Essays on Empathy è una collezione di esperimenti che dimostrano come un’opera videoludica può essere un medium affascinante per raccontare delle storie con un alto contenuto emotivo, senza necessariamente coinvolgere freneticamente l’utente. Ci piace vedere questo titolo come un buon punto di partenza, in attesa di un seguito maggiormente organico e complesso da parte del talentuoso Deconstructeam.
6.5
Negli ultimi anni, l’importanza culturale dei videogiochi è stata rivalutata, permettendoci di godere di titoli con una forte componente narrativa. Ancor prima di What Remains of Edith Finch, gli sviluppatori di Deconstructeam hanno improntato i loro progetti interamente su esperienze ricche di emozioni umane; Essays on Empathy è una raccolta di dieci opere in cui Jordi, Marina e Paula hanno osato lavori dall’alto impatto emotivo, di cui De Tres al Cuarto è la nuova esperienza di punta.
Brevi, ma intensi
Ad eccezione di De Tres al Cuarto, Essays on Empathy è diviso in nove giochi con una longevità inferiore ai trenta minuti. Ogni opera affronta sempre tematiche diverse, accomunate dal loro essere forti e attuali.
Le opere sono affrontabili in qualsiasi ordine, ma riteniamo che gli autori abbiano seguito un percorso ben preciso, da sinistra verso destra. Il primo gioco è Underground Hangovers, il titolo più dinamico della collezione: un action a scorrimento laterale in cui sono trattate le tematiche dell’alcolismo; i successivi due videogame si concentrano sulla narrativa cyberpunk già vista in The Red Strings Club: Zen and the Art of Transhumanism e Supercontinent Ltd.
Cyberpunk
In Zen and the Art of Transhumanism impersoneremo un’artigiana di perk per essere umani. Questi add-on modificano le caratteristiche fisiche o psichiche del corpo che li ospita: starà a noi decidere se rendere un cliente competitivo o se inibire la sua volontà, rendendola semplicemente felice.
Supercontinent Ltd è un intrigo testuale con protagonista un hacker, coinvolto suo malgrado in un rapimento. L’intero videogioco si svolge al telefono e si divide in due fasi principali: trovare i numeri, da scrivere rigorosamente a mano, e usare le parole giuste per scoprire il contorto meccanismo che si cela dietro a tutta la vicenda.
Tragiche decisioni
In ogni caso, starà a noi decidere che strada intraprendere in Essays on Empathy.
Engolasters January 2021 dovremmo trovare un difficile equilibrio nella nostra vita. Muovendoci in una mappa innevata dovremmo bilanciare due eventi distinti: fenomeni paranormali, che potrebbero lanciare la nostra carriera giornalistica e la forte volontà di nostro figlio di scappare via da casa. Lo stesso gameplay è il motore di Dear Substance of Kin, il cui protagonista può plasmare il carattere degli abitanti di un piccolo villaggio, rimuovendo le caratteristiche che preferisce al costo di sacrifici umani.
Decisioni ancora più traumatiche possono essere prese in Eternal Home Floristry, dove creare un bouquet significa far incontrare sessualità e morte. Qualcosa di meno doloroso, se lo vorremmo, potremmo provarlo in The Bookshelf of Limbo: dovremmo “semplicemente” leggere titoli e prefazioni di libri, il regalo per nostro papà.
Vittime della vita
Quelli che riteniamo i giochi più riusciti della collezione hanno come protagoniste due donne. Behind Every Great One racconta la routine di una moglie costretta a subire le subdole pressioni del marito artista e della sua famiglia. In quest’opera, vestiremo i panni di una casalinga vicina all’esaurimento nervoso, che dovrà sacrificare se stessa per la carriera del marito.
Anche più macabra è l’avventura 11.45 A Vivid Life: lo scopo del gioco è asportare parti del nostro corpo e dare una motivazione delirante per giustificare l’autolesionismo.
De Tres a Cuarto
L’inizio dell’avventura ci avverte che questo videogame durerà circa 90 minuti e non ci saranno punti di salvataggio: gli autori ci vogliono raccontare una storia senza interruzioni, tutta d’un fiato.
De Tres a Cuarto è un duo comico in tournée, che aprirà svariati spettacoli in giro per la Spagna. Impersoneremo un giovane cabarettista, che pronuncerà le proprie battute seguendo un sistema di deckbuilding formato da quattro carte carte: blank, poor, punch e build. Le prime tre, dalla più scadente alla migliore, concludono la battuta e forniscono un punteggio in monete; la carta build permette di continuare il dialogo, aumentando anche il livello delle battute.
Nonostante il mazzo e la qualità delle battute sia migliorabile, l’obiettivo di De Tres a Cuarto è narrare la storia di due giovani artisti omosessuali, che stanno costruendo una relazione raccontando le proprie avventure, paure e ambizioni, senza alcun tabù.
Oltre il gioco
Dare eccessiva impoortanza al lato tecnico di Essays on Empathy significherebbe demolire delle ottime idee, che ci hanno permesso di riflettere sulla nostra vita per svariate ore. Il titolo di Devolver Digital e Deconstructeam presenta svariati bug, anche molto basilari. Per esempio, a volte, non è possibile passare a schermo intero o bisogna chiudere un titolo con ALT+F4; inoltre, i giochi sono spesso legnosi e i comandi non sempre rispondono come dovrebbero.
D’altro canto, la pixel art crea la giusta empatia con il videogiocatore, che percepirà esattamente le emozioni che gli sviluppatori vogliono trasmettere. Allo stesso modo, musiche e suoni riescono a farci percepire intensamente le (molto spesso) tragiche scelte della trama.
Conclusione
Essays on Empathy è una collezione per chi considera i videogiochi un altro modo di raccontare, per chi percepisce il medium videoludico come una valida alternativa a cinema e libri. Il titolo di Deconstructeam non è la migliore avventura interattiva che sia mai arrivata sul mercato, ma riesce a raggiungere il cuore e la mente del videogiocatore fornendo qualche ora di impegnativo divertimento.
Death’s Door è la versione contemporanea dei giochi d’azione old school. Il titolo è decisamente meno impegnativo dei suoi predecessori, ma fornisce un’esperienza praticamente perfetta in tutte le sue componenti. L’opera di Acid Nerve non ha nessun punto debole e qualunque sia la vostra priorità quando valutate un videogioco, Death’s Door vi sorprenderà, facendovi divertire per ore.
9
Negli ultimi anni, i videogiochi indipendenti hanno colmato il vuoto delle major producendo titoli action che hanno settato i nuovi standard dell’industria. Dopo i successi di Supergiant Games (Hades) e Motion Twin con (Dead Cells), riuscire a produrre qualcosa di innovativo è decisamente complicato, ma neanche necessario. Death’s Door è la dimostrazione vivente che per creare una piccola gemma è sufficiente prendere il meglio di quanto già giocato, adornalo con uno stile artistico sublime e cucirgli addosso una trama toccante.
L’ineluttabilità della morte
Death’s Door racconta la ciclica vita dei corvi, animali che hanno il compito di traghettare gli esseri viventi dal mondo dei vivi verso l’aldilà. Ad ogni soul reaper viene assegnata una porta, che rimane aperta fino a quando l’anima prescelta non passa a miglior vita. Una volta terminato il compito, la porta si chiude e un’altra si apre, in un ciclo infinito.
Dietro questa fondamentale missione ci sono pennuti costretti a un lavoro ingrato e noioso; di gran lunga più simile a un’ordinaria giornata d’ufficio postale, piuttosto che a fantastiche avventure in un contesto mitologico.
Purtroppo, anche questo moto perpetuo è imperfetto: ci è stata sottratta la nostra ultima anima, con il risultato che non potremmo chiudere la nostra porta fino a quando non la ritroviamo. Come da contratto, fino a quando una porta è aperta, siamo mortali e rimarremo tali fino a quando essa non sarà chiusa.
Nella realtà dei fatti, le porte che dovremmo aprire prima di raggiungere l’agognata meta saranno svariate. Muoversi all’interno delle porte comporterà scontrarsi con creature, che si opporranno alla nostra missione; solo i colpi di arma da taglio e magia ci permetteranno di avanzare. I tanti scontri che affronteremo ci condurranno alla Death’s Door; la porta che nasconde un triste passato fatto di regnanti oppressori, che ingiustamente hanno sovvertito la naturale regola della mortalità, almeno fino ad oggi.
Inspirato
Death’s Door è un crogiolo di riferimenti dei migliori videogiochi degli ultimi anni. Un videogiocatore attento noterà citazioni in tutte le componenti del titolo e rimarrà sorpreso di quanto siano geniali quelle su The Legend of Zelda e Dark Souls.
Nonostante il sub-genere più pertinente sia l’action isometrico, l’opera di Acid Nerve contiene al suo interno un’anima da Metroid “opzionale”; infatti, anche sbloccando nuove abilità, sarà necessario tornare indietro solo per brevi tratti, a meno che non si voglia completare il gioco al 100%. In quest’ultimo caso, dovremmo rivedere i livelli precedenti e utilizzare le nuove magie per raggiungere mete secondarie.
Nonostante la visuale isometrica ricordi Diablo e Hades, Death’s Door adotta un gameplay molto più simile alle avventure Nintendo. Il gioco è suddiviso in livelli a cui accederemo attraverso una hall come in Super Mario 64, ma ognuno di questi è un vero e proprio micro-mondo di The Legend of Zelda; infatti, le mappe sono predefinite, i nemici respawnano sempre negli stessi punti e sarà fondamentali imparare i percorsi da seguire e i pattern dei nemici.
Pochi precisi colpi
Death’s Door non offre un gameplay particolarmente variegato, ma tutto funziona estremamente bene. I nostri attacchi principali sono tre: attacco base con un certo numero di colpi consecutivi (swing) che dipendono dall’arma; attacco caricato, che dopo un attimo di pausa fa un danno ad area; attacco in corsa, che dopo una capriola effettua un danno ad area, ma necessita di prendere le misure con estrema accuratezza.
A questi, si aggiungono gli attacchi speciali: essi permettono di fare danno magico aggiuntivo, ma il loro scopo principale è risolvere una serie di enigmi ambientali per andare avanti tanto nella missione principale quanto nei percorsi secondari.
Piccole migliorie
Durante la partita partiremo con quattro cuori, che rimarranno tali, a meno di non riuscire a trovare tutti e quattro gli altari nascosti, che ci permetteranno di avere al massimo un cuore in più (il medesimo discorso vale per le barre dell’attacco speciale).
La stessa pecunia di miglioramenti vale per armi e abilità. Le prime sono cinque e totalmente opzionali: si trovano solamente seguendo percorsi alternativi e cambiano solo parzialmente il vostro stile di gioco rendendolo più o meno veloce. Le abilità, invece fanno parte della storia principale e saranno fondamentali per svolgere gli enigmi tanto della missione principale quanto dei percorsi più nascosti, ma anch’essi sono solamente quattro: arco, gancio, palla di fuoco e bomba magica.
Potremmo acquistare dei miglioramenti alle statistiche con una valuta ottenibile sconfiggendo i nemici che incontreremo lungo il percorso; considerando che ogni volta che moriremo, le creature ritornano in vita, sarà impossibile avere un vero e proprio stallo, poiché la morte ci consentirà comunque di accumulare risorse da spendere per diventare più forti.
Death’s Door non è un titolo estremamente difficile, ma la possibilità di errore è ridotta al minimo a causa del basso numero di cuori e barre di attacco speciale (che si ricaricano dopo ogni colpo messo a segno). Aspettatevi di morire e ripartire dall’ultima porta più volte, ma chiunque dovrebbe essere in grado di arrivare al boss finale, che richiede un maggiore impegno (e un’attenzione ai dettagli maniacale) rispetto al resto del gioco.
Pattern collaudati
Tutte le creature che dovremmo affontare, dai minion fino alle giant soul, hanno dei movimenti e degli attacchi predefiniti; questo rende il gioco abbastanza prevedibile per i più esperti, ma anche un’ottima palestra per i casual gamer. I boss principali da affrontare sono cinque, a cui si aggiungono una serie di mini-boss decisamente coriacei. Queste creature hanno un enorme carisma che proviene dal loro set di mosse e movimenti e che aumenta ulteriormente per le giant soul; infatti, queste anime dialogheranno con noi e ci mostreranno la grandezza della loro immortalità attraverso un level design dei loro mondi sublime, oltre a una caratterizzazione artistica di prim’ordine.
Conclusione
Death’s Door è un titolo eccezionale, che ricalca i capolavori del passato fornendo un’esperienza di gioco completa in tutti i suoi punti principali: il livello artistico è magnico; il level design rende la sfida sempre nuova e intrigante; i nemici principali hanno carisma da vendere; il titolo riesce a essere impegnativo, ma mai impossibile.
Per il prezzo a cui viene proposto, Death’s Door è un must per qualsiasi videogiocatore che voglia cimentarsi in un action isometrico per una decina di ore: gli esperti potranno cogliere i riferimenti ai vari capitoli di The Legend of Zelda, dalle armi alle creature; i neofiti potranno innamorarsi di un genere storico, provando un po’ di frustrazione tipica di questo genere, senza mai avere la paura di doverlo abbandonarlo per un eccesso di difficoltà.
Uniti a Roccavento è un’espansione di transizione con spunti molto interessanti: i ferri di mestiere e le serie di missioni ripescano da un glorioso passato, fornendo una gradevole aggiunta al gioco. Quest’ultime in particolare sono carte decisamente forti che ci permettono di attendere la nuova modalità Mercenari con la giusta dose di divertimento.
7.5
Hearthstone si rinnova con la seconda espansione dell’anno del grifone: Uniti a Roccavento. La quinta espansione del formato standard è dedicata all’Alleanza e molti membri di questa fazione di World of Warcraft ritroveranno tante vecchie conoscenze. Uniti a Roccavento ha 135 nuove carte e presenta tre feature, di cui una ci riporta indietro a quattro anni fa, precisamente a Viaggio a Un’Goro: sono tornate le carte missioni, con una piccola innovazione.
Scambio
Stormwind è il centro nevralgico dell’economia dell’Alleanza e una la meccanica scambio lo enfatizza. Una volta pescate, queste carte possono essere barattate con una carta casuale del mazzo, alla modica cifra di 1 mana.
I mazzi di Hearthstone sono formati da solamente 30 carte. Di conseguenza, questa meccanica potrebbe abbattere la varianza e farci trovare la carta giusta al momento giusto. Gli archetipi che sfruttano al meglio questa feature sono i control e i combo, ma può tornare utile in tutti quei casi in cui si abbia l’esigenza di pescare la propria finisher. Scambio è per forza di cose molto meno interessante per i tempo e gli aggro, che tendono a massimizzare le riserve di mana.
Come al solito, il tempo ci dirà quali sono le carte più forti dell’espansione, ma sicuramente qualcuna è da tenere sotto osservazione già adesso:
Sovrascarico: non sappiamo se si arriverà addirittura a costruirci un archetipo attorno, ma questa magia aggiunge qualcosa che non si era mai visto su Hearthstone: sbloccare il Mana in sovraccarico. In generale, lo sciamano ha tante carte forti, che sono bilanciate dal sovraccarico: questo induce il giocatore a ragionare su due, o addirittura tre turni, prima di usare determinate carte con questa meccanica. Con Sovrascarico, invece aumenterà la possibilità di vedere dei tempo shaman seriamente competitivi.
Estorsione dell’IR:7: tre danni a costo uno, sinergia con la missione di classe e si può anche scambiare se la partita va avanti nel tempo. La rivedremo in tanti mazzi del ladro.
Bandistrice d’Asta Jaxon: anche se questa carta può sembrare lenta, potrebbe trovare molto spazio in alcuni combo deck: la possibilità di rinvenire dal proprio mazzo, ogni volta che giochiamo una carta scambio, aumenta le probabilità di avere le carte giuste al momento giusto. Una creatura interessante per gli OTK.
Ferri del Mestiere
Un altro ritorno sono le armi con 0 di attacco, che in Uniti a Roccavento prendono il nome di ferri del mestiere. Rispetto alle armi di Coboldi & Catacombe, che attivavano degli effetti all’inizio o fine del turno, i ferri del mestiere forniscono degli effetti dopo che sono state rispettate determinate condizioni. Tutte le armi sembrano avere un potenziale, ma è necessario un mazzo che ne sfrutti le doti. Tra le più interessanti abbiamo:
Set d’Inchiostro Celestiale (Mago): la sinergia con la nuova missione del mago può garantire una magia a costo 5 totalmente gratis.
Verga di Mithril Runica (Stregone): esattamente come per il mago, quest’arma è già usata nei mazzi Questline Lock: in hearthstone, tutto quello che riduce il costo in mana è pericoloso.
Frenesia del Leone (Cacciatore di Demoni): quest’arma può potenzialmente tradare qualsiasi creatura ed essere al contempo una finisher strepitosa, ma deve avere a supporto un mazzo che consenta di pescare tante carte in un singolo turno.
Serie di Missioni
Le quest di Viaggio a Un’Goro erano fortissime, ma avevano un forte limite: se non si attivavano per tempo, le partite erano una vera e propria agonia. Le serie di missioni, invece si dividono in più parti: ogni volta che viene completata una sub-quest, si riceve una ricompensa e una nuova missione. La ricompensa solitamente attiva un effetto che permette di far respirare il proprio gioco fino all’ottenimento della ricompensa finale, che facilita notevolmente la nostra partita.
I mazzi questline sono ovviamente i più provati in questa prima parte del meta e siamo certi i prossimi tier 1 gireranno attorno questa meccanica. Queste sono le tre serie di missioni per noi più interessanti:
Seme Demoniaco (Stregone): sacrificare più punti vita possibili per ottenere i grandi vantaggi delle carte del warlock e attivare la ricompensa finale, che trasforma il proprio dolore in danni inflitti all’avversario. La consistenza è tutta da verificare, ma lo stregone ha molte carte che permettono di rendere questo archetipo intrigante.
Difendere il Distretto (Cacciatore): l’hunter ha già degli archetipi molto forti, ma ci piacerebbe tanto giocare nuovamente lo spell hunter . L’idea è fare danni con le magie per poi aggiungere alla mischia anche il potere eroe. Semplice e, forse, efficace.
Stratagemma dell’Occultista (Mago): non siamo certi che sia una delle tre migliori quest, ma l’archetipo spell è una variante storica del mago. Avere +3 danni magici permette di tradare qualsiasi costa a costi irrisori e fare danni diretti molto seri.
Conclusione
Uniti a Roccavento è un’espansione che innova un glorioso passato con idee divertenti. Non si tratta di una rivoluzione, che si spera arrivi con la nuova modalità Mercenari del prossimo autunno, ma la nuova espansione di Hearthstone rimescola gli archetipi grazie alle serie di missioni: le quest sono sempre state molto forti per essere trascurate e anche questa volta manterranno la scena fino al prossimo grande evento.
Nell’era della crossmedialità, ogni successo deve potersi muovere da un mezzo di comunicazione all’altro per fornire diversi aspetti dell’opera: superata quota 1,5 milioni di deck venduti a fine 2019, KeyForge rientra tra le scommesse vinte. Esattamente come Magic: l’Adunanza, anche il nuovo gioco di carte del medesimo autore, Richard Garfield, è diventato un’opera letteraria. KeyForge – Racconti del Crogiolo è un libro contenente nove racconti, che ci hanno piacevolmente raccontato la variegata ed entusiasmante vita all’interno del Crogiolo
Autori armati
L’opera a cura di Charlotte Llewelyn-Wells prende vita dalla penna di nove autori. Circa metà di questi hanno già avuto modo di raccontare l’altrettanto diversificato universo di Warhammer 40.000, mentre i restanti hanno un prolifico background nel mondo fantasy e fantascientifico. Nei racconti del Crogiolo, questa esperienza si tramuta in una serie di novelle travolgenti e scanzonate, che ci hanno fatto passare diverse ore di divertimento, senza mai chiedere al lettore di conoscere accuratamente il mondo di KeyForge.
La paura del nuovo
In KeyForge, i giocatori impersonano gli Arconti, che sfruttano i poteri dei protagonisti del Crogiolo, divisi tra loro in fazioni denominate Case del Crogiolo. Nelle avventure che abbiamo letto, le Case si intrecciano tra loro vivendo la vita le proprie convinzioni e pregiudizi, ricordandosi che sopra di loro ci sono sempre gli Arconti.
La prima storia che leggeremo è “Il Contratto”: le avventure di un membro delle Ombre che è stato di recente catapultata nel Crogiolo. Vittima del caos, ha accettato un accordo che prevede l’abbattimento di “Url Il Poderoso”, anche se lo scopo della novella è raccontare il malessere di stare in un nuovo luogo all’improvviso, senza una vera volontà di rimanerci. Spaesata e costretta a lottare per sopravvivere, la protagonista, prima di affrontare Url Il Poderoso, dovrà fare i conti con se stessa e vincere la paura di appartenere a un mondo che ha trovato in lei qualcosa di positivo.
Amicizia e amore
I racconti del Crogiolo narrano anche, e soprattutto, di protagonisti ormai dentro il sistema. “Nell’Apprendista”, Roz lavora nell’officina di Grizl Crustic, un buon capo con il vizio dell’azzardo, tanto da giocarsi TRIS, il robot guardiano di Roz, a cui deve la vita. L’Apprendista narra la favola di chi non vuole perdere ciò che ama, combattendo fino in fondo e ottenendo come ricompensa un amore ancora più grande. Nella novella di Cath Lauria, tutto questo si tramuta in una nuova avventura per Roz, che parte alla ricerca di un tesoro da barattare al posto di TRIS e che termina con un nuovo etereo amico.
Anche “Il Duello della Bibliotecaria” parla di amore. La trama di Hutchins racconta della piccola Marya, uno spirito che vive dentro la biblioteca della madre Arash: una donna che ha speso tutto i suoi avere per permettere a sua figlia di materializzarsi sotto forma di ectoplasma tra i libri. Infatti, Marya si nutre di divertimento, emozione necessaria per essere ben visibile agli occhi della madre. Il racconto è una vita di sacrifici, che diventa infernale quando Arash è costretta a ripagare un libro non può permettersi. Solo a questo punto, la madre farà conoscenza di chiassosi brobnar,che dimostreranno come anche personalità estremamente differenti possano coesistere, se l’amore e la volontà di fare del bene sta al centro di tutto.
Totalitarismo
Nel Crogiolo, la vita in comunità è difficile. Soprattutto se il tuo corso di laurea prevede una ricerca nella casata di Marte, una fazione xenofoba sempre sul piede di guerra. “L’Esame di Stermino” narra della scarsa propensione dei marziani di fidarsi del prossimo, con risultati che possono diventare catastrofici per due laureande. La storia di Kolli e Nal’ai nasconde al suo interno la dura realtà del provare a far integrare una comunità che non vuole far parte di un mondo multiculturale, anche se non conosciamo mai a fondo i motivi per cui l’impero marziano sia così ostile.
La Casa di Marte, oltre a essere poco socievole con le altre razze, ritiene la competizione l’unico modo per sopravvivere nel Crogiolo. “L’Organismo Perfetto” ci mostra le ricerche di Briilip volte a creare l’arma definitiva che possa sconfiggere il Tiranno. La volontà di eccellere di Briilip non è un egoismo personale, perché va contro le regole dell’impero marziano: è un disperato tentativo di sopravvivere alla rieducazione della regione di Nova Hellas, un mix tra le pratiche del Vietnam e Arancia Meccanica. In questo contesto così duro, Briilip rinnova la sfida tra Angeli ed Evangelion mostrando quanto possa essere dura la vita in una dittatura militare.
Xenofobia demoniaca
Il tema della xenofobia, con toni più cupi, si può constare anche in “Utili Parassiti”: la novella narra di un elfo curatore che alleva un parassita demone Dis in grado di rimuovere il dolore dalle persone. L’intreccio di amore, nostalgia per un affetto passato e xenofobia della comunità si uniscono in un finale per nulla banale, in cui il buon senso prevale, spiegando come alcune creature hanno comunque i propri istinti, che possono scontrarsi con il bene degli altri.
Azione
I racconti del crogiolo contengono anche storie più avventurose, in cui l’intrigo è la parte fondamentale della lettura come in “Caccia al Ladro” e “Wibble e Pplmiz, Investigatori in Vendita”.
“Caccia al Ladro” di Thomas Parrot ha una trama degna di Lupin. Nalea è una ladra di preziosi, ma dovrà scontrarsi con uno dei più abili detective del Crogiolo: un plot twist effervescente, che ci ha piacevolmente coinvolti e condotti fino alla fine di un racconto della Casa delle Ombre. “Wibble e Pplmiz, Investigatori in Vendita” è invece la ricerca di una sorella scomparsa sotto l’esperta guida di due investigatori, tanto strani quanto abili. Ancora una volta i demoniaci Dissono i cattivi senza scrupoli, ma l’insegnamento è importante: i problemi che ci vengono addosso, a volte, sono figli delle nostre scelte egoistiche.
Per i fan
Infine “Criptomani” è un elogio agli appassionati dei medium contemporanei. Gli amanti dei giochi di carte, giochi da tavolo e cosplay trovano in questo racconto di David Guymer un vero e proprio ringraziamento. Criptomani racconta la battaglia campale definitiva, svolta in un vero e proprio gioco di ruolo dal vivo. Una storia di passione così esilarante, che a tratti ricorda Febbre da cavallo dell’immortale Gigi Proietti.
Conclusione
KeyForge – Racconti del Crogiolo usa lo stile di James Joyce per raccontare un mondo variegato e molto spesso complicato. Le storie sono tutte abbastanza diverse tra loro e nessuno faticherà a trovare almeno un racconto da leggere con piacere. Alcuni autori riescono a creare un livello empatico maggiore rispetto ad altri, pur mantenendo lo stile di lettura estremamente semplice e chiaro, ma tutti i racconti sono piacevoli.
I racconti del Crogiolo sono un’ottima lettura estiva per tutte le età: ogni novella è contenuta in una trentina di pagine e la necessità di ricordare nomi e fatti è minima. Le storie non necessitano di una particolare conoscenza di KeyForge: questo rende il libro adatto veramente a tutti, anche se i fan del gioco di carte potrebbero storcere il naso. Infatti, alcune trame sembrano adattate a KeyForge e potremmo trovarle in qualsiasi altra ambientazione, come Warhammer 40.000 di cui molti autori sono esperti conoscitori.
Dariusburst Another Chronicle EX+ è un ottimo videogioco, che subisce un pessimo porting da cabinato. Il gameplay è eccezionale e i contenuti sono tantissimi, ma la fruizione su console è ostica, a tratti frustrante. Il prezzo non proprio budget rende l’acquisto interessante solo ai veri appassionati, consapevoli che Nintendo Switch non è la miglior piattaforma su cui usufruire di tale esperienza.
6.5
Quante volte avete desiderato che i cabinati, siti nella sempre amata saletta giochi, si teletrasportassero direttamente nella vostra stanza? Io tante, tantissime volte, e scommetto che chi ha vissuto gli anni 80-90 ha condiviso con me quel desiderio. Schiere di cabinati, ognuno dal considerevole peso ed ingombro, sfoggiati in file ordinate, pronti per l’ennesimo giro in cerca dell’highscore.
Ora corre l’anno 2021 e la tecnologia ha fatto davvero passi da gigante; dieci, cento, mille cabinati, tutti racchiusi sul palmo della nostra mano, tutti a nostra disposizione. È incredibile pensare come quintali, tonnellate di scatoloni metallici possano esser racchiusi in una minuscola scheda MicroSD dal peso di appena 2 grammi, prontamente usufruibili, e soprattutto non richiedano più quelle dannate monetine, che puntualmente mancavano al me stesso di circa 23 anni fa.
Eppure – come già avevo accennato durante la recensione di R-Type Final 2 – un cabinato sul palmo di una mano semplicemente non è un cabinato; il feeling è differente, l’ergonomia è differente, le caratteristiche hardware sono differenti. Dariusburst Another Chronicle EX+ è il perfetto esempio di come un cabinato ed una console portatile non vadano sempre equiparati.
Dariusburst nasce come titolo prettamente arcade, ovvero destinato alle sale sale giochi, e Another Chronicle EX+ è di fatto un remix del capitolo originale Dariurburst; abbiamo quindi a che fare con il porting – ad opera di Pyramid – di un titolo per cabinato, e questo causerà più di qualche problema alla fruizione su console, ma andiamo con ordine.
Ittiologia spaziale
Lo sappiamo tutti, la trama non è proprio l’elemento centrale di uno Shoot ‘em Up a scorrimento, e la saga di Darius non fa eccezione. Vi basti sapere che l’umanità anche stavolta deve vedersela con l’Impero Belsar, e per farlo ha a disposizione un’unica, potentissima arma, ovvero il caccia Silverhawk. Fin qui nulla di nuovo, umanità contro razza aliena ed un’astronave pronta a vincere la guerra, ovviamente in solitaria. Quel che sin dal primissimo capitolo – rilasciato nel 1986 – ha contraddistinto la serie è proprio l’aspetto peculiare dei nemici; esseri meccanici dalle fattezze di pesci, crostacei, molluschi e varie creature marine. Ovviamente Dariusburst Another Chronicle EX+ non fa eccezione, proponendo per l’ennesima volta scontri con nemici storici, stavolta reinterpretati in praticamente ogni colorazione possibile, con decine di varianti dei tanti boss presenti.
Un calamaro meccanico, tipico design di qualsiasi nave spaziale che si rispetti
A contrapporsi a questo grande acquario spaziale abbiamo la storica navetta Silverhawk, sola ed unica protagonista dell’intera saga. In contrapposizione a ciò che avviene con tanti shmups moderni – ovvero inserire meccaniche su meccaniche – Darius continua nel suo approccio più classico al genere. La Silverhawk è equipaggiata con un cannone primario ed un fuoco secondario – solitamente missili o bombe – e può potenziare il proprio armamentario raccogliendo globi colorati, prontamente rilasciati dai nemici abbattuti. È però presente una novità, che dà anche il nome alla nuova serie di capitoli. La Silverhawk è infatti equipaggiata con un Cannone Burst, un grande laser in grado di infliggere enormi danni ed eliminare quasi tutte le pallottole nemiche che incontra. Ovviamente un’arma tanto potente ha anche un utilizzo limitato, e va ricaricato abbatendo nemici o schivando pallottole. Vi è inoltre la possibilità di sganciare il modulo burst dalla nave, utilizzandolo così come una torretta in grado di coprire una certa porzione di schermo ed a funzionare da scudo al tempo stesso.
Attenzione ai laser nemici!
I livelli, come sempre, sono contrassegnati da varie lettere, presentando una struttura ad albero; si comincia scegliendo da quale dei tre stage iniziali si voglia partire, ed all’abbattimento dell’immancabile boss viene data la possibilità di scegliere quale tra le due zone successive si desideri affrontare. Ogni partita dura esattamente 3 livelli, di difficoltà ovviamente crescente. Ciò porta il totale degli stage a 12, ma come vedremo a breve in realtà gli stage sono molti, molti di più tra varianti e remix.
Il titolo si compone di 4 modalità. Original Mode, ovvero la modalità standard, e Original Mode EX, l’hard mode, che consiglio solo ai veri appassionati, visto l’elevatissimo grado di sfida. Event Mode, composta da 21 stage remixati e rilasciati per il cabinato originale, oggi finalmente disponibili anche su console. E poi quella che considero la modalità più interessante, ovvero la Chronicle Mode; centinaia di stage in multiplayer asincrono, in cui i giocatori sono chiamati a liberare vari sistemi solari, respingendo pian piano l’impero Belsar in vari stage che presentano le condizioni più disparate, come ad esempio il completamento con un solo credito a disposizione. Insomma, di contenuti ve ne sono davvero tantissimi, e terranno impegnati per decine di ore, seppur manchi un qualsivoglia contenuto sbloccabile che giustifichi un esborso di tempo simile.
Ecco la schermata di selezione che verrà presentata a stage ultimato
È particolarmente encomiabile la cura riposta nella realizzazione di ciascuno stage, che suggerisce da subito al giocatore l’utilizzo del cannone burst; non è raro infatti che i nemici attacchino su più lati dello schermo, rendendo così necessario l’utilizzo del modulo burst per fronteggiare un’ondata mentre la navetta comandata dal giocatore ne sistema un’altra; o ancora, potrebbe rivelarsi necessario utilizzare il cannone burst per fronteggiare i cannoni laser nemici, o utilizzarlo come screenclear nelle fasi più concitate.
Insomma, per quanto concerne il gameplay siamo davanti ad un lavoro sopraffino, e pad alla mano il divertimento è tanto. Ed a proposito di pad, è d’obbligo citare l’implementazione del HD Rumble in Dariusburst; potente e ritmata, la vibrazione del pad restituisce un ottimo feeling, e rende l’esperienza decisamente più appagante. Devo però precisare che a volte la vibrazione è anche troppo potente, e più di una volta mi sono chiesto se quel rumble – praticamente continuo durante gli stage – facesse bene alla mia Switch. Fortunatamente vi è la possibilità di settarne l’intesità – che è impostata al massimo di default – nel menù principale, graditissima aggiunta.
Uno spiacevole retaggio
Eccoci arrivati al più grande difetto di Another Chronicle EX+, ovvero la sua natura da titolo arcade. Il cabinato di Dariusburst si compone di due schermi da 32″ posti uno di fianco all’altro, ed il gioco è creato proprio in quel formato; la visuale dello stage è decisamente più ampia rispetto alla quasi totalità degli shmups in commercio e questa soluzione hardware garantisce un colpo d’occhio notevole, avvolgendo chi si trova davanti ad un arcade simile.
Qui però sorge il problema, come avranno fatto i ragazzi di Pyramid a rendere tale aspetto su una console portatile con schermo da 6,62”? Come vi avevo anticipato ci troviamo davanti ad un porting nudo e crudo – arricchito di qualche trascurabile opzione – quindi l’unica soluzione possibile è l’inserimento di due vistosissime bande nere all’estremità superiore ed inferiore dello schermo, soluzione già adottata per tante conversione di shmups; soluzione che ahimè non funziona per Dariusburst, essendo il titolo sviluppato per una visuale estremamente ampia.
Immaginate di dover leggere queste scritte su di uno schermo 6,62″
Il risultato è che la fruizione del titolo risulta davvero ostica, specie in modalità portatile, con una piccola porzione di schermo che deve racchiudere davvero troppi elementi; più di una volta ho riscontrato difficoltà nel manovrare la nave o vedere un proiettile nemico, visto quanto risultano piccoli sullo schermo di Switch. Dariusburst è un ottimo shoot ‘em up, ed usufruirne in tale maniera non rende per nulla giustizia alla qualità del gameplay proposto. La situazione migliora leggermente su TV, a patto però di possedere un pannello di dimensioni adeguate; personalmente ho trovato accettabile la resa a schermo sul mio TV da 55″, ma non vi nego che anche in queste condizioni avrei preferito uno schermo più grande.
La dimensione dello schermo Switch di sicuro non vi aiuterà in fasi simili
I retaggi da arcade non si fermano qui. Another Chronicle EX+ è un titolo davvero stracolmo di contenuti, ma tali contenuti vengono presentati al giocatore in maniera confusionaria; minuscoli testi quasi illegibili in modalità portatile, la onnipresente scritta “freeplay” ed un simpatico “mind the head” alla fine di ogni sessione sono solo alcuni degli elementi che rivelano la natura di conversione del titolo da cabinato. Risulta quindi inspiegabile la scelta di rendere disponibile Another Chronicle EX+ piuttosto che il capitolo creato ad hoc per console portatili Chronicle Saviours – sempre sviluppato da Pyramid – titolo decisamente più adatto per un Nintendo Switch.
In conclusione
Questa è davvero una strana recensione, poiché Dariusburst Another Chronicle EX+ è di fatto un ottimo titolo, pieno di contenuti, con un gameplay divertente e frenetico ed una OST da paura. Sfortunatamente alla bontà del titolo si contrappone la fruizione dello stesso, che risulta davvero ostica, specie in modalità portatile, dove i 6,62″ di Switch proprio non rendono giustizia alle battaglie della Silverhawk. Il problema è leggermente mitigato su TV di una certa dimensione, certo, ma non viene mai davvero risolto. Questo – unito ad un prezzo non proprio irrisorio – mi porta a consigliarlo solo agli appassionati duri e puri del genere, consci del fatto che Switch non è esattamente la console migliore su cui giocarlo.
Il settore videoludico torna a far parlar male di sé, dimostrandosi ancora una volta acerbo e indietro di almeno dieci anni rispetto gli altri big dell’intrattenimento. Almeno una volta all’anno siamo costretti a sentire di abusi nel posto di lavoro: discriminazione di genere o l’obbligo di lavorare ben oltre l’orario stabilito in sede di contratto vanno per la maggiore. Nonostante siano pratiche che purtroppo si manifestano in moltissimi luoghi di lavoro, riteniamo necessario parlarne anche per l’industria dei videogame, dove l’immaturità dei più importanti dirigenti del gaming sembra troppo simile a un adolescente duro d’orecchi.
Discriminazione di genere
La parità di genere è un tema molto presente nel dibattito sociale contemporaneo. L’inclusione è diventata una priorità, perché finalmente si è preso coscienza che la discriminazione nel luogo di lavoro esiste: guadagni impari tra uomini e donne, bullismo e molestie di vario genere, spesso sessuali. Combattere la discriminazione di genere è una lotta ovvia e dovuta ovunque, tranne per alcune delle più grandi, maschili e caucasiche aziende videoludiche.
La scorsa settimana Activision Blizzard è stata accusata dal California Department of Fair Employment and Housing (ente molto simile al nostro ispettorato nazionale del lavoro) per atteggiamenti volti a discriminare le impiegate di sesso femminile con molestie sessuali, paga inique e ritorsioni. L’agenzia di Stato ha impiegato due anni per le indagini prima di presentare accuse formali.
I più scettici potrebbero controbattere come queste pratiche siano presenti in tutti i settori: siamo d’accordo, ma ricordiamoci anche dell’impatto che hanno le molestie sessuali negli altri settori dell’intrattenimento e della cultura. Per intere settimane, all’interno di tutti i maggiori quotidiani mondiali, abbiamo sentito parlare del caso Harvey Weinstein. L’ex produttore cinematografico è stato accusato per la prima volta di molestie sessuali nell’ottobre 2017, ma la goccia è velocemente diventata un fiume in piena tanto che sette mesi dopo, il 25 maggio 2018, lo stesso Weinstein si è consegnato alle autorità. Uno scenario ad oggi assolutamente impensabile nell’immaturo settore videoludico.
Anzi, il caso Activision Blizzard è stato soltanto l’ultimo scandalo di un campanello d’allarme che suona ininterrottamente da anni. Esattamente un anno fa scoppiava (si fa per dire, dato che se ne è parlato per meno di una settimana) lo scandalo Ubisoft, costretta a rimuovere tre dirigenti (Serge Hascoët, Tommy François e Cécile Cornet) dopo un’inchiesta dei media francesi. Lo scorso hanno la presa di posizione del CEO dell’azienda francese è stata perentoria: Yves Guillemot si è scusato pubblicamente e ha indetto una serie di contromisure per evitare che fenomeni del genere si potessero mai più ripetere. Una decisione che non ha impressionato il sindacato francese Solidaires Informatique Jeu Vidéo, che sta raccogliendo interviste in forma anonima all’interno dell’azienda al fine di presentare una denuncia alla compagnia. Il sindacato infatti pensa che non si tratti di un abuso di potere di pochi dirigenti, ma di un vero e proprio sistema che lo stesso CEO di Ubisoft sembrava conoscere e insabbiare.
Yves Guillemot si è scusato pubblicamente per l’ambiente tossico di Ubisoft.
Crunch
Il crunch è una pratica molto più subdola, perché troppo spesso fa proseliti tra chi la pratica o costringe a praticarla anche in altri settori, soprattutto quello giornalistico. Una buona percentuale di chi lavora è stato costretto almeno una volta nella propria vita ad allungare la propria permanenza in ufficio per rispettare le consegne. Di conseguenza, in pochi si scandalizzano quando si parla di crunch, nonostante sia stato scientificamente provato che causi problemi sia nei rapporti interpersonali che per lo stresso individuale.
Per questo, prima di giustificare tali comportamenti tossici, è importante pensare alla frequenza con cui siamo stati obbligati al crunch. Essere costretti a lavorare diverse ore in più al giorno per un paio di settimane è uno sforzo che indica un forte attaccamento all’azienda. Sacrificio che si condivide con i propri dirigenti, i primi a rimanere più a lungo di noi. Questo particolare crunch è tipico delle aziende giapponesi (dove l’abnegazione al lavoro ha portato enormi problemi sociali), come la stessa Nintendo. Basta vedere le condizioni fisiche di Masahiro Sakurai per capire di cosa stiamo parlando.
Quando però il crunch diventa prerogativa solamente degli sviluppatori e ogni singolo gioco prodotto diventa un’emergenza di Stato, tanto da richiedere lavoro extra per svariati mesi (anche se retribuito), allora c’è un enorme problema di fondo: il lavoratore è solo un ulteriore strumento di una politica azienda dove il fine giustifica i mezzi.
La pratica del crunch nel mondo dei videogiochi ha radici profonde: il primo scandalo risale a 17 anni fa, quando Erin Hoffman, sotto lo pseudonimo di EA Spouse, dichiarò che in Eletronic Arts si lavorava 85 ore a settimana, sette giorni su sette. Dal 2004 in poi poco è cambiato tra i grandi dell’industria, che sistematicamente adottano questa politica: Rockstar Games (Red Dead Redemption 2), CD Projekt (Cyberpunk 2077), Naughty Dog (The Last of Us 2) e Bethesda (Doom Eternal) sono solo una parte dei team coinvolti in questa pratica nel recentissimo periodo.
Gli sviluppatori di Cyberpunk 2077 hanno subito oltre un anno di crunch a causa di scelte dirigenziali più che discutibili.
Conclusione
Crunch e discriminazioni interessano tutti i settori lavorativi, ma rispetto ad altre realtà, l’industria videoludica è culturalmente arretrata. La connivenza dei dirigenti sta rimanendo impunita da troppo tempo e pratiche ampiamente considerate dalla società civile ingiuste, continuano a essere poco considerate quando si parla di videogiochi. Oggi è assolutamente impensabile che grandi testate giornalistiche possano dedicare lo stesso spazio del caso Weinstein ai continui danni perpetrati dalle aziende videoludiche, forse perché i primi a sminuire gli abusi sono i membri della community più appassionata: infatti, quando si parla di discriminazione di genere nel settore dei videogiochi, molto spesso i carnefici fanno parte della community più tossica.
Per fortuna, il medium sta vivendo una forte evoluzione, ma ha bisogno dello sforzo di tutti. Dagli Stati Uniti arriva la notizia che alcune testate giornalistiche hanno deciso di non fornire copertura ai giochi di Activision Blizzard, ma anche gli utenti possono avere un’importante voce in capitolo: prima di dare un’opinione superficiale sui social, pensiamo che quella persona che sta subendo una molestia sessuale potrebbe essere un nostro caro; prima di scrivere che anche i nostri genitori finivano tardi di lavorare e non avevano tempo per noi, pensiamo a quanto sarebbe stato bello invece che quel tempo lo avessero avuto. Pensare prima di scrivere significa essere maturi e deve essere la community a dimostrarsi tale, perché questo aggettivo è ancora troppo distante dai deludenti corridoi dei grandi dell’industria videoludica, e non si può più aspettare.
Monster Hunter Stories 2: Wings of Ruin è una piacevolissima sorpresa. Un jrpg solidissimo, con una trama semplice ma avvincente, personaggi ben scritti, uno stile grafico delizioso e una quantità di contenuti davvero enorme. Il battle system offre un ottimo grado di sfida, mentre i problemini di performance non minano la fruizione di uno dei migliori jrpg degli ultimi tempi.
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Collezionare mostri, tanti mostri, un concetto tanto semplice che ha fatto entrare di diritto Pokémon tra le fila dei franchise più famosi e redditizi al mondo. Eppure di titoli che tentino di seguire le orme tracciate dal gigante nipponico se ne trovano davvero pochi, a riprova che sì, il concetto del catturare mostriciattoli è semplice, ma non facilmente replicabile. È proprio qui che entra in scena Capcom, che a sorpresa annuncia Monster Hunter Stories 2: Wings of Ruin, la stessa Capcom che negli ultimi anni sembra essersi trasformata in uno strano Re Mida del mondo videoludico, sfornando capolavori su capolavori e riportando in auge saghe che non se la passavano troppo bene; da Monster Hunter World ai remake della serie Resident Evil, per poi passare a Devil May Cry V e Monster Hunter Rise. A tutto ciò va anche aggiunto che la saga di Monster Hunter sta meritatamente vivendo un periodo d’oro, con i capitoli World e Rise campioni di vendite, ed addirittura un film prodotto sul franchise, che sarò onesto, non ha ricevuto il magico tocco delle serie videoludiche di Capcom.
Con queste premesse le aspettative non potevano che essere alte, soprattutto per il sottoscritto, grande estimatore della saga di Monter Hunter, ed al contempo dello spinoff sviluppato per Nintendo 3DS nel lontano ottobre 2016, un validissimo jrpg piuttosto sfortunato, rilasciato durante quello che definirei il canto del cigno della portatile a doppio schermo. Insomma, la domanda è semplice, sarà riuscita Capcom ad imprimere il magico tocco anche stavolta, l’ennesima volta? Si, vi assicuro che ci è riuscita, ed ha sorpreso un po’ tutti, ma andiamo ad analizzare l’ultima magia della fortunata – o magica, decidete voi – casa di sviluppo nipponica.
Un cielo cremisi
La nostra avventura ha inizio nel villaggio di Mahana, unico insediamento umano sulla piccola isola di Hakolo. Il cielo si tinge di rosso – no, non è colpa del Valstrax stavolta – e tutti i Rathalos presenti sull’isola si alzano in volo, diretti da qualche parte oltre il mare, oltre l’orizzonte. Anche il Ratha Guardiano, inseparabile compagno di Red, nonno del protagonista, non riesce a resistere a quel bagliore cremisi, ma prima di spiccare il volo ci affida uno strano uovo, che stando ad un’antica profezia potrebbe contenere il Ratha Tagliente, malvagio essere che porterà distruzione su tutto il mondo.
L’evento che segnerà l’inizio della nostra avventura
Questo rappresenta l’inizio di un epico viaggio in cui vestiremo i panni di un giovane Rider – creato tramite editor – alla ricerca della verità sulla profezia delle Ali della Distruzione e sul destino di Ratha, accompagnati da Ena ,Wyverniana dal cuore gentile, e Navirou, uno strambo Felyne che si proclama addirittura come il Felyne Leggendario. E non mancheranno tanti altri comprimari, sorprendentemente caratterizzati, che renderanno il nostro vagabondare per il continente un’esperienza ancor più piacevole e meno solitaria.
Sappiamo benissimo che nella saga di Monster Hunter il comparto narrativo spesso si è rivelato essere un mero pretesto per riempire di botte bestie di ogni specie e forgiare nuovi attrezzi del mestiere, ed anche il primo Monster Hunter Stories – nonostante proponesse degli spunti interessanti – non si discostava poi troppo dalla classica forma della saga Capcom. É proprio qui che Monster Hunter Stories 2 sorprende maggiormente, compiendo enormi passi avanti rispetto il predecessore. La storia non è più un semplice mezzo per giustificare la presenza di questo o quel mostro da affrontare, ma assume un ruolo centrale durante tutto l’arco dell’avventura, con colpi di scena riusciti, personaggi ben caratterizzati, ed un intreccio narrativo semplice nella forma, ma decisamente godibile, che saprà catturare il giocatore in più di un’occasione. Ed ovviamente non mancano i siparietti comici che permeavano il primo titolo, che devo ammetterlo, mi hanno strappato più di qualche risata e soprattutto non si sono mai rivelati essere fuori luogo.
Ecco l’allegra combriccola
Sorprende anche la sapienza con cui vengono affrontati i tanti temi presenti nel gioco, dall’amicizia all’importanza dei legami creati, la fiducia, la vendetta, ma soprattutto la capacità di non fermarsi all’apparenza delle cose, ed anzi, di voler comprendere davvero chi si ha davanti. Tutti temi trattati in maniera sì leggera, ma efficace ed oserei dire potente in un paio d’occasioni, che faranno riflettere sia i giocatori più o meno giovani. L’intero comparto narrativo è poi supportato da sequenze cinematiche di prim’ordine, che ci faranno immedesimare ancor di più nei protagonisti della nostra avventura, ed a volte si avrà anche la sensazione di guardare un anime vero e proprio, merito della deliziosa direzione artistica. Insomma, tutto quel che concerne il comparto narrativo di Monster Hunter Stories 2 è davvero solido, e dimostra che anche Monster Hunter può fregiarsi di una trama di tutto rispetto, che spero vivamente verrà proposta anche in un titolo della saga principale, prima o poi.
La profezia del Ratha Tagliente
Che dire poi del mondo di gioco? Cavalcare tra cime innevate o aridi deserti è davvero una piacevole esperienza; seppure Monster Hunter Stories 2 non sia un capolavoro tecnico, il grosso dell’ottimo lavoro svolto è da ricercarsi nell’azzeccatissima direzione artistica, che opta per ambienti coloratissimi e molto particolareggiati. É inoltre presente una funzione di spostamenti rapidi, che risulta accessibile in ogni istante ed è un vero e proprio toccasana per il ritmo di gioco, poiché ,qualora si vogliano completare le tantissime subquest presenti, vi assicuro che i giri da fare saranno tanti, davvero tantissimi. Le nostre lunghe camminate vengono poi accompagnate da una colonna sonora che risulta sempre coerente con ciò che si vede a schermo, ed offre tracce di ottima qualità. Il tutto è impreziosito da entrambi i doppiaggi presenti – in lingua inglese e giapponese – di buon livello, e di sottotitoli ovviamente in italiano.
Una nota di rammarico invece per le performance della versione provata, con gli stupendi filmati che spesso e volentieri scenderanno anche sui 20 fotogrammi al secondo, ed un’esplorazione talvolta resa fastidiosa da performance claudicanti. Appare inoltre inspiegabile la scelta di mantenere il framerate totalmente sbloccato e non inserire un cap ai canonici 30fps, con il risultato che in alcuni ambienti – i più piccoli – il titolo andrà a 60fps, per poi passare a 30, 20, 40 e così via, rendendo l’esperienza poco fluida ed omogenea. Fortunatamente durante le fasi di combattimento la situazione migliora ed il framerate si assesta sui 30fps quasi granitici, offrendo un’esperienza molto più godibile. Dopo aver riscontrato performance tanto problematiche inoltre mi chiedo, davvero ciò di cui noi fan di Nintendo abbiamo bisogno sia uno schermo OLED? Ed insomma, la scelta di Nintendo si fa sempre più inspiegabile.
Gotta ride ‘em all!
Chi sono i Rider? A differenza dei Cacciatori, protagonisti indiscussi della saga principale di MH, i Rider potrebbero essere definiti come “addestratori di mostri”, individui che riescono a creare un forte legame con i propri Monsties – questo il nome dei mostri “addomesticati” – e lottare assieme a loro, in perfetta sincronia. Proprio in questa figura – davvero simile ad un allenatore Pokémon – risiede la peculiarità di Monster Hunter Stories.
Il Rider ed un Nargacuga eseguono l’abilità legame
Sono proprio i Monsties i veri protagonisti di Monster Hunter Stories 2, ed alzi la mano il fan che non ha mai sognato di cavalcare uno Zinogre o un Mizutsune. Sono tanti, davvero tanti, se ne contano un centinaio circa, ognuno contraddistinto da tipo, elemento ed abilità spesso uniche, oltre ad una spettacolare mossa legame per ognuno. Insomma, se cercate un titolo in cui collezionare mostriciattoli, ma i Pokémon vi sembrano troppo carini, qui troverete pane per i vostri denti. Si va dal Glavenus, un wyvern brutale specializzato nell’utilizzo della lama/coda, a Monsties più bizzarri, come il Nerscylla, Temnoceran – o grande aracnide, che dir si voglia – specializzato nell’ infliggere status alterati. Di varietà ve ne è davvero tantissima, tanto che più e più volte ho letteralmente speso minuti interi a decidere quale Monstie portare con me, dato che mi piacevano praticamente tutti; i dubbi vengono ulteriormente rinforzati dal fatto che ogni Monstie ha una sua abilità “ambientale” utile ad esplorare le varie mappe di gioco, come ad esempio il Velocidrome che può saltare, o lo Yan Kut Ku che ha la capacità di frantumare alcune rocce, dove spesso si nascondo dei preziosi scrigni. Bisogna inoltre fare i complimenti a Capcom per quanto concerne la realizzazione di mostri e personaggi, tutti ricreati con una curia maniacale, dalle movenze alle stupende animazioni di attacco. Dopo questa piccola parentesi passiamo invece a ciò che definisce un jrpg, ovvero il battlesystem.
Il titolo si presenta come un classico jrpg a turni, dove tutto ruota attorno ad un sistema di resistenze e debolezze molto simile alla morra cinese. Quasi tutti gli attacchi si suddividono in tre macrocategorie, ovvero potenza, velocità e tecnica, ed ognuna di esse ha la meglio su una ma soccombe all’altra. É importantissimo infatti selezionare il giusto attacco da sferrare, al fine di vincere lo scontro frontale, o Testa a Testa, al fine di riempire la barra legame, il “mana” di Monster Hunter Stories. A noi viene data la possibilità di comandare il Rider, che dispone di vari tipi di armi ed abilità, mentre Monsties ed alleati vengono invece gestiti dalla CPU, anche se il Monstie può ricevere ordini direttamente da noi tramite l’utilizzo della barra legame. É poi possibile, previo riempimento della barra legame, salire in sella al proprio Monstie, per poi sferrare una spettacolare abilità legame, attacco devastante e coreograficamente stupendo; a tal proposito vi consiglio di provare quello del Brachydios, davvero fuori di testa!
Un attacco doppio tra Rider e Monstie
I combattimenti di Monster Hunter Stories sono lunghi, parecchio più lunghi di quelli presenti nella stragrande maggioranza dei jrpg, ciò però non significa che gli scontri siano noiosi, anzi, tutt’altro, ogni combattimento assomiglia ad una piccola bossfight, con i mostri avversari che alternano varie fasi d’attacco, passando da potenza a tecnica ad esempio, per poi andare in enrage, seguendo un pattern ben preciso. Inoltre i mostri avversari – nella maggior parte dei casi – sono composti da più parti, ognuna con la propria resistenza e debolezza a danni contundenti/perforanti/taglienti, proprio come nella serie principale, e spesso sarà necessario “rompere” una parte per stordire l’avversario, renderlo più vulnerabile o bloccare un suo attacco particolarmente pericoloso. Tutti questi elementi culminano nelle bossfight, di difficoltà via via crescente, che riserveranno non poche sorprese.
Capcom quindi riesce nell’arduo compito di rendere ogni singolo scontro soddisfacente e mai banale, dando anche l’opzione al giocatore di velocizzare il tempo di battaglia a 2x o 3x, e qualora volessimo “farmare” dei mostri più deboli, di porre istantaneamente fine alla lotta, non tediandoci con i classici scontri da jrpg “usa il comando attacca fino allo sfinimento”, un risultato mica da poco.
Il Mizutsune è sicuramente un graditissimo ritorno
Come avrete capito il sistema di combattimento di Monster Hunter Stories, a prima occhiata piuttosto semplice, nasconde invece una complessità non indifferente che metterà alla prova le nostre capacità strategiche; ogni Monstie appartiene ad una delle tre categorie d’attacco, quindi è imperativo costruire una squadra ben bilanciata al fine di fronteggiare ogni tipo di avversario. Inoltre, come già detto, ogni Monstie è contraddistinto da un elemento ed una debolezza elementale, dati che inizialmente potrebbero sembrare superflui – vista la discreta facilità delle prime ore – ma che nelle fasi avanzate dell’avventura si riveleranno di vitale importanza, quando gli avversari picchieranno sempre più forte, e scegliere il Monstie sbagliato potrebbe portarci ad una rapida sconfitta. Così come è di vitale importanza la scelta dell’equipaggiamento del Rider, punto che toccherò a seguire.
Piccoli genetisti crescono
Fin qui abbiamo discusso di storia, battlesystem, ma tutti sappiamo che in ogni jrpg che si rispetti è di fondamentale importanza la scelta dell’equipaggiamento così come la costruzione della propria squadra, e fidatevi, qui Monster Hunter Stories non teme rivali. Ogni singolo Monstie è contraddistinto da un proprio “quadro genetico”, ovvero una griglia 3×3 che ne determina parametri ed abilità, ed è generata in maniera semi-casuale alla schiusura di ogni uovo. Tramite il Rituale Sciamanico è poi possibile trasferire un singolo gene da un Monstie all’altro, perdendo il “donatore” nel processo, ed è qui che si apre letteralmente un gioco nel gioco. Volete un Arzuros che sputi fuoco come un Rathalos? Potete farlo. Amate il vostro Tigrex ma la sua abilità Lancia Pesante vi sembra poco utile? Sostituitela con qualcos’altro. Volete creare un Monstie in grado di rispondere ad ognuno dei 3 tipi di attacchi, a discapito di bonus passivi? Anche qui la risposta è, createvelo pure. Le possibilità sono davvero infinite, ed incasellando tre geni dello stesso tipo/elemento si fa “bingo” potenziando quella data categoria/elemento del Monstie. Come se non bastasse i geni hanno più livelli – ad esempio esiste Punto Debole 1 o la versione potenziata, Punto Debole 2 – quindi creare il “Monstie perfetto” richiederà tanta dedizione, ma anche un enorme grado di soddisfazione.
Un cucciolo di Tigrex, speriamo abbia qualche gene raro!
E che dire del Rider? I tipi di armi presenti in Stories sono 6, ovvero spadone, spada e scudo, martello, corno da caccia, arco e lancia-fucile; ognuna di esse ha accesso a diverse abilità e stili di gioco. Ad esempio il martello è un’arma totalmente votata agli scontri Testa a Testa ed acquisisce una carica ogni volta che ne vinciamo uno, per poi utilizzarli in devastanti attacchi come la Meteora Vorticante. Il corno da caccia è invece un’arma che fa del supporto il suo punto forte, grazie a cure o numerosi buff che potenziano l’intera squadra. Sappiate che la quantità di equipaggiamenti è davvero enorme, potremo scegliere tra centinaia di spadoni, spade, martelli e chi più ne ha più ne metta. Ovviamente altro tassello fondamentale dell’equipaggiamento sono le armature, che di fatto andranno a definire le difese del nostro Rider, ma soprattutto le sue abilità, dando così vita ad ogni sorta di build. Amate il corno da caccia? Allora un’armatura con Maestro Corno+1/2 etc. è d’obbligo. O magari preferite puntare tutto sui colpi critici? Vi consiglio di fare scorta di materiali Nargacuga! Non possono poi mancare i talismani, oggetti equipaggiabili generati casualmente che ci forniranno ulteriori abilità per affinare la nostra build. La scelta è davvero vastissima, ed ogni giocatore potrà creare la propria combinazione di armi ed armature, puntando più sul Rider o magari cercando una maggiore sinergia con la propria squadra di Monstie. É davvero sorprendente come Capcom sia riuscita a trasporre perfettamente ognuna delle 6 tipologie di arma in salsa jrpg, rispettandone in pieno lo stile di gioco della saga principale, così come è incredibile la varietà di approcci data al giocatore, che sarà costantemente spronato nel creare nuovo equipaggiamento, in un loop davvero piacevole. Insomma, se siete amanti della customizzazione e/o del min/maxing state certi che in Monster Hunter Stories 2 troverete un titolo irrinunciabile.
Cavalcare in compagnia
Potrei già dire che Monster Hunter Stories 2 offra una mole di contenuti enorme nella sola campagna principale – che per inciso, andando spediti dura almeno 35-40 ore – ma non si ferma qui. Una volta ultimato il titolo sarà possibile accedere ad una miriade di contenuti postgame, come un dungeon “finale”, nuovi mostri presenti solo qui, ed in generale un nuovo grado di sfida, ovvero l’ Alto Grado. Vi basti sapere che praticamente ogni singolo pezzo di equipaggiamento potrà essere nuovamente forgiato in forma più potente, e che il postgame è potenzialmente più cospicuo della storia principale, che col senno di poi potrei definire un grande e lungo tutorial. Infatti è proprio in questa porzione di gioco che l’asticella si alza ulteriormente, offrendo delle bossfight davvero toste, che richiederanno squadre create ad hoc e la padronanza totale del battlesystem per essere superate. Mi piacerebbe parlarvi di quanto il postgame mi abbia stupito, ma vi invito a scoprirlo da soli, perchè ne vale davvero la pena!
Ecco cosa succede quando fate arrabbiare un mostro
Altra importante componente del titolo è la cospicua modalità multiplayer, che viene sbloccata solo dopo qualche ora di avanzamento nella trama principale, e si compone di esplorazioni, sfide ed una vera e propria modalità competitiva. É proprio durante le sfide ed esplorazioni che il titolo propone i contenuti più ardui, per cui se volete davvero fare tutto il fattibile senza il fardello di un compagno mosso dalla CPU l’online è l’unica scelta disponibile. Va segnalato che il matchmaking agisce in forma totalmente automatica, e trovare una stanza che fa al caso nostro sarà un gioco da ragazzi, essendo l’online decisamente popolato al momento della stesura di questa recensione. Ho provato per diverse ore tale modalità, e se da un lato posso affermare con certezza che sì, funziona, dall’altro mi sentirei di consigliarla davvero solo qualora si abbia la possibilità di giocare con un amico, piuttosto che con sconosciuti. Ovviamente un jrpg a turni non è proprio il genere di videogioco più adrenalinico, e giocare con uno sconosciuto che magari perde tempo nel selezionare la mossa da utilizzare risulta spesso davvero noioso; discorso diverso invece se si ha la possibilità di giocare con un amico, chiacchierarci, concordare una determinata strategia. In quel caso il multiplayer di Monster Hunter Stories 2 risulta una modalità di tutto rispetto, capace di regalare ore ed ore di contenuti, farming e sfide davvero ardue.
In conclusione
Monster Hunter Stories 2: Wings of Ruin è l’ennesima stregoneria Made by Capcom. Uno stile grafico delizioso, tantissimi mostri da collezionare, grande cura per i dettagli, una trama piacevolmente narrata, quasi fiabesca, che tratta in maniera efficace temi sempre attuali, un battlesystem solidissimo e molto stratificato. A tutto ciò va aggiunta la possibilità sconfinata di customizzazione dei propri Monstier, così come del Rider, che farà felice qualsiasi patito di statistiche e personalizzazione. Contenuti postgame davvero cospicui, nuove sfide da affrontare ed una modalità multiplayer che può regalare tante soddisfazioni. Tutti questi elementi riescono nell’arduo compito di trasporre Monster Hunter in un jrpg dalle qualità altissime, che rispetta in tutto e per tutto la saga principale, creando al tempo stesso quello che reputo uno dei migliori spin-off degli ultimi anni. Certo, su Nintendo Switch le performance non sono proprio esaltanti, ma una sbavatura simile non può in nessun modo oscurare le enormi qualità di cui Monster Hunter Stories 2 riesce a fregiarsi.
Questa settimana EA e Konami hanno presentato i loro prodotti di simulazione calcistica sulla prossima generazioni di console. Due visioni dello sport più popolare in Europa, che a cavallo tra il 2021 e il 2022 diventeranno ancora più nette. Se FIFA 22 sembra evolversi con la tecnologia, PES subirà una vera rivoluzione diventando eFootball.
eFootball, la rivoluzione
Konami è un’azienda con oltre diecimila dipendenti che varia tra l’intrattenimento e il fitness. Di questi, solamente un decimo di loro fa parte di Konami Digital Entertainment e ancor meno sono dediti ai videogiochi. Infatti, da febbraio 2021, Konami ha deciso di chiudere tre divisioni dedicate alla produzione di videogame, con rassicurazioni solamente per PES e le trasposizioni videoludiche di Yu-Gi-Oh!
Una ristrutturazione interna ha dovuto tenere conto degli oltre 400 milioni di download eFootball PES 2021 Mobile, dimostranti che il sistema free-to-play funziona e genera enormi profitti con le microtransazioni. Del resto, Konami è particolarmente famosa in Giappone per essere produttrice di pachinko e il suo prodotto digitale principale dopo PES è Yu-Gi-Oh! DUEL LINKS, che fa un uso smodato delle tecniche dei gachagame.
Dopo queste premesse, a cui si aggiunge la distanza siderale con le vendite di FIFA 21, non sorprende che Konami abbia deciso di prendere una decisione rivoluzionaria. Dalle ceneri di PES nasce eFootball, un free-to-play online cross-generation e cross-platform, mobile incluso (ma solo con un controller compatibile).
Ogni rivoluzione prevede spesso reazioni personali. Le negative verranno probabilmente dagli amanti della Master League, che ha accompagnato migliaia di videogiocatori fino ad oggi. Al di là dei gusti, bisogna annotare che la sua esclusione è un pezzo di storia videoludica che se ne va.
Gli appassionati del MyClub, invece sono al centro dell’attenzione e finalmente sarà possibile risolvere uno dei problemi più annosi: il matchmaking. Infatti, su alcune console come Xbox Series X, PES soffriva la mancanza di utenti, il che obbligava spesso ad accettare partite con videogiocatori con pessime connessioni. Per questo motivo, il cross-platform, da cui scaturisce la necessità di adattare il gioco all’Unreal Engine, è un evento estremamente positivo per la serie, ma un dubbio ci attanaglia: Konami sarà in grado di gestire questa feature, soprattutto quando si tratterà di far dialogare una console next-gen con uno smartphone?
FIFA 22, l’evoluzione
FIFA 21 è stato il gioco più venduto di quest’anno e le microtransazioni di Ultimate Team hanno generato guadagni per 1,6 miliardi di dollari: una valanga di denaro che dimostra l’efficacia economica del sistema. Non stupisce quindi che EA si sia concentrata solo sul gameplay, mantenendo inalterata la formula magica dell’online.
HyperMotion è la nuova tecnologia che dovrebbe rendere il nuovo capitolo di FIFA maggiormente reale rispetto al passato. Ventidue giocatori, agghindati con tute Xsens, sono scesi in campo al fine di fornire all’intelligenza artificiale un realistico campione di movimenti. Ovviamente, il motion capture è ormai ampiamente usato da anni, ma nessuno l’aveva mai usato all’interno di una vera partita di calcio.
I media che hanno avuto la fortuna di provare la demo parlano di movimenti più realistici e di un’azione più ragionata, ma che non sembra aver risolto i celebri problemi del gioco: i calciatori più forti sono ancora inarrestabili e i lanci lunghi sembrano ancora predominare. Si deduce quindi che FUT 22 sarà ancora improntato sul furioso acquisto delle loot box al fine di trovare la versione migliore di Mbappé a cui fare un lancio lungo.
La vittoria delle microtransazioni
C’era una volta la sfida alla miglior simulazione calcistica tra Winning Eleven e FIFA. Una sfida combattuta anno dopo anno alla ricerca della formula perfetta per fornire il gameplay più realistico in assoluto. Tempi che sembrano distanti anni luce: oggi l’unica cosa che sembri contare è fornire le giuste motivazioni per spendere.
Uno dei problemi più importanti che sta affliggendo il settore videoludico sono le microtransazioni: la soluzione perfetta degli addetti al marketing per trasformare un’opera d’arte in puro guadagno. Infatti, i videogiochi competitivi non dovrebbero permettere che agenti esterni possano cambiare il bilanciamento delle sfide tra gli utenti. Se poi questo avviene in FIFA, una delle serie più vendute di sempre, allora il problema è rilevante. D’altro canto, la scelta di Konami di puntare al free-to-play implica una battaglia con EA sul dominio delle microtransazioni, che non ha a nulla a che vedere con il realismo che i videogiocatori hanno sempre cercato dai titoli sportivi.
Tutto questo si traduce in un 2022 in cui tutta l’attenzione dei media sarà votata a cercare il vincitore economico, facendo passare in secondo piano quel bel gioco che sarà ancora una volta offuscato dal denaro. E forse è proprio questo il motivo per cui eFootball e FIFA 22 sembrano così simili al calcio moderno.
I possessori di Nintendo Switch hanno chiesto a lungo una nuova versione più potente e al passo con i tempi. La risposta dell’azienda di Kyoto è stato il controverso Nintendo Switch OLED, che non offre alcuna novità né in termini di performance né di risoluzione. All’improvviso però, quando gli amanti del gioco in portabilità sembravano intrappolati nel monopolio giapponese, compare Gabe Newell con il suo Steam Deck: una console portatile con la potenza di fuoco di un PC da gaming. È il vero competitor di Nintendo Switch?
L’ibrido perfetto
Steam Deck sembra avere tutto quello che gli hardcore gamer cercano su una console ibrida. Tutto quello che Nintendo Switch non sta offrendo. I punti di forza sono due: un hardware di alto profilo e l’intera libreria Steam.
Il motore di Steam Deck è di gran lunga più potente di Nintendo Switch, anzi il paragone più ovvio è con una PlayStation 4. Di fatto, Steam Deck sembra essere comparabile anche a una PlayStation 5, perché la risoluzione di 1280×800 pixel permette ovviamente performance migliori. Nello specifico, l’ibrida Valve monta una “APU AMD personalizzata con una CPU Zen 2 da 4-core e 8-thread combinata a una GPU RDNA 2 da 8 unità e 16 GB di RAM LPDDR5”.
Per quanto riguarda i titoli, l’idea di giocare tutti i giochi acquistati su Steam in mobilità può essere la chiave di volta del successo di Valve. Inoltre, quest’ultima ha confermato che sarà possibile installare qualsiasi cosa su Steam Deck, esattamente come un PC. Questo comprende anche Epic Games Store, GOG e le applicazioni di cloud gaming come Google Stadia, NVidia GeForce NOW e Xbox Cloud Gaming.
Diversi tra loro
Non abbiamo la sfera di cristallo, ma ragionevolmente parlando, le differenze tra Nintendo Switch e Steam Deck sono così nette che la console Valve non sembra porsi come il suo principale avversario. Pensiero che trova conferma anche nelle parole di Newell, che ha spiegato come Steam Deck voglia “portare all’affermazione una nuova categoria di prodotto”. Ma di che categoria parliamo?
Nintendo Switch è figlio di un’idea brillante di Satoru Iwata, poi portata avanti da Tatsumi Kimishima, basata sull’avere un’unica console da usare ovunque, sia in mobilità che in casa. Partendo dal concetto che i migliori successi Nintendo degli ultimi 25 anni provengono da console portatili, la casa di Kyoto si è concentrata sul rendere appetibili giochi che funzionassero in portabilità anche su un TV domestico. Il risultato è la vendita di 85 milioni di dispositivi e 600 milioni di videogiochi.
Un successo planetario, che dopo quattro anni non ha la potenza necessaria per confrontarsi con la controversa nona generazione di console. Steam Deck offre invece proprio quello che la fan-base Nintendo cercava in “Switch Pro”: una console portatile che offra delle performance che permettano di giocare con estrema dignità i titoli di terze parti in arrivo nei prossimi anni.
Se questa premessa può sembrare la pietra tombale per la console giapponese, in realtà bisogna capire da dove proviene il successo della “grande N”. Switch è un prodotto che permette di giocare molti titoli di terze parti, ma per molti di questi, i compromessi da accettare sono eccessivi. Del resto, le categorie dei titoli di punta dell’ibrida nipponica sono due: i first-party e i videogiochi indie third party.
La roccaforte rossa
Le serie principali di Nintendo sono la forza di Switch. Bastano pochi nomi per convincersi che l’ibrida giapponese potrà continuare a dormire sonni tranquilli: Super Mario, The Legend Of Zelda, Pokémon, Metroid, Animal Crossing e Super Smash Bros. Questi titoli hanno tenuto in vita le console casalinghe di Nintendo per decenni e sono ovviamente alla base del successo di Switch, che poi è diventato mondiale grazie a quei giochi che sono fantastici da giocare in mobilità.
Chi possiede Nintendo Switch probabilmente non ha grande interesse ad acquistare Steam Deck, perché le categorie di giochi third party che desidera sono disponibili: metroidvania (Hades, Hollow Knight, Celeste, Dead Cells), JRPG (Xenoblade, Bravely Default, Dragon Quest), arcade game (The Binding of Isaac, Cuphead) oltre a varie perle come l’intera serie Monster Hunter e avventure come What Remains of Edith Finch.
Next-gen a bassa risoluzione
Anche se Valve promette di far girare con ottime performance i titoli attuali e futuri, precisiamo che questa affermazione vale solo per la console in modalità portable. Infatti, Steam Deck diventa un vero e proprio PC in docked, ma le sue performance con uno schermo a risoluzioni elevate si avvicineranno presumibilmente a una PlayStation 4. Questo significa performance insufficienti per i titoli next-gen, come già ampiamento visto con Cyberpunk 2077.
In altre parole, chi sta puntando PlayStation 5 o Xbox Series X non dovrebbe avere alcuna intenzione di acquistare Steam Deck.
PC portatile
L’unico target disponibile per Steam Deck è il mondo PC, suddiviso in due categorie: postazione fissa e notebook da gaming. Escludiamo subito i primi, perché si tratta di una nicchia di hardcore gamer, che solitamente spende i 400 euro di Steam Deck solo per la CPU del proprio computer.
Chi può trovare interessante Steam Deck è invece quella nicchia di videogiocatori che fino ad oggi ha messo a dura prova il proprio notebook. Infatti, l’ibrida di Valve ha un prezzo appetibile per tutti coloro che hanno una libreria Steam corposa e vorrebbero avere un dispositivo pensato unicamente per il gaming, tanto in portabilità quanto a casa con un monitor a supporto.
Un discreto notebook da gaming costa almeno un migliaio di euro e richiede il compromesso di portare in giro un peso di almeno tre chili. I laptop da circa 1,5 kg, pensati per studenti e lavoratori senza particolari esigenze prestazionali, sono ormai disponibili sul mercato a circa 500 euro. Questo significa che grazie a Steam Deck, con circa mille euro, è possibile avere un pc portatile sottile e una console ibrida performante senza il compromesso di portarsi in giro un notebook pesante con prestazioni non eccelse.
Conclusione
Sulla carta, Steam Deck è la console ibrida perfetta. Ha un ottimo rapporto qualità/prezzo, che diventa ancora più netto se consideriamo quanto costa il medesimo gioco su Steam e su Nintendo eShop. Purtroppo, la console di Valve non sembra essere arrivata nel momento giusto per poter essere un vero competitor di Switch, né sembra avere il giusto appeal per impaurire le console di prossima generazione.
In definitiva, l’unico potenziale target di Steam Deck è il pc gamer che vuole spendere il minimo tra hardware e videogiochi e l’accoppiata Valve di console più libreria Steam è economicamente ineguagliabile.
Correva l’anno 2018. Dopo quindici anni di lavoro presso Blizzard, il 20 aprile Ben Brode lascia il suo ruolo di game director di Hearthstone per fondare Second Dinner, il proprio game studio insieme ad ex colleghi di Activision Blizzard.
Qualche settimana prima, anche io avevo deciso di lasciare il gioco di carte collezionabili, nonostante avessi una collezione invidiabile e un rank legend da difendere. Il motivo del mio abbandono era semplice: Hearthstone puntava tutto sulla modalità ladder Standard basata su un mazzo tier 0 e un paio di deck costruiti per neutralizzarlo. Oggi la situazione non sembra diversa, ma le modalità aggiunte in questi ultimi tre anni sembrano fornire un divertimento maggiormente variegato e realmente free-to-play.
Stessi problemi
Non mi è mai piaciuta la scelta degli sviluppatori di voler rendere il gioco totalmente casuale. Sia le mie partite in Standard che i game tra pro-player di HS hanno sempre subito una costante presenza della dea bendata, accentuata da meccaniche, tutt’ora esistenti, che aggiungono nella board creature casuali o mettono in mano magie imprevedibili. Una randomicità non necessaria in un gioco di carte collezionabili che ha già un’importante dose di varianza nella sua definizione.
A questo si aggiunge il problema spiegato continuamente anche dagli streamer di Hearthstone italiani più influenti, cioè un meta ripetitivo e tragicamente noioso. I giochi di carte hanno un meta che si stabilizza nel tempo fino al prossimo contenuto, ma lo spin-off di Blizzard ha sofferto la monotonia di un unico deck su cui basare l’intero meta: o lo giochi o ci giochi contro usando un deck anti-meta costruito ad hoc.
Sotto questo punto di vista, il gioco non è poi cambiato così tanto. Non credo alle parole degli youtuber, o twitcher visti i tempi, sostenenti che Hearthstone sia peggiore rispetto al 2018. Penso piuttosto che non ci sia stata un’evoluzione convincente nella modalità classificata e che la nostalgia abbia fatto il resto.
Gli stessi che oggi si lamentano di un meta in cui le partite durano troppo, pensavano qualche anno fa che il campo di battaglia era eccessivamente dominato da mazzi come il tempo rogue, il face hunter o l’aggro shaman. Tra l’altro, ho scelto proprio l’aggro elemental shaman per fare le mie prove nel meta attuale e devo confermare che è decisamente preparato a punire i mazzi veloci. Una sorpresa decisamente inaspettata, ma che non ho trovato spiacevole, vista la mia abitudine ad affrontare, e giocare, continuamente odd paladin.
Stessi costi
La decisione di giocare l’aggro elemental shaman, poi divenuto velocemente elemental shaman, a causa del field poco propenso a far finire velocemente le partite, è dettata dal denaro. I due deck dello sciamano costano inmedia 2500 dust con carte come Al’Akir e Alexstraza la Protettrice già presenti nella mia collezione. Tutti gli altri, ad eccezione del druido magie, invece sono ancora inarrivabili come quando ho smesso di giocare. Mazzi come il guerriero o il demon hunter superano allegramente le diecimila dust, che tradotto significa spendere centinaia di euro.
In realtà, questa critica ha poco senso di esistere, perché fatta eccezione per Legends of Runeterra che è un vero free-to-play, tutti i giochi di carte collezionabili, fisici o digitali, sono molto costosi ed Hearthstone non è nemmeno il primo nella lista.
Giocare ad un trading card game gratuitamente in modalità ladder è semplicemente utopistico. Chiunque decide di farlo deve essere consapevole che non potrà mai essere totalmente competitivo, perché il meta cambia abbastanza velocemente e per poterlo inseguire è necessario possedere una quantità di carte molto vicina all’intera libreria disponibile in-game.
Ma nuove modalità gratuite
La noia della modalità Standard non è casuale e ritengo che Activision Blizzard abbia deciso di sacrificarla per dare spazio alle novità free-to-play. Del resto, gli utenti che giocano in classificata sono una cerchia ristretta di veterani che hanno deciso di spendere un’ingente quantità di denaro su Hearthstone. Anche io, quando ho deciso di raggiungere il rank legend, ero cosciente che sarebbero serviti centinaia di euro. Ne ero consapevole e mi andava di farlo. Chi invece non si divertiva erano gli utenti che non volevano, o potevano, spendere quelle somme. Proprio per questo motivo, Blizzard ha introdotto nuove modalità che hanno reso il gioco maggiormente variegato, maturo e fortunatamente divertente.
Per la maggior parte dei giocatori, la miglior modalità di Hearthstone è la Battaglia o Battleground, dove otto giocatori si sfidano in un genere divenuto popolare circa un paio di anni fa con Dota Underlords: gli auto battler (o auto chess). Si tratta di un sub-genere gestionale abusato nei videogiochi mobile, in cui gli utenti prendono delle decisioni prima di entrare nel campo di battaglia, che sarà totalmente gestito dal computer secondo delle specifiche regole di attacco e difesa.
Hearthstone Battleground è divertente, immediato e gratuito. Tre aggettivi che rendono il gioco moderno e appetibile a un pubblico sempre più orientato al mobile game, che per definizione venera un videogioco per settimane per poi abbandonarlo all’improvviso per una nuova moda. Blizzard ne è sicuramente cosciente e credo che per questo motivo ha annunciato l’arrivo nel corso dell’anno della modalità Mercenari, che sembra proporre una modalità single-player in stile roguelike sulla falsa riga di titoli come Hand of Fate, Slay The Spire o Loop Hero.
E vecchie modalità finalmente interessanti
Nel frattempo, io mi sono cimentato in quella che trovo la modalità più divertente del gioco, le Avventure. Chi segue Hearthstone da un po’, è consapevole che le Avventure sono praticamente sempre esistite, ma ho trovato il Libro degli Eroi incredibilmente ispirato.
I motivi per cui ho giocato ad Hearthstone per molti anni sono due: mi piacciono i giochi di carte e ho amato Warcraft III e World of Warcraft. Nonostante abbia sempre apprezzato i tanti riferimenti dello spin-off alla saga principale, non ho mai sentito un vero legame tra Hearthstone e la trilogia principale. Almeno fino a quando non ho giocato il Libro del Druido, in cui ho ripercorso con Malfurion buona parte di quanto visto in Warcraft 3, compresa l’incredibile fase finale dell’RTS, e una fetta della mitica espansione The Frozen Throne.
Un videogioco maturo
Hearthstone ha deciso cosa diventare da grande, cioè un aggregatore di sottogeneri di giochi di carte.
La modalità classificata rispecchia i giochi di carte collezionabili pay-to-win, che ampiamente conosciamo e la modalità Arena è il classico draft divenuto noto con Magic: l’Adunanza.
Nel frattempo, e rispetto a tre anni fa, il gioco si è evoluto guardandosi attorno. Oggi abbiamo in Hearthstone anche un auto battler grazie Battleground e le Avventure, una modalità single-player che ripercorre la storia principale, che tramuta finalmente il gioco in un vero spin-off di Warcraft. Infine, il sub-genere dei roguelike prenderà forma a breve nella modalità Mercenari.
Impossibile dire se questa scelta porterà Hearthstone a diventare il miglior gioco di carte digitale di sempre oppure se fallirà clamorosamente, ma oggi Hearthstone è un gioco maturo, che ha deciso di tracciare una strada innovativa per il genere. Una via che mi ricorda molto quanto già visto con il capostipite dei social network, Facebook.
Il sito web di Mark Zuckerberg non è mai stato innovativo nei contenuti. Del resto, si tratta di una bacheca contenente diverse funzionalità ormai banali da creare per un qualsiasi programmatore di medio livello. Quello che ha reso unico Facebook è la possibilità di fare tutte queste attività in un’unica applicazione e Activision Blizzard sta cercando di fare la medesima cosa con Hearthstone per quanto riguarda i giochi di carte. Ad oggi, nessuno ha mai pensato di avere così tante modalità diverse in unico trading card game e se Hearthstone avrà anche solo un decimo del successo del ragazzo di White Plains, allora ne sarà valsa la pena scommetterci su.