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Editoriali

Playstation 5 Preorder ha senso solo per gamer dormienti

I preorder di PlayStation 5 sono iniziati e, su Amazon, sono terminati dopo circa cinque minuti per esaurimento scorte. Sembra che tutti vogliono una PS5, ma solo in pochi hanno vere ragioni per effettuare il preorder.

Bisogna premettere che l’esaurimento dei preorder di PlayStation 5 non significa necessariamente un successo. Infatti, sicuramente il numero di pezzi disponibili era molto basso. Inoltre, il preorder su Amazon può essere cancellato fino a pochissimi giorni prima dall’uscita fissata per il 19 novembre, senza spendere neanche un euro.

Di conseguenza, è presto per dire se PS5 sarà un boom di vendite al day one. L’unica certezza è che in molti sono stati presi dalla febbre della next-gen e dovrebbero riflettere sui pro e i contro di questa scelta.

Prezzi PlayStation 5

Effetto WOW

Rispetto alla generazione precedente, la next-gen 2020 non porterà un salto tecnologico così evidente, quantomeno in termini prettamente grafici. Sicuramente i caricamenti saranno molto più brevi e, forse, sarà possibile sfruttare nuove feature per avere veri open world senza tempi di attesa. Però, siamo ben distanti dall’effetto WOW di PlayStation 4.

Questo rende PS4, e soprattutto PS4 Pro, un hardware ancora molto valido che può trainare le vendite per almeno un altro anno. Infatti, tutti i giochi più attesi del 2020 saranno cross-gen e titoli come God of War 2 saranno probabilmente disponibili solo alla fine del 2021.

God Of War 2
God Of War 2

Difetti di fabbrica

Un altro dettaglio da tenere in mente è che, storicamente, le prime versioni delle console di nuova generazione hanno sempre presentato difetti, corretti solo successivamente. Alcune PlayStation 3 avevano un guasto che le rendevano inutilizzabili, noto come yellow ring of death. Playstation 4, invece aveva problemi sulla porta HDMI.

In altre parole, gli svantaggi possono essere pesanti per una spesa di 500 euro. Di conseguenza, chi ha già una console di ottava generazione, o soprattutto una mid-generation a scelta tra PlayStation 4 Pro o Xbox One X, dovrebbe riflettere se ne vale veramente la pena.

Ho comprato un Nintendo Gamecube al day one e soffriva di un problema hardware serio, che lo portava al crash una decina di minuti dopo l’accensione. L’assistenza Nintendo mi ha sostituito la console, ma sono rimasto quasi due mesi senza poter giocare a causa dei lunghi tempi di attesa dell’assistenza e di Poste Italiane.

PlayStation 3 yellow ring of death
PlayStation 3 yellow ring of death

Ciao, nuovo abbonato!

Quindi, chi dovrebbe pensare seriamente all’acquisto di PlayStation 5, o Xbox Series X? Semplicemente, chi non ha una console di ottava generazione Sony o Microsoft.

Prima di parlare di esclusive, è importante premettere che un PC gamer, se può permetterselo, dovrebbe continuare a esserlo, perché è una fascia di gaming estremamente più flessibile. Detto questo, le line-up al lancio della nona generazione sono state definite e i titoli in esclusiva per PlayStation 5 sono (escludendo PC):

  • Destruction AllStars (PS5)
  • Demon’s Souls (PS5)
  • Godfall (PS5)

Un parco titoli che colpisce i sentimenti, ma abbastanza scarno per in lancio di una next-gen.

Giochi al lancio della next-gen

Per questo motivo, gli unici che possono veramente beneficiare di un acquisto immediato sono i gamer che non hanno avuto modo di provare i titoli di punta dell’attuale generazione. E possono farlo grazie a PS Plus Collection.

Il PlayStation Plus Collection è un’aggiunta all’abbonamento di PlayStation Plus (8,99 €) annunciato durante l’ultimo showcase di Sony, che permette di giocare, su PlayStation 5 a tantissimi titoli:

  • God of War
  • The Last of Us Remastered
  • Uncharted 4: A Thief’s End
  • InFamous: Second Son
  • The Last Guardian
  • Ratchet & Clank
  • Persona 5
  • Detroit: Become Human
  • Bloodborne
  • Until Dawn
  • Batman: Arkham Knight
  • Fallout 4
  • Battlefield 1
  • Until Dawn
  • Monster Hunter World
  • Final Fantasy XV
  • Mortal Kombat X
  • RESIDENT EVIL 7

Sicuramente il PS Plus Collection si evolverà, ma attualmente la sua unica utilità è quella di permettere a chi non ha vissuto questa generazione di recuperare dei grandissimi capolavori, magari (leggermente) migliorati per sfruttare la potenza di PlayStation 5.

PlayStation Plus Collection

Conclusione

È ovvio che se siete stati dei gamer attivi, questi titoli li avrete già giocati, oppure non aspettavate la PS5 per farlo. Se invece avete saltato questa generazione per concentravi su altro, come Nintendo Switch nel mio caso, il PS Plus Collection vi permette di recuperare l’attuale generazione a un prezzo praticamente regalato.

Il PlayStation Plus Collection strizza l’occhio ai gamer dormienti e prova a fare concorrenza all’Xbox Game Pass durante i primi mesi di vita di PlayStation 5. Per Sony non è una soluzione definitiva, ma per chi ha saltato questa generazione o vuole buttarsi sul mondo delle console solo adesso, è una grande occasione. Per tutti gli altri, meglio aspettare per il preorder di PlayStation 5.

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Editoriali

Pokémon GCC, perché è stupendo dal vivo e noioso online

Giocare dal vivo a Pokémon GCC, il gioco di carte dei Pokémon, è stupendo e la passione per i mostriciattoli giapponesi sembra lontana dall’esaurirsi. Purtroppo, l’idillio termina con Pokémon TGCO, la versione online che meriterebbe molta più attenzione da parte di The Pokémon Company.

Penso che chiunque al mondo conosca il franchise Pokémon, e chi, come me, lo segue sin dagli albori, ha probabilmente giocato al suo card game. Nel mio caso, ho giocato a Pokémon GCC dal Set Base fino alla seconda generazione con l’espansione Neo Destiny. Dopo aver abbandonato il gioco per un po’ di tempo, ho deciso di ricominciare online con Pokémon TCGO lo scorso anno.

Pokémon GCC Spada e Scudo – Fiamme Oscure

Purtroppo, la versione online di Pokémon GCC non è affascinante come la sua controparte fisica. Tanto da spingermi ad abbandonarlo, e riprenderlo, più volte. Almeno fino a quando non ho preso in mano le carte di Pokémon GCC Spada e Scudo – Fiamme Oscure. L’espansione è uscita lo scorso mese e mi ha invogliato a tornare a giocare assiduamente, ma dal vivo.

Proprio mentre scorrevo le carte fisiche, mi sono reso conto che il motivo della mia noia non è causato dal gioco di carte, ma dalla sua pessima versione online. Vi spiego le differenze.

Pokémon GCC “fisico”

Pokémon GCC ha dimostrato di sapersi evolvere divenendo estremamente dinamico e con una propria identità. Mi ricordo che quando il gioco arrivò in Italia, tra il 1998 e il 1999, il card game era orientato a un pubblico molto giovane. Infatti, i partecipanti dei campionati ufficiali potevano essere al massimo adolescenti. Per me è stata un’esperienza unica.

Appena arrivato in fumetteria, ho ricevuto un libretto dell’allenatore che mi consentiva di raccogliere punti tramite sfide ufficiali. E addirittura, vere medaglie, esattamente come nel videogioco. Oggi, Pokémon GCC è giocato da tantissimi giocatori di tutte le età e i gadget di chi partecipa ai tornei più importanti dimostrano che la cura dei dettagli della Pokémon Company per gli eventi reali è ancora vivida.

Chiunque voglia cominciare a giocarci inizia solitamente dai mazzi tematici, che posseggono un buono bilanciamento delle tre tipologie di carte. Infatti, le carte possono essere Pokémon, Allenatore, divise in Strumenti, Stadio e Aiuto, ed Energia. I mazzi tematici sono volutamente lenti, in quanto pensati per chi ha appena cominciato, ma il gioco competitivo è tutta un’altra cosa.

Pokémon di tutti i tipi, di tutte le generazioni

Esattamente come in Magic: L’Adunanza, o il digitale Hearthstone, anche in Pokémon GCC vi è una rotazione del set di espansione. In Pokémon, la rotazione avviene ogni anno. Nel caso delle partite in Standard, formato che contiene anche l’ultima espansione Spada e Scudo – Fiamme Oscure, il gioco è molto dinamico. Infatti, i mazzi sono ideati su uno sbilanciamento che rende il gioco più veloce.

Su 60 carte, quelle allenatore sono solitamente più delle metà, una decina sono le energie, mentre il resto sono i nostri Pokémon. Il motivo nasce dall’enorme forza delle carte Allenatore, che permettono di ciclare continuamente, cioè guardare il mazzo alla ricerca delle carte utili per quella determinata situazione.

Le carte Allenatore sono fondamentali

Pokémon TCG Online

Per questi motivi, ritengo Pokémon GCC molto divertente in competitivo, con un grande potenziale tanto dal vivo quanto online. Pokémon TCG Online è basato sulle stesse regole della versione fisica, ma l’user-friendly tipica del franchise è inesistente. Infatti, l’interfaccia grafica ricorda i primi software di inizio 2000 forniti insieme ai bundle delle carte fisiche, ben lontani dalla cura dei dettagli dell’ultimo Pokémon Spada e Scudo.

Pokémon TCG Online esce su PC nel 2011, come supporto ai giocatori che si scontrano dal vivo. Infatti, ogni bustina fisica contiene una carta con un codice che permette di avere anche una bustina digitale. Stranamente, The Pokémon Company non ha mai mostrato interesse nel trasformare la versione online da mero aiuto per i giocatori in-real a una piattaforma che possa competere con i migliori giochi di carte digitali come fatto, ad esempio, da Magic con il suo Magic: The Gathering Arena (MTGA).

Pokémon Spada e Scudo

Ritengo già questa decisione incredibile, perché la notizia di Pokémon GCC Online aveva fatto il giro del web in poche ore. Però, The Pokémon Company non ha colto la palla al balzo. Anzi, ha deciso di rendere disponibile il gioco su iOS e Android solo dopo molti anni, rispettivamente nel 2014 e nel 2016.

Non mi aspetto che la versione digitale del gioco di carte dei Pokémon sia sviluppata da Game Freak, ma esattamente come già succede per gli altri franchise Nintendo come Super Mario, pensavo che l’azienda di Kyoto ponesse dei vincoli alla qualità artistica, che in Pokémon TCG Online è veramente bassa.

Pokémon TCG Online e la sua scarna interfaccia

L’economia di Pokémon TCG Online

Inoltre, il videogioco ha un’economia molto conveniente per chi gioca in-real, ma totalmente inopportuna per un gioco di carte digitale. Hearthstone e Magic Arena sono costosi, ma il primo con la polvere arcana e il secondo con le wildcard, mostrano un minimo di vicinanza al giocatore. Ovviamente, non possiamo proprio fare il paragone con Legends of Runeterra, che è un vero e proprio free-to-play.

Pokémon TCG Online permette di scambiare carte con altre carte o pacchetti. In altre parole, i pacchetti sono la moneta ufficiale del videogioco, ma c’è un grosso vincolo. I pacchetti scambiabili sono quelli provenienti dai token presenti dentro le bustine fisiche o quelli vinti con i tornei in-game, che si possono giocare con dei ticket speciali. In estrema sintesi, il gioco scoraggia il free-to-play e il gioco online in generale.

Conclusione

Ritengo questa scelta insensata perché Pokémon nasce proprio come videogame per diventare solo successivamente un franchise. Di conseguenza, mi sarei aspettato un porting del gioco anche per Nintendo Switch, ma la casa giapponese si guarda bene dal rilasciare una versione così approssimativa per la sua console di punta.

Tra l’altro, mi chiedo cosa spinga Pokémon Company a puntare su esperimenti molto criticati come Pokémon Unite, il nuovo MOBA del franchise, o il fallimentare Pokémon Rumble Rush, il gioco mobile che ha chiuso i battenti dopo un anno, ma non pensi ai giocatori di Pokémon TCG Online, che continuano a supportare un software ben lontano dagli standard Nintendo.

Pokémon GCC è un gioco divertente, competitivo ed estremamente vicino a quei mostriciattoli colorati che hanno accompagnato la nostra infanzia. Un gioco di carte solido, che merita un’occasione anche da chi pensa che l’unico gioco di carte al mondo sia Magic: l’Adunanza. Purtroppo, in un momento storico colpito dalla pandemia, giocare dal vivo non è facile, mentre la versione online è ben lontana dal regalare il piacere che può fornire lo strepitoso brand Pokémon.

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Tecnologie

Gaming in Realtà Virtuale, intervista a Vierre Hub

Siamo alle porte di una nuova generazione di console e tutto il settore videoludico si sta preparando ad affrontare un 2021 che vedrà l’avvento di PlayStation 5 e Xbox Series X. Tra le tecnologie in campo, c’è la realtà virtuale che sta aspettando la consacrazione definitiva. In questa pagina, lo stato dell’arte, e non solo, della realtà virtuale nel gaming sarà raccontata dal punto di vista di un profondo conoscitore del settore, Francesco Crosa di Vierre Hub.

Vierre Hub è un progetto nato nel 2017 con un obiettivo molto semplice: diffondere in Italia la conoscenza della Realtà Virtuale, creando una community di persone appassionate a questa nuova tecnologia. In particolare nell’ambiente videoludico competitivo.

Passato

ilVideogiocatore.it: Ciao Francesco, ti ringrazio per la tua disponibilità. Questa è la prima volta che si parla di gaming in realtà virtuale su ilVideogiocatore e sono felice che possa farlo con un esperto del settore. Partiamo dallo stato dell’arte. Qual è stata l’evoluzione della realtà virtuale nel settore del gaming fino al 2020?

Crosa: Ciao! Anche io sono molto felice di essere qui a parlare con te e con i tuoi lettori! È davvero un onore poter rappresentare il mondo della VR in ambito videoludico.

La storia della VR origina in realtà molto prima di quanto si pensi. Infatti, già negli anni 20, si parlava di occhiali che permettevano di esplorare mondi virtuali. La prima vera realizzazione di un macchinario per la VR risale al 1957 con Sensorama, una specie di cabinato che permetteva non solo di vedere, ma anche di interagire con un ambiente digitale tramite i 5 sensi!

Sensorama

Negli anni 80, la VR entra nell’immaginario collettivo, ma a causa della tecnologia ancora troppo acerba e l’impossibilità quindi di poter realizzare un macchinario che rispecchiasse l’idea della realtà virtuale, fece disilludere sulla possibilità di una tecnologia simile alla VR che conosciamo noi oggi. Prima di sentire nuovamente parlare di VR, arriviamo al 2010 quando Palmer Lucky iniziò a sviluppare un lontano precursore dell’attuale Oculus. Da quel momento in poi, anche altre aziende hanno iniziato a sviluppare questa tecnologia.

Per quanto riguarda il gaming, la VR è ancora dominata dagli sviluppatori indipendenti, ma alcune delle maggiori case di sviluppo hanno iniziato a interessarsi alla cosa tramite porting. Ad esempio, Bethesda si è dedicata a rendere disponibile in realtà virtuale Skyrim e Fallout 4. Poi c’è, chi come Valve, ha creato un capolavoro da zero.

Presente

ilVideogiocatore.it: Nell’industria videoludica di quest’anno, i temi principali, pandemia a parte, sono stati next-gen, Animal Crossing: New Horizons e per quanto riguarda le tecnologie, il cloud gaming. Poi, all’improvviso, piomba su di noi Half-Life Alyx e si torna a parlare di visori. Quanto è stato importante il titolo Valve per il gaming in realtà virtuale?

Crosa: Half-Life Alyx è fondamentale per la storia della VR! Non solo perché è il continuo di una saga di videogiochi che ha fatto la storia, ma ha avvicinato molti giocatori al mondo della VR. Si pensi che grazie all’uscita del gioco il numero degli utenti di steam che hanno comprato il visore è salito fino al  2%. In più, un titolo così grande e importante potrebbe invogliare altre case di sviluppo a creare giochi in VR o misti, sia per PC che per VR.  

ilVideogiocatore.it: Come hai giustamente detto, Valve ha presentato, insieme ad Half-Life Alyx, anche il suo visore, il Valve Index. Pensi che possa essere un bene per il settore o cominciano a esserci troppi competitor che possano fare confusione nella mente dei gamer?

Crosa: Pensiamo a quante diverse componenti per PC si hanno a disposizione o a quanti modelli di cellulare ci sono in commercio. Non credo che avere una varietà, comunque al momento limitata, di visori crei confusione nella testa di un gamer. Il problema maggiore non è il numero di visori, ma che non esista ancora uno standard condiviso tra le varie piattaforme.

Sicuramente il fatto che ci sia competizione è positivo, perché aiuterà a far crescere il mercato, ma allo stesso tempo è un peccato che alcuni giochi siano limitati a determinati visori. Sarebbe necessaria una collaborazione per far crescere il mercato.

Half-Life: Alyx

ilVideogiocatore.it: Prendo ancora spunto da Half-Life: Alyx per una riflessione. Il titolo ha avuto un enorme successo tra la critica di settore, ma sembra che manchi ancora qualcosa per far parlare i media videoludici della VR come una tecnologia core per i  videogame. Cosa si dovrebbe fare per ottenere questo status?

Crosa: Penso che la cosa migliore che possa succedere è che comincino ad esserci più casi come Half Life Alyx. Fino a quando rimarrà un caso isolato, e il numero di videogiochi tripla A per la VR rimarrà troppo basso per giustificare l’acquisto di un visore, allora sarà difficile raggiungere un mercato più ampio.

Futuro

ilVideogiocatore.it: Ora abbiamo un’idea chiara sul presente e possiamo ragionare sul futuro. In particolare, sul 2021. Sony ha dichiarato che sono state vendute circa 110 milioni PlayStation 4 (maggio 2020) e circa 5 milioni di PlayStation VR (febbraio 2020). Il 5% del totale. Probabilmente ci si aspettava qualcosa di più fino a qualche anno fa, ma Sony sembra aver promosso la realtà virtuale tanto che si parla di PlayStation VR 2. Cosa ti aspetti dalla next-gen?

Crosa: In realtà, io e i miei amici di Vierre Hub siamo rimasti abbastanza delusi dal reveal di PlayStation 5 proprio perché, a parte la compatibilità con il PlayStation VR, non sono state annunciate novità circa la VR. Probabilmente si vuole fare un grosso annuncio alla volta perché siamo sicuri, e le voci lo confermano, che il PlayStation VR 2 sia effettivamente in sviluppo.

Non si sa ancora nulla di certo sulle sue capacità tecniche, ma per essere competitivo questo nuovo visore di Sony dovrà essere, rispetto al suo predecessore, più confortevole, avere una risoluzione grafica più alta, non avere assolutamente le telecamere esterne e avere dei controller dedicati.

Infine, se si riuscisse, sarebbe bello avere un PlayStation VR senza cavo, ma pare impossibile al momento. In più, come preferenza personale, spero che conservino il design della prima PlayStation VR, perché a parere mio era davvero figa.

ilVideogiocatore.it: I dati parlano di un utilizzo della realtà virtuale nell’industria 4.0 con un investimento di 121 miliardi di dollari contro i 40 miliardi di spesa da parte dei consumatori. Tra le aziende che supporteranno la realtà virtuale c’è sicuramente Facebook, che sta anche aiutando la VR League di ESL, l’Electronic Sports League. Pensi che ci possano essere delle aziende esterne al settore del gaming, come Facebook, che possano influire sul gaming in realtà virtuale in modo trasversale?

Crosa: Pensiamo che ogni colosso possa in realtà dare il suo contributo per il processo evolutivo di questo fenomeno, basti pensare alla collaborazione Gucci-Fnatic di poco tempo fa. Pensare a un brand di moda che decida collaborare con uno dei team più famosi nel mondo gaming fa riflettere, e ci lascia sperare che qualsiasi realtà possa iniziare a fare degli investimenti importanti per lo sviluppo del gaming VR, e non solo.

E-sport e realtà virtuale

ilVideogiocatore.it: Parlando di e-sport, la VR League di ESL ha partner importanti, ma non è decisamente famosa come altri tornei videoludici competitivi. Cosa può spingere i pro-player, e i relativi sponsor che portano il denaro, a dare maggiori attenzioni alla realtà virtuale competitiva?

Crosa: Ovviamente la VR competitiva diverrà interessante nel momento in cui il pubblico si interesserà a questo tipo di contenuto. Di sicuro la VR sta raggiungendo un pubblico più ampio grazie a giochi geniali come Beat saber e Half Life, ma dal punto di vista competitivo mancano ancora giochi davvero interessanti, sia per i pro-player sia per gli spettatori. Ironicamente proprio in questo periodo anche noi stiamo studiando come realizzare un “v-sport” come si deve!

ilVideogiocatore.it: Francesco, ti ho ringraziato all’inizio per la disponibilità e ti ringrazio ora che siamo giunti a termine per l’enorme quantità di informazioni, idee e spunti di riflessioni che hai dato a me e a chi ci sta leggendo.

Crosa: Se siete interessanti al mondo della realtà virtuale e degli v-sport siamo in diretta tutte le settimane su Twitch per parlare di questi argomenti e se ne volete discutere con noi, siamo più che contenti. Da Rimini è tutto, e ci sentiamo nella prossima intervista.

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Recensioni

Witcheye per Nintendo Switch – Recensione


Recensione in un Tweet

Witcheye è un platform puzzle game che ha dimostrato la capacità di un titolo mobile di poter approdare con successo su console. L’intuizione del gameplay è interessante, mentre il level design necessita di una revisione con un aumento della difficoltà. Il prezzo (4 euro) mi spinge a consigliarvi un titolo che presenta boss fight divertenti e una pixel art ispirata.

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Dopo un anno nel mondo del mobile, Witcheye vuole dimostrare che i giochi per smartphone possono competere anche nel mondo PC e console. In questo caso, il Nintendo Switch si dimostra essere la piattaforma migliore per recensire un titolo che sta tra due mondi spesso considerati distanti.

Witcheye racconta le peripezie di Mabel Syrup, una strega che subisce il furto dei propri ingredienti magici e gemme da parte di due buontemponi, un cavaliere e uno stregone di cui conoscerete i nomi una volta terminato il gioco. Per una volta, la strega non è l’antagonista dell’avventura, ma la povera vittima di un furto che la porterà in giro per un mondo eterogeneo e colorato, abitato da nemici più o meno grandi.

Antagonisti Witcheye
Una po’ malvagi, un po’ cleptomani.

Old Style

Witcheye è un platform puzzle game vecchio stile per tanti motivi. Il colpo d’occhio è la pixel art molto colorata e ironica, pensata per l’ingenuità di un pubblico molto giovane mentre strizza l’occhio ai più grandi. Witcheye è chiaramente ispirato a Shovel Knight e Super Mario, ma mai quanto ora è importante sottolineare che ispirazione non significa plagio. Il rompicapo ha una propria anima e ogni avversario presente in gioco ha un nome e una caratteristica peculiare.

Il comparto audio non fa urlare al miracolo, ma si mette in mostra con momenti ispirati, che stimolano il proseguo dell’avventura, e in certi casi scandiscono il tempo delle azioni da eseguire.

Pixel Art Witcheye
Una pixel art ispirata.

Il gioco di Moon Kid e Devolver Digital si distingue da qualsiasi altro rompicapo a piattaforme grazie a un gameplay tanto semplice da capire quanto complesso da mettere in pratica. Il nostro alter ego si muoverà sullo schermo sotto forma di occhio, witcheye per l’appunto. L’occhio della strega può essere mosso in qualsiasi direzione, compreso rimbalzare sulle pareti, e continuerà per inerzia fino a quando non si premerà il pulsante A del nostro Nintendo Switch. Questa scelta implica che sarà molto importante sapere quando continuare in una direzione, quando cambiarla o quando semplicemente fermarsi.

I nemici sapranno metterci in difficoltà, ma la vera sfida è contro noi stessi, perché sarà necessaria un po’ di pratica prima di prendere familiarità con un sistema di comandi che su Nintendo Switch può essere duplice: touchscreen, come per le versioni mobile, oppure via joystick. Come avrete già intuito, non vi è nessuno motivo per usa il touchscreen, eccessivamente scomodo sia per precisione che per la mancanza di visione data dal vostro dito su un gioco estremamente dinamico.

Combattimenti Witcheye
Alcune sfide sono obbligatorie.

Level design da rivedere

Ogni livello consente di collezionare quattro gemme, tre verdi e una blu. Per farlo, bisogna abbatte i nemici più impegnativi e cercare bene all’interno dello scenario. Però, nel caso non siate interessati al collezionismo, Witcheye risulta troppo semplice per circa tre quarti dell’avventura. Infatti, il level design ha un’importante lacuna nella costruzione che permette, a chi vuole darsi una mossa, di bypassare la maggior parte dei nemici e giungere fino alla fine. Per questo motivo, in quanto obbligatorie, le boss fight sono le sfide più interessanti del gioco.

I boss di Witcheye permettono ai veri videogiocatori di poter notare diverse citazioni sia nelle sembianze che nella sfida che offrono. Non fornirò ulteriori dettagli in merito, ma se avete giocato Super Metroid, troverete enormi somiglianze con un boss in particolare, che ha fatto parecchio penare Samus Aran. In Witcheye, i boss sono decisamente meno impegnativi del gioco Nintendo, ma sapranno darvi una vera sfida che bilancerà il livello di difficoltà.

Boss fight Witcheye
I boss sono divertenti

Il titolo è disponibile inizialmente solo a difficoltà normale, mentre la modalità difficile sarà sbloccata dopo aver terminato il gioco una prima volta, insieme alla modalità timer.

One long run

Witcheye è un gioco leggero in tutti i suoi aspetti e rispecchia l’old style anche per la longevità. Il titolo si può terminare in meno di quattro ore, ma è estremamente rigiocabile. Non può essere considerato un difetto se consideriamo che Witcheye si rifà agli anni ’80, dove i videogiochi si potevano terminare in un’unica lunga run. Inoltre, la scarsa lunghezza del gioco è giustificata dal prezzo. Infatti, Witcheye è disponibile sul Nintendo eShop alla modifica cifra di quattro euro.

Livello Witcheye

Il titolo di Devolver Digital è uno di quei giochi di cui mi auguro un seguito con un budget più ampio, sperando di poter vedere un level design più solido e magari nuove feature di progressione e abilità.

Nel frattempo, mi sento di consigliarvi Witcheye, perché dimostra che una semplice idea nel gameplay, unita a un’indubbia qualità artistica, permette di creare un videogame capace di divertire e far passare qualche ora di sfida in un momento storico dell’industria in cui i giochi sono troppo spesso rimasterizzati piuttosto che usati come fonte di ispirazione.

Modus Operandi

Ho terminato Witcheye in quasi quattro ore grazie a un codice per Nintendo Switch gentilmente fornito dal publisher.

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Editoriali

Jason Schreier è il giusto esempio di giornalismo videoludico

L’industria dei videogiochi sta crescendo molto rapidamente, così tanto da non sembrare preparata a gestire le responsabilità portate dalla fama. Jason Schreier è un giornalista che ha scoperchiato più volte le lacune del mondo dei videogiochi, evidenziando le condizioni di lavoro disumane di alcuni dipendenti delle più grandi case di sviluppo. Schreier è la dimostrazione che si può, e si deve fare, vero giornalismo anche in un settore giovane come quello dei videogame.

Chi è Jason Schreier

Jason Schreier nasce il 10 maggio 1987. Si è laureto presso l’Università di New York e ha collaborato per i primi anni della sua carriera con molte testate americane di videogame come freelancer. Successivamente, nel 2011, Jason entra nella redazione di Kotaku, diventando famoso con le sue inchieste sul crunch time, cioè i turni di lavoro disumani, nell’industria videoludica.

Nel 2020, Jason Schreier lascia Kotaku per Bloomberg News, dimostrando che il giornalismo videoludico non è semplicemente un contenitore di recensioni, ma può migliorare un settore che abusa della passione dei suoi lavoratori per far arricchire aziende e manager senza scrupoli.

Jason Schreier
Jason Schreier

In Italia, dove il settore non è sviluppato come in altri Paesi, questo ragionamento è ancora più importante. L’editoria videoludica italiana non si è mai veramente posta il problema di cosa significa essere un lavoratore del settore dei videogiochi nel Bel Paese e nessuno ci ha mai ricordato che ci sono persone che praticamente non guadagnano nulla dalle proprie fatiche, se non la gloria di finire in qualche pagina di giornale, più virtuale che cartacea.

Jason Schreier è il giusto esempio di giornalismo videoludico, perché ha affrontato l’industria esattamente come fanno i suoi colleghi, che si occupano di cinema o libri. Questo giornalista di New York sta spiegando l’abuso delle grandi aziende e ha già narrato di come alcuni grandi dei videogiochi devono crescere ancora tanto dal punto di vista umano.

Lo scandalo dei licenziamenti

Nonostante i primi scandali in merito alla vita dei dipendenti videoludici risalgono al 2004, con il caso di Eletronic Arts, Jason Schreier è diventato famoso perché ne parla con costanza dal 2014, tanto da diventare l’investigatore degli abusi sui lavoratori del mondo dei videogame.

Il primo articolo di Schreier che ha scosso il mondo dei videogiochi si intitola “Why Game Developers Keep Getting Laid Off” (2014, Kotaku,”Perché gli sviluppatori di videogiochi continuano a farsi licenziare”). Il giornalista chiarisce perché in un’industria in estrema crescita come quella dei videogame, le aziende continuino a fallire e sviluppatori e creativi siano licenziati con noncuranza.

Per la prima volta, il fenomeno di incertezza del posto di lavoro nell’industria videoludica diventa noto anche al grande pubblico e le parole raccolte fanno scalpore, perché in pochi sapevano che dopo l’uscita di un videogioco, anche di successo, qualcuno potesse dire ai suoi dipendenti che era ora di cambiare aria:

Un giorno, ti chiamano per una riunione. L’azienda deve tagliare dei costi e dice che licenzierà. Tu, insieme ad altre venti persone, non fate più parte di questa azienda. Non è per incompetenza, negligenza o qualsiasi altra cosa che tu possa controllare. Non hai fatto nulla di male. Il tuo nome è appena finito sulla lista sbagliata nel momento sbagliato.

Jason Schreier, Why Game Developers Keep Getting Laid Off

Il crunch nell’industria dei videogiochi

Dopo il clamore per “Why Game Developers Keep Getting Laid Off”, Schreier raccontò che molti grandi player sono soliti usare la pessima tecnica del crunch time sui propri dipendenti. Se Ubisoft può essere un vero e proprio limbo per gli sviluppatori, Rockstar può essere un vero inferno. Grazie all’inchiesta “Dentro la cultura del crunch di Rockstar Games” (2018, Kotaku), Jason Schreier è diventato il grande esempio di giornalismo che è oggi.

Red Dead Redemption 2 di Rockstar Games
Red Dead Redemption 2 di Rockstar Games

L’indagine su Rockstar si basa sulle affermazioni di una quarantina di dipendenti provenienti da svariate parti del mondo e che hanno lavorato a diversi giochi di Rockstar Games. Da quanto raccolto, si evince che l’ambiente è completamente guastato dall’idea che sia l’azienda a fare un favore al dipendente, che se non ha voglia di dedicare tutta la sua vita al lavoro, puoi anche andarsene, perché ci sono tantissime persone dietro la porta disposte a farlo:

L’idea che Rockstar si preoccupi dei suoi impiegati e della loro salute è ridicola. Ho lavorato così tanto da essere finito in depressione e con problemi di ansia, che non ho mai avuto fino a quando non ho lavorato per loro. Il mio corpo era esausto, non pensavo di poter avere amici al di fuori del lavoro, mi sentivo come se stessi impazzendo per gran parte del mio tempo passato lì, e ho iniziato a bere pesantemente.

Ex-dipendente Rockstar, Inside Rockstar Games’ Culture Of Crunch

Gli stipendi bassi

In poco tempo, il giornalismo investigativo di Schreier ha scovato punti di attenzione sul trattamento dei dipendenti in tante altre realtà come Naughty Dog e Activion Blizzard. In quest’ultimo caso, la scoperta riguarda l’importante differenza di stipendi all’interno dell’azienda americana. Infatti, se Bobby Kotick, CEO di Activion Blizzard, ha dichiarato 40 milioni di dollari di compensi nel 2019, i comuni dipendenti ricevono spesso il minimo salariale:

Un veterano di Blizzard ha dichiarato a Bloomberg News di aver ricevuto un aumento di meno di 50 centesimi l’ora. Stanno guadagnando meno ora di quanto facessero quasi dieci anni fa, perché stanno facendo meno ore di straordinario rispetto a prima. Diversi ex dipendenti Blizzard hanno affermato di aver ricevuto aumenti salariali significativi solo dopo essere passati in altre società, come la rivale Riot Games Inc. di Los Angeles.

Jason Schreier, Blizzard Workers Share Salaries in Revolt Over Pay
Robert ‘Bobby’ Kotick

Conclusione

Durante un Milan Games Week di qualche anno fa, chiesi a un professore universitario che fece un seminario di game design per l’evento, perché mai dovrei decidere di diventare uno sviluppatore di videogiochi se il crunch time è una pratica ormai accettata dall’industria. Mi rispose che non c’era nessuna ragione logica. Ci deve essere passione, che ti fa turare il naso e ti fa andare avanti in un mondo che è una palude difficile e ingiusta.

Ritengo che per migliorare la condizione dei lavoratori del mondo dei videogame, sia necessario l’intervento del giornalismo d’inchiesta che può far smuovere l’opinione pubblica al fine di rendere migliore un mondo che è troppo spesso gestito nell’ombra. E penso che Jason Schreier ha avuto il merito di essere l’apripista di cui avevamo bisogno.

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Recensioni

Total War: Elysium – Provato della closed beta

La serie Total War festeggia i venti anni dal primo capitolo, Shogun: Total War con un gioco di carte collezionabili free-to-play. Total War: Elysium è in closed beta e mostra già la sua struttura, un gioco tattico un po’ complesso da capire, ma velocemente accessibile, esattamente come la sua serie principale.

Gli sviluppatori di The Creative Assembly sono coscienti che Total War è il marchio più pregiato tra la nicchia dei gestionali storici. Per questo motivo, hanno più volte cercato di introdurre degli spin-off della serie.

Nonostante Spartan: Total Warrior del 2005 sia stato un buon passatempo per la sesta generazione di console (PlayStation 2, Gamecube, Xbox e Dreamcast), gli spin-off di Total War non sono mai riusciti ad emergere dalla mediocrità. Infatti, i Total War Battle non hanno mai impressionato, mentre Total War: Arena è stato un vero disastro. Nonostante lo strategico online fosse stato accolto discretamente bene da critica e utenti, il gioco ha disatteso le aspettative della casa di sviluppo in termini puramente numerici, fattore che ha decretato la sua morte dopo un anno di vita, ancora in Open Beta.

Facciamo la storia

Total War: Elysium non è di certo il titolo sulla bocca di tutti, ma il gioco sembra essere meritevole di attenzioni in un nicchia come i card game online, che hanno bisogno di nuova linfa da cui attingere.

L’ambientazione prende spunto da tutti i maggiori capitoli di Total War, rimanendo tra lo storico e il leggendario. Le carte possono appartenere a una fazione o a un’epoca storica. Attualmente sono disponibili quattro fazioni: Three Kingdoms, Viking, Troy, French Republic e quattro epoche: Ancient, Medieval, Empire e Timeless, epoca neutrale usabile da tutti.

Epoche e fazioni riducono il pool di carte che ogni generale può usare. Attualmente, i generali giocabili sono otto. Tre di questi sono disponibili semplicemente giocando, mentre gli altri sono acquistabili nello store via ametiste, di cui parleremo in seguito. I tre generali immediatamente ottenibili sono: Lagertha, che si basa su una strategia molto aggressiva, Cao Cao, che è un vero e proprio control e Napoleone, un tempo mid-range orientato all’attacco a distanza.

Le fazioni e le epoche di Total War Elysium

Mazzi delle riserve

Inizialmente, il gioco di carte di Total War è complesso. Il tutorial è ben strutturato, ma le prime partite disorientano a causa di meccaniche a tratti innovative per i giochi di carte digitali. Siam ben lontani dall’accessibilità di Hearthstone e Legends of Runeterra, ma usare la testa ripaga.

Il tutorial, decisamente ben calibrato, ci introduce a tutte le meccaniche principali del titolo. La novità più gradita rispetto agli altri giochi di carte collezionabili digitali è la riduzione ai minimi termini del fattore fortuna. Infatti, inizieremo la nostra partita decidendo con quale riserva giocare. Essa è costituita da 18 carte monocopia da cui attingeremo a ogni daybreak, di cui parliamo subito.

Il generale Napoleone in Total War Elysium

Le giornate

Una novità rispetto ai titoli main stream di carte è la sequenza temporale, scandita dalle giornate. Ogni giorno è costituito da sette turni e un daybreak. Di conseguenza, in ogni giornata, uno dei due sfidanti giocherà un turno in più rispetto il suo avversario. Solo il primo giorno, il giocatore che parte per secondo, avrà una carta supply a costo zero, che gli fonirà una risorsa in più per usare le proprie carte.

A ogni daybreak sarà possibile prelevare dalla propria riserva nove carte che finiranno nel mazzo di gioco. Questo permette di scegliere la strategia più opportuna in base al momento della partita e all’avversario contro cui ci stiamo confrontando.

In Total War Elysium scegliamo le carte del nostro mazzo

I generali

Risolto il primo daybreak, pescheremo 3 carte e partiremo con una supply, le risorse di gioco che ci permettono di pagare le carte. Sul campo di battaglia troveremo il nostro generale, con meccaniche simili agli eroi di Hearthstone. Come per il gioco Blizzard, la partita finisce quando la vita di uno dei due generali arriva a zero.

Inoltre, rispetto ad Hearthstone, i generali di Total War Elysium possono scendere sul campo di battaglia con due azioni, muovere e attaccare. In più, ogni generale ha una passiva speciale e fornisce una carta univoca che si ricarica ogni turno (così da avere in totale quattro carte all’inizio del gioco), esattamente come il potere degli eroi di Hearthstone.

Guthrum in Total War Elysium

Il campo di battaglia

Non è un caso che abbia menzionato il movimento. Ogni unità, tranne casi particolari, può fare un’unica azione per turno: muoversi o attaccare. Il movimento è fondamentale in Total War: Elysium, perché a differenza di tutti gli altri giochi di carte digitali, la plancia di gioco si estende non solo in orizzontale, ma anche in verticale. Di conseguenza, muovere un’unità significa spostarla nella linea avanzata o sulle retrovie.

Potete capire quanto questo possa complicare le cose. Infatti, possiamo giocare le nostre unità, o strutture che vedremo in seguito, in una delle due linee, ma dobbiamo tenere conto che le unità che stanno davanti proteggono quelle che stanno dietro.

Come è facile aspettarsi, alcune unità potranno colpire solamente gli avversari che si trovano davanti a loro, mentre altre, come l’artiglieria che possiede l’abilità di Short-Ranged, possono attaccare con un +1 sulla distanza. Per complicare il tutto, abbiamo anche i Long-Ranged, che possono colpire fino a due posizioni oltre, quindi da linea difensiva a linea difensiva.

L'area di gioco di Total War Elysium

Le carte

Assimilare questi meccanismi richiederà tempo, anche perché le carte di gioco hanno svariate meccaniche uniche e possono essere di 3 tipi: unità, struttura ed evento. Le unità sono i nostri soldati. Le strutture non si possono muovere, ma forniscono bonus fondamentali per la strategia del mazzo. Un esempio è Supply Train della Repubblica francese che permette di ottenere 1 risorsa ogni volta che si pesca una carta. Infine, gli eventi sono equivalenti alle magie di Hearthstone o le stregonerie di Magic, si risolvono immediatamente, si possono giocare solo nel proprio turno e, a differenza di Magic, non sono contrastabili.

Supply Train in Total War Elysium

L’economia

Per quanto riguarda l’economia di gioco, abbiamo due valute nella closed beta di Total War: Elysium: l’oro e le ametiste. Attualmente si ottengono entrambe giocando, ma mi aspetto che una delle due sarà acquistabile con denaro reale. In più, tutte le carte extra diventano materiale da crafting, che sarà usabile per ottenere nuove carte.

Sotto questo punto di vista, il gioco sembra più simile al titolo Blizzard che a Legends of Runeterra. Infatti, non sono presenti token, o wild card come denominate in Magic: Arena, ma solamente crafting material, l’equivalente della polvere arcana. Però, a differenza di Hearthstone, Total War Elysium dona un quantitativo di denaro maggiore, anche se non sono certo che sarà ancora così quando le microtransazioni entreranno in gioco.

Maria Antonietta in Total War Elysium

Una partita di Total War: Elysium dura mediamente 15 minuti, ma non ci sono mai dei momenti veramente morti, perché la possibilità di inserire nel mazzo di gioco le carte che si preferisce a partire dalla propria riserva, diminuisce di molto la probabilità di avere un pick sfortunato.

Conclusione

La closed beta di Total War: Elysium mostra delle meccaniche ragionate con cura e molto innovative nel settore dei giochi di carte collezionabili digitali. Posso dire che non esiste nulla di simile e la complessità del titolo mi ricorda la stessa esperienza che ho provato giocando i gestionali Total War. Ritengo che la difficoltà sia calibrata perfettamente secondo gli standard della serie principale.

Achievement in Total War Elysium

Sono fiducioso che chi apprezza il gestionale storico di The Creative Assembly, apprezzerà anche Total War: Elysium. Allo stesso tempo, chi è stufo di giochi di carte collezionabili digitali troppo banali, troverà in Total War: Elysium pane per i suoi denti.

I dubbi permangono per il videogiocatore medio di card game, che vuole solamente rilassarsi un po’. Questi giocatori potrebbero finire in un titolo troppo ragionato, che può causare facilmente frustrazione, se non affrontato con la giusta concentrazione. Esattamente come tutti i Total War.

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Editoriali

Xbox Series X annuncia la fine della console war

Il 23 Luglio 2020, durante l’Xbox Games Showcase, Microsoft ha presentato la line-up che ci condurrà verso la prossima generazione di console. Mentre la stampa italiana fa le prove generali per istigare lo scontro tra PlayStation 5 e Xbox Series X, Microsoft mantiene la sua promessa, si allontana dalla console war e porta tutti i suoi titoli su più piattaforme, rafforzando il fulcro della strategia, il Game Pass.

Alla fine vince sempre il PC. A primo acchito, questo è stato il mio primo pensiero. Del resto, sembra che tutti, o quasi, i giochi per Xbox Series X presentati, saranno disponibili anche per PC. Però, pensandoci meglio, la vittoria non è solo dei PC gamer. Il tema è più profondo, perché con questa presentazione si è voluto porre fine alla console war.

Le strategie

Le tre piattaforme principali hanno tre idee diverse su come condurre la propria strategia. Il fulcro è non entrare in conflitto.

PlayStation 5 continuerà la sua marcia verso le esclusive che le hanno fornito il monopolio del mercato delle console casalinghe. Titoli come Horizon Forbidden West, Gran Turismo 7 e Marvel’s Spider-Man: Miles Morales tuonano nelle orecchie dei casual gamer. Sony cavalcherà l’onda dei titoli esclusivi, anche con il rischio che domani qualcosa possa arrivare anche su altri device. Come ha sempre fatto.

Nintendo Switch combatte in un terreno differente. In questo momento, fa uscire Paper Mario: The Origami King e conta il denaro incassato con Animal Crossing: New Horizons. A breve, sgancerà un paio di bombe per affrontare al meglio il lancio delle console della prossima generazione, magari con titoli di cui si è già parlato all’E3 2019 come The Legend of Zelda: Breath of the Wild 2. Una strategia trasversale che non affronta il nemico faccia a faccia, ma colpisce un mercato che la rende necessaria ma non sufficiente.

Chi si rinnova è il marchio Xbox. Microsoft non è interessata a fare il record di vendite con Xbox Series X. Il suo obiettivo è avere quanti più iscritti al Game Pass. Per farlo ha ben tre piattaforme diverse che permettono a tutti di giocare.

L’ecosistema Microsoft

La prima è chiaramente Xbox Series X, una console per chi va al sodo, per chi vuole soltanto premere un tasto per cominciare a giocare. La seconda è il PC, perché tutti, o quasi, i giochi presenti sulla nuova Xbox saranno presenti anche per computer. I PC gamer non possono essere più contenti. La terza è Project xCloud, per chi è sempre in movimento e per chi non può spendere una fortuna sul del nuovo hardware, ma vuole provare i principali titoli della line-up Microsoft. Un’ecosistema fatto da tre realtà diverse che sono unite da un unico concetto, l’Xbox Game Pass.

Definito anche come il “Netflix per i videogiochi”, il Game Pass è un abbonamento mensile che permette di giocare scegliendo da un catalogo aggiornato periodicamente. A fine Aprile 2020, Microsoft ha dichiarato che il servizio conta dieci milioni di abbonati.

I piani di abbonamento del servizio Microsoft sono tre: PC, Console e Ultimate. Quest’ultima opzione fornisce la possibilità di giocare sia su PC che sulle piattaforme Xbox, ma la vera bomba è l’inclusione di Project xCloud al lancio sul mercato.

Questa scelta implica che, nelle sue strategie future, Microsoft terrà conto di chi comprerà Xbox Series X, dei PC gamer e di chi non ha una piattaforma da gioco, ma possiede una buona connessione internet che gli permette di giocare in cloud senza acquistare alcun hardware. Di conseguenza, con un unico abbonamento si avrà un catalogo di videogame e una piattaforma su cui poterli giocare.

Le esclusive temporali

Su una noto sito italiano del settore, la dicitura “Console Launch Exclusive” è stata definita becera. Io invece sono felice che l’esclusività sia solo temporale.

Finalmente, i riflettori si sono allontanati dalla console war e l’epicentro diventa il videogiocatore. Per anni, la community videoludica è stata intossicata da confronti tra videogiochi non paragonabili per il solo gusto di dire, parafrasando Phil Spencer, vicedirettore di Microsoft Gaming, che “il mio pezzo di plastica è migliore del tuo pezzo di plastica”.

Pazienza se il nuovo Fable è stato presentato solo con un teaser, se Halo Infinite delude perché subisce la cross-generation o se Avowed, il nuovo RPG di Obsidian, è ancora tutto da sviluppare. Come dice Luca Tremolada de ilSole24Ore:

Per gli osservatori del mondo videoludico quella operata è una piccola rivoluzione copernicana che va ancora compresa ma potrebbe cambiare gli equilibri di questo settore.

Luca Tremolada

L’industria

L’industria dei videogiochi sposta tanto denaro. Ci lavorano artisti, sviluppatori, localizzatori, ingegneri, senza contare aree marketing e risorse umane. Nel 2018, il mercato dei videogiochi valeva 130 miliardi e le stime ipotizzano che raggiungerà i 300 miliardi nel 2025. In un’industria del genere, servono idee innovative e Microsoft ha fatto un passo avanti verso la rivoluzione.

Non ho la certezza che questa strategia funzionerà, ma la prova di forza della casa di Redmond è evidente. Microsoft ci sta dicendo che Xbox Series X è solo una delle tre piattaforme che compone il suo ecosistema. Il suo obbiettivo principale non è vendere console, perché anche il PC è casa sua. Non ha la necessità di Sony di sbancare nel mercato delle console casalinghe.

La Community

Microsoft vuole creare una community fatta da giocatori provenienti da tante piattaforme diverse, per rivoluzionare un mercato che ormai da troppo tempo si avvelena il sangue in una stupida guerra che ha reso invivibile l’industria dei videogiochi.

La nuova generazione ci porterà un’esperienza ben diversa da quella dell’ultimo decennio e, finalmente, il merito non è dovuto a una nuova veste grafica da urlo, ma a una competizione diversa tra i maggiori player.

Non ho ancora scelto con quale piattaforma abbraccerò l’idea Microsoft, ma so che voglio fare parte di questa community, che vuole scardinare le catene di conversazioni basate solo su chi ha il pezzo di plastica migliore. E voi?

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Super Mario non è mai stato solo un platform

L’idea che si ha di Super Mario è strettamente legata alla serie platform iniziata nel 1985 con Super Mario Bros. Dati alla mano, possiamo dire che questa visione è errata da almeno 30 anni. Super Mario conta solo 19 platform originali contro un centinaio di titoli con un genere completamente diverso dalle piattaforme.

Gli inizi

Il personaggio nasce nel 1981, quando Nintendo, in difficoltà, porta sul mercato un gioco arcade che salverà la compagnia, Donkey Kong. Il titolo si basa su un “jumpman”, che deve salvare la principessa dal King Kong di Nintendo. Il gioco sarà un successo e l’eroe prenderà il nome di Mario.

Dal 1985, il jumpman si mette in proprio e nasce il grande platform game Super Mario Bros. Da quell’anno, Super Mario sarà ricordato come il re dei giochi platform per l’enorme qualità dei suoi titoli principali, ma oggi il franchise Mario vive soprattutto di altro.

I titoli principali

Nintendo afferma che i titoli principali, tutti platform 2D o 3D, della serie Mario sono 19:

  • Super Mario Bros. – 1985
  • Super Mario Bros. 2 – 1988
  • Super Mario Land – 1989
  • Super Mario Bros. 3 – 1990
  • Super Mario World – 1991
  • Super Mario Land 2: 6 Golden Coins – 1992
  • Super Mario 64 – 1996
  • Super Mario Sunshine – 2002
  • New Super Mario Bros. – 2006
  • Super Mario Galaxy – 2007
  • New Super Mario Bros. Wii – 2009
  • Super Mario Galaxy 2 – 2010
  • Super Mario 3D Land – 2011
  • New Super Mario Bros. 2 – 2012
  • New Super Mario Bros. U – 2012
  • Super Mario 3D World – 2013
  • Super Mario Maker – 2015
  • Super Mario Run – 2016
  • Super Mario Odyssey – 2017

Tutti questi giochi, incluso il titolo mobile Super Mario Run e l’ibrido Super Mario Maker, sono dei giochi a piattaforme. Questa visione della storia di Mario non rende giustizia alla moltitudine di titoli in cui è comparso l’idraulico italiano. Infatti, la maggior continuità della serie principale si ha tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90. Successivamente, la saga principale di Super Mario è stata narrata prendendosi più tempo tra un titolo e un altro.

Ovviamente, oggi serve maggior tempo per creare un titolo di altissima qualità, come lo sono i Mario attuali e Nintendo ha moltissime IP diverse da coltivare. Però, Super Mario è da 30 anni che compare in moltissimi titoli che portano il suo nome.

Gli altri

I giochi che presentano il nome Mario sono 161. I platform game 2D e 3D sono in totale 47. Solo il 30% dei titoli che portano il nome di Mario sono dei giochi a piattaforme.

Infografica numero di giochi di Super Mario per genere.
Infografica numero di giochi di Super Mario per genere.

In particolare, la distribuzione annua dei titoli platform di Super Mario ci fa capire come il franchise sia nato negli anni ’80 come genere 2D a scorrimento laterale, per poi trasformarsi nel primo vero brand videoludico della storia, abbracciando differenti generi. Esattamente come sta tentando di fare il franchise Pokémon nei nostri giorni.

Infografica generi Super Mario per decade.
Infografica generi Super Mario per decade.

I principali generi che hanno il faccione di Mario in copertina sono una decina. Tra questi, i più importanti in termini di quantità sono, in ordine: gli sportivi, i puzzle game, i party game, i giochi di corsa, che fanno categoria a parte, e gli RPG.

I videogiochi dedicati allo sport sono una categoria molto ampia e contengono titoli come Mario Golf, Mario Tennis, il dimenticato Mario Strikers, ma anche la più generica serie Mario Sports e gli olimpionici di Mario & Sonic.

I puzzle game sono stati tra i primi esperimenti del franchise. Facili da realizzare, trovano la sua forma perfetta in Dr. Mario, mentre la categoria party si accosta alla serie Mario Party. Allo stesso modo, i giochi di corsa del brand sono accostati alla serie Mario Kart.

Infografica genere Super Mario
Infografica genere Super Mario

La questione è più delicata quando si parla di gioco di ruolo. Inizialmente arrivò l’amatissimo Super Mario RPG, ma il genere si divise in due serie, Mario & Luigi e Paper Mario. I più puristi dissentiranno su dove collocare i vari capitoli di Paper Mario, dato che l’appena arrivato Paper Mario: The Origami King presenta delle meccaniche che si allontano abbastanza dal genere, come già fatto da alcuni suoi predecessori.

Conclusione

Sul franchise Super Mario si potrebbe parlare per giorni e probabilmente servirebbero vari esperti di storia della comunicazione per poter comprendere l’immensità di un personaggio che spazia in qualsiasi media e gadget. Al giorno d’oggi, è quasi riduttivo parlare dell’idraulico italiano come un personaggio videoludico. Lui, e tutti i suoi carismatici compagni di avventura, sono ormai parte integrante della società pop e la sua notorietà va ben oltre i soli videogame.

I dati però sono chiari. Super Mario è nato negli anni ’80 come un gioco a piattaforme 2D, ma negli anni ’90 la strategia Nintendo ha collocato l’idraulico italiano in moltissimi altri generi, tanto da allontanarsi, per quantità, dal platform . Il trend è stato mantenuto inalterato per tutti i decenni successivi e dato che il primo gioco del 2020 è Paper Mario: The Origami King, possiamo immaginare che sarà così anche nell’immediato futuro.

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Il prezzo dei videogiochi deve essere uniformato

Trovo profondamente ingiusto che un videogioco abbia prezzi diversi in base alla piattaforma e alla console su cui lo stiamo comprando. Ritengo che bisognerebbe regolamentare un minimo il mercato dei videogiochi così da evitare, per esempio, che chi ha un Nintendo Switch debba spendere anche trenta euro in più per lo stesso gioco.

Una regola aurea dei mercati finanziari dice che il valore di un’azione deve essere uguale su tutti i mercati. Una regola semplice e logicamente ineccepibile, perché se i prezzi fossero diversi, qualcuno potrebbe, ad esempio, comprare negli Stati Uniti e vendere in Europa generando un profitto. Per un motivo molto simile, trovo ingiusto che un gamer debba analizzare tutte le piattaforme fisiche e digitali, per non farsi fregare sul prezzo di un semplice videogioco.

I saldi di Steam

Siamo appena usciti dal ricorrente, ma sempre entusiasmante, periodo dei saldi estivi di Steam. Nonostante qualcuno lamenti dei prezzi un po’ più alti rispetto al passato, sono riuscito a portarmi a casa tre giochi, di cui due capolavori, a soli trenta euro. Sto parlando di The Witcher 3: Wild Hunt – Game of the Year Edition, Deus Ex: Mankind Divided e Vampyr. Tre titoli che potrò giocare in cloud su GeForce Now, a meno di sorprese da parte dei publisher.

In particolare, The Witcher 3 e Vampyr sono due titoli che avrei voluto acquistare per Nintendo Switch, ma la differenza di prezzo è eccessivamente proibitiva.

The Witcher 3: GOTY, che include anche entrambe le espansioni Hearts of Stone e Blood & Wine, durante i saldi di Steam costava quindici euro, mentre il prezzo più basso che la versione per Nintendo Switch ha mai avuto è quaranta euro. Per lo stesso prezzo, ho portato a casa anche Vampyr, un action RPG sviluppato da Dontnod Entertainment, che ha avuto come picco minimo 25 euro, su Switch.

I costi di Nintendo Switch

Ovviamente, i giochi per Nintendo Switch escono sempre con un poco di ritardo, quindi il loro valore ai nostri occhi è maggiore, ma il ritardo di pubblicazione è già una piaga per i nintendari. Sperare, e successivamente attendere, che un titolo esca anche per Switch è una punizione già abbastanza grande, che non si merita ulteriori rincari.

Un caso emblematico di questi giorni sono i titoli di 2K Games. Borderlands 2 e Borderlands: The Pre-Sequel sono stati regalati da Epic Games Store, mentre su Nintendo Switch fanno parte della Borderlands Legendary Collection, disponibile alla modifica cifra di 50 euro. Medesimo discorso si può fare su BioShock. Dopo averlo comprato, praticamente regalato, su Steam molti anni fa, ho persino ricevuto gratuitamente le Remastered, mentre su Nintendo Switch è uscito allo stesso folle prezzo di lancio di tredici anni fa.

Quando recensisco titoli di terze parti per Nintendo Switch, non tengo mai conto della grafica, così come non tengo mai conto della portabilità. Il vantaggio della mobilità bilancia lo svantaggio della qualità grafica. Anche se penso che sia giusto premiare lo sforzo degli sviluppatori che portano un videogioco anche sull’ibrida Nintendo, ritengo che il prezzo si deve avvicinare al costo che hanno sulle altre console. Purtroppo questa soglia di tollerabilità è spesso superata.

Lo stato dell’arte

Anche se il primo pensiero è tra Nintendo Switch contro resto del mondo, si può notare come il costo dei giochi sia totalmente sballato anche per tanti altri particolari, più o meno grandi.

Dopo molte settimane, ho fatto un giro presso il MediaWorld più vicino a casa e ho notato come ci fossero dei titoli per PlayStation 4 che costano settanta euro! Ovviamente, The Last of Us II è uno di quelli, ma non era l’unico. Se posso comprendere il valore che si dà a Resident Evil 3, non mi capacito di come A.O.T. 2: Final Battle, il mediocre tie-in de L’Attacco dei Giganti costi settanta euro.

Il problema è che qualsiasi player dell’industria videoludica ha il diritto di apportare modifiche al prezzo di un gioco multi-piattaforma. Se ci pensiamo bene, lo scenario è vasto, complicato e totalmente sballato.

Oggi, un qualsiasi videogioco multipiattaforma esce all’inizio, solitamente, per tre dispositivi: PlayStation 4, Xbox One e PC in edizione fisica. Inoltre, il gioco è disponibile, magari con diritto di esclusiva, su piattaforme digitali come Epic Store Games, Steam o piattaforme proprietarie come Uplay.

Sembra tutto normale, ma in realtà Amazon apporterà nel breve perido uno sconto, che farà risparmiare tra i cinque e i dieci euro. Di conseguenza, le grandi catene di distribuzione possono decidere di muoversi, oppure no! Ci ritroviamo quindi Uniero che sconta quel titolo di dieci euro, mentre MediaWorld non lo fa. Almeno inizialmente, perché dopo una ricerca di mercato, si rendono conto del prezzo dei competitor e abbassano il costo di quel titolo, mentre lasciano invariato a settanta euro il prezzo di A.O.T. 2: Final Battle, perché “tanto non se lo fila nessuno”, tranne lo stesso Amazon, che lo vende a venti euro in meno.

Gli store digitali

Sana competizione, che diventa abominevole, se aggiungiamo all’algoritmo anche la variabile dei mercati digitali. Non basterebbe un manuale universitario per studiare e capire quanto spesso e quanto velocemente i prezzi cambino nel contesto virtuale. Infatti, non solo i giochi hanno prezzi diversi in base alla piattaforma, ma hanno anche valori diversi in base allo store digitale che stiamo considerando. Il giorno in cui Epic Games Store regalava Civilization VI, Steam lo vendeva a un prezzo che non poteva sicuramente essere inferiore ai quindici euro, il prezzo minimo mai raggiunto sulla piattaforma Valve.

La battagli dei prezzi porta sicuramente dei vantaggi a molti gamer, ma va a discapito di molti altri. Sono un videogiocatore navigato e prima di acquistare qualsiasi gioco su Steam, verifico i prezzi su tutti gli altri player che me lo potrebbero fornire a meno, ma questa operazione richiede tempo.

Un mercato sballato

I bambini, gli adolescenti e soprattutto i loro genitori, possono rimanere molto delusi dal mercato videoludico, quando scoprono di aver acquistato da GameStop un gioco che da Euronics costava la metà. Ancor peggior se si è disposti a comprare un titolo in forma digitale e scoprire che i prezzi sono spesso totalmente diversi tra le varie piattaforme. Se a questo aggiungiamo la necessità di dover tenere in conto che l’acquisto di un Nintendo Switch implica che pagherò i giochi sempre un po’ di più rispetto agli altri dispositivi, capisco che giocare senza farmi fregare del denaro è seriamente impegnativo.

Gabe Newell e gli sconti di Steam

In questo contesto, Nintendo Switch diventa la console per chi ama le esclusive della casa di Kyoto e per chi vuole giocare in portabilità, senza poter risparmiare un euro. Il PC da gaming costa tanto, ma puoi risparmiare molto con Steam, e se sei smaliziato, anche con la pirateria. Se invece possiedi una PlayStation 4, devi buttare sempre un occhio allo store Sony, mentre se hai una Xbox One puoi sfruttare il GamePass.

In altre parole, devo seguire l’andamento del mercato dei videogiochi con un’applicazione tale che se facessi lo stesso sui mercati finanziari diventerei probabilmente milionario.

Conclusione

Con tutti questi piccoli esempi, vi voglio far comprendere quanto possa essere difficile poter entrare nel mercato dei videogiochi per una famiglia che è attenta alle spese. Paradossalmente, il rischio maggiore per un genitore non è beccarsi una fregatura su uno store online, ma rimanere paralizzato dell’eterogeneità dei prezzi dei videogiochi. Infatti, di fronte a un panorama così diversificato, il pensiero di non aver il tempo necessario per fare queste valutazioni e desistere, è molto più frequente di quanto non possa sembrare.

In un mondo ideale, mi piacerebbe che quando accendo la mia console, so per certo che la mia azienda preferita mi tuteli fornendomi quel gioco al miglior prezzo possibile, in base a delle regole di mercato, che non possano essere sovvertite dal Gabe Newell di turno, che ti fa spendere in salute mentale quello che risparmi con il denaro.

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Editoriali

GeForce NOW, affetto e nostalgia con il cloud gaming

La console war 2020 tra PlayStation 5 e Xbox Series X non è l’unica insensata guerra che si combatterà quest’anno. Il cloud gaming è oggi solo una nicchia, ma sappiamo che vorrebbe dominare il futuro dell’industria videoludica ed è già in atto una battaglia per il predominio.

Le aziende che si vogliono imporre sono tre: Google, Microsoft e NVIDIA, con il marchio GeForce. Se non possiamo ancora giudicare il cloud gaming di Redmond, chi vuole giocare in cloud oggi, può scegliere tra Google Stadia e GeForce NOW. Io ho scelto GeForce NOW, perché mi ha permesso di tornare indietro negli anni e poter terminare un importante titolo che avevo abbandonato, Watch Dogs.

Cloud gamer

Sono un entusiasta del cloud gaming, perché mi permette di giocare anche con il mio Dell XPS 13, acquistato per la sua leggerezza, con la consapevolezza di non poter mai essere usato per il gaming. Inoltre, in questo momento di transizione, dove preferisco aspettare la nuova generazione, mi potrà dare la possibilità di giocare Cyberpunk 2077, e magari recuperare dei titoli che mi sono perso per strada negli ultimi anni e che Nintendo Switch non può supportare.

Queste necessità possono essere colmate anche da un PC da gaming. Un computer non segue le generazioni console. Se volessi giocare a Cyberpunk 2077, senza rischiare rallentamenti, oggi l’opzione migliore sarebbe acquistare un PC da gaming. Però, bisogna tener conto di due fattori determinanti: il costo e lo spazio fisico. Se da un lato giocare costa, dall’altro lato, non voglio traslocare per fare entrare in casa un computer da gaming.

Google vs NVIDIA

Rimane dunque un’unica opzione, il cloud gaming. Premettendo che, per questioni di comodità, gioco via Wi-Fi con una fibra ottica, che in questo momento mi garantisce quasi 400 Mbps, posso dire che sia Google Stadia che GeForce NOW sono due servizi ottimi. Li ho provati entrambi e la mia scelta ricade sulla tecnologia NVIDIA, perché mi ha dato l’emozione della nostalgia.

La differenza sostanziale tra i due servizi è la gestione della libreria. Google Stadia si sostituisce a servizi già consolidati come Steam, Uplay e l’emergente Epic Games Store. GeForce NOW, invece supporta le principali librerie delle piattaforme di distribuzione digitale.

Libreria e Prezzi

Mi sono appassionato al cloud gaming già da un po’, perché lo ritengo un servizio che possa colmare molte mie lacune videoludiche. Già in tempi non sospetti, mi sono iscritto alla beta di GeForce NOW. Non mi è mai arrivata una chiave, ma il Covid-19 mi ha permesso di avvicinarmi a Google Stadia.

Al servizio di Mountain View devo la possibilità di aver portato a termine, gratuitamente, SteamWorld Dig 2, dopo aver terminato il primo capitolo su Nintendo Switch. Sarei passato pure oltre al paragone negativo con la console nipponica. Del resto, giocare un indie su Nintendo Switch ha un sapore totalmente diverso che farlo su qualsiasi altra piattaforma. In particolare, l’avrei fatto perché Google Stadia mi darebbe la possibilità di giocare a Red Dead Redemption II.

Il titolo di Rockstar Games deve essere giocato, ma in una costante ricerca del risparmio, Google Stadia ne esce sconfitto. Infatti, sullo store l’Ultima Edition di Red Dead Redemption 2 costa 90 euro contro i 54 euro della stesse versione su Steam. In più, acquistare il titolo su Google Stadia permette di giocare solo in cloud. Se domani non avessi a disposizione una connessione internet decente, cosa del tutto possibile sul territorio italiano, finirei per non poterlo nemmeno far partire.

Il difetto di GeForce NOW

D’altro canto, se domani disponessi di un PC più performante, la versione Steam mi permetterebbe di giocarlo anche offline. Nel frattempo, potrei giocarlo in cloud gaming con GeForce NOW, se fosse disponibile. Infatti, Red Dead Redemption 2 non è giocabile sullo store NVIDIA, come tanti altri.

La parte negativa di GeForce NOW è proprio la lista di titoli molto risicata. Nondimeno, alcuni publisher hanno abbandonato il servizio a causa di politiche non chiare, ma NVIDIA sembra stia risolvendo il problema, tanto da far fare un passo indietro a Square Enix, che sta rendendo nuovamente disponibile i suoi giochi.

Nonostante questo, GeForce NOW ha vinto su qualsiasi mio dubbio questa settimana, quando ho deciso di esplorare il catalogo del servizio. Ho cercato ogni gioco che posseggo sulle mie piattaforme e con enorme sorpresa ho scoperto che Watch Dogs è disponibile per giocare in cloud.

La nostalgia per Watch Dogs

Qualche anno fa, i miei amici mi hanno regalato un videogioco di cui parlavo in continuazione e che pensavo sarebbe stato un capolavoro, Watch Dogs. Effettivamente il titolo Ubisoft ha avuto un buon successo, tanto da aver avuto un sequel, Watch Dogs 2, ed è in arrivo un terzo capitolo, Watch Dogs: Legion. Nel 2014, il mercato digitale non era così importante, quindi Watch Dogs arrivò nelle mia mani in versione fisica, ma con l’obbligo di registrarsi su Uplay.

Il più grande difetto di Watch Dogs è l’essere stato sviluppato da Ubisoft. I problemi di ottimizzazione erano importanti. Il mio PC riusciva a farlo girare, ma nei tantissimi momenti in cui bisognava guidare, il mio povero computer stentava. Considerate che Watch Dogs è ambientato in un’enorme Chicago e preferivo spostarmi a piedi per non scattare. Follia pura, che mi ha costretto ad abbandonare il gioco, perché non erano condizioni tollerabili.

Nonostante lo considerassi un titolo stupendo, non ho potuto mai terminarlo e questo è sempre stato un colpo al cuore. Da un lato, perché volevo veramente giocarlo, dall’altro perché era un regalo e meritava di essere spulciato fino in fondo, soprattutto per il suo valore affettivo. Purtroppo questo non è mai avvenuto e ho finito per dimenticare Watch Dogs sullo scaffale della mia collezione di videogiochi. Fino a questa settimana.

Inizialmente, l’idea era di usare Watch Dogs come prova per valutare GeForce NOW. Dopo aver avviato il gioco, la bella sorpresa è stata riuscire a poter ripartire esattamente da dove avevo lasciato il videogame. Evidentemente, Uplay ha conservato i miei salvataggi sul proprio cloud e GeForce NOW mi ha fatto ricominciare proprio da lì. Il risultato è stato non voler più mollare il gioco, fino a quando non lo avrò finito.

È stato tutto molto casuale, ma non per questo non ci sono state delle emozioni. La bella sorpresa di riprendere i miei salvataggi. Il vedere lo stesso gioco, abbandonato per scarsa fluidità, così bello e godibile. La possibilità di poter terminare un gioco, che mi è stato regalato e su cui c’è un legame affettivo. Tutto questo, perché il servizio NVIDIA si collega direttamente alla mia libreria di videogame.

Conclusione

Pensandoci, la mia collezione di videogiochi è una parte di me. Mi ricorda quello che mi è piaciuto, quello che mi piace, e con la lista desideri, quello che vorrei giocare. Una serie di sentimenti che mi definiscono in quanto videogiocatore. La sconfitta di Google Stadia risiede in una libreria grigia orientata solo al futuro, a quello che acquisterò, senza potermi voltare indietro.

Penso che Microsoft entrerà prepotentemente nel settore del cloud gaming con l’Xbox Game Pass, ma non è presente in questo periodo di transizione in cui si attendono le nuove console. GeForce NOW e Google Stadia stanno prendendo vantaggio, ma solo il servizio NVIDIA sta dimostrando di poter venire incontro a quei gamer, che hanno veramente l’esigenza di usare il cloud. Magari in futuro la visione di cloud gaming sarà diversa da quella odierna, ma in questo momento videoludico, i sentimenti giocano un ruolo fondamentale e GeForce NOW mette a disposizione una piattaforma in grado di emozionare facendo leva anche sulla nostalgia.