Durante l’SXSW 2025, Hideo Kojima ha mostrato la sua prossima creazione e la sua data d’uscita. Death Stranding 2: On the Beach arriverà sul mercato il 26 giugno in esclusiva su PlayStation 5.
Kojima Production ha presentato anche le edizioni che saranno disponibili al lancio. Death Stranding 2 si presenterà in tre edizioni: Standard, Digital Deluxe Edtion e la Collector’s Edition. La Collector’s Edition di Death Stranding 2: On the Beach è disponibile al prezzo di 249,99 euro e contiene una statuetta da 38cm Magellan-Man a cui si aggiunge un ciondolo di Dollman da 9 cm.
Un’altra piacevole novità per i fan italiani è la presenza nel gioco e nell’ultimo trailer di Luca Marinelli (M – Il Figlio del Secolo, tra gli altri), che interpreterà Neil.
Ed anche quest’anno, puntuale come la primavera, ecco arrivare il nuovo episodio dell’ormai celeberrima saga di simulazioni di wrestling a cura di 2K Sports, ovvero WWE 2k25. Come spesso accade, soprattutto con le simulazioni sportive, la necessità di pubblicare un nuovo episodio ogni hanno porta con sé vari dubbi ed incertezze.
Capita spesso, infatti, che il nuovo gioco sia semplicemente una minestra riscaldata con alcune novità nel roster e piccoli ritocchi grafici e di gameplay. Sarà andata così anche stavolta? Oppure 2K Sports è riuscita a stupirci con novità ed aggiornamenti davvero di spessore? Scopriamolo insieme!
Storia di un’eredità
Come ampiamente anticipato dalle campagne pubblicitarie, la modalità Showcase di WWE 2K25 è incentrata sulla storia della Bloodline. Per chi non conoscesse questa modalità, si tratta di una serie di incontri, a stile cinematografico, in cui il giocatore, oltre a vincere, deve anche soddisfare numerosi obiettivi che vengono via via sbloccati col procedere dell’incontro.
Per l’edizione di quest’anno 2k Sports si è affidata alla sapiente guida di Paul Heyman. Il leggendario Manager accompagna il giocatore alla riscoperta della storia della leggendaria famiglia Anoa’i, che ha dato i natali a moltissime stelle di prima grandezza della storia del wrestling, tra cui Yokozuna, The Rock e, più recentemente, Roman Reigns.
Abbiamo trovato questa modalità, nel complesso, piacevole. I vari incontri sono presentati con grande cura e prongonono quasi sempre obiettivi sensati e non eccessivamente frustranti, che permettono anche di familiarizzare con i comandi del gioco. Unica eccezione sono gli obiettivi a tempo, che necessitano di essere completati entro lo scadere di un timer, pena il fallimento. Sinceramente abbiamo apprezzato anche questa aggiunta, che dona agli scontri un pizzico di sfida in più.
Scelte di regia discutibili
Meno convincente invece è apparsa la scelta dei match. Invece di concentrarsi sulle due stelle principali della fazione, ovvero Reigns e The Rock, 2K Sports ha scelto di esplorare a 360 gradi la famiglia samoana, dedicando spazio anche ad atleti molto meno noti ed importanti, come gli Headshrinkers e Nia Jax. Se da un lato questa scelta aumenta la varietà degli incontri, dall’altro esclude dalla modalità molti dei match più iconici del Capotribù (di cui ammetto di non essere un gran fan) e del Final Boss (che invece adoro).
Da segnalare anche la presenza di alcuni episodi “What if?“. In sostanza, molti dei match che vivremo sono battaglie mai realmente avvenute, oppure incontri con un finale differente da quanto accaduto realmente. Se questa scelta dona un pizzico di sorpresa, dall’altro viene solo abbozzata. Questi finali, infatti, non incidono minimamente sulla storia generale, ma sono semplici episodi autoconclusivi.
Nel complesso, dunque, lo Showcase di WWE2K25, a nostro giudizio, è riuscito solo a metà. Se da un lato propone un’idea di fondo interessante, non sfrutta appieno il potenziale che la storyline della Bloodline porta con se. In più, soprattutto a causa dei problemi legati allo sfruttamento delle license, i filmati di ripertorio sono molto ridotti e sono spesso sostituiti da filmati realizzati col motore grafico del gioco, che, per quanto ben fatti non riescono a ricreare la magia ed il coinvolgimento del materiale originale.
L’isola di WWE 2k25
La principale novità di 2K25 è sicuramente la modalità The Island. Una volta avviata, il giocatore riceve l’invito di Roman Reigns a recarsi sulla sua isola. Qui è in corso una competizione aperta a tutti con in premio la possibilità di diventare superstars della WWE. Dopo aver creato il nostro Avatar, questa modalità ci permette di esplorare l’intera isola, suddivisa in numerose aree specifiche.
Ogni area è dedicata ad una particolare tipologia di incontri e ci permette di gareggiare contro altri utenti da tutto il mondo. Nelle prime fasi, questa modalità propone anche una storia principale da seguire, per familiarizzare con le varie zone e con le dinamiche offerte dall’isola. Vincendo gli incontri e superando le numerose missioni e sfide che l’isola propone, il giocatore ha la possibilità di sbloccare punti da investire per il potenziamento e la personalizzazione dell’Avatar. In buona sostanza, The Island propone le stesse meccaniche viste nelle varie città presenti nella serie NBA 2K.
Anche questa modalità non ci ha convinti del tutto. Da un lato propone una sfida online più ricca ed articolata rispetto al passato. Tuttavia, l’idea sembra sfruttata solo a metà e non offre spunti di trama particolarmente intriganti o reali innovazioni di gameplay. Anche le varie storie che ci vengono proposte sanno molto di già visto e riprendono a piene mani da quanto mostrato dalle modalità My Rise delle scorse edizioni.
The Island sarà sicuramente apprezzata dagli amanti del gioco online ma difficilmente saprà conquistare chi era in cerca di reali innovazioni. A peggiorare ulteriormente la situazione, ci si mettono le microtransazioni. Questo elemento è infatti molto presente, soprattutto per quanto riguarda gli oggetti per la personalizzazione. Viene davvero da pensare che l’intera modalità sia stata pensata come specchietto per le allodole per attaccare i portafogli dei giocatori.
Ascendere…ancora una volta.
Parlando di My Rise, eccola fare ritorno anche quest’anno. Si tratta di una sorta di modalità storia in cui, dopo aver creato il nostro avatar, lo seguiremo nella sua scalata ai vertici della federazione. Sebbene sia un concetto già visto molte volte, My rise propone diversi spunti interessanti.
Anzitutto, questa volta le vicende della superstar maschile e di quella femminile saranno intrecciate. Dunque, nella stessa Run il giocatore deve per forza impersonare entrambi. Sebbene questo limiti la longevità, visto che la trama sarà praticamente la stessa per entrambi, dal nostro punto di vista rende la storia più interessante e scorrevole.
Per vedere tutti gli snodi e i vari finali è comunque necessario giocare la storia più volte, dal momento che alcune strade si sbloccheranno solo nelle run successive alla prima. Nel complesso abbiamo trovato questa modalità abbastanza ispirata, anche in virtù della storia che narra, incentrata su un ammutinamento da parte delle star di NXT ai danni dei roster “maggiori”. Unico neo della modalità, la presenza di fastidiosi bugs che causano il reset del gioco. Speriamo che gli sviluppatori risolvano presto il problema.
Un’offerta molto ricca
Per quanto riguarda le rimanenti modalità, WWE 2K25 segue molto da vicino il predecessore. Ritorna la modalità My Faction, nella quale il giocatore costruisce la sua squadra di wrestler collezionando una serie di carte collezionabili diverse per rarità e potenza.
Sebbene quasi identica a quella della passata edizione, quest’anno My Faction include anche una sezione World Tour, ideale per approcciarsi per la prima volta a questa modalità. Anche My Faction propone un numero enorme di sfide, missioni da completare, ed eventi che si aggiornano costantemente nel tempo. Ogni sfida può essere affrontata sia in single player che in modalità online.
Praticamente invariata risulta anche la modalità My Gm, in cui, nelle veste di uno degli storici General Manager WWE, siamo chiamati ad organizzare ed allestire i vari show settimanali, nel tentativo di conquistare la vittoria contro i Brand rivali. L’unica novità rilevante qui è il maggior numero di manager tra cui scegliere e la presenza di nuove carte e abilità che possono influenzare il nostro percorso.
Anche la modalità Universe, che ci permette di accompagnare una superstar, sia essa creata od originale, nel corso di tutta l’annata wwe, con la possibilità di modificare ogni show dell’anno e di giocare in prima persona i match proposti, appare sostanzialmente invariata. L’unica novità proposta da WWE 2k25 è il ritorno dei promo, che tuttavia risulatano spesso fiacchi e macchinosi da organizzare.
Di nuovo sul ring
Uno dei maggiori punti di forza di WWE 2K25 è certamente la sua varietà. Il roster è semplicemente sconfinato, con più di 300 superstar a disposizione tra atleti attuali e leggende del passato. Non mancano nemmeno le versioni “alternative” dello stesso atleta, basate su vari momenti della sua carriera. Completano il quadro alcuni personaggi “meme”, come Supercena o la versione giocattolo di Cody Rhodes.
Anche la selezione dei match è estremamente ricca. Oltre a tutte le tipologie di incontri viste in precedenza, fanno la loro comparsa il Bloodline match e l’underground match. Il primo è un incontro nel quale, tramite la pressione di un apposito comando, ogni lottatore ha la possibilità di chiamare un alleato in sua difesa. Le superstar coinvolte dipendono dalle amicizie e dalle affinità di ogni superstar, visibili nella sezione roster.
L’underground match è invece una sfida in cui vengono eliminate le corde del ring. La vittoria è possibile solo per KO, sottomissione o squalifica. Questi incontri si rifanno ad una serie di episodi di Raw in cui la categoria underground era una sorta di lega indipendente in cui si disputavano risse clandestine. Anche in questo caso, l’aggiunta risulta azzeccatta e propone incontri divertenti e dinamici, in cui scagliare gli avversari fuori dal quadrato è ancora più semplice e devastante.
Il gameplay di WWE 2K25
Per quanto riguarda i controlli, questa edizione ripropone la formula dei capitoli precedenti. I movimenti, le prese, gli attacchi e le reversal sono piuttosto semplici da eseguire e l’azione scorre quasi sempre in modo fluido e veloce.
Rispetto all’episodio precedente, 2K 25 reintroduce un minigioco legato al clinch, che aggiunge un ulteriore tocco di varietà agli incontri, pur senza stravolgere le meccaniche. Inoltre, sono state migliorate le interazioni, in particolare col bordo ring e con alcuni elementi ambientali.
Permangono purtroppo alcune sbavature. In alcune situazioni, ad esempio, il nostro personaggio sembra incapace di aggirare l’avversario a terra, rendendo ostico raggiungere il paletto. Negli scontri a squadre, poi, il sistema di puntamento risulta a volte poco funzionale e rende ostico selezionare il bersaglio giusto.
Meritano infine una menzione le battaglie nel backstage, che sono state rese ancora più varie e divertenti grazie all’inserimento di nuove ambientazioni. In particolare, ci ha colpiti favorevolmente l’archivio WWE, che contiene numerose citazioni alla decennale storia della federazione.
Grafica e comparto tecnico
Dal punto di vista tecnico, WWE 2K25 fa bene il suo lavoro, senza far gridare al miracolo. Il motore grafico del gioco ricorda molto quello dell’edizione 2K24, ma riesce a svecchiarlo e migliorarlo. In generale, le fattezze e la corporatura delle varie superstars appare più curata e verosimile, soprattutto per quanto concerne i visi e le espressioni facciali.
Permane purtroppo un certo gap tra le superstar più famose e i midcarder, i cui modelli risultano, in generale, meno realistici e non sempre fedeli alle controparti reali. Si nota una certa discrepanza anche tra le superstar machili e quelle femminili, sebbene la resa di queste ultime sia molto migliorata rispetto al passato. Da questo punto di vista, il gioco soffre la scelta di essere stato fatto uscire anche per le console di vecchia generazione. Un reale salto di qualità non potrà essere possibile finché non verranno realizzati episodi specifici per Series X/S e PS5.
Due parole anche sul sonoro che, ancora un volta non convince. Se da un lato sono presenti tutte le musiche degli ingressi delle superstars, dall’altro le tracce realizzate appositamente per il gioco risultano piuttosto anonime e poco varie, con l’alternanza tra brani rock e rap davvero poco ispirati.
Tirando le somme
In conclusione, WWE 2k 25 prosegue la striscia positiva della serie, iniziata con WWE 2k22. Pur senza portare innovazioni sostanziali o modalità particolarmente ispirate, WWE 2K25 propone un gioco di wrestling ricchissimo di contenuti, con un comparto tecnico nel complesso convincente e un gameplay divertente e rodato.
Purtroppo, il gioco resta davvero troppo simile al suo predecessore e non sembra offrire reali motivazioni che giustifichino l’acquisto, soprattutto per coloro che hanno già comprato WWE 2K24. Con WWE 2K25 gli sviluppatori hanno sicuramente svolto un buon lavoro, ma ogni aspetto del gioco sembra dare l’idea di un qualcosa di riuscito solo in parte, senza quasi mai toccare livelli di eccellenza.
Conclusione
WWE 2K25 ripropone la formula vincente dei suoi predecessori, senza stravolgerla. Il comparto tecnico, pur mostrando alcune migliorie, sembra ancora troppo ancorato al passato. Il gameplay, risulta divertente ed efficacie, ma non porta con sé novità davvero importanti. Le nuove modalità, infine, non riescono a convincere del tutto. Se siete fan del wrestling probabilmente adorerete questo gioco. Per tutti gli altri occorrerà valutare attentamente un eventuale acquisto.
7.5
Dettagli e Modus Operandi
Piattaforme: PS5, PS5 PRO, Xbox Series X/S, Microsoft Windows, PS4, Xbox One
Data uscita: 14/03/2025
Prezzo: 74,99 €
Ho giocato e completato il gioco su PlayStation 5.
Dopo ritardi, e incertezze aziendali, Ubisoft è pronta a lanciare Assassin’s Creed Shadows. Il fermento sul franchise è solitamente molto alto, ma quest’ultimo sembra essere ancora maggiore rispetto a Valhalla, perché l’ambientazione scelta dalla compagnia francese è attesa dalla community da molto tempo: il Giappone. Per questo motivo, a pochi giorni dall’uscita mondiale di Assassin’s Creed Shadows, vi informo di tutto quello che c’è da sapere per preparsi al meglio al day one.
Quando esce Assassin’s Creed Shadows?
Il nuovo videogioco di Ubisoft uscirà il 20 marzo 2025. Per essere più precisi, su PlayStation 5 e Xbox Series X/S sarà possibile cominciare a giocare dalle 00:00 del 20 marzo. Gli utenti PC invece potranno iniziare la scoperta del Giappone dalle 23:00 del 19 marzo se hanno acquistato su Ubisoft Connect. Chi ha scelto Steam dovrà attendere le 05:00 del 20 marzo.
Una notizia delle ultime ore ha aggiunto un’interessante novità per la community Xbox. Microsoft ha infatti comunicato che Assassin’s Creed Shadows sarà disponibile, a partire dal day one, su Xbox Cloud Gaming. Questo significa che tutti i possessori di Xbox Game Pass Ultimate potranno giocare al videogioco da subito.
Buone notizie anche per i possessori di Steam Deck. Ubisoft ha annunciato che Assassin’s Creed Shadows sarà garantito anche su Steam Deck sin dal day one. Valve non ha ancora confermato se si tratta di una piena compatibilità o parziale. A breve riceveremo sicuramente ulteriori dettagli.
Specifiche console
Dopo l’ultimo rinvio, Ubisoft ha rimaneggiato le specifiche console del gioco. A pochi giorni dal lancio, possiamo prendere per ufficiali e definitive le ultime mostrate. Assassin’s Creed Shadows avrà tre modalità su PlayStation 5, PS5 Pro e e Xbox Series X. Le modalità sono: Performance, Balanced e Fidelity.
Su PS5 e Xbox Series X, le caratteristiche sono le medesime: 2160p di risoluzione ed FPS bloccati rispettivamente a 60, 40 e 30 FPS con un utilizzo del Ray Tracing parziale. PS5 Pro differesce dalla sua versione “liscia” per il Ray Tracing Extended, completamente supportato ma solo nella specifica Fidelity.
Discorso diverso per Xbox Series S. La piccola di casa Microsoft avrà un’unica specifica con risoluzione a 1620P, 30 FPS e Ray Tracing “Selective”.
Secondo le ultime informazioni, il peso del gioco al day one è di circa 110GB.
Trama e Gameplay
Assassin’s Creed Shadows è ambientato nel Giappone Feudale. Durante la nostra campagna potremmo affrontare ogni missione impersonando uno dei due protagonisti. La prima è Naoe, assassina shinobi, esperta di furtività come molti protagonisti di Assassin’s Creed prima di lei. Il secondo è Yasuke, samurai che ricorda lo stile di lotta di Valhalla.
Qualunque sia la scelta, Ubisoft ha rivelato che la storia principale richiede tra le 30 e le 40 ore. Chi vuole invece portare a termine l’intero gioco, dovrà avventurarsi per circa 80 ore. Ovviamente, il contatore del tempo dedicato è destinato ad aumentare con i DLC e i contenuti gratuiti che arriveranno in seguito.
In aggiunta, Shadows è stato terreno fertile di critica per la modalità canonica. Si tratta di una versione del gioco in cui il videogiocatore non dovrà prendere decisioni, perché la trama sarà predeterminata, senza possibilità di deviazioni di alcun tipo. Jonathan Dumont, direttore creativo del titolo, ha giustificato questa scelta con la volontà di dare ai fan una narrazione definitiva e canonica, da aggiungere nella timeline del franchise.
Animus Hub
Come ampiamente spiegato qualche mese fa, Assassin’s Creed Shadows introduce un nuovo hub per la serie. Animus Hub è una piattaforma unificata che permetterà di accedere a tutti giochi del franchise da Origins in avanti.
Ed eccoci di nuovo qui, a forgiare armi ed armature, a costruire i nostri set per cacciare bestioni enormi e, almeno ufficialmente, per “salvare il mondo”. In realtà invece, “ufficiosamente”, il nostro scopo principale è rompere le parti dei mostri e costruire equipaggiamenti ancora migliori per affrontare nemici ancora più forti. Sì, Monster Hunter è tornato in tutta la sua potenza, confermando quella storica equazione che lo ha reso negli anni un masterpiece per gli amanti del genere, quel titolo per cui ogni capitolo della saga rappresenta attesa, hype e ore di gioco infinite.
Parliamoci chiaro: Wilds è il titolo che tutti, ma veramente tutti gli amanti di Monster Hunter aspettavano. Certo, come ogni uscita c’è sempre quel qualcosa che manca, quell’aspetto che “si poteva fare meglio” o quel mostro storico che “mi sarebbe tanto piaciuto combattere anche qui e invece non c’è”, ma, siamo onesti: i giocatori di MH sono esigenti, molto esigenti, sognano in grande, talmente in grande che spesso quello che si trovano davanti non gli basta. Ma questo non significa che non gli piaccia: lo dimostrano le otto milioni di copie vendute in soli tre giorni e gli oltre 1,3 milioni di giocatori attivi in contemporanea soltanto su Steam (e il gioco è crossplatform).
Il trionfo di Monster Hunter
Ma che cos’è che rende Wilds così speciale? Semplice: il nuovo titolo Capcom sancisce il ritorno al modello di Monster Hunter World, il capitolo della saga che si può fregiare di essere stato il primo a trasformare il prodotto di nicchia in un gioco adatto a tutti. Lo stesso non si può dire del suo successore, Monster Hunter Rise, un titolo bello e solido ma divisivo, concepito per essere un gioco dedicato principalmente ai giocatori Nintendo e alla “vecchia guardia”.
Su Wilds si è già detto tanto: il combat system aggiornato che aggiunge senza togliere nulla alle armi. La possibilità di personalizzare personaggi, compagni e accampamenti. Il nuovo sistema di “open world” senza una vera e propria base, ma con una serie di accampamenti a cui possiamo accedere liberamente con la nostra cavalcatura (e senza schermate di caricamento). Wilds è un gioco fresco, ma che rispetta la tradizione, un titolo a cui si riesce a perdonare (e no, non si dovrebbe mai) anche un’ottimizzazione non proprio perfetta per Pc.
La domanda da porci ora è: cosa ci si aspetta da questo gioco? Perché si sa, bella la storia, ma il vero Monster Hunter inizia dopo i titoli di coda, con l’apertura dell’High Rank e l’apparizione di mostri più forti. Anche in questo caso, arrivare al fatidico GC 100 (ossia il massimo Grado Cacciatore) è abbastanza semplice (ma non per questo poco divertente) e ora lo sguardo è proiettato verso i prossimi contenuti che verranno man mano rilasciati da Capcom.
Prospettive future
Intanto, così come accaduto in World e in Rise, partiamo dalle certezze. Ad un certo punto ci sarà un’espansione importante, che introdurrà il tanto atteso Master Rank e tutta una nuova serie di mostri, equipaggiamenti e nuove feature. Ci stiamo pensando già oggi, a pochi giorni dall’uscita? Ovvio, che domande, lo si attende con lo stesso hype con cui si attendeva l’uscita dello stesso Wilds.
Poi c’è tutta la serie di aggiunte che Capcom rilascerà piano piano, tra nuovi mostri o versioni alternative di nemici già conosciuti, così da dare una ventata d’aria fresca all’esperienza di gioco, con l’obiettivo di mantenere acceso l’interesse verso il titolo.
Date da ricordare
In tal senso, i prossimi appuntamenti sono già stati rivelati: ad inizio aprile, nelle lande comparirà un nuovo mostro che abbiamo imparato ad amare (e ad odiare) in Wilds: si tratta della Muzutsune, il cui esordio sarà accompagnato da una quest evento e da aggiornamenti addizionali, tra cui nuovi livelli di sfida e il tanto atteso Gathering Hub, una stanza in cui i cacciatori possono incontrarsi, comunicare e condividere pasti prima della partenza per una missione.
Capcom ha poi rivelato anche l’uscita di un altro aggiornamento, sempre gratuito, atteso per l’estate: in questo caso i dettagli sono pochi: ci sarà un mostro addizionale ancora ignoto, una quest evento e altro ancora.
Oltre a questi free update più succosi, ci saranno aggiornamenti regolari con altre quest: – Kut-Ku Gone Cuckoo: 4 Marzo – 11 Marzo (Mimiphyta alpha headgear) – Stalking Supper: 4 Marzo – 11 Marzo (Kunafa Cheese) – Tongue-Tied: 11 Marzo – 18 Marzo (Armor Spheres) – Kut-Ku Gone Cuckoo: 11 Marzo – 18 Marzo (Mimiphyta alpha headgear) – Ballet in the Rain: 18 Marzo – 25 Marzo (Glowing Orb) – Sand-Scarred Soul: 18 Marzo – 25 Marzo (Glowing Orb)
Insomma, non resta che continuare a cacciare, perché se abbiamo capito bene, Wilds è un mondo che Capcom continuerà a popolare con costanza, per rendere l’esperienza di gioco mai ripetitiva e sempre in linea con le aspettative dei giocatori.
Ah la prima PlayStation! Quanti bei momenti passati davanti a quello scatolotto grigio pieno di emozioni, che prendeva ognuno di noi per mano trascinandoci in nuovi mondi tutti da esplorare. E quanti titoli, quanti generi, quanta varietà! Non mancava proprio nulla, ce n’era per tutti i gusti. Almeno così mi hanno detto. Già, perché sono nato un pelo dopo gli anni d’oro del videogame: io infatti, classe 2001, ho vissuto gli albori della PlayStation 2 che reputo la miglior console di sempre (ma è un mio parere personale). Purtroppo, titoli come Tomb Raider, Metal Gear Solid e Resident Evil per me erano sconosciuti, me li sono dovuto recuperare poi una volta cresciuto. E tra questi, mi duole dirlo, persi persino il messia dei “giochi di botte”, colui che ascese dal cielo per mostrare all’umanità intera come si crea un picchiaduro, ovvero Tekken 3.
Tekken 3, un mito senza tempo
Sono molto affezionato alla serie di Tekken dato che è la mia “fighting saga” preferita. In particolare, all’epoca di Playstation 2, ero letteralmente in fissa con Tekken 5 (che rimane il mio capitolo preferito): tra le tante modalità presenti ricordo che Namco aveva inserito la possibilità di giocare ai primi 3 prequel, ma ai tempi ero ancora un bambino e li reputavo abbastanza brutti.
Ora che sono cresciuto e che i miei gusti sono cambiati, dopo aver giocato davvero a Tekken 3 posso dire che mi ha davvero stupito: una volta finito il capitolo precedente, mosso dalla curiosità mi sono lanciato subito sul suo sequel e sono rimasto davvero incredulo da quello che stavo vedendo, pur essendo un gioco con tanti anni alle spalle.
Cosa mi ha portato a rimanere così sbalordito per molti sarà evidente: chi lo ha giocato sa perfettamente quali sono state le innovazioni che questo capitolo ha portato, trasformandosi in un vero e proprio tormentone per parecchi anni. Ma, per parlarne meglio e per comprendere effettivamente cos’è stato rivoluzionato, bisogna spendere due parole su quello che la saga di Namco voleva diventare all’inizio.
Tekken prima di Tekken
Dopo l’uscita di Tekken 2, Namco sembrava aver deciso quale strada seguire per la sua saga. Il secondo capitolo, infatti, non era nient’altro che il primo limato dai suoi difetti. Nessuna scelta fu più azzeccata di questa. Namco riuscì a creare un’infrastruttura solida e divertente, oltre che rigiocabile più volte grazie all’aggiunta di diverse modalità.
I fan non potevano chiedere di meglio: certo, i personaggi erano un insieme di poligoni che si muovevano, ma è altrettanto vero che erano presenti molti più colori a schermo che donavano più dettagli. Ogni personaggio aveva uno stage dedicato e il roster era molto più vario rispetto al capitolo precedente.
Le musiche erano orecchiabili, le modalità di gioco erano accolte positivamente e i personaggi erano caratterizzati molto bene (è impossibile dimenticarsi del bellissimo King in cravatta o dei capelli stravaganti di Heihachi Mishima). Inoltre, il gameplay era fatto veramente bene per i tempi che correvano: le animazioni donavano al gioco una buona dose di realismo ed eseguire le combo è ancora oggi appagante.
Dalle stelle alle galassie, il manuale secondo Namco
Tekken 2, in un certo senso, appariva ancora troppo simile al competitor di Sega, ovvero Virtua Fighter. Il gioco di Namco divenne famoso principalmente grazie alla console di Sony, ma non era abbastanza. Per questo, un anno dopo l’uscita di Virtua Fighter 3, la casa nipponica decise di mostrare il suo nuovo Tekken 3 con un trailer dedicato ad un evento per giochi arcade, ottenendo il riscontro positivo desiderato.
La gente rimase sbalordita e, quando nel 1998 uscì tra gli scaffali, Tekken 3 tenne fede alle promesse fatte. La fluidità di gameplay era (ed è ancora) davvero stupefacente considerando che era un gioco Playstation 1: io, che l’ho giocato da poco, ho trovato ancora gratificante ogni singolo colpo, anche a distanza di quasi trent’anni dall’uscita.
La facilità con cui si possono concatenare tutte le mosse con così tanta fluidità dona una sensazione di realismo e di immedesimazione senza precedenti soprattutto per l’epoca. Tekken 3 sembrava capace di teletrasportare il videogiocatore all’interno di quello che sta accadendo a schermo in quel momento.
Tekken 3 è diventato famoso anche per la meccanica del sidestep: premendo due volte il tasto per saltare o per abbassarsi, il nostro PG può fare un passo in profondità verso di noi o dalla parte opposta, aggiungendo la possibilità di poter attaccare su più lati e non solo frontalmente.
Tutto ciò avviene in armonia con la telecamera dinamica, che segue i movimenti dei nostri personaggi anche durante le animazioni di grappling, donando delle azioni sempre in movimento per ogni livello che affronteremo.
Una struttura di gioco diversa
Gli avversari da battere sono sempre i classici dieci, ma con un’eccezione: chi ha giocato i primi due capitoli sa che per ogni personaggio che scegliamo è presente un rivale dedicato che troveremo negli ultimi livelli del gioco.
Tekken 3 invece ci propone dieci livelli come sempre, ma i primi otto avversari sono randomici mentre gli ultimi due, che sono i boss finali, sono sempre gli stessi. Questo perché la storia del gioco non è più incentrata sulle singole rivalità tra i membri del roster, ma tutti insieme dovranno unire le forze per sconfiggere i due nemici in comune.
Per quanto riguarda la difficoltà, non ci sono più tutti quegli stratagemmi usati per rendere il gioco più difficile, ma che in realtà facevano solo arrabbiare il giocatore. Ora infatti il nostro personaggio, se viene scaraventato a terra, si rialzerà quasi subito, in linea con la rapidità del gioco.
I combattimenti, oltre a essere veloci, risultano perfettamente bilanciati. Sin dalla prima partita si ha la sensazione di poter battere chiunque e che basti solo trovare il modo giusto per farlo. Ora infatti non troveremo più un Lee che spara calci a raffica senza mai fermarsi e senza poterlo mai interrompere.
Prendendo spunto da quello che è stato fatto nel precedente capitolo, Namco ha deciso di tenere le modalità che hanno contribuito a prolungare la vita del gioco, ma con alcune aggiunte.
Come nel prequel sono ancora presenti le modalità Sopravvivenza, Squadre e Pratica, ma viene aggiunta la Tekken Force Mode, una modalità alla Double Dragon dove camminando con il nostro personaggio dovremo sconfiggere i membri della Tekken Force. Abbiamo poi la modalità chiamata Tekken Ball Mode, dove dovremmo letteralmente fare una partita a pallavolo colpendo la palla con pugni e calci.
Cosa ha reso Tekken 3 memorabile
Se qualcuno ha buon gusto lo piò notare subito e Namco, all’epoca, ha dimostrato di averne a vagonate. Per esempio, vogliamo parlare di quanto sono belle le aree di combattimento? Come nel prequel, gli sviluppatori hanno creato per ogni personaggio un’arena dedicata. La cosa che mi ha sorpreso è la sensazione di unicità che ho provato nel vedere quei posti virtuali.
Infatti sono riusciti a creare delle mappe diversificate tra loro, inserendo degli elementi in grado di renderle facilmente distinguibili fin da subito. Inoltre, se si conosce la storia dei personaggi, risulta facile capire perché ad ogni personaggio è stata assegnata quella determinata zona, dando cosí una sensazione di coerenza.
Il tutto è accompagnato da una colonna sonora che ancora oggi risulta essere fuori di testa: Tekken 3 infatti ha un accompagnamento musicale di tutto rispetto che risuona ancora nelle memorie dei giocatori.
Tutto il merito va a Nobuyoshi Sano, che ci ha saputo davvero fare riuscendo a creare qualcosa che richiamasse lo stile rivoluzionario del gioco. Harada, il direttore di Tekken 3, racconta su Playstation Blog :
Ero un grande fan di Sanodg (Nobuyoshi Sano, ndr), per cui ho pensato di coinvolgerlo nel progetto ma a volte avevamo opinioni divergenti. Il concetto di Digital Rock era troppo alla moda e difficile da comprendere per noi. Disse che il suono digitale era il futuro e alla fine mi decisi ad affidargli l’intera direzione della musica, la quale si è rivelata una scelta giusta.
La bellezza del titolo si vede anche nei particolari più piccoli, come il vestiario dei personaggi: nessuno può dimenticare i pantaloni fiammeggianti di Jin Kazama, la tuta di Eddy o i pantaloni FILA abbinate a delle scarpe leggere e sportive di King. Gli sviluppatori sono riusciti nell’intento di creare un abbigliamento univoco, in linea con i tratti caratteriali dei personaggi, rendendoli così iconici.
Perchè Tekken 3 ha fatto la storia
In quegli anni il titolo di “miglior picchiaduro 3D” era conteso tra Tekken e Virtua Fighter di SEGA, ma alla fine degli anni ’90 il vincitore indiscusso fu il titolo di Namco. Chiedersi a questo punto il perché è assolutamente lecito, dato che le risposte sono molteplici.
Per quanto io sia un fan della serie di Tekken, devo ammettere che, graficamente, il titolo di SEGA è nettamente migliore, grazie al fatto che il Dreamcast era più potente della console di Sony. I fondali, i movimenti dei personaggi e il comparto tecnico generale sono alcuni degli aspetti su cui Virtua Fighter 3 predomina a mani basse su Tekken 3. Ma allora cosa ha spinto i fan a preferire il secondo rispetto al primo?
Il segreto del successo
La risposta è da ricercarsi tra diversi fattori: prima di tutto bisogna considerare come la Namco ai tempi prese la decisione di far uscire il suo titolo su PlayStation e non su Dreamcast. Infatti, per quanto potesse essere più potente, non era così popolare come la console di Sony, che era diventata un’icona pop.
A causa di alcune meccaniche, il gameplay di Virtua Fighter era molto più complesso di quello di Tekken. Per fare il famoso sidestep bisognava fare una combinazione di tasti molto più lunga e difficile rispetto a premere il tasto su (o giù) velocemente per due volte di seguito.
Il gameplay del titolo SEGA era indirizzato a chi aveva già famigliarità con i titoli precedenti, mentre Namco ha preferito fare un “piccolo reboot”, mantenendo comunque una certa continuità con i prequel.
Infine ecco il motivo più importante: ipersonaggi erano davvero caratterizzati al meglio, con delle musiche e delle arene che richiamavano sempre il combattente a cui erano dedicate. Tutto ciò ha contribuito, un po’ come Ryu di Street Fighter o Scorpion di Mortal Kombat, a rendere determinati personaggi veramente famosi e iconici, il tutto sulla console più venduta degli anni ’90.
Tutte ciò ha contribuito a rendere Tekken 3 quello che è diventato: un prodotto che è riuscito a far parlare di sè anche fuori dal mondo videoludico, diventando un’ icona POP riconosciuta da chiunque.
E questi sono i motivi che hanno portato Tekken 3 a fare la storia dei videogiochi. E voi cosa ne pensate? Lo avevate già giocato o non lo avete mai provato finora? Fatecelo sapere sotto nei commenti e ricorda di seguirci per non perdere i prossimi articoli! E già che ci sei, perchè non dai uno sguardo alla nostra recensione su Tekken 8?
Sono cresciuto con una venerazione per Bullfrog Productions. Theme Park e Theme Hospital furono giocati da tutti i miei cugini, me compreso, il più piccolo tra tutti. Per la giovane età, vidi il titolo sui parchi tematici solo di sfuggita, ma giocai con avidità Theme Hospital per centinaia di ore. Ero troppo piccolo per essere bravo con i gestionali. Per questo motivo sono grato a Mark Webley e Gary Carr – ormai icone del settore anche grazie ai loro successivi capolavori come Black & White e Fable – per aver inaugurato Two Point Studios. Dopo aver amato, e recensito Two Point Hospital, rieccomi dunque di nuovo a capo di una strampalata équipe, questa volta per dirigere e fornirvi la recensione di Two Point Museum, un nuovo gestionale che ci porterà a essere il direttore di svariati musei (contemporaneamente).
Mi aspetto poche obiezioni all’affermazione: “Two Point nasce come vero erede di Theme Hospital”. Al primo titolo dello studio dobbiamo dare il merito di averci fatto rivedere su chiave moderna il difficilissimo Theme Hospital, semplificandolo ma mantenendo intatta la sua natura. Two Point Museum invece ha fatto qualcosa di simile con i suoi predecessori più moderni, Two Point Hospital e Two Point Campus, nel bene e nel male.
Two Point Museum basa tutta la sue esperienza su basi solidissime, che ben conosciamo. Le modalità di gioco sono due: storia (o carriera oserei dire) e una libera, un vero e proprio editor sandbox dove impostare tutte le regole della partita in totale libertà. La modalità storia mi ha fatto impersonare un direttore di museo, in totale cinque, su cui balzare (quasi) contemporaneamente. Il primo museo, incentrato sulla preistoria, è anche il tutorial del titolo. Per i veterani, Two Point Museum è come andare in bici: hai il dubbio, dopo tanti anni, di non ricordarti come si fa, ma una volta in sella ti accorgi che niente è cambiato.
Il punto più evidente di questa somiglianza è di natura tecnica: la grafica e le texture sono esattamente quelle dei primi due capitoli. Da un lato è piacevole vedere le stesse proporzioni su un tema diverso, ma qualche sforzo in più sarebbe stato gradito. Questo non significa che Two Point Museum non sia bello da vedere, anzi. I personaggi sono strambi al punto giusto e l’ambientazione museale si adatta perfettamente allo stile no-sense di tutta la serie. L’obiettivo è sempre lo stesso: fare soldi attraverso la felicità dei clienti. E per farlo bisognerà adornare i propri musei nel mondo più stravagante. Forse anche troppo.
Per diventare il migliore nel mio campo, ho dovuto riportare in auge musei ormai in crisi. Partendo da zero, ho dovuto costruire dalle fondamenta (o quasi) i nuovi musei. L’inizio ricorda quanto già visto nel passato, più o meno recente. Il gameplay, almeno nella modalità storia, si concentra sul soddisfare requisiti basati sul guadagno, far felici i visitatori, ma anche costruire strutture sempre più all’avanguardia. Per farlo è stato necessario assumere un personale qualificato. Ai classici cassieri e addetti alla pulizia e manutenzione, si aggiungono le guardie che evitano furti al museo e ovviamente gli esperti archeologi, dediti ai tour guidati in museo e soprattutto le spedizioni.
Dovrebbe stare in un museo
La vera, e ben riuscita, novità di Two Point Museum sono le spedizioni. Ogni museo di fama internazionale deve avere dei reperti unici. Per ottenerli, ho assoldato dei novelli Indiana Jones (come si può notare dall’abbigliamento degli esperti di preistoria) che ho mandato in giro per il mondo. Nel gioco questo si traduce nel cliccare su un velivolo che aprirà una mappa in stile gioco da tavolo. Potremmo muoverci tra le caselle e scegliere dove mandare la nostra troupe di esperti. Ogni spedizione potrà essere composta da uno o più membri del nostro museo, e non solo archeologi. Ovviamente mandare un inserviente o un cassiere in spedizione, significa perdere un prezioso aiuto all’interno del museo. Toccherà a noi trovare il giusto bilanciamento per soddisfare i visitatori, scoprire nuovi reperti con le spedizioni e non pagare troppi stipendi.
Purtroppo per i veterani, non è difficile tarare l’ago della bilancia. Di fatto, tutta la gestione economica si basa proprio sullo stipendio del personale. Nel caso in cui quest’ultimo sarà infelice, basterà aumentare di qualche punto percentuale il suo stipendio, per dimenticarsi del problema, anche se durante la spedizione ha contratto una malattia o rischiato di essere azzannato.
Anche se le spedizioni sono la parte più divertente, la vittoria si ottiene gestendo al meglio il museo, e soprattutto curandosi della felicità dei visitatori. Per farlo bisogna comprendere i suoi bisogni e soddisfare la loro sete di – cito testualmente – coinvolgimento e conoscenza. Per le necessità umane, così come avveniva in passato, basta cliccare sulla scheda di ogni visitatore per capire cosa manca al museo. Il perno principale però sono quei due requisiti, e novità del titolo: coinvolgimento e conoscenza.
Ogni reperto mostrato all’interno del museo può fornire un numero massimo di coinvolgimento e conoscenza. Posso tradurre il concetto di coinvolgimento con “divertimento”. Ogni reperto dovrà essere abbellito per poter maggiormente appassionare il visitatore. Purtroppo, questo si tramuta in trasformare il museo in un circo di dubbio gusto, pieno di ammennicoli che hanno come unico scopo quello di maxare la statistica di coinvolgimento. Lo stesso vale per la conoscenza, che aumenterà aggiungendo cartelli informativi vicino al reperto. E se poi vorrete rompere il gioco, allora ci vorrà poco: ho piazzato cartelli e abbellimenti anche davanti ai reperti senza ottenere alcun malus.
Come avrete già capito, Two Point Museum fa del colore il suo punto forte. E anche se con qualche esagerazione, ci riesce alla grande. Tanto i reperti quanto le location (cinque, tutte diverse, tra fantasmi, dinosauri e spazio) sono bellissime. Anche le strutture edificabili all’interno del museo sono per la maggior parte gradite e divertenti novità. Non mancherà la stanza dello staff o il laboratorio di ricerca, ma la stanza dei fantasmi (veri fantasmi) o i giochi dei bambini (che come specifica il gioco: sono immuni alla conoscenza) mi hanno fatto davvero divertire.
Un mix leggero
Per i nuovi del franchise, Two Point Museum è un divertentissimo inizio. Per i veterani, un simpatico riempitivo che si prende poco sul serio, ma che non ha osato abbastanza. La scelta di trasformarmi in direttore di museo è grandiosa. La follia del franchise è perfetta per i musei, le spedizioni e le sue location. Purtroppo, tutto è troppo simile ai precedenti capitoli. Dal terzo episodio mi aspettavo qualcosa di più. La strada è buona, ma ci vogliono sforzi extra sia in termini tecnici che di gameplay (soprattutto in una maggiore profondità della gestione) per poter gridare al capolavoro come abbiamo fatto per Two Point Hospital (che risorgeva dalle ceneri di EA) e come fatto per Theme Park e Theme Hospital (erano altri tempi, ma soprattutto altri livelli di difficoltà).
Two Point Museum è un videogioco che divernte per tante ore, ma che ha mostrato sia fan che agli sviluppatori che non è più tempo di imboccare la strada sicura. Senza modificare il core, come è stato fatto, non si poteva fare di meglio, ma dopo Museum non potrà esserci un altro capitolo simile. Mark Webley e Gary Carr dovranno osare di più.
Conclusione
Two Point Museum è una rivisitazione senza rischi dei precedenti capitoli. Le novità sono tutte divertenti e ben riuscite, in particolare le spedizioni. La location dei musei e dei reperti è il posto perfetto per sviluppare la follia del franchise. Purtroppo però l’intero gioca sa di già visto e le novità potrebbero non bastare a tutti gli appassionati dei gestionali. I neofiti trovano in Two Point Museum un ottimo punto d’inizio, poiché la difficoltà è chiaramente tarata verso il basso. Gli esperti invece potrebbero trovare divertenti solo le prime ore di gioco. Una volta viste e scoperte le ottime novità del titolo, avranno ben poche possibilità di saggiare un gestionale che possa metterli in difficoltà.
GSC Game World ha annunciato una notizia che rallegrerà i fan dello studio di sviluppo ucraino. Con un post su Steam, la software house ha festeggiato i 6 milioni di giocatori su STALKER 2. Non sono stati rivelati ulteriori dettagli su questa statistica, ma si tratta in ogni caso di un successo che vale la pena riportare.
Queste le parole di GSC Game World:
La Zona non è mai stata così rumorosa! Nelle aree di sosta, gli stalker cantano canzoni e suonano la chitarra. Le risate si sentono ovunque: da Zalissya a Wild Island e oltre! A un certo punto anche il Quiet’s Camp si è trasformato in un ingorgo.
Oggi festeggiamo i 6 milioni di stalker che sono venuti a giocare a S.T.A.L.K.E.R.2: Heart of Chornobyl. Sei milioni! Una cifra difficile da comprendere, ma reale grazie a voi. Siamo incredibilmente grati e orgogliosi che ognuno di voi abbia lasciato un segno unico nella Zona.
Da quando è uscito, nonostante tutte le sue difficoltà dovute dall’invasione russa in Ucraina, STALKER 2 ha raggiunto ottimi successi sia in termini commerciali che di critica videoludica. Sei milioni di giocatori sono un numero importante considerando il livello di difficoltà di STALKER 2.
Il prossimo capitolo della celebre saga, Doom: The Dark Ages, promette di ampliare la sua narrazione con un maggiore focus sulla trama. Gli sviluppatori hanno confermato che il gioco includerà più cutscene rispetto ai titoli precedenti, rispondendo così alla crescente richiesta dei fan di un universo narrativo più strutturato. Se finora la serie si è sempre concentrata sull’azione frenetica, questa volta la storia avrà uno spazio più significativo.
Fin dai primi capitoli, Doom ha messo il gameplay al centro dell’esperienza, lasciando la trama spesso sullo sfondo. Con The Dark Ages, questa tendenza cambia: il gioco introdurrà più scene d’intermezzo per sviluppare meglio la trama, offrendo ai giocatori uno sguardo più approfondito sulla mitologia e sugli eventi che plasmano il mondo di gioco.
Il direttore creativo ha spiegato che questa scelta deriva dalla volontà di arricchire l’universo di Doom, senza tuttavia appesantire l’esperienza con troppi elementi narrativi. L’obiettivo è trovare un equilibrio tra azione e storia, mantenendo il ritmo serrato tipico della serie.
Un’evoluzione dettata dai fan
A spingere gli sviluppatori verso questa direzione è stato l’interesse crescente della community per la lore della serie. I giocatori si sono dimostrati sempre più affascinati dai dettagli narrativi nascosti nei giochi precedenti, portando il team a dare maggiore spazio alla trama di Doom The Dark Ages. Questa evoluzione dimostra come il franchise continui ad adattarsi alle richieste del pubblico, senza snaturare la sua essenza.
Nonostante l’aggiunta di nuove cutscene, Doom: The Dark Ages rimarrà fedele alle sue radici: azione frenetica, combattimenti brutali e un’ambientazione oscura e coinvolgente. Il nuovo equilibrio tra gameplay e narrazione potrebbe rendere l’esperienza ancora più immersiva, attirando sia i veterani della serie che i nuovi giocatori.
Doom: The Dark Ages è atteso il 15 maggio 2025 su Xbox Series X/S, PlayStation 5 e PC.
Il 28 febbraio 2025, Capcom ha pubblicato Monster Hunter Wilds su PlayStation 5, Xbox Series X/S e PC. Il nuovo capitolo della serie, sequel del fortunato Monster Hunter: World, ha già superato ogni record di vendite e guadagni. Sia per quanto riguarda Capcom che per l’intera industria videoludica.
Sul proprio sito ufficiale, Capcom ha rivelato che Monster Hunter Wilds ha venduto, nei primi tre giorni, otto milioni di copie. Grazie a questo record, Monster Hunter Wilds è il videogioco Capcom più velocemente venduto nella storia dell’azienda. Un successo straordinario se pensiamo che sia riuscito a superare franchise iconici come Street Figther, Resident Evil e Devil May Cry.
A questo traguardo se ne aggiunge anche un altro dichiarato da GameDiscoverCo: Monster Hunter Wilds ha generato entrate per oltre 69 milioni di dollarinelle prime 24 ore su Steam. Il valore è poi raddoppiato già a partire dal 2 marzo: 150 milioni di dollari di entrate su Steam.
Record straordinari che dimostrano l’amore del pubblico verso la serie e il divertimento che Monster Hunter sta dando, e ha dato in passato, a tutti i suoi videogiocatori.
Noi appassionati di videogiochi lo sappiamo bene, creare un videogioco ha mille sfaccettature, che vanno oltre la grafica ed il gameplay. La creazione di un gioco comprende una e cento arti, tanto da arrivare, almeno per i giochi tripla A, ad impiegare centinaia di persone per il suo sviluppo. Anche il doppiaggio svolge ormai un ruolo fondamentale.
Uno degli aspetti importanti nel processo di sviluppo, vista anche la trasformazione nel corso del tempo del videogioco da semplice passatempo a media da intrattenimento, in cui spesso abbiamo personaggi con caratteristiche ben definite e una storia a fare da sfondo, è il lavoro del doppiatore, che dona voce ai personaggi e che fa emozionare e coinvolgere i giocatori.
Proprio per questo, ho avuto il piacere di intervistare Alessandro Ambrosio, giovane emergente nel panorama del doppiaggio italiano. Alessandro ha all’attivo un bel po’ di esperienza fandub, ma è coinvolto già in alcuni progetti professionali.
I primi passi
IlVideogiocatore.it: Ciao Alessandro, benvenuto sulle pagine del nostro blog, grazie per aver accettato la nostra proposta di intervista, cominciamo subito.
Alessandro Ambrosio: È un grande piacere per me! È la mia prima intervista, cercherò di fare bella figura!
IlVideogiocatore.it : Com’è iniziato il tuo percorso nel doppiaggio? Quali gli studi e cosa ti ha spinto ad avvicinarti anche a quello dei videogiochi?
Alessandro Ambrosio: Già da quando avevo quattro anni avevo le mani sopra una tastiera e un mouse. Ho imparato tantissime cose giocando a quei vecchi giochi educativi su CD-ROM nei quali ti insegnavano tutte le varie parole e concetti per i più piccoli, includendo anche la lingua inglese, che ho ormai reso la mia seconda lingua continuando a crescere e a giocare, imparando una parola diversa ogni giorno che passava.
Creavo storie ispirandomi a quelle che vedevo nei videogiochi quando giocavo coi miei giocattoli. Mi piaceva dar loro voci diverse e fargli esprimere varie emozioni. Inconsciamente stavo già “doppiando” i miei primi personaggi! Col tempo mi sono avvicinato di più al concetto di doppiaggio: cominciavo a riconoscere le voci dei doppiatori e mi divertivo a ridoppiare scene di giochi, film o animazioni.
Dopo il liceo mi sono iscritto a un corso di recitazione e in seguito ho frequentato la Voice Art Dubbing, un altro corso di recitazione ma specifico per il doppiaggio, che consiglio vivamente a tutti quelli che sono interessati a questo mondo, o che vogliono solamente imparare a gestire meglio la propria voce e lavorare sulla propria timidezza.
È un team di grandi professionisti del settore che mi hanno aiutato a fare progressi incredibili. Mi sono infine iscritto a un sito di Freelance come Speaker, dove mi sono stati commissionati più di 400 ordini!
Giochi preferiti e sfide
IlVideogiocatore.it: Sei quindi anche un appassionato di videogiochi? Quali sono i tuoi preferiti?
Alessandro Ambrosio: I videogiochi sono parte della mia vita e devo davvero molto a loro. Ormai ho perso il conto di quanti ne abbia giocati e adoro scoprire titoli nuovi, ma ritorno spesso a giocare ad alcuni dei miei preferiti, come ARK, World of Warships… e poi Skyrim.
In qualche modo finisco sempre a rigiocarlo di nuovo. Ultimamente poi mi sto appassionando al mondo di Warhammer e ho finito Space Marine 2, che mi ha riportato parecchio indietro nel tempo con un’esperienza di gameplay di impatto che non si vedeva da molto in un titolo tripla A.
ARK: Survival Ascended
IlVideogiocatore.it: Quali sono state le maggiori sfide che hai incontrato o che stai incontrando e, se ce ne sono state, quali difficoltà hai superato?
Alessandro Ambrosio: Se riascoltassi i miei vecchi audio di quando ho iniziato mi verrebbe da piangere. Non per nostalgia, ma perché sono terrificanti! Ho fatto davvero enormi progressi dopo aver studiato e ne vado molto fiero.
A volte però mi capita di correre troppo e mangiarmi qualche parola. Questo è molto frustrante per me, ma so che è solamente questione di pratica costante e prima o poi mi perfezionerò. Ora non mi resta che fare il mio primo turno di doppiaggio in un vero e proprio studio. Dopo aver fatto un grosso giro per Roma, potrei aver scoperto qualche contatto per cominciare!
IlVideogiocatore.it: Come ti prepari per il ruolo da doppiare in un videogioco?
Alessandro Ambrosio: Prima di iniziare cerco di ottenere tutti i dettagli possibili da chi mi sta commissionando, dall’aspetto fisico alla storia, ma mi è stato insegnato che per conoscere un personaggio basta rispondere a due domande: “Chi è” e “Qual è il suo scopo”. Poi segue un riscaldamento vocale di qualche minuto, preparo l’interfaccia audio, avvio la registrazione ed entro nella mia cabina.
IlVideogiocatore.it: C’è un ruolo oppure un personaggio che ti piacerebbe doppiare in futuro?
Alessandro Ambrosio: Ti dirò la verità, non c’è mai stato un “personaggio preferito” su cui avrei voluto sentire la mia voce. Ho sempre pensato che qualsiasi opportunità che potessi ricevere in questo settore sarebbe stata preziosa per me. Per questo non vedo l’ora di potermi mettere in gioco.
Forse mi piacerebbe essere un Astarion da Baldur’s Gate 3. Neil Newbon ha conquistato il pubblico con la sua performance e il suo personaggio iconico, e anche a me piacerebbe lasciare un segno del genere prima o poi!
Astarion, Baldur’s Gate 3
Prospettive per il doppiaggio
IlVideogiocatore.it: Da esperto del settore come vedi il presente del doppiaggio di videogiochi in Italia e come ne vedi il futuro?
Alessandro Ambrosio: Il doppiaggio in Italia viene preso molto sul serio, ed è ormai diventata una tradizione che va avanti da generazioni. Posso dire che facciamo un ottimo lavoro, ma ci sono tante persone che preferiscono godersi i titoli in lingua originale e non possiamo biasimarli. Spesso capita che nel doppiaggio italiano l’adattamento modifichi eccessivamente le frasi, dandone un senso completamente diverso.
Infatti, se poi vai a risentire quella stessa frase in lingua originale, ti viene solo da dire “Ma come ci sono arrivati a dire ‘sta roba?!”. Poi noi eliminiamo completamente gli accenti, mentre in lingua originale ce n’è quasi sempre una grande varietà. Ciononostante, il doppiaggio italiano è in grado di regalare emozioni se non addirittura più potenti di quelle originali, e continuerà a farlo. È questione di gusti in fondo!
Esperienza sul campo
IlVideogiocatore.it: Invece, parlaci ora della tua esperienza. So che hai partecipato ad un progetto indie in uscita su Steam, ma anche di un ingaggio fortuito in un noto gioco free to play, raccontaci un po’.
Alessandro Ambrosio: Hanno richiesto la mia voce in vari progetti indie. Uno dei più recenti è stato Days of Defiance, un progetto in sviluppo di Robo Poets (Demo disponibile su Steam ndr) nel quale la nazione di Escalia è governata da due tiranni, e il giocatore ha il compito di fondare una resistenza assemblando una squadra di professionisti, portare a termine varie missioni, gestire le proprie risorse e il benessere della squadra.
Questi ultimi infatti potrebbero accumulare stress durante le operazioni, addirittura rifiutandosi di seguire gli ordini o scappare in preda al panico. Insomma, un po’ come se X-COM e Darkest Dungeon si fondessero. È stato molto divertente recitare la parte di uno dei professionisti. Ho dovuto registrare i vari “bark”, ovvero le risposte degli NPC a varie azioni del giocatore, come ad esempio quando vengono selezionati, quando gli vengono dati ordini ecc.
Ho dovuto registrarle proprio in base alle emozioni del personaggio in questione, da motivato ad arrabbiato, ed è stato molto divertente! Per quanto riguarda l’altro gioco, forse più di un anno fa mi è stato commissionato un lavoro su un gioco di guerra, dove il mio ruolo era quello di un caricatore su un carro armato, ma non mi era stato detto di quale gioco si trattasse.
Al tempo ero ancora a metà dei miei studi e non avevo ancora la mia cabina di registrazione. Avevo il microfono messo su uno stand nel mio armadio! I vestiti attutivano le onde sonore, cancellando una buona parte del riverbero, così da non dover fare troppe modifiche a livello tecnico (se volete iniziare, è un ottimo metodo!).
In ogni caso, qualche mese dopo aver concluso questo ordine, ripresi a giocare a War Thunder, perché ho una fissa con i veicoli da guerra e questo gioco riesce a darmi sempre un’ottima esperienza. Dopo aver selezionato l’Italia come nazione ed essere entrato in gioco, la partita inizia sempre con un “ready check” dei vari operatori del carro. Infatti ad un certo punto sento la frase “Caricatore pronto!” e penso tra me e me: “Questa voce mi è un sacco familiare…”.
Dopo che mi si ricarica la mitragliatrice del carro, sento di nuovo: “Mitragliatrice pronta!”. Allora mi fermo e mi dico “Aspetta un attimo… ma sono io!”. Ed ecco come ho scoperto di essere finito su War Thunder!
War Thunder (2012)
Il bello del doppiaggio
IlVideogiocatore.it: Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
Alessandro Ambrosio: La cosa più bella è che io non lo considero nemmeno un lavoro. Per me è come se fosse uno dei miei hobby, e mi diverto tantissimo a farlo. E nel momento in cui il tuo lavoro ti diverte, credo tu abbia raggiunto un grande obbiettivo nella tua vita. Immaginate che mondo sarebbe se tutti quanti ci divertissimo ad andare a lavoro!
IlVideogiocatore.it: Quali consigli daresti a coloro che vogliono intraprendere una carriera nel doppiaggio di videogiochi?
Alessandro Ambrosio: Comincerò dal dire che è un settore molto difficile dove inserirsi. Prima era molto più facile accedere a uno studio per assistere a un turno e farsi poi sentire, ma dopo il COVID si è chiuso un po’ tutto. Io che di recente ho fatto un giro a Roma, avrò chiesto a più di una decina di studi e quasi tutti mi hanno detto di no.
Fortunatamente però ho trovato un paio di studi che ricontatterò a breve, e ho avuto modo di fare amicizia con un doppiatore che era disposto ad aiutarmi se mai avessi avuto bisogno.
Perciò i miei consigli sarebbero: dedicatevi anima e corpo a questo lavoro, oppure non fatelo, perché dovrete allenarvi costantemente e perfezionarvi, e dedicare buona parte del vostro tempo a quello una volta che sarete nel giro; non scoraggiatevi, ma continuate a provare e riprovare. Questo vale sia per le vostre registrazioni e allenamenti, sia per quanto riguarda il cercare opportunità di lavoro.
IlVideogiocatore.it: Progetti per il futuro?
Alessandro Ambrosio: Dato che mi trovo più vicino a Roma, sto attualmente cercando lavoro lì, e se tutto va bene mi ci trasferirei direttamente, così da facilitare i miei spostamenti. Ho un piano B, ovvero Milano, dato che insieme sono le capitali del doppiaggio, e spero di riuscire finalmente ad inserirmi nel giro, conoscere tante nuove persone e poter dare la mia voce a tantissime opere diverse.
IlVideogiocatore.it: Bene Alessandro, l’intervista è conclusa, grazie mille per il tuo tempo, ti auguriamo tanto successo per il futuro!
Alessandro Ambrosio: Grazie per avermi dato l’opportunità di dire la mia, a presto!