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Labyrinth City: Pierre The Maze Detective per PC – Recensione

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Gioco interessante solo per un pubblico di giovanissimi. Paga cara la ripetitività e la scarsa capacità di coinvolgere il giocatore. Buona la parte tecnica che si salva in corner per la bellissima ambientazione, completamente disegnata a mano, e le musiche interessanti. Decisamente da rivedere la parte di gameplay, che dovrebbe rappresentare un punto importante di qualunque videogame.

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Labyrinth City: Pierre The Maze Detective è un gioco sviluppato da Pixmain. Il suo genere di appartenenza può essere identificato in un puzzle-game 2-D, rivolto ad un pubblico di minori. A primo impatto, il gioco mi è sembrato una delle tante rivelazioni indie, capaci di rappresentare vere opere d’arte (come Genesis Noir), ma purtroppo mi sono dovuto ricredere nonostante la grafica carina e l’accattivante aspetto old style, mi avevano incuriosito e non poco.

Il protagonista del gioco è Pierre, un curioso detective che deve inseguire il cattivissimo Mister X. L’appena citato cattivo ha rubato la “Maze Stone”, una pietra che ha il potere di creare labirinti complessi a piacere.

Il gioco è basato completamente, sia per la storia e sia per i livelli, sul libro omonimo. Sulla falsa riga dell’opera letteraria, il titolo si dipana in “missioni”, incentrate sull’inseguimento lungo vari labirinti.

Altro elemento rilevante è la localizzazione in italiano dei dialoghi. Questo è un elemento che sta diventando raro e che riesce ad essere un problema importante. Come sottolineato in precedenza, diventa fondamentale la localizzazione corretta ed approfondita dei giochi al giorno d’oggi, in particolare con il ritorno in auge di tanti generi basati su complesse e lunghe sessioni di dialoghi.

Disegni artistici e musiche coinvolgenti

Labirinto cittadino
Scorcio di uno dei “Labirinti” da affrontare.

Il gioco ha sicuramente dei punti di forza a livello artistico. Personalmente trovo apprezzabile la riproduzione, quasi completamente a mano, di tutte le ambientazioni principali.

Questo rende il titolo vicino ad essere un’opera d’arte, grazie un importante colpo d’occhio decisamente artistico. Il tocco d’artigianato impresso nel game-design è apprezzabilissimo, riuscendo così a stravolgere il concetto di puzzle-game. All’inizio, nonostante l’entusiasmo, temevo che il classico gioco a labirinti mi avrebbe facilmente annoiato, anche a livello visuale. Invece, per fortuna, sono stato smentito da un’ottima grafica, che rende l’opera dissimile a qualunque altra presente nel panorama videoludico.

Anche le musiche sono ben caratterizzate e sebbene non siano della stessa qualità del game-design, riescono a fare la loro bella figura, adattandosi al gioco come un sontuoso vestito.

Il connubio di musiche, ambientazioni e design grafico riesce ad essere attrattivo, soprattutto verso un pubblico di bambini. In questo modo inoltre il videogame si innalza nel diventare una vera e propria forma d’arte e metodo di espressione moderno.

Ma cosa si intende per “metodo di espressione moderno”? Beh, immaginate di prendere una qualunque fiaba per bambini, di quelle da raccontare la sera farmi addormentare. Come la scrittura e la diffusione della stampa, a suo tempo, hanno favorito l’innalzamento del livello culturale della nostra specie, un gioco capace di unire interattività a storie per bambini, potrebbe rappresentare il nuovo orizzonte pedagogico per i pre-adolescenti.

La grande scommessa vinta da “Labyrinth City: Pierre The Maze Detective” è quella della modernizzazione, senza stravolgerne il contenuto, di una storia ad illustrazioni classica, risultando, aldilà del punto di vista e gusto personale, innovativo.

Gameplay ed interazioni decisamente da rivedere

Mercato nero
Illustrazione del mercato nero.

Pur apprezzando la grafica e le musiche, c’è da dire che a parte un ristretto gruppo di appassionati, è difficile trovare piacevole alla lunga le sessioni di gioco.

Nonostante siano presenti molti interessanti riferimenti a videogiochi cult (fra tutti la saga di Assassin’s Creed), questi sono appunto solo “riferimenti”. La mancanza di azioni o interazioni conseguenti a queste scenette, tendono a renderle sterili e a malapena curiose. Le brevi interazioni presenti, in forma di mini-giochi dentro al gioco stesso. tendono ad essere carine all’inizio, ma decisamente ripetitive alla lunga.

Gli obiettivi presenti nelle missioni tendono ad essere abbastanza ripetitivi, sempre nella stessa forma. Infatti in tutti i livelli, si potrà fare solamente lo stesso set di “gruppi” d’azioni:

  • Trovare i forzieri.
  • Cercare l’oggetto “speciale”.
  • Ricercare le stelle.
  • Raccogliere gli appunti di Mister X.
  • Parlare con l’orso per i mini-giochi.
  • Dialogare con i personaggi principali o secondari.

All’apparenza sembrano tante le azioni, ma l’assenza di vere e proprie conseguenze dopo i dialoghi, di azioni aggiuntive da poter svolgere in seguito al ritrovamento degli appunti o qualsivoglia forma di interazione “attiva” e “conseguente”, rende il tutto molto statico e sterile. Ogni azione è infatti slegata dalle altre e non fornisce nessun contributo utile o conseguenze tangibili nei vari livelli.

Tutto questo rende le interazioni molto ripetitive e alla lunga noiose. Inoltre la totale assenza di legami fra le varie azioni rende di fatto inesistente il gameplay. L’intimo legame fra input del giocato ed intelligenza artificiale infatti è un fattore cruciale per qualunque gioco, come già sottolineato con forza. Altrimenti l’impressione è quella di ripetere senza sosta un determinato insieme di azioni quasi senza un nesso logico, facendo mancare il coinvolgimento emotivo del giocatore.

Conclusioni

Il gioco ha sicuramente uno spiccato lato artistico. Graficamente infatti è degno di nota ed ha un ottimo connubio grafico-musicale, che rende l’esperienza a tratti piacevole. Detto questo, si fa sicuramente sentire l’assenza totale di gameplay e la ripetitività delle sessioni di gioco, che ne precludono il coinvolgimento.

Il motivo principale di tale scelta penso sia stata dettata dalla natura del videogame, che strizza l’occhio ad un pubblico esclusivamente pre-adolescenziale, e dalla trama da cui prende spunto, Alla ricerca della pietra del labirinto. Pierre detective di Hiro Kamigaki.

Per questo motivo consiglio e credo che possa essere godibile solo per chi è già un appassionato del libro illustrato originale o ad un pubblico di giovanissimi.

Degna di nota la totale assenza di bug o problemi durante l’esperienza di gioco.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Puzzle-game,
  • Lingua: italiano
  • Multiplayer: no
  • Prezzo11,99€

Ho inseguito il famigerato Mister X per circa 6 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Yu-Gi-Oh! GCC: provato Deck Divinità Egizie

Il franchise Yu-Gi-Oh! ha una delle storie più particolari e confusionarie che si siano mai sentite, e se oggi ne stiamo ancora parlando, il merito va soprattutto a Konami che ha permesso al gioco di carte di sopravvivere alla prova del tempo con estremo successo. Stiamo parlando del terzo gioco di carte più famoso e giocato di sempre dietro solo a Pokémon GCC e Magic: l’Adunanza.

Il successo europeo di Yu-Gi-Oh! GCC nasce principalmente dall’anime, dalla semplicità del gioco e da creature illustri come le divinità egizie, che sono i protagonisti dei due nuovi mazzi strutturati: Obelisk il Tormentatore e Slifer il Drago del cielo, che troveranno sicuramente il plauso degli amanti della serie televisiva, ma poco entusiasmo da parte dei giocatori del competitivo.

Bestiario divino

Buona parte di chi è nato negli anni ’90 ricorderà sicuramente l’infinita sfida tra Drago Bianco Occhi Blu e Drago Nero Occhi Rossi, ma i veri intenditori troveranno maggior gusto nel provare deck con protagonisti due delle tre divinità egizie che hanno reso celebre il cartone animato. Non sappiamo perché la terza divinità, il Drago Alato di Ra, non sia stato preso in considerazione, ma riteniamo verosimile che la sua larga presenza nel recente passato del gioco di carte collezionabile non richiedeva ulteriori deck precostruiti.

Deck Divinità Egizie: Slifer il Drago del Cielo

Il mazzo di Slifer il Drago del Cielo si presenta con una lista contenente. non casualmente, le carte più rappresentative del personaggio di Yugi Muto, come la trappola Forza Riflessa e la magia Spada Rivelatrice. Il deck si basa su una delle regole più classiche del gioco: l’evocazione per tributo. L’idea generale è sacrificare tre creature per evocare la potente divinità egizia il prima possibile, che guadagnerà 1000 di attacco e difesa per ogni carta in mano, mentre i mostri evocati dagli avversari perderanno 2000 attacco, e saranno eventualmente distrutti, se la loro forza raggiungere lo zero.

La presenza in campo di Slifer permette di usare la magia non annullabile Attacco Forza del Tuono che distrugge tutte le creature avversarie, mentre in caso di morte della divinità, essa può essere recuperata dal cimitero con la trappola Divinità-Bestia Finale.

Deck Divinità Egizie: Obelisk il Tormentatore

Obelisk è la definizione dell’archetipo control riunita in un’unica carta. Questa divinità egizia non è targettabile da nessun effetto e pagando un sacrificio di due tributi pulisce la board dai mostri dell’avversario. Esattamente come il mazzo precedente, anche il deck di Obelisk il Tormentatore contiene una carta utilizzabile solo quando la divinità è presente nel campo di battaglia: Pugno del Fato. Questa magia annulla gli effetti di un mostro nemico e, se giocata nella Main Phase, distrugge anche tutte le magie e trappole dell’avversario. La lista contiene anche Evoluzione Divina, che aumenta di 1000 attacco e difesa di una Divinità-Bestia.

Fusione

I due mazzi applicano la stessa logica di utilizzo basata sul sacrificio di particolari mostri a basso costo (token) per evocare quanto prima le due divinità egizie, identificate nel gioco come Divinità-Bestia. Questa parola è particolarmente interessante se pensiamo di acquistare entrambi i mazzi e fonderli in un unico, cosa particolarmente facile in Yu-Gi-Oh! GCC, che non possiede alcun concetto che limiti il deck-building del giocatore. Infatti, potremmo avere un unico mazzo di almeno 40 carte contenenti Slifer il Drago del Cielo, Obelisk il Tormentatore e le carte che si attivano sulle divinità-bestia: Evoluzione Divina e Divinità-Bestia Finale. In più, potremmo aggiungere in doppia copia, perché presente su entrambe le liste, la magia Incrocio di Anime, che permette di usare le creature dell’avversario per evocare le proprie Divinità-Bestia.

Incompetitiva nostaglia

I due mazzi delle divinità egizie hanno uno scopo ben preciso nella strategia di marketing di Konami: attirare i vecchi amanti dell’anime all’interno di un ventennale gioco di carte. Del resto, è la stessa strategia applicata dal cartone animato sul manga.

Chi vi scrive ricorda la profonda delusione di aver letto il fumetto di Yu-Gi-Oh! solamente dopo aver amato la serie televisiva. In particolare, il manga racconta del (sadico) protagonista Yugi Muto, che sfrutta antiche forze egizie per punire persone nel mondo reale sfruttando giochi di vario genere. Tra questi, a un certo punto e solo per una minima parte, c’è anche il gioco di carte che poi diventerà la base e il motivo del successo della serie televisiva.

Allo stesso modo, Konami ha deciso di prendere due delle creature più influenti del franchise per invogliare gli appassionati a provare il gioco di carte collezionabili. Un’idea decisamente azzeccata, ma che potrebbe avere anche degli effetti collaterali, perché i due mazzi sono semplicemente poco competitivi in generale e decisamente non giocabili in una vera partita di Yu-Gi-Oh!, che si basa ormai su un meta decisamente dirompente.

Conclusione

Yu-Gi-Oh! GCC ha solo tre tipi di carte: creatura, magia e trappola che possono essere mischiate come si preferisce (tranne rari casi) e le uniche regole sono sul limite minimo (40) e massimo (60) di carte per deck. Questo implica un prezzo delle carte generalmente più alto della media e creature con poteri distruttivi, che rendono obsolete le strategie dei due nuovi mazzi structure. In altre parole, i deck divinità egizie di Yu-Gi-Oh! GCC possono interessare solamente le partite for fun di tutti quei giocatori che combineranno i due mazzi e potenzieranno il deck con carte che sfruttino l’evocazione per tributi e le divinità-bestia, magari includendo anche Drago Alato di Ra.

Purtroppo, queste meccaniche oggi non hanno alcuna possibilità di sopravvivere in competitivo e ci auguriamo che Konami possa prendere coscienza che quello che veramente volevamo da questi deck era riesumare le divinità egizia con carte di supporto molto più forti e competitive anche nei grandi match, perché un torneo mondiale con Obelisk il Tormentatore e Slifer il Drago del Cielo avrebbe avuto tutto un altro gusto.

Dettagli e Modus Operandi

Ho riprodotto il deck sul gioco digitale svolgendo decine di partite e ho insegnato il gioco “in real” grazie al materiale gentilmente inviato dal publisher.

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Baldur’s Gate: Dark Alliance per Xbox Series X – Recensione

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Baldur’s Gate: Dark Alliance è stato riproposto in una versione praticamente uguale all’hack and slash di venti anni fa. Nonostante a tratti sia ancora divertente, il titolo è un’opera storica ormai fuori dai nostri tempi che sarà apprezzata solamente dai nostalgici o da chi vuole studiare il fenomeno dei souls-like di cui Dark Alliance è un vero precursore.

5.5


Gli ultimi dodici mesi sono stati un gran periodo per gli amanti dell’iconica serie Baldur’s Gate. L’avvento del terzo capitolo, l’uscita di Dungeons & Dragons Dark Alliance (Wizards of The Coast) e il ventesimo anniversario dello spin-off stesso sono tutte motivazioni valide per vedere una rimasterizzazione di Baldur’s Gate: Dark Alliance di Interplay Entertainment.

Se questi tre scenari vi sembrano dettati dalla voglia di cavalcare l’onda sperando in un ritorno economico a costo zero, purtroppo devo confermarvi che avete ragione. Prima di giungere alla conclusione però vorrei che mi seguiste nella curiosa avventura di valutare un ottimo gioco del 2001 riproposto venti anni dopo senza alcuna rilevante novità e capire insieme se è ancora divertente.

Reami Perduti

Baldur’s Gate: Dark Alliance è lo spin-off della leggendaria serie basata su Forgotten Realms, uno dei più famosi universi di Dungeons & Dragons, e si regge sulle regole della versione 3.0 del gioco da tavolo, che non tutti hanno avuto modo di giocare. Infatti, l’ottimo hack and slash di Snowblind Studios passò un po’ in sordina probabilmente, perché sviluppato per le neonate console di sesta generazione, tagliando quindi fuori tutti i giocatori PC che avevano amato i capitoli principali.

Oggi la trama è quanto di più semplice si possa immaginare, mentre per l’epoca si trattava di una costruzione tipica usata anche da videogiochi che avevano definito uno standard. Il titolo si dirama in tre atti in cui nel primo vivremo il piacere di viaggiare attraverso le fogne di Baldur’s Gate e faremo la conoscenza della locanda più tranquilla del mondo. Chiunque abbia giocato ai capitoli originali, ricorderà il senso di confusione della città, completamente assente in questo titolo e in cui i personaggi non giocanti con cui poter dialogare saranno circa una decina in tutto il gioco. Pochi anche per il genere, se pensiamo che Diablo 2 uscì l’anno precedente (giugno 2000).

Fortunatamente, ogni atto contiene più di una location e una storia che si espande fino a un universo parallelo. Passeremo dunque solamente nel primo atto per fogne, covi di ladri e antiche catacombe che celano un enorme e oscuro potere che abbiamo deciso di combattere in solitaria, anche perché è stata rimossa la modalità cooperativa presente nella versione originale. Inoltre, chi ha amato la serie originale apprezzerà il bestiario degli atti successivi zeppi di gnoll, troll, ma anche di creature maggiormente mostruose come, solo per citarne alcune, golem, gargoyle e addirittura elementali quando saremo catapultati in un altro Piano.

In altre parole, la lore di D&D è stata ampiamente usata in Dark Alliance e risulta abbastanza variegata ancora nel 2021, anche se i dungeon risulteranno già dal secondo atto eccessivamente ripetitivi sia in termini di diversificazione dei dettagli scenici sia per tipologia di mostri al proprio interno.

Prepare to die

Baldur’s Gate Dark Alliance ha tre difficoltà, di cui quella normale è non a caso già particolarmente tosta. Infatti, anche se i giochi di quel periodo avevano un’elevata difficoltà, il gioco soffre una scarsa longevità, appena otto ore, che può aumentare notevolmente in caso di morti ripetute. Di fatto, questo rende l’opera non adatta a tutti i videogiocatori del 2021, che troveranno in Dark Alliance un vero e proprio precursore di Dark Souls, sia in termini di difficoltà che nella scelta del gameplay.

Non so quanto questa sia stata una scelta ponderata, poiché l’esperienza di gioco cambia completamente in base alla classe scelta. Kromlech (guerriero) e Vahn (arciere) avranno sicuramente vita più facile della stregona Adrianna che paradossalmente dovrà curare le statistiche di destrezza e costituzione se vorrà sopravvivere nelle fasi finali del gioco. In particolare, con questa classe basterà anche un solo colpo per essere messi KO e sarà fondamentale sia curare i riflessi per passare dall’attacco (con il pulsante X) alla parata (R2) sia il corretto posizionamento, perché un attacco alle spalle non sarà protetto dallo scudo. Questo significa che il pull dei nemici sarà fondamentale e non ci saranno mai mostri facilmente affrontabili in uno-contro-molti in stile Diablo.

Il gameplay ha fatto la fortuna del titolo venti anni fa, ma non può sostenere il confronto con lo standard moderno. Di fatto, Baldur’s Gate Dark Alliance vi costringe a giocare da guerriero anche con un mago e vi toccherà passare svariate ore a ripetere sempre lo stesso stile di combattimento. Infatti, potrete scegliere di parare e attaccare seguendo tempi e hit-box del nemico oppure correre all’indietro e attaccare dalla distanza con frecce o magie, ma nulla di più.

Da sottolineare, esattamente come i più moderni souls-like, Baldur’s Gate Dark Alliance è difficile, ma mai sleale. Il titolo si basa sulle solide regole di DnD che vengono sempre rispettate, anche quando l’intelligenza artificiale dei nemici latita. In questo caso, potremmo essere noi a sfruttare i vantaggi degli scenari e nei momenti critici potremmo (tranne rare eccezioni) ritornare istantaneamente nel nostro rifugio dove poter acquistare armi, armature e tante, troppe pozioni di cura o mana.

L’originale, purtroppo

Il punto dolente di questa nuova versione è proprio l’assenza di rimasterizzazione. Questo Baldur’s Gate: Dark Alliance non ha alcuna novità nemmeno in termini grafici. L’opera di Black Isle Studios è tecnicamente vetusta con una qualità video che non ha alcuna miglioria palpabile e un audio a tratti fastidioso. Un gioco che oggi potrebbe essere appena sufficiente per i nostalgici della serie, ma che si ripropone al prezzo fuori mercato di 29,99 euro, che poteva trovare senso solamente se si fosse deciso di includere anche il sequel.

La sensazione generale è che Interplay Entertainment abbia scelto di riproporre il suo spin-off solo per sfruttare la risonanza mediatica che sta avendo il franchise in questo periodo e per rivendicare la paternità dell’opera dopo la decisione di Wizards of The Coast di produrre un nuovo gioco con lo stesso nome di uno spin-off di alta qualità per il suo tempo, ma che oggi vive di soli ricordi.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: hack and slash
  • Lingua: italiano
  • Multiplayer: no
  • Prezzo29,99 euro

Ho salvato Baldur’s Gate in circa dieci ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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E3 2021, il primo evento next-gen è troppo old-gen

L’E3 è tradizionalmente uno degli appuntamenti più attesi dai videogiocatori, nonché una delle occasioni per i publisher per mettere in mostra la loro (futura) line-up, sapendo di avere milioni di occhi puntati da tutto il mondo. Nel 2020, a causa dei problemi levati alla pandemia, l’E3 non si è potuto svolgere: nel giugno scorso eravamo ancora in piena emergenza, e realizzare un evento di presenza era fuori discussione prima del 2021. In compenso però c’è stata una vetrina online simil-E3, che ha comunque permesso alle compagnie di aggiornare i gamer sui propri titoli.

L’ultimo E3 “normale” è quello di due anni fa, quindi: venivano mostrati o annunciati Star Wars Jedi Fallen Order, Ori and the Will of the Wisps, Elden Ring, Fallout 76, Watch Dogs Legion, Gods and Monsters (che poi è diventato Immortals Fenyx Rising), Marvel’s Avengers o Ghostwire Tokyo, tanto per citarne alcuni. Era  l’anno in cui Keanu Reeves è salito sul palco a rendere noto il suo coinvolgimento in Cyberpunk 2077, ad annunciare la prima data d’uscita e a urlare “you’re breathtaking!”. Ed era anche l’estate in cui si pensava che Google con Stadia stesse quasi per rivoluzionare l’industria.

Ma allora Elden Ring non se l’erano scordato!

Dal 2019 al 2021: quanti titoli!

Molti dei prodotti di quel 2019 ormai sono usciti, ma ce ne sono molti di cui si sono un po’ perse le tracce, e fra questi, fino a una settimana fa, avremmo potuto citare anche Elden Ring. L’impossibilità di realizzare un E3 dal vivo, così come anche gli altri appuntamenti di questo genere, hanno comunque dato la spinta alla realizzazione di altri eventi, online, realizzati e gestiti nei modi, nei tempi e nei format direttamente dai publisher: le informazioni sono ugualmente circolate nel corso del 2020/2021. 

Poche settimane fa discutevamo dei dilemmi della next-gen: la scarsità di console per il bacino d’utenza attuale porta tutti i publisher a fare valutazioni e prendere decisioni delicate riguardo l’esclusività o il rinvio di alcuni prodotti. La domanda fondamentale che si fanno è: “facciamo uscire il titolo adesso, sapendo che lo potranno giocare in (relativamente) poche persone, leviamo alcune meccaniche e lo rendiamo cross-gen, o lo rimandiamo a quando ci saranno più console?”. Un quesito da (almeno) 1 miliardo di dollari, visto il settore in continua crescita. 

Per un E3 completamente immerso nella next-gen dovremo aspettare il 2022. Forse.

E3 2021: com’è andata?

A distanza di due anni, come possiamo definire l’E3 2021? A livello personale non mi ha entusiasmato molto, se non per qualche titolo (ma li posso contare sulle dita di una mano). Dopotutto possiamo ritenere possibile che quanto mostrato ora sia il frutto di mesi di lavoro passati in quarantena o in smartworking, un periodo in cui poteva essere difficile essere produttivi.

Dopo una pausa di due anni dell’E3 era lecito aspettarsi qualcosa di fenomenale, possibilmente su next-gen. Invece continua a mancare la “killer app”, quel videogioco capace di farci rompere ogni indugio per cercare e acquistare a tutti i costi una PlayStation 5 o una Xbox Series X|S. Finora ero convinto di aspettare la disponibilità in negozio (senza fare la fila online) o qualche bundle interessante, e niente di quanto visto pochi giorni fa mi ha fatto vacillare: continuerò ad attendere.

A distanza di mesi, è ancora la miglior esclusiva next-gen.

L’E3 2021 che avrei voluto

Non mi aspettavo di certo che gli annunci originariamente pianificati per il 2020 avrebbero subito un rinvio di 12 mesi, ma sicuramente al primo E3 post-next-gen avrei accolto con gioia una sorta di rivoluzione” improntata molto più su PlayStation 5 e Xbox Series X|S. Anche perché i videogiochi annunciati possono uscire anni dopo aver mostrato un trailer.

Sarà che forse avevo aspettative troppo alte, e che reputo l’E3 il palco più prestigioso per certi annunci, ma ho recepito in maniera un po’ sofferente i vari DLC o le nuove stagioni di prodotti già usciti, i remake e gli spin-off: probabilmente è una questione legata alla situazione in cui ci troviamo, che ha portato a un rallentamento dei lavori di sviluppo e la scarsità di console, e di conseguenza numero di giocatori che possono fruire dei nuovi videogiochi.

Sarà interessante capire le novità che ci saranno da qui a fine anno, anche per capire come sta andando la produzione e quali saranno le prime compagnie che romperanno gli indugi per produrre quei videogiochi che PlayStation 4 e Xbox One proprio non possono supportare.

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Nintendo Direct E3 2021: concretezza con una punta di amarcord

E così si è concluso il tanto atteso E3 2021, il più grande evento del mondo videoludico al mondo, e come di consueto è stata Nintendo ad occupare lo spot finale dello show. Le aspettative erano sicuramente alte, a ragione considerata la non proprio stellare comunicazione cui Nintendo ci ha abituati nell’ultimo periodo, e devo esser sincero, il Direct le ha in larga parte rispettate, sorprendendo con alcuni annunci.

A volte ritornano

In un E3 generalmente sottotono divenuto nei primi giorni soprattutto una vetrina per l’Xbox Game Pass e letteralmente invaso da orde di titoli co-op online, openworld e spesso GaaS per non farci mancare nulla, Nintendo punta nella direzione diametralmente opposta, spostando il focus su generi di nicchia e saghe a volte dormienti, come Metroid, ed a volte letteralmente dimenticate, da anni.

E così, dopo l’immancabile annuncio del nuovo combattente di Super Smash Bros. Ultimate, ovvero Kazuya Mishima, ed il timido accenno ad un Prime 4, ecco che arriva ciò che tutti aspettavamo da quando lasciammo Samus Aran in fuga dalla Federazione, all’incirca 19 anni fa. Metroid Dread, il seguito dell’ormai lontanissimo Metroid Fusion, viene finalmente annunciato, con tanto di gameplay showcase e data di lancio, ovvero 8/10/2021.

Un incontro ravvicinato con E.M.M.I. , il simpatico robot che ci braccherà

Sviluppato dal talentuoso team spagnolo Mercury Steam, già fautori dell’ottimo Metroid: Samus Returns per Nintendo 3DS, e diretto dal grande Yoshio Sakamoto, Dread si presenta subito come il capitolo che chiuderà l’arco narrativo iniziato nel lontano 1986, anno d’uscita del primissimo Metroid per NES. Insomma, un annuncio tanto sofferto quanto gradito a tutti i fan della Cacciatrice di taglie più famosa della galassia.

È poi il turno di Mario Party Superstars, il nuovo capitolo dell’ottimo party game con protagonista il celeberrimo idraulico, che propone 5 tabelloni ripresi dai 3 capitoli della saga prodotti per Nintendo 64, oltre 100 minigiochi e la possibilità di divertirsi sia in co-op locale con i propri amici o sfidare altri appassionati grazie alla funzione di matchmaking online. Anche in questo caso, la parola d’ordine è concretezza, e la data di rilascio è subito resa pubblica, ovvero 29/10/2021.

Nahobino, l’enigmatico protagonista di Shin Megami Tensei V

Altro grande protagonista del Direct è sicuramente Shin Megami Tensei V, il JRPG targato Atlus che venne annunciato nel lontano 2017, e che può finalmente mostrarsi con un bel trailer di gameplay ed una long session trasmessa durante il Treehouse. Toni seri, atmosfera cupa, direzione artistica di primissimo livello, il tutto unito ad un battlesystem che è già una garanzia ed un grado di sfida che sicuramente metterà in crisi più di un videogiocatore. E come di consueto, ecco a voi la data di rilascio, ovvero il 12/11/2021.

A questo punto Nintendo sorprende un po’ tutti, tirando fuori un nome che non si sentiva da tanto (troppo) tempo. Viene così presentato Advance Wars 1+2: Re-Boot Camp, remake di due capolavori senza tempo, gli strategici a turni Advance Wars ed Advance Wars: Black Hole Rising, titoli rilasciati per l’amatissimo Game Boy Advance rispettivamente nel 2001 e 2003. Qui c’è poco da dire, la serie Wars di Intelligent Systems è una garanzia di qualità, e per l’occasione il team nipponico collabora con WayForward, il talentuoso team dietro la saga di Shantae. Insomma, potremo tornare a comandare le truppe di Orange Star a partire dal 3/12/2021.

Il remake dei primi due Advance Wars è stata una piacevolissima sorpresa

E poi arriva lui, il titolo più atteso dell’intero E3 probabilmente. Parliamo ovviamente del sequel di Breath of the Wild. Lo chiamiamo “sequel” poiché, curiosamente, Nintendo ha deciso di non rivelare il nome definitivo del progetto, che con tutta probabilità andrebbe a dare forse qualche informazione di troppo ai fan. Il trailer è breve, molto breve, eppure in quel piccolo lasso si intravede una piccola parte di ciò che il nuovo TLoZ sarà ed apre a mille possibilità, tant’è che la fandom sta già ampliamente speculando su quello che, in fin dei conti, è un minuto scarso di trailer in cui Nintendo ci ha voluto dare giusto un piccolo assaggio. Poi il trailer finisce ed arriva la mazzata. Un generico 2022, che probabilmente si tradurrà in un “holiday 2022”.

Guardando solamente questo screenshot potremmo speculare per ore

La Strega di Umbra risulta invece essere non pervenuta, e dall’annuncio di Bayonetta 3 sono ormai trascorsi 4 anni, 4 anni in cui non è stato mostrato letteralmente nulla. Il maestro Hideki Kamiya continua a rassicurare i fan, seppur con i suoi “particolari” modi, ribadendo che la Strega è viva e vegeta e gode di ottima salute, e nel frattempo il mistero si infittisce.

In definitiva Nintendo si presenta con un ottimo Direct; ritmo serrato, tanti annunci interessanti, focus solo ed unicamente sui giochi e soprattutto date di lancio. Si sente l’ennesima mancanza di Bayonetta 3 e la realizzazione che BotW 2 è più lontano di quanto si sperasse fa male, ma mi ritengo pienamente soddisfatto di ciò che è stato mostrato.

Un Direct per trentenni(e non solo)

Il titolo del paragrafo è volutamente provocatorio, ma non credo si discosti poi tanto dalla realtà delle cose. Con questo Direct Nintendo si rivolge principalmente al pubblico più “maturo”, o per meglio dire, anagraficamente maturo. Puntare su di un titolo singleplayer, metroidvania (che per forza di cose non può raggiungere longevità folli), 2.5d, di una saga che non vede nuovi capitoli da quasi 2 decenni è una mossa che nel mercato videoludico attuale è, per utilizzare un eufemismo, anomala, soprattutto quando la competizione è composta in larga parte da battle royale, co-op online, GaaS ed openworld spesso anche troppo longevi, ma generalmente molto apprezzati.

Il secondo piatto forte, Shin Megami Tensei V, è un JRPG duro e puro, con sistema di combattimento a turni, cupo, dallo stile peculiare, complesso e con tutta probabilità non proprio semplice da portare a termine; insomma, non un titolo per tutti. Anch’esso appartiene ad una saga che non vede un nuovo capitolo principale da 8 anni.

Ed ancora, la riproposizione dei primi due capitoli di Advance Wars, di cui, personalmente, mai mi sarei aspettato una riproposizione con quasi vent’anni sul groppone. Chiunque si sarebbe aspettato un remake/remaster della celebre saga Fire Emblem, molto più semplice da vendere nonostante il genere d’appartenenza di nichia.

Certo, non sono mancati annunci più “moderni”, come Mario Party Superstars, o il bramatissimo trailer di Breath of the Wild “2”, ma sono sicuro che questo Direct abbia fatto la felicità di tantissimi (me compreso) fan di vecchia data; ragazzi ormai cresciuti e nel pieno dei loro “-enta”, non proprio la demografica che viene spesso, ed erroneamente a mio parere, attribuita all’utenza principale Nintendo.

Ma questo non vuol dire che questi titoli sono rivolti solo ed unicamente a vecchietti come il sottoscritto, tutt’altro, vedo la riproposizione di vecchie glorie in salsa moderna (pur mantenendo intatta l’essenza) come un’opportunità per tutti, anche i più giovani, di approcciarsi a delle saghe che hanno fatto la storia del videogioco, scoprendo magari che un metroidvania 2.5d può regalare le stesse emozioni di un openworld da 150 ore, ed a volte anche più intense.

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E3 2021, la strategia coloniale di Xbox e le contromisure nipponiche

Dopo l’acquisizione di ZeniMax Media da parte di Microsoft, il settore videoludico sta attraverso un periodo di colonialismo in cui i colossi dell’industria stanno intensificando le acquisizione e le collaborazioni con i publisher third-party. L’E3 di Xbox è stata la risposta all’alleanza nipponica del 2021 tra PlayStation e Capcom con Resident Evil Village, ma le schermaglie sembrano solamente appena iniziate.

L’acquisizione statunitense

Ad oggi, Xbox Game Studios contiene 15 studi di sviluppo e la recente acquisizione di Id SoftwareBethesda Softworks e Arkane Studios ha causato un profondo terremoto nel settore. Per questo, da settembre 2020, Sony e Nintendo stanno sicuramente riflettendo su come arginare la valanga di dollari che si è riversata sull’industria dei videogiochi, ma ora devono affrontare i colpi più potenti di Xbox presentati durante l’E3 2021.

Mentre le console next-gen scarseggiano e le grandi esclusive PlayStation 5 sono rinviate al 2022 (God of War, nonostante l’eccezione Ratchet & Clank: Rift Apart), Microsoft propone sul proprio abbonamento 29 titoli nel solo 2021 tra cui Halo Infinite, l’intera serie Fallout, un aggiornamento next-gen per Doom Eternal e Yakuza: Like a Dragon di cui parleremo a breve.

Infografica degli annunci E3 sull’Xbox Game Pass

L’asse del Sol Levante

Per rispondere al colonialismo yankee, sin dalla prima parte del 2020, Sony ha stretto un evidente accordo con due dei maggiori publisher giapponesi: Square Enix e Capcom. La prima gli ha portato in dote l’esclusiva (teoricamente) temporale di Final Fantasy VII Remake, mentre Capcom ha basato tutto il marketing di Resident Evil Village su PlayStation 5. Infatti, tutti i filmati sono stati registrati su PS5 ed entrambe le demo sono prima arrivate sulla console nipponica.

Sicuramente anche Sony guarda fuori dalla propria casa come dimostra l’acquisizione di Team Asobi (Astro’s Playroom), ma la strategia sembra basata sul consolidare la propria presenza in ambienti già collaborativi. Per questo motivo, ci aspettiamo che il marchio PlayStation porti con sé una serie di esclusive temporali con i maggiori publisher third-party, non necessariamente orientali. Per farlo, sarà necessario curare bene la fase diplomatica su cui Sony ha dimostrato difficoltà come quando ha escluso Cyberpunk 2077 dallo store PlayStation oppure durante le diatribe con il guru giapponese Hideo Kojima, che ad oggi non si capisce quale parte abbia scelto.

I dissidenti nipponici

La strategia Sony ha portato enormi successi durante l’ultima generazione, ma non tutte le terze parti orientali stanno formando un solido muro intorno al prodotto giapponese. Yakuza: Like a Dragon, uscito poco più di sei mesi fa, è stato appena annunciato sull’Xbox Game Pass, che ha così l’intera serie sul proprio catalogo. Una notizia interessante, che diventa importante se pensiamo all’interesse dimostrato da Xbox durante l’E3 su una serie sviluppata da giapponesi (SEGA), che parla di giapponesi e pensata soprattutto per i giapponesi.

Il secondo e terzo indizio che fanno una prova sono altri due titoli chiaramente provenienti dal Sol Levante e annunciati durante l’E3: Eiyuden Chronicle: Hundred Heroes e lo spin-off Eiyuden Chronicle Rising. L’erede spirituale di Suikoden di Konami è stato realizzato da Rabbit & Bear Studios sotto la supervisione proprio di Yoshitaka Murayama ed è chiaramente molto più appetibile in Giappone piuttosto che in Occidente.

Bunker Nintendo

In attesa della presentazione di Nintendo all’E3 2021, possiamo solo dire che la strategia di Shuntaro Furukawa sembra essere fortemente conservativa. Nintendo continua a mantenere buoni rapporti con i publisher giapponesi senza forzare la mano, come dimostra la sola esclusiva temporale di Monster Hunter Rise e non sembra interessata a partecipare alla corsa coloniale, limitandosi ad acquisire team praticamente interni (Next Level Games) e creando i propri capolavori a casa con gruppi ormai consolidati da decenni.

Attualmente i dati dimostrano che la soluzione Nintendo funziona, che forte dell’appeal dei suoi marchi porta avanti importanti partnership come quella con Ubisoft dell’appena annunciato Mario + Rabbids: Sparks of Hope. In altre parole, un attendismo prudente di un’azienda consapevole della forza delle sue IP.

Conclusione

La pandemia ha inciso molto sulle carenti uscite dei videogiochi nell’ultimo anno e mezzo, ma i grandi del settore non hanno perso tempo, stabilendo strategie più o meno chiare sul futuro.

Microsoft sta sferrando i suoi colpi più potenti, mentre Sony prova a mitigare l’avanzata con la forza del proprio marchio, che ammalia i brand third-party più influenti del Sol Levante. D’altro canto, Nintendo sta guadagnando i massimi approfittando delle difficoltà della next-gen e producendo i suoi capolavori, con estrema calma, nei suoi studi interni.

Difficile dire come sarà il settore videoludico tra qualche anno, ma sembra che le distanze si stiano sempre di più assottigliando grazie a una maggiore competizione tra i brand, che portano a un unico vincitore: il videogiocatore.

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The Last Spell per PC – Provato

In un mondo corrotto dal potere e dalla sete di sangue, scegliere i propri nemici è un lusso che a volte non ci si può permettere. Una trama già sdoganata con Il trono di spade di George R. R. Martin prende vita in forma videoludica in The Last Spell, il nuovo Tactical defense RPG di Ishtar Games.

La fine dell’umanità

La magia ha reso potenti molti regni, ma i danni del suo abuso ha causato una tragedia che va ben oltre la fine di innumerevoli vite umane. Un eccesso di potere magico ha aperto un portale demoniaco che ha trasformato il mondo in un campo di battaglia già visto in alcuni giochi da tavolo come Zombicide. Per questo, i regni umani hanno decretato una pace per sconfiggere i mostri notturni che infestano le città. Adesso l’unica cosa che conta è sopravvivere all’orrore e per farlo bisogna eliminare completamente la magia dal mondo che alimenta anche questo tumore inarrestabile. Un modo c’è ed è proprio un incantesimo che i maghi hanno chiamato The Last Spell.

L’arte del comandare

La desolante trama di The Last Spell è la giustificazione che Devolver Digital pone come base per il suo nuovo gioco di ruolo con elementi roguelite decisamente interessanti e che ricordano altri recenti titoli del publisher come Loop Hero.

Nell’opera di The Arcade Crew impersoneremo un comandante che dovrà guadagnare del tempo prezioso (sotto forma di turni) che i maghi useranno per lanciare l’ultimo incantesimo in un ciclo giorno e notte. Durante le ore diurne, il gioco è composto da due fasi. La fase di produzione consiste nello spendere denaro e materiali per costruire nuovi edifici, migliorare quelli già esistenti, assegnare lavoratori alle costruzioni e spendere punti su abilità e perk dei nostri eroi. La seconda fase invece trasforma il titolo in un vero e proprio tower defense tattico in cui costruiremo le difese per l’ondata notturna. Infatti, durante la notte impartiremo ordini ai nostri eroi (inizialmente tre o quattro in base al livello di difficoltà scelto) che difenderanno i maghi dall’ondata di mostri, magari non lasciandoci le penne.

città di the last spell

Consolida e attendi

La fase di notturna è indubbiamente la parte più divertente e carica di tensione, perché è durante le tenebre che il gioco saprà dimostrarsi impegnativo. Infatti, i danni sferrati dai nemici ci obbligano a studiare il campo di battaglia, i nemici e ovviamente le caratteristiche dei nostri personaggi. All’interno di una griglia tattica in pieno stile Intelligent Systems (ma con visuale isometrica), gli eroi infliggeranno danni importanti, molto spesso ad area e decisamente spettacolari grazie a (quattro) abilità uniche. Per questo motivo, la maggior parte del tempo sarà speso nel curare la fase difensiva della nostra strategia, anche perché i personaggi recuperano solo una parte della loro vita e mana.

Questa scelta voluta dagli sviluppatori farà felici i giocatori appassionati del genere, ma rende il titolo decisamente poco fruibile per i novizi che rischieranno di morire ripetutamente prima di comprendere le meccaniche base del titolo, che li porterà facilmente verso la frustrazione. D’altro canto, i più smaliziati avranno almeno una ventina d’ore di divertimento che si tramuterà pian piano in noia in questa fase di accesso anticipato. Infatti, una volta comprese le statistiche, le abilità e le difese più forti, il gioco risulta un po’ troppo ripetitivo.

Imparare a costo di morire

Come già abbiamo gustato in altri titoli con una sistema simile come Hades, la morte è parte integrante dell’esperienza videoludica. Perdere in The Last Spell significa fare la conoscenza della presunta benevolenza di entità divine che forniranno nuovi upgrade permanenti che ci renderanno più forti.

Questo significa che i giocatori che poco apprezzano l’idea di perdere e ripetere la stessa sequenza, difficilmente potranno beneficiare del buono lavoro fatto fino a questo momento da Ishtar Games. Per tutti gli altri, The Last Spell è un gioco dall’ottimo potenziale che merita l’attenzione dei giocatori PC a cui però si chiede, nella sua versione definitiva, maggiore varietà durante la fase centrale del gioco.

i perma-upgrade di the last spell

Pixel di qualità

Venti euro è un prezzo decisamente concorrenziale (17,99 euro nel momento in cui scriviamo) per un gioco in accesso anticipato che ha la qualità tecnica di The Last Spell. Infatti, raramente ci siamo imbattuti in un titolo che in una versione così primordiale possegga un qualità audio e soprattutto grafica praticamente già ultimata. La pixel art del gioco è bella, ma soprattutto pulita come la sua interfaccia grafica. Nonostante le tante statistiche da visualizzare, il gioco è decisamente intuitivo e ci fa pensare che la maggior parte del tempo che separa questo indie game dall’uscita ufficiale sarà speso dagli sviluppatori per aggiungere nuovi contenuti che possano rendere l’esperienza maggiormente variegata.

ProContro
Pixel art bella e interfaccia pulita già in accesso anticipato… quindi non per tutti
Un defense tower impegnativo…ripetitivo dopo una decina di ore
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Editoriali

Fifa Ultimate Team vs PES MyClub, giochi diversi con gli stessi difetti

Siamo al termine della stagione calcistica (Europe a parte) e sono pronto per tirare le somme sulla realtà dei calcistici online. Purtroppo, la mia avventura divisa egualmente tra FIFA 21 Ultimate Team e PES 2021 MyClub è terminata allo stesso modo, cioè con un lancio lungo a Mbappé che dopo un paio di sportellate la butta dentro nei minuti di recupero.

Chiunque abbia giocato per abbastanza ore alle modalità online di FIFA e PES 2021 sa di cosa sto parlando, cioè di quella terra di mezzo fatta di amatoriali che non vogliono alimentare il sistema di slot machine dei videogiochi e finiscono per non avere più una sfida divertente. Per parafrasare un celebre sketch: “non possono né scendere né salire”.

La luna di miele

Nonostante FIFA e PES siano due giochi profondamente diversi, ho vissuto con estremo divertimento il primo periodo su entrambi i titoli. Sia che si preferisca lo stile più arcade di FIFA piuttosto che le meccaniche quasi da gioco di ruolo di eFootball Pro Evolution Soccer, entrambi i videogame forniscono inizialmente un’esperienza appagante anche per chi gioca senza spendere denaro (oltre al costo di copertina).

Creare da zero una team aggiungendo un tassello alla volta è alla base di qualque videogioco di successo e inizialmente, quando lo scontro avviene tra pari utenti (con qualche exploit per chi passa subito dalla cassa), si può notare come la mano dell’allenatore conti qualcosa. Infatti, in FIFA avremo la possibilità di spendere la valuta di gioco in aste in cui bisogna ottimizzare i costi per trarne il massimo dei benefici, mentre PES ha un modello simile basato sulle aste degli osservatori in cui si andrà a cercare un calciatore con determinate caratteristiche che possa fare i movimenti pensati in allenamento.

Nel mio caso, questo periodo di profondo appagamento è durato circa tre mesi per entrambi i titoli. Tempo in cui ogni mia mossa sembrava avere un valore, perché dall’altra parte c’erano videogiocatori che come a me sperimentavano e sudavano ogni minuto nel campo da calcio. Purtroppo, più si sale e più diminuisce la possibilità di essere originali, perché l’unica cosa che conta è la vittoria a discapito anche del divertimento.

Dream team

Passato il periodo d’oro del gioco, sia PES che FIFA mostrano delle debolezze strutturali che fanno propendere i videogiocatori ad avere una tattica di gioco e una squadra decisamente omologata.

Per i giocatori di FIFA l’inizio dell’incubo prende il nome di Mendy, Varane e ovviamente Kylian Mbappé. D’altro canto, gli amatori di PES proveranno egual sensazioni quando sentiranno i nomi di Viera, Rummenigge e ovviamente Mbappé. Sono cosciente che nella realtà ci sono calciatori più forti di altri, ma speravo che l’opportunità di ottenerli fosse alla portata di tutti e non dipendente da un sistema molto vicino al gioco d’azzardo come già affermato dal Bundestag, il parlamento federale tedesco.

Sottolineo che anche se in PES 2021 la spesa in loot box è decisamente inferiore rispetto alla controparte americana, per l’utente medio è comunque fondamentale far uso delle microtransazioni per progredire da un certo punto del gioco e il suo costo può comunque essere tre o quattro volte superiore al prezzo consigliato per il videogame.

Palla lunga e pedalare

Ovviamente avere determinati (costosi) giocatori significa anche adattare il proprio gioco alle loro caratteristiche. Infatti, per poter aumentare il proprio posto in classifica si dovrà spesso scendere a compromessi, rinunciando al bel giuoco e sfruttando degli escamotage ormai così noti che mi chiedo se le case produttrici non decidano di lasciarli inalterati proprio per sfruttare l’appeal che hanno determinate carte.

Ed è così che si entra nel fantastico mondo del lancio lungo del Varane di FIFA, o di qualsiasi difensore leggenda con la carta sviluppo di PES, ai piedi del solito Mbappé che con una prorompente falcata finirà per superare tutti ed insaccare.

Naturalmente, quando questo non sarà più sufficiente, perché pian piano impareremo a controllare in anticipo l’ultimo difensore, subentreranno gli exploit che ci faranno subire goal all’inizio della partita o nei minuti di recupero. Il risultato è una vera e proprio partita di flipper in cui il centrocampo, il cuore pulsante del calcio giocato sarà riempito solamente da incontristi coriacei che avranno il compito di recuperare il pallone e re-iniziare il festival dei centometristi.

Le eccezioni esistono

Ci sono tanti giocatori che non vogliono omologarsi giocando con sempre la stessa (noiosa) tattica o spendendo denaro per calciatori che diventeranno carta straccia nel giro di pochi mesi. Purtroppo però chi la pensa diversamente è decisamente penalizzato e deve sopravvivere in un contesto in cui ci si sente inermi di fronte al solito giocatore che già dalla schermata della formazione vi farà capire che i prossimi 15 minuti saranno un inferno.

Il videogioco competitivo deve fornire degli strumenti che permettano a tutti di giocare alla pari. Ad oggi, non c’è un videogioco calcistico che corrisponde a questo identikit (nemmeno Captain Tsubasa) e considerando i guadagni miliardari di Eletronic Arts con le microtransazioni e il record di utenti sfornato ogni settimana da Konami grazie alla versione mobile e lite di PES mantenute dalle loot box, c’è da credere che sarà così ancora per tanto tempo. Almeno fin quando qualche ente di altissimo spessore (leggasi Unione Europea) non decida di limitare un sistema che spinge i giocatori a continuare a giocare (e spendere) solamente per placare la frustrazione della partita precedente, invece che per il puro gusto di divertirsi.

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Recensioni

Mass Effect Legendary Edition per PC – Recensione

Recensione in un Tweet

Edizione, rieditata nella parte grafica, di un classico, ancora apprezzabile ed attuale. Le dinamiche di gioco non sono invecchiate male, nonostante il prezzo abbastanza elevato, l’assenza di innovazioni nel gameplay e nei contenuti giocabili, non permettono di considerarlo un must-have come un tempo.

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La saga di Mass Effect è conosciuta dai giocatori di tutto il mondo, grazie alla capacità avuta di rinnovare il genere GDR, senza snaturarlo. È stato, soprattutto per la mia generazione, uno dei giochi più influenti del genere, grazie anche alla casa che lo ha sviluppato, Bioware.

In quel periodo, grazie anche alla saga di Dragon Age, è stata una delle più importanti software house per i videogiocatori. Il suo ruolo nello sviluppo dei GDR moderni è innegabile, grazie ai dialoghi ed alle storie complesse architettate ed alla profondità delle trame offerte.

Tutto ciò dovrebbe far capire come le aspettative per questa riedizione di una pietra miliare del genere, per un appassionato dei GDR, siano altissime. Considerando le alterne fortune dei Remastered, insieme alla pesante eredità di questa saga, mi sono cimentato nella scoperta del risultato finale ottenuto.

Cercherò di spiegare dunque quello che ho provato, valutando come si raffronta la saga con i tempi ed i videogiocatori moderni.

Una grande trama non invecchia mai

Foto di un momento importante della storia
Suggestiva ambientazione in un momento importante della trilogia.

La trama è il punto forte del gioco che non ha risentito del trascorrere degli anni. In tutti i capitoli della saga, senza eccezioni, si è coinvolti dall’inizio alla fine.

Uno degli elementi di spicco è dato dalla possibilità di poter importare le partite svolte da un capitolo all’altro, con importanti conseguenze nello svolgimento della storia e nel come siamo percepiti nel mondo circostante, sia da alleati e sia dai nemici. Ad oggi non è ancora comune trovare titoli che offrono questa opportunità, data la difficoltà nel garantire una storia uniforme, completa e coerente fra i diversi capitoli.

Questo elemento può annoverarsi dunque fra i “sempreverdi” ed attuali. Inoltre non c’è dubbio sulla capacità di Bioware nel garantire storie ricche, complesse e piene di colpi di scena, capaci di coinvolgere emotivamente il giocatore con ogni singolo membro della propria squadra. Fra i capitoli infatti si nota un crescendo di importanza delle relazioni con i compagni di squadra, cruciali addirittura in alcuni momenti per lo sviluppo futuro della trama.

Non mancano infatti le scaramucce ed i diverbi all’interno del nostro team, che possono culminare in scontri con risvolti letali. A causa di una guerra interstellare dei secoli precedenti ad esempio, le razze del Consiglio ed i Krogan non vanno assolutamente d’accordo. Questo in particolare ci porrà di fronte la possibilità di dover uccidere un membro della squadra, incapace di accettare un accordo che con buona probabilità potrà portare all’estinzione della specie di provenienza!

Insomma, le scelte da prendere sono assolutamente importanti e possono avere conseguenze addirittura fra capitoli diversi, contribuendo a garantire una modernità assoluta in termini di coinvolgimento e bellezza di storia e trama. Di certo la saga in questo modo si pone ancora fra quelle più innovative e coinvolgenti di sempre nel panorama GDR, al punto da apparire quasi un romanzo.

Battaglie interessanti, gameplay un po’ ingessato

Un concitata battaglia di Mass Effect Legendry Edition.
Momento concitato in battaglia.

Il ruolo dell’Intelligenza Artificiale nel gameplay è da noi considerato cruciale in un videogame e questa saga ha tanto da offrire per entrambi questi aspetti. L’IA ed i combattimenti non sono invecchiati male, capaci di essere interessanti e creare qualche grattacapo anche a distanza di anni.

Il gameplay, allo stesso modo, non è invecchiato particolarmente male, anche se in questo caso il peso degli anni si sente di più. Può rivelarsi frustrante adottare il sistema tattico-in tempo reale adottato, dove si alternano “pause tattiche” a sparatorie frenetiche.

Si devono infatti dosare le abilità dei singoli, biotiche, tecnologiche o militari, per affrontare al meglio la battaglia. In base a tipo di nemico e disposizione degli elementi di gioco, si devono scegliere abilità e disposizione dei membri della squadra. È possibile, inoltre, impartire ordini come lo spostamento dietro una copertura o l’utilizzo di abilità per immobilizzare o lanciare il nemico in aria.

I nemici a loro volta cercheranno di circondarci e di sfruttare al meglio le loro abilità. Un cecchino nemico cercherà di tenersi a debita distanza, coperto dagli assaltatori frontali come biotici o soldati.

Le tattiche non sono gestite con un’interfaccia singola per ogni personaggio, risultando macchinose e inefficaci. Spesso ho preferito affrontare direttamente le battaglie, utilizzando i compagni come un mero supporto se non come una scocciatura. L’assenza di controllo dei singoli personaggi, impedisce lo studio di tattiche d’attacco diverse da quello frontale diretto e ciò rende il gameplay a tratti ingessato.

Finalmente una vera Remastered!

Shepard è davvero in massima forma!

Con piacevole sorpresa la rimasterizzazione del titolo e l’intervento nell’aspetto grafico è riuscito alla perfezione. Non solo le texture sono davvero belle da vedere, ma i passi avanti anche nell’interfaccia sono una piacevole sorpresa. L’uniformità introdotta nei vari capitoli è ammirevole e fa sembrare l’esperienza di gioco davvero un “continuo”.

Certo, parliamo comunque di un intervento non a livello di motore grafico vero e proprio, e si vede. Effetti di luce e grafica sono migliorati, anche se non possono minimamente essere considerati al pari o vicino a quelli offerti dai videogame più recenti.

È importante considerare questo aspetto soprattutto tenendo conto del prezzo a cui viene venduto e come esso si confronta con i mostri sacri dei giochi di ruolo. Scene epiche e interattive, grafica e panorami sbalorditivi sono lo standard per i GDR cosiddetti “tripla A” e questa edizione non arriva a tali vette.

La comprensibile scelta di non correre rischi con una saga di una tale importanza storica, presta il fianco agli inevitabili limiti tecnici dovuti dall’età della saga. Non aggiungendo contenuti o modifiche sostanziali al gameplay, ci si è limitati ad un contenuto aggiornamento tecnico, seppur davvero ben fatto.

A tal proposito, la stabilità dei titoli è assoluta, con giusto qualche limitato problema di mancata sincronia audio-video durante il gioco e nel parlato delle scene. Sottolineo la cosa visti i non indifferenti problemi tecnici avuti, recentemente, da titoli ben più moderni.

Conclusione

La saga ha vissuto sicuramente una seconda giovinezza con questa remastered. Tecnicamente il lavoro è davvero ben riuscito, con una parte di rivisitazione di texture e comparto audio ottima e di buona fattura.

La riedizione tecnica non ha inoltre intaccato la qualità di trama e storia originale, che rimangono interessanti e moderni anche a distanza di quindici anni. Il gameplay è un po’ invecchiato e si sente, seppur i combattimenti riescono a rimanere interessanti.

L’approccio prudente di rivisitazione si è rivelato dunque a doppio taglio, garantendo apprezzabilità del lavoro svolto da una parte, ma relegando la saga da rivoluzionaria a carina dall’altra. Il prezzo elevato infine non è a mio avviso giustificato, dove a cifre inferiori si trovano i titoli ora considerati come pietre miliari del genere.

In conclusione mi sento comunque di consigliare la saga a chi non l’ha mai giocata e sicuramente agli appassionati di GDR, in attesa magari dei prossimi saldi.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: GDR, Azione
  • Lingua: italiano/inglese
  • Multiplayer: no
  • Prezzo59,99 €.

Ho esplorate le vastità dello spazio per quasi un centinaio di ore, grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Editoriali

Il 2021 dei videogiochi, ancora sospesi tra le generazioni

Sei mesi fa (più o meno), è iniziata la next-gen, con Microsoft e Sony che hanno permesso di toccare con mano le nuove console (più o meno). Sono noti ovviamente tutti i rallentamenti sulla produzione, in parte a causa del COVID-19, che ha colpito proprio nel momento in cui si doveva lavorare duramente, in parte per la scarsità di alcuni materiali indispensabili per le console. E si tratta di problemi che si portiamo dietro ancora oggi.

In questi giorni è ancora difficile trovare una nuova Xbox o una PlayStation in negozio, e le uniche in vendita sono online: nonostante si parli di milioni di unità vendute, siamo ancora lontanissimi dal soddisfare la domanda. Se teniamo conto della base di giocatori console Microsoft/Sony, siamo intorno ai 160 milioni in totale.

Microsoft Xbox Series X and Playstation 5

Poca next-gen, tanta old-gen

La buona notizia? Che non ci sono ancora molti prodotti next-gen sul mercato videoludico, quindi la “fortuna” è che Xbox One e PlayStation 4 sono tutt’altro che superate. Quello che però è positivo per l’utente, non è detto che lo sia anche per l’azienda, che ancora oggi deve trovarsi a supportare una piattaforma vecchia, che quest’anno compie 8 anni, al di là dei periodici aggiornamenti hardware.

Una next-gen lanciata cosìpresto”, senza poter garantirne la disponibilità è un doppio problema: innanzitutto l’utente scontento, che dopo anni di supporto potrebbe puntare nuove soluzioni, come l’acquisto della concorrenza, di un PC o un definitivo passaggio al cloud (che nei prossimi anni si perfezionerà, vero?); l’altro punto riguarda la distribuzione, perché non puoi vendite giochi se non hai una base numerosa installata.

Nel 2021 sono previsti, almeno per ora, i sequel di Horizon Zero Dawn e God of War: i franchise hanno venduto più di 10 milioni di copie ciascuno su old-gen, ma già sappiamo che entro fine anno questo risultato difficilmente sarà replicabile visto che al momento sono state vendute circa 8 milioni di PlayStation 5. Vale la pena lanciare qualcosa di incredibilmente futuristico che potranno giocare in (relativamente) pochi, e che al lancio farà registrare sicuramente numeri inferiori ai titoli precedenti?

I record di vendite dei videogiochi per PlayStation 4 al momento sono imbattibili.

Nel 2021, ma con un occhio al 2013…

L’alternativa sarebbe sviluppare una versione che possa andare bene anche per la old-gen: praticamente nel 2021 si lavora per far girare un gioco su una console del 2013. Se il downgrade riguarda solo l’aspetto grafica, è più che comprensibile, ma se in questo adattamento si perdono ad esempio delle meccaniche di gioco, la situazione è più seria. Si dovrebbero limare tutte quelle nuove funzionalità rese possibili con la next-gen. A maggior ragione i titoli first party dovrebbero essere quelli che possono sfruttare con più maestria ogni caratteristica dell’upgrade e valorizzarla al massimo.

La non reperibilità delle console non è un problema risolvibile “solo” con la produzione, ma incide significativamente sulle strategie sul lungo periodo: quali giochi sviluppare? Quando pubblicarli? Su quali console? Tutte domande che prevedono una pianificazione con diversi anni d’anticipo e quindi un investimento di ingenti risorse (economiche e non) per portare quel contenuto specifico sul mercato, nel momento giusto.

Dopo oltre 6 mesi, potremmo vedere la prima esclusiva next-gen di un certo spessore.

Pianificazione andata in fumo

Uscire con un gioco nel 2021 è una scelta pianificata ben prima della pandemia, quindi un intoppo che riguarda non solo il singolo prodotto ma tutta la filiera, rischia di stravolgere completamente ogni strategia pensata in futuro. A distanza di sei mesi non abbiamo ancora avuto la killer app, il titolo travolgente che ti spinge a comprare una console specifica e, probabilmente, fino all’autunno almeno non avremo delle novità su questo fronte.

Questi problemi di pianificazione fanno presumere che grandi progetti inizialmente pensati per il 2024/2025 possano subire dei cambiamenti di qualche genere: probabilmente non si produrrà più su vecchie console, ma in fase di sviluppo non sappiamo quali conseguenze potrebbero esserci, che poi potrebbero presentarsi all’utenza come continui rinvii o, peggio, un prodotto non all’altezza della aspettative.

Magari l’E3, o altri grandi eventi, ci mostreranno titoli AAA non ancora annunciati o con una data d’uscita, ma difficilmente grandi franchise faranno le loro mosse fra luglio e agosto, quindi bisognerà aspettare settembre, che potrebbe aprire la “grande era della next-gen”, finora esplorata fin troppo poco e con un potenziale mostrato solo a sprazzi. Si potranno fare i confronti con i lanci di PlayStation 4 o Xbox One, delle varie line-up lancio e post-lancio, delle vendite o delle disponibilità delle console, ma sono passati quasi 10 anni e inevitabilmente ogni paragone va quindi “pesato” il giusto. Siamo nel 2021, la cultura del videogioco, e il videogioco stesso, sono totalmente diverse dal 2013.

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