmo giocare non avranno una longevità enorme come Fire Emblem: Three Houses o Xenoblade Chronicles 2 e magari, dopo un’unica run di Super Mario Odyssey, potremmo inserire altri titoli che richiedono meno tempo.

Conclusione

Il panorama Nintendo è cambiato totalmente. Adesso la grande N ha deciso di aprire a molte terze parti. Questa scelta, unita all’esplosione del mercato indie, porta il Nintendo Switch, solo ad oggi, ad avere circa il 50% di titoli in più rispetto alle generazioni precedenti.

In più, rispetto alla concorrenti la casa di Kyoto ha molte IP con un’alta longevità.

Bisogna dunque avere delle buone tecniche di gestione per poter giocare almeno tutti i titoli principali. Soprattutto se avete acquistato il Nintendo Switch in ritardo, come me.

Nello specifico, consiglio di preordinare i titoli che volete giocare assolutamente e portarli a termine prima che esca il successivo, lavorando sull’ottimizzazione dei tempi nei periodi più caldi, cioè la primavera e l’autunno.

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Società

Le insidie di Animal Crossing: New Horizons durante il Coronavirus

Marzo 2020 è il mese di Animal Crossing: New Horizons per Nintendo Switch. Il titolo della grande N sta ricevendo recensioni fantastiche da tutte le redazioni del mondo e si prepara a fare grandi incassi. Il life simulator nipponico è stato definito come il migliore della serie, o comunque ad altissimi livelli insieme a New Leaf per Nintendo 3DS.

Rispetto ai precedenti capitoli, Animal Crossing per Nintendo Switch si colloca in un momento nefasto per la società mondiale, quello del coronavirus.

Il coronavirus è attualmente un problema molto più serio nel Bel Paese e potrebbe cambiare, anche solo momentaneamente la percezione che abbiamo dei videogiochi, compreso Animal Crossing.

Animal Crossing: New Horizons

Il problema sociale

Bisogna premettere che nonostante gli italiani siano amanti delle console, i videogame non sono all’interno del tessuto sociale come in molte altre nazioni, soprattutto asiatiche. Di conseguenza, il gamer italiano è ancora oggi identificato come un casual gamer che ama i videogiochi tripla A, con amore incondizionato per i simulatori di calcio e gli sparatutto mainstream.

Tutta questa serie di fattori definisce una nazione di videogiocatori volenterosa nel voler colmare il vuoto sociale con i videogame, ma allo stesso tempo impreparata ad affrontare una nicchia ad alto rischio di dipendenza come i life simulator.

Durante la mia adolescenza, ho vissuto un’estate travagliata a causa di un trasferimento in un’altra città. Era l’era degli MMORPG e so quanto videogiochi come World of Warcraft possano causare dipendenza, soprattutto se le alternative sociali sono, anche solo momentaneamente, basse. Infatti, una volta entrato in una seconda vita virtuale, anche dopo che le cose si sono assestate, avevo un senso del dover che mi costringeva ad andare avanti, anche oltre il vero e puro divertimento. Così anche in stagioni come la primavera, anche se avevo nuovi amici, mi sono ritrovato a esser costretto a livellare il mio personaggio per non rimanere indietro con gli altri membri del party o raid.

World Of Warcraft: Classic

La patologia

La dipendenza patologia da videogiochi, sia online che offline, nonostante la nomenclatura ufficiale sia Internet Gaming, è una dipendenza comportamentale inserita nel DSM-5, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. Nonostante gli psicologi parlino di videogame in generale, dobbiamo tener conto che le patologie si diffondono molto più velocemente in un ambiente alterato quale può essere quello della reclusione in casa a causa di una pandemia come il Covid-19.

Molti di noi, per scherzo o meno, scrivono sui social di questa permanenza a casa come una prigionia e sicuramente molti videogame online, come i già citati MMORPG, oppure videogiochi più in voga come Fortnite, possono essere fonte di distrazione.

A differenza degli altri, Animal Crossing è quella ventata di novità molto pericolosa per chi non sa gestirla. Per chi non lo conosce, il titolo Nintendo è pensato per essere giocato ogni giorno, anche poche ore, ma ogni giorno. I cambiamenti climatici e le ore sono scandite da quelle reali, una seconda vita a tutti gli effetti. E così a noi piace, in fondo.

Il problema reale nasce quando la seconda vita diventa l’unica. Anche non volendo, un videogiocatore non abituato all’esperienza potrebbe finire dentro il colorato mondo di Animal Crossing trovando un conforto sociale che rischia di protrarsi anche in estate, quando si spera che l’epidemia nazionale finirà.

Conclusione

Vi consiglio di acquistare Animal Crossing: New Horizons anche durante il coronavirus. Giocateci, divertitevi, ma non fate solo questo. Il problema è sempre la modalità d’uso, non il prodotto. Ricordatevi che a casa abbiamo tante passioni che possiamo coltivare. Tra le attività passive, oltre ai videogiochi, ci sono ad esempio i libri e film.

Per questo motivo la mia soluzione sta nella varietà delle attività. Videogiochi, serie tv, libri. Fatele tutte, un po’ alla volta, così da non abituare il vostro cervello a un unico stimolo e tenerlo attivo a nuove esperienza e stimoli, così che quando ci sarà la possibilità di poter uscire da casa e fare altre esperienze fuori dalle quattro mura di casa, ne sarete invogliati, perché la nostra psiche è reattiva a nuove attività.

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Editoriali

Fire Emblem: Three Houses dura troppo

Ho appena finito di giocare Fire Emblem: Three Houses in modalità Classic a livello di difficoltà Hard. Sono un veterano della serie, li ho giocati (quasi) tutti e ho sempre apprezzato l’abilità della serie di accendermi il cervello.

La sua difficoltà ha contribuito a rendere Fire Emblem la serie di nicchia per eccellenza. Molti giocatori che ho conosciuto, e non solo causal gamer, non avevano idea di cosa sia Fire Emblem fino a poco tempo fa. Quando gli spiegavo le meccaniche erano abbastanza felici di non averlo mai giocato.

Fire Emblem non è di certo un gioco immediato e giocarlo con le regole originali porta spesso a un Gamer Over causato da un calcolo non accurato di un singolo spostamento. Inoltre, chi si affeziona ai personaggi, può seriamente dispiacersi ed essere frustrato dall’essere costretto a ricaricare continuamente il gioco.

Personalmente, ho giocato tutta la serie Fire Emblem cercando di non ricaricare mai. Solitamente la mia tecnica consiste nel sovrascrivere sempre lo stesso salvataggio in modo da non avere la tentazione di tornare indietro, se qualcosa va storto.

Ritengo che la serie simuli bene la guerra, con le sue morti. Una morte di un caro compagno è un evento che può accadere in battaglia, bisogna accettarlo e subirne le conseguenze che rendono il gioco estremamente più sfidante.

Fire Emblem: Genealogy Of The Holy War
Fire Emblem: Genealogy Of The Holy War

Un gioco per tutti

Fire Emblem: Three Houses è riuscito a tirar fuori probabilmente la miglior versione del gioco. Lo strategico a quadrettoni è perfetto per lo stile di Nintendo Switch.

L’ultimo capitolo della saga è riuscito nell’impresa di non essere più un gioco di nicchia che sopravvive al tempo, ma una vera e propria IP Nintendo di punta. Del resto, i ragazzi di Intelligent System hanno fatto un ottimo lavoro e oggi ne stanno raccogliendo i meritati frutti.

I principali punti di forza di Fire Emblem: Three Houses sono due: accessibilità e rigiocabilità.

Fire Emblem Three Houses rende benissimo su Nintendo Switch

Il tentativo di rendere più accessibile la serie già nelle versioni per Nintendo 3DS, ha fatto storcere il naso a molti fan, ma ritengo la scelta fondamentale per la trasformazione di Fire Emblem.

Le meccaniche classiche, che sono comunque selezionabili all’inizio di Fire Emblem: Three Houses, rendono il titolo abbastanza complesso per i neofiti. La possibilità di non aver la morte permanente e di diminuire il grado di difficoltà all’occorrenza, permettono a tutti di portare a termine il gioco almeno la prima volta. Successivamente, e con la pratica, si può rigiocare il titolo in una modalità più sfidante.

Proprio la rigiocabilità è il punto fondamentale della versione per Nintendo Switch. Fire Emblem è sempre stato un titolo da singola enorme run in cui si porta a termine il gioco, ci si gode il finale e si incastona la custodia nella libreria. Intelligent System ha deciso di cambiare questa tendenza già con Fire Emblem: Fates, ma la perfezione è stata raggiunta con le tre linee narrative del titolo per Nintendo Switch.

Fire Emblem: Fates
Fire Emblem: Fates

Fire Emblem: Three Houses è un titolo eccelso, che sarà ricordato nella storia come il capitolo della saga che è riuscito a rendere la serie accessibile, ma comunque divertente.

Le scelte fatte hanno reso Fire Emblem: Three Houses il grande titolo che i fan si aspettavano. Personalmente sono d’accordo, ma credo che il gioco abbia un importante difetto, che non gli permette di annoverarsi tra i grandi di casa Nintendo.

L’eccesso di longevità

Fire Emblem Three Houses si divide in due parti. La prima è composta da dodici capitoli uguali per tutte le tre casate. La seconda parte varia da 18 a 22 capitoli.

Ho impiegato 43 ore per terminare i 22 capitoli di Fire Emblem: Three Houses nella mia prima run con i Leoni Blu. La media globale è di 47 ore e 30 minuti. Di conseguenza, per completare interamente il gioco con tutte e tre le casate ci vogliono circa 150 ore. Ovviamente, come ci insegnano i giochi di ruolo, un’elevata longevità non è negativa, ma la ripetitività può esserlo.

Per citare un nome noto a tutti, Zelda: Breath Of The Wild ha una longevità importantissima, ma il titolo non annoia mai. La profonda differenza tra i due videogame risiede proprio nella grande gioia nel perdersi tra i meandri di Hyrule e nella noia delle ultime dieci ore di Fire Emblem: Three Houses.

zelda-recensioni-ilvideogiocatore

A differenza di quello che si può pensare, c’è un enorme controsenso. La storyline di Fire Emblem è molto intrigante e tiene con il fiato sospeso fino alla fine. Il motivo principale per cui ho deciso di portare a termine il gioco è proprio capire come sarebbe andata a finire.

La ripetitività

Nonostante l’ultimo capitolo di Fire Emblem non pecchi nella trama, il titolo si perde nella ripetitiva gestione dell’accademia e nelle battaglie inutilmente lunghe. Dopo aver preso il tè con qualsiasi essere vivente, aver regalato doni e fiori a mezzo mondo, aver pescato tutti i pesci possibili e aver coltivato qualsiasi sostanza legale e illegale, non avevo più voglia di vedere la schermata della casata.

L'accademia di Fire Emblem Three Houses

È molto divertente vedere il tuo personaggio crescere e potenziarsi con nuove classi, ma rifare sempre le stesse cose risulta eccessivamente meccanico. Anche i dialoghi diventano noiosi e sono arrivato a un punto in cui volevo solo portare a termine il gioco e riporlo in uno scaffale per un po’.

Per farlo però ho dovuto combattere battaglie lunghe anche 45 turni, come successo nel Capitoli 21, la penultima battaglia dei Leoni Blu, prima dello scontro finale.

Conclusione

L’eccesso di longevità di Fire Emblem: Three Houses non risiede nella storia. Non taglierei nessuna parte della trama, ma sicuramente assottiglierei la Parte II in modo da renderla più scorrevole e poter arrivare fino alla fine con la voglia di rigiocare il titolo subito.

Attualmente la mia copia di Fire Emblem: Three Houses sta in un scaffale in attesa che mi torni la voglia di rigiocarlo, ma la mia speranza iniziale era di trovare un titolo che mi faccia venir voglia di non smettere mai di giocarlo.