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God of War: origine e ascesa dell’epopea di Kratos

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Questo articolo contiene dettagli rilevanti sulla trama di God of War

Quella di God of War è indubbiamente una delle saghe videoludiche più importanti e di successo dell’intera industria del videogioco. Fin dall’uscita del primo episodio sulla ormai leggendaria Playstation 2, le avventure di Kratos hanno saputo conquistare l’interesse e l’apprezzamento di un enorme numero di giocatori. Basti pensare che l’episodio più recente, God of War Ragnarok, è riuscito in breve tempo a raggiungere la ragguardevole cifra di ben 11 milioni di copie vendute.

In questo articolo andremo a ripercorrere le tappe fondamentali della saga di GoW, cercando di mettere in luce le principali ragioni del successo del franchise.

Le origini di God of War

Il primo God of War venne subito riconosciuto come uno dei migliori giochi d’azione in 3d disponibili.

Il primo God of War vide la luce nel 2005 in esclusiva per Playstation 2. Si trattava del secondo gioco prodotto da Santa Monica Studio. Nonostante la poca esperienza della software house, il gioco si rivelò un enorme successo di pubblico e critica.

Il motivo principale di questo apprezzamento fu un mix vincente di numerosi elementi. Anzitutto la realizzazione tecnica, davvero di ottimo livello per i tempi e la console su cui girava. Anche il gameplay propose una combinazione vincente tra azione, combattimenti, esplorazione ed enigmi. GoW attingeva a piene mani da titoli come Devil May Cry e Prince of Persia, riuscendo a mettere insieme il meglio da ognuno di essi.

Infine, furono molto apprezzati sia l’ambientazione del titolo, collocata nella Grecia mitologica, sia la scelta del protagonista. Kratos, il tenebroso personaggio principale, è infatti ben lungi dallo stereotipo dell’eroe senza macchia e senza paura. Si tratta invece di una sorta di anti-eroe tormentato, violento e mosso solo da un disperato desiderio di redenzione.

Una redenzione che sembra arrivare al termine del gioco, quando, dopo essersi liberato dal giogo di Ares, Kratos riesce ad uccidere la malvagia divinità e si sostituisce a lui come nuovo dio della guerra. Come scopriremo, però, questa redenzione sarà solo apparente.

Un sequel all’altezza

God of War 2 riuscì addirittura a superare il successo del primo titolo.

Se il successo del primo GoW fu per molti una sorpresa, ancor più sorprendenti furono i risultati ottenuti da God of War II. Uscito nel 2007, sempre su Playstation 2, il seguito delle avventure di Kratos riuscì nel difficile compito di migliorare praticamente ogni aspetto del gioco originale.

God of War 2 spinse le capacità di Playstation 2 fino al limite regalando una grafica, un sonoro e un set di animazioni mai viste prima, che raggiungevano il culmine della spettacolarità nelle incredibili battaglie coi boss. Anche il gameplay risultò potenziato: i controlli erano più fluidi e precisi; i combattimenti godevano di un maggior equilibri; le sezioni erano più esplorative e riflessive.

La trama risultava molto più interessante e ricca di colpi di scena, mettendo in scena il sorprendente tradimento degli dei dell’Olimpo ai danni di Kratos. Il successivo percorso di vendetta del nostro spartano lo porta prima a scoprire le verità nascoste sulle sue origini fino a un epico scontro contro lo Zeus.

Tutti questi elementi resero GoW 2 un successo enorme, sia di critica che di pubblico, con milioni di copie vendute, voti altissimi e numerosi premi e riconoscimenti nel settore. I programmatori, tuttavia compirono la scelta ardita di interrompere il gioco con un gigantesco cliffhanger, lasciando il giocatore proprio un attimo prima dell’inizio dell’assalto finale di Kratos e dei titani all’Olimpo.

Una lunga attesa

La scelta di Santa Monica fu ancora più difficile da digerire dai fan a causa della lunga attesa che dovettero sopportare prima di potersi godere il proseguo delle avventure del loro spartano preferito; infatti, il terzo episodio della saga uscì direttamente su Playstation 3 per sfruttare le maggiori potenzialità offerte dalla macchina e allo stesso tempo regalare alla nuova console Sony una potenziale killer application.

Betrayal: un God of War alternativo

Betrayal fu un gioco mobile di ottima qualità.

Per addolcire l’attesa ai fan, Sony nel 2007 realizzò un simpatico spin off di GoW dedicato alle piattaforme mobile, intitolato God of War: Betrayal. Ambientato poco prima dell’inizio di God of War 2, Betrayal narra una serie di eventi che portano Kratos a commettere il suo secondo deicidio dopo quello di Ares.

Betrayal, nonostante le enormi limitazioni tecniche, cerca di riproporre in salsa 2d lo stesso mix di combattimenti ed enigmi presente nei due titoli della saga principale. L’esperimento ha dato vita ad un titolo simpatico e divertente, in grado di regalare ai fan di Kratos un nuovo tassello del mosaico di GoW

Il primo God of War per PSP

La prima avventura di Kratos per PSP si rivelò all’altezza del suo nome.

Nel marzo 2008 fu la volta di God of War: Chain of Olympus, primo God of War uscito su PSP. Ambientato poco prima degli eventi dell’originale, CoO narra il viaggio di Kratos nel profondo degli inferi, nel tentativo di sventare un perfido piano ordito dalla dea Persefone e dal Titano Atlante per gettare il mondo nel caos e vendicarsi degli dei dell’Olimpo.

La trama del gioco offre varie occasioni per approfondire il passato di Kratos e comprendere ancora di più il suo legame con la moglie e la figlia, da lui uccise involontariamente a causa di un inganno di Ares. Dal punto di vista tecnico, CoO fu un vero e proprio miracolo: il gameplay e la fluidità tanto del comparto grafico che di quello sonoro risultavano indistinguibili dai capitoli per PS2. La cura nella realizzazione del gioco e l’ottima trama resero CoO l’ennesimo successo del brand e regalarono ai fan un’altra grandiosa avventura.

Ciò che i fan volevano davvero però era solo e soltanto God of War 3 e nel marzo 2010 i loro desideri vennero finalmente accolti.

God Of War 3: l’ascesa

God of War 3 fu la consacrazione definitiva di Kratos.

Il terzo episodio di GoW riuscì a rispettare tutte le attese dei fan e forse persino a superarle. God of War 3 era più bello da vedere, più spettacolare, più vario, più giocabile e più epico di entrambi i suoi predecessori. Inoltre era molto, molto più violento. In questo gioco la furia di Kratos si abbatte sull’Olimpo come un fiume in piena e niente e nessuno è in grado di fermarlo o placarlo. Abbattendo una divinità dopo l’altra, il nostro eroe si farà strada fino alla resa dei conti con Zeus.

Oltre alle ormai mitiche lame con catena, Kratos usufruirà di un ottimo set di armi divine, ognuna con le sue caratteristiche e magie specifiche. Questo, insieme alla frenesia e alla spettacolarità delle battaglie (in particolare quelle coi boss) e alla già citata realizzazione tecnica davvero sopraffina, contribuì a rendere GoW III la consacrazione definitiva per santa Monica e la sua saga.

Nell’epilogo di God of War 3 Kratos, dopo aver fatto piazza pulita degli dei dell’Olimpo, decide di sacrificarsi per donare la speranza, confinata dentro di lui, agli esseri umani. Sembrava dunque che l’epopea di GoW fosse giunta alla sua conclusione. Eppure, l’ultima scena dopo i titoli di coda mostra una scia di sangue allontanarsi nel luogo in cui era disteso lo spartano!

Le storie mai narrate

Ghost of Sparta fu l’ennesimo successo per la serie GoW.

Come prevedibile, il marchio God of War era una fonte di guadagni troppo sicura perché Santa Monica potesse rinunciarvi del tutto. Ecco dunque uscire, già nel novembre 2010, God of War: Ghost of Sparta, secondo episodio della serie dedicato alla portatile Sony.

In questo gioco, ennesimo prequel della saga principale, collocabile tra Betrayal e GOW2, Kratos partirà alla volta della leggendaria Atlantide alla ricerca del fratello scomparso, Deimos, lasciandosi dietro la consueta scia di morte e distruzione.

Il gioco, pur ricevendo numerosi apprezzamenti e recensioni positive, risultava essere molto simile ai predecessori. Riuscì comunque a ritagliarsi un posto nei cuori dei fan grazie alla sua trama e alle rivelazioni sul passato di Kratos, che aggiungevano molti particolari interessanti.

Ascension fu l’ultimo titolo di God of War ambientato nella mitologia Greca.

Nel marzo 2013 è la volta di God of War Ascension, questa volta per Playstation 3, primo episodio in assoluto della saga dal punto di vista cronologico. Ascension narra infatti la dura lotta tra Kratos e le furie, che si rivelerà essere alla base dell’odio che lo spartano nutre per Ares.

Ascension ripropone tutti gli elementi vincenti dei precedenti giochi di GoW, aggiungendo tutta una serie di elementi gestionali nella personalizzazione di armi e armature, e soprattutto un’inedita modalità online. Sarà infatti possibile giocare in multiplayer sia in modalità competitiva sia cooperativa. Questa modalità ricevette reazioni miste dal momento che i giocatori lamentarono un bilanciamento non perfetto dei vari stili di combattimento.

In generale, Ascension ricevette un’accoglienza più tiepida rispetto ai predecessori, sia per la trama meno interessante che per la mancanza di novità degne di nota. Era chiaro che, se voleva tener vivo l’interesse per la sua serie, Santa Monica doveva progettare con attenzione i prossimi passi.

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God of War Ragnarök: guida alla leggenda

Un nuovo inizio per GoW

Il soft reboot del 2018 lasciò i fan davvero a bocca aperta.

L’attesa che i fan dovettero sopportare questa volta fu davvero lunghissima. Per quasi cinque anni infatti Santa Monica si limitò a produrre una serie di collection dedicate ai primi giochi della serie, che per l’occasione vennero anche rimasterizzati in alta definizione. Lo stesso God of War, 3 nel 2015, venne rimasterizzato per PS4, in una versione ancor più spettacolare e graficamente al passo coi tempi.

Le attese dei fan ebbero finalmente fine il 20 aprile del 2018, quando il nuovo episodio della saga di Kratos sbarcò su Playstation 4. Intitolato semplicemente God of War, questo gioco segnò davvero un nuovo inizio per la saga. Le innovazioni furono molteplici. Anzitutto l’ambientazione: dalle lande della Grecia il nostro eroe si stabilisce nei ghiacci del nord, in un ambientazione legata ai nove regni e alla mitologia norrena.

Anche il gameplay risulta profondamente cambiato, grazie ad una nuova visuale dinamica posta alle spalle di Kratos e a uno stile di gioco che sembra puntare più sull’esplorazione e sulla profondità della trama che sui combattimenti; quest’ultimi restano comunque estremamente spettacolari e bilanciati, e continuano a rivestire un ruolo di primissimo piano nell’economia dell’avventura.

Nel nuovo God of War viene implementato anche l’aspetto gestionale, dal momento che il giocatore ha la possibilità di forgiare e potenziare un gran numero di rune magiche e armature. Kratos inoltre sfoggia una nuova arma: l’ascia Leviatano alla quale, senza fare spoiler, andrà ad aggiungersi una seconda arma. Kratos non sarà più solo nelle sue peregrinazioni. Il nostro spartano infatti è inaspettatamente diventato papà. Il figlio di Kratos, di nome Atreus, fungerà da personaggio di supporto e disporrà di una serie di abilità utili sia in battaglia sia per sbloccare tesori o vie precedentemente nascoste.

Tutte queste innovazioni, unite ad una realizzazione tecnica inceccepibile e a una trama ancora più profonda e innovativa rispetto ai titoli precedenti hanno reso il nuovo God of War un successo assoluto, con oltre 23 milioni di copie vendute e la vittoria ai Game Awards come gioco dell’anno.

Il presente di God of War

Ragnarok rappresenta l’apoteosi di tutte le potenzialità di God of War.

Arriviamo ai giorni nostri e a quel God of War Ragnarok che, fin dalla sua uscita, avvenuta nel novembre 2022 su PS5, ha saputo ancora una volta mietere un numero enorme di consensi e riconoscimenti.

Il gioco ripropone tutti gli elementi del titolo precedente, potenziandoli all’inverosimile. Nuove armi, ambientazioni enormemente più vaste, nuove possibilità di personalizzazione grazie all’amuleto runico e l’inedita possibilità di controllare Atreus.

Completano il quadro un comparto grafico e sonoro a dir poco sontuosi e una trama risulta estremamente ben scritta e curata; nello specifico, Kratos e Atreus si trovano sull’orlo dell’inizio del Ragnarok, il colossale scontro tra i nove regni che secondo le leggende segnerà la distruzione e la successiva restaurazione di essi. Tra profezie, inganni e continui pericoli, i nostri due protagonisti dovranno compiere un’ardua scelta tra il desiderio di evitare conflitti e la volontà di fare quello che è giusto.

Anche in questo caso il finale di Ragnarok (su cui non diremo assolutamente nulla) sembra dare una netta conclusione alla vicenda. Tuttavia, abbiamo già imparato come sia difficile per Santa Monica rinunciare alla sua IP più redditizia.

Non vediamo davvero l’ora di scoprire quale sarà il futuro della saga. Il setting verrà di nuovo spostato verso un nuovo Pantheon mitologico? Assisteremo al ritorno nell’Antica Grecia? O forse i programmatori hanno in mente qualcosa di ancora diverso? Possiamo solo aspettare.

Ora come sempre la parola passa a voi lettori! Conoscevate tutta la saga di God of War? Quali sono i vostri giochi preferiti? Fatecelo sapere nei commenti!

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Xbox Game Pass: i migliori giochi di guida

I videogiochi hanno sempre trovato terreno fertile nel mondo dei motori (e viceversa), sin dall’epoca d’oro quando l’osannato cabinato Out Run mi costringeva a investire la mia misera paghetta. Oggi il mondo dei videogiochi, anche quelli di corse, è profondamente cambiato. I cabinati sono quasi estinti in Italia, ma non l’amore per le auto digitali che trova sfogo nei servizi in abbonamento come Xbox Game Pass che contiene diversi giochi di guida: vi elenco qui i migliori!

Forza Horizon 5

Forza Horizon 5

In casa Microsoft i giochi di guida disponibili su Game Pass non sono tantissimi ma sono di qualità. Partiamo dal titolo di punta di casa Microsoft, ovvero Forza Horizon 5 (che abbiamo anche recensito). Il racing game di Playground, studio britannico, porterà i giocatori tra le caldissime strade del Messico.

Oltre 400 auto a disposizione, una campagna con elementi RPG, una componente online competitiva e tanta tanta adrenalina. Il gioco è ottimizzato per Xbox One ma da il suo meglio con la next-gen su Xbox Series S e X. La mappa, quella del Messico come detto, è 1,5 volte più grande di quella di Forza Horizon 4 (anch’esso incluso nel Game Pass).

Nella release 5 è stato sviluppata ed introdotta l’intelligenza artificiale Forza Link, che ha memoria dei comportamenti e dei gusti del giocatore per potergli consigliare sfide sempre più appropriate sia online che in singolo.

Dirt 5 e Dirt rally 2.0

Dirt 5

Cambiamo (quasi) modalità e parliamo di Dirt 5 e Dirt Rally 2.0. Li mettiamo sullo stesso piano perché sono tra i migliori simulatori di riferimento in circolazione ma mentre Dirt 5 impronta il suo gameplay su uno stile molto arcade e spettacolare, che da spazio al divertimento senza pensieri; Dirt Rally 2 invece è un vero e proprio simulatore improntato sul realismo e sulle caratteristiche delle gare reali.

Quindi i fan rallistici avranno pane per i loro denti, sia che si tratti di piloti della domenica che non amano modificare gli assetti ma amano, invece, lanciarsi subito in pista, sia i piloti che amano più ragionare, andando a modificare tutti i dettagli per cercare di spuntare qualche decimo di secondo sul tempo.

Burnout Paradise Remastered

Burnout Paradise Remastered

Restando in tema arcade non possiamo non citare Burnout Paradise Remastered, una versione (completa di tutti i DLC successivi) rimasterizzata appunto a distanza di più di dieci anni. C’è poco da fare, la colonna sonora rock, la velocità e il nitro rendono il gioco ancora tremendamente attuale, facendo scorrazzare il giocatore su un’intera isola, un open world a tutti gli effetti.

A parte il gameplay quasi privo di pecche , ciò che ci piace del titolo Criterion è sicuramente la colonna sonora, che riporta ai fasti quel rock anni ’80 spensierato, in linea con la canzone più ovvia a cui possiate pensare, Paradise City dei Guns ‘n’ Roses.

F1 2022

F1 2022

Nel Game Pass – che cerca di accontentare qualsiasi tipo di palato inclusi quello degli amanti dei giochi di guida – non può non mancare la Formula 1, recentemente giunta alla versione 2022. F1 2022 (di cui trovate la recensione su questo blog) è quanto di più realistico ci sia in ambito videoludico sulla Formula 1.

Gli sviluppatori si sono dovuti adeguare agli importanti cambi normativi a favore di una maggiore spettacolarità del circuito. Cambiamenti che sono tutti riportati in game. Quello che risalta, oltre a ciò che ogni fan di un simulatore di F1 si aspetta è la modalità parallela F1 Life.

Ormai anche i videogiochi si stanno adeguando all’aspetto social della vita di uno sportivo e ovviamente la riportano nel gioco. F1 Life accompagna il giocatore nell’arco di tutta la sua carriera sportiva. Con la possibilità di personalizzare la propria abitazione, di mostrarla al mondo online insieme ai propri trofei.

A livello simulativo il gioco si comporta perfettamente. È altamente personalizzabile consentendo un approccio più arcade per i neofiti sia più simulativo per i giocatori più esperti consentendo la modifica di una miriade di aspetti dell’auto.

Need for Speed: Heat

Need for Speed Heat

Concludo questa rassegna con Need for Speed: Heat. La serie Need for Speed non ha bisogno di presentazioni. Questo capitolo di simulativo non ha assolutamente nulla, come probabilmente nessun capitolo della serie.

Il gioco presenta una serie di gare, alcune legali, corse di giorno ed altre illegali, che hanno luogo di notte, nel turbinio di luci e neon, che però attireranno pattuglie della polizia come mosche. A voi la scelta.

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I 10 migliori Metroidvania

Per metroidvania si intende un’avventura bidimensionale che unisce elementi tipici dei platform con caratteristiche provenienti dalle avventure action. Come si può intuire, il termine è nato dalla “fusione” tra le serie di Metroid e Castlevania.

Inizialmente, la saga Nintendo e quella Konami avevano ben poco in comune (più lineare e action la seconda, più vasta ed esplorativa la prima). Fu solo nel 1997, con l’arrivo di Castlevania: Symphony of the Night, che il termine Metroidvania prese piede.

Ancora oggi, nonostante l’enorme avanzamento tecnologico e sebbene siano i giochi 3D a farla da padrone, il genere Metroidvania risulta molto amato dai videogiocatori; in particolare, alcune serie recenti, come Hollow Knight, sono riuscite a ottenere un ottimo successo e contribuiscono a mantenere questo genere in ottima salute.

Ma quali sono i dieci migliori Metroidvania in assoluto? In questo articolo proveremo a rispondere a questa fatidica domanda. Naturalmente sia la scelta dei titoli che l’ordine di inserimento sono frutto del gusto personale di chi scrive, ma credo potremo tutti concordare sull’incredibile valore di queste dieci opere. Raccogliamo le nostre armi, addentriamoci nel dungeon e iniziamo!

Bloodstained: Ritual of the Night

Bloodstained può essere a tutti gli effetti definito un Castlevania dei tempi moderni.

Uscito nel 2019 per PS4, Xbox One, Switch e Steam, questo titolo di ArtPlay è, a tutti gli effetti, un grande tributo alla saga di Castlevania. L’ambientazione gotica e medievaleggiante, le musiche estremamente ricercate e soprattutto le orde di demoni che affronteremo sembrano davvero uscite direttamente da un titolo della saga Konami.

Anche la trama di gioco, che vede la nostra eroina Miriam fronteggiare un’evocazione infernale causata dall’unico sopravvissuto di una gilda di alchimisti, si richiama palesemente alla saga dei Belmont. Di conseguenza, ogni fan di Castlevania non potrà che amare Bloodstained.

Un’ambientazione piacevole e ispirata, una mappa ben strutturata, boss battle impegnative e una miriade di armi e abilità. Il tutto condito con un comparto grafico moderno e musiche davvero tenebrose.

Bloodstained ha davvero tutto quello che serve per essere un ottimo titolo (pecca forse un po’ in carisma e originalità) e si merita di diritto di entrare nella nostra classifica.

Axiom Verge

Axiom Verge è una classica avventura 2d ricca di mistero e atmosfera.

Se per Bloodstained l’ispirazione a Castlevania era evidente, Axiom Verge attinge a piene mani dalla saga di Metroid. In questa godibilissima avventura controlleremo lo scienziato Trace, sballottato dall’esplosione del suo laboratorio in un mondo sconosciuto. Sotto la guida dell’enorme testa Elsenova, Trace dovrà tentare di salvarsi la vita e risolvere i molteplici misteri del mondo in cui è stato catapultato.

Punti di forza di questo titolo sono la sua atmosfera a metà strada tra l’horror e l’high tech (che ricorda molto la saga di Alien), l’incredibile precisione dei controlli e il numero davvero enorme di armi ed equipaggiamenti.

Anche la trama, portata avanti da vari dialoghi testuali, è molto ben curata; il comparto tecnico invece si ispira palesemente agli action degli anni 90: il risultato è decisamente piacevole, anche se alcuni lo troveranno fin troppo datato. Se siete fan del genere, non fatevelo sfuggire!

Metroid Fusion

Metroid Fusion è stato il degno sequel di Super Metroid.

Uscito a cavallo tra il 2002 e 2003 su Game Boy Advance, Metroid Fusion ebbe l’ingrato compito di fare da sequel a quel Super Metroid che molti considerano tutt’oggi il miglior metroidvania mai uscito. Incredibilmente, però, Fusion si rivelò assolutamente all’altezza della sua eredità.

Il giocatore controllerà nuovamente la cacciatrice di taglie Samus, stavolta alle prese coi temibili parassiti X: organismi in grado di infettare e mutare le forme di vita con cui entrano a contatto. Grazie alla sua tuta “Fusione”, Samus sarà in grado di assorbire i parassiti sconfitti assimilandone le abilità.

La straordinaria giocabilità, le durissime sfide coi boss, l’incredibile comparto grafico (quasi miracoloso considerato che il gioco gira su GBA) rendono Fusion uno dei migliori titoli dell’intera saga di Metroid.

L’ambientazione può risultare piuttosto monotona, ma la bellezza degli scontri, soprattutto quello con SAX (su cui non faccio alcuna anticipazione) compensano ampiamente. Nessun fan della saga può in alcun modo farselo sfuggire.

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Castlevania: Aria of Sorrow

Aria of Sorrow è un piccolo gioiello nella libreria del GBA

Ed ecco il primo esponente della saga di Castlevania a comparire nella nostra classifica! Uscito nel 2003 per Game Boy Advance, Aria of Sorrow ripropone stile e meccaniche di Symphony of the Night, trasportandole in un contesto futuristico.

Il gioco è infatti ambientato nel 2035 e racconta le vicissitudini del giovane Soma Cruz (la cui vera identità sarà un grande colpo di scena), che si troverà suo malgrado risucchiato nel castello di Dracula, apparso a Tokyo durante un’eclissi.

Aria of Sorrow mette a disposizione del giocatore un enorme numero di armi e abilità e introduce il sistema delle anime tattiche. Sconfiggendo i nemici, infatti, Soma potrà assimilare le loro anime, sbloccando potenziamenti, abilità e persino nuove armi.

Nonostante l’accoglienza tiepida ottenuta all’uscita, Aria of Sorrow è riuscito a guadagnarsi un posto nel cuore di tutti i fan di Castlevania, ed è tutt’oggi considerato uno dei migliori capitoli della saga. Pronti ad affrontare di nuovo il castello di Dracula?

Monster Boy and the Cursed Kingdom

Monster Boy ci trasporterà in un viaggio fantasy colorato e divertente.

Uscito nel 2018 per praticamente qualsiasi sistema di gioco, Monster Boy ci trasporta in una coloratissima e divertentissima avventura.

Alla guida del giovane Jin, il giocatore sarà alle prese con una maledizione scagliata dallo zio Nabu, che tramuterà gli abitanti del regno in animali. Lo stesso Jin non sarà immune all’incantesimo e, nel corso della sua avventura, otterrà la capacità di trasformarsi in ben cinque forme animali distinte, ognuna con attacchi e abilità uniche.

Monster Boy si ispira palesemente a un classico dell’era 8 bit, ovvero Wonder Boy 3: Dragon’s trap, a cui si rifà sia per trama che per stile di gioco. Rispetto ai giochi fin qui analizzati, Monster Boy propone uno stile più scanzonato e divertente, ma non per questo meno profondo e impegnativo.

La varietà delle ambientazioni, la bellezza dello stile grafico, le enormi possibilità fornite al giocatore dalle trasformazioni in animale, unite a una giocabilità eccezionale, rendono questo gioco una vera gemma nel panorama dei metroidvania.

Metroid Dread

L’ultimo rampollo della dinastia dei Metroid è assolutamente all’altezza del suo ruolo.

Ed eccoci all’episodio più recente della saga di Metroid. Uscito nel 2021 su Nintendo Switch, Metroid Dread mette nuovamente il giocatore nei panni di Samus. La nostra cacciatrice dovrà vedersela ancora una volta coi parassiti X e soprattutto coi terribili E.M.M.I., robot colorati controllati dai parassiti.

Rispetto ai titoli precedenti della saga, Dread vanta un comparto grafico assolutamente moderno e d’impatto, con modelli poligonali, sfondi e animazioni di primissimo livello. Principale novità del gioco sono le battaglie contro gli E.M.M.I., a cui Samus dovrà dapprima sfuggire attraverso una serie di meccaniche Stealth per poi finirli dopo aver potenziato al massimo il suo raggio.

Queste sezioni aumentano notevolmente la varietà del gioco, già molto alta grazie alle numerose aree del pianeta che Samus può esplorare. Sono ancora una volta davvero memorabili gli scontri coi boss, sempre molto impegnativi e coinvolgenti.

Tutte queste caratteristiche, unite agli ottimi controlli e alla varietà delle armi, fanno di Dread un must per ogni possessore di Switch.

Ori and the Blind Forest

Le atmosfere magiche di Ori sapranno conquistare i cuori di ogni giocatore.

Uscito nel 2015 su Xbox One e giunto nel 2019 anche su Nintendo Switch, Ori and the Blind Forest narra le avventure dello spiritello Ori, caduto dall’albero sacro da cui ha origine.

Dopo una sequenza introduttiva strappalacrime, in cui assisteremo al ritrovamento di Ori da parte di Naru e alla morte di quest’ultimo causata dal deperimento della foresta, il giocatore avrà il compito di guidare Ori verso il salvataggio dell’albero sacro e di tutta la foresta.

La cosa più incredibile di Ori and the Blind Forest è la straordinaria atmosfera che riesce a creare. Lo stile grafico fiabesco, forte di un design dei personaggi assolutamente originale e di un uso sapiente degli effetti di luce, ci avvolgerà letteralmente, guidandoci dolcemente nei meandri della foresta accanto a Ori e al suo piccolo aiutante Sein.

Anche il sonoro, curatissimo e incredibilmente armonioso, contribuisce a coinvolgere totalmente il giocatore, che si trova più volte a provare la sensazione di trovarsi all’interno di un sogno.

Anche il gameplay è assolutamente all’altezza della situazione, con sezioni platform impegnative e un buon numero di attacchi e abilità, sbloccabili tramite l’accumulo di esperienza.

Sebbene il suo sequel, Ori and the Will of the Wisp, risulti nettamente superiore, abbiamo deciso di premiare l’episodio originale della saga. Se non lo avete giocato, recuperate assolutamente questo piccolo capolavoro.

Castlevania: Symphony of The Night

Symphony of The Night ha praticamente inventato il genere Metroidvania.

Non poteva certo mancare in questa classifica il gioco che ha praticamente inventato il genere dei Metroidvania. Symphony of The Night ha infatti dato una profonda svolta alla saga di Castlevania, unendo i suoi elementi action a fasi di esplorazione e potenziamento del personaggio.

Alla guida del tenebroso Alucard, figlio di Dracula, il giocatore ha il compito di investigare su un misterioso potere demoniaco emanato dall’antico castello del nostro malvagio genitore.

Nell’esplorare i meandri dell’antica magione, Alucard avrà la possibilità di raccogliere un gran numero di armi, potenziare i suoi parametri e sbloccare un enorme numero di abilità, tra cui la possibilità di trasformarsi in lupo, nebbia e pipistrello.

Il comparto tecnico di SOTN risulta ancora oggi davvero sontuoso, con eccezionali brani musicali di stampo gotico e una grafica che, pur senza far gridare al miracolo, mostra come anche la cara vecchia prima Playstation fosse in grado di realizzare ottimi titoli in 2d.

La longevità è notevole grazie alla presenza di finali multipli e di ben due versioni del castello da esplorare. Un titolo imprescindibile per ogni videogiocatore che si rispetti.

Hollow Knight

Hollow Knight è forse il miglior metroidvania in chiave moderna mai uscito.

Medaglia d’argento per il capolavoro di Team Cherry. Uscito nel 2017 e ora disponibile per ogni piattaforma possibile, Hollow Knight ci mette nei panni di un misterioso cavaliere impegnato in un viaggio nel regno decaduto di Nidosacro.

La trama del gioco, in maniera simile a quanto visto nella serie Dark Souls, è estremamente criptica e sarà compito del giocatore unire i puntini per comprendere appieno la storia del regno e di quanto sta accadendo.

Come Ori, anche Hollow Knight vanta un registro artistico di altissimo livello, con personaggi e ambientazioni che sfoggiano una personalità e un’originalità davvero invidiabili. Le musiche malinconiche e misteriose contribuiscono a creare un alone di mistero e a coinvolgere ancor di più il giocatore nel viaggio del nostro cavaliere.

L’altro incredibile punto di forza di Hollow Knight è la sua giocabilità. I movimenti del cavaliere sono di una tale precisione e fluidità da rasentare la perfezione e rendono sia le battaglie che le sezioni platform incredibilmente piacevoli e divertenti, nonostante la loro difficoltà decisamente elevata.

Gli scontri coi boss saranno davvero impegnativi (ma mai frustranti) e regaleranno ai giocatori grandi soddisfazioni una volta superati. La struttura della mappa risulta davvero ben studiata e metterà alla prova la capacità del giocatore di orientarsi e sfruttare al meglio tutte le abilità sbloccate durante il gioco.

Completano il pacchetto un’enorme quantità di oggetti, artefatti extra e la presenza di finali multipli, che donano al gioco una longevità enorme. Un capolavoro assoluto, che ogni giocatore degno di questo nome dovrebbe avere nella sua libreria.

Super Metroid

Nonostante abbia ormai quasi trent’anni, Super Metroid è da molti ritenuto uno dei migliori giochi di sempre.

Potrà sembrare una scelta banale; potrà essere poco credibile mettere in cima alla classifica un gioco così vecchio. Sarà l’effetto nostalgia. Saranno i ricordi, ma per chi scrive Super Metroid è tuttora il miglior Metroidvania di sempre (e trovate sul blog anche la nostra recensione contemporanea).

Fin dalla sua uscita, nel lontano 1994, la terza avventura di Samus fu considerata una delle migliori opere per SNES ed è spesso inserita nelle classifiche dei migliori giochi di sempre.

Super Metroid ha praticamente tutto. Una grafica 2d avveniristica per i tempi e tutt’oggi di buonissimo livello. Un sonoro maestoso e coinvolgente. Una giocabilità praticamente perfetta e un numero elevatissimo di abilità e armi nascoste. Si aggiunge a questo una world map praticamente perfetta in cui ogni area del pianeta Zebes risulta credibile e ben caratterizzata.

La cosa più appagante di Super Metroid è il senso di progressione che si avverte nel corso dell’avventura: gli enigmi, le zone nascoste e i nemici diventano via via più impegnativi man mano che aumentano le abilità a disposizione di Samus. Ultima menzione meritano gli incredibili Boss, davvero enormi e a tratti spaventosi.

Super Metroid è una vera opera d’arte. Uno di quei videogiochi che hanno segnato la storia del medium. Consiglio caldamente, soprattutto ai più giovani, di recuperarlo. Credetemi, non ve ne pentirete!

Il mondo dei metroidvania è davvero ricchissimo di titoli interessanti.

Eccoci giunti al termine della nostra panoramica. Come sempre, la parola passa a voi lettori. Conoscevate tutti i titoli della classifica? Avreste inserito altri giochi? O avreste posizionato diversamente quelli inseriti qui? Fateci sapere!

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Train Sim World 3, aspiranti macchinisti cercasi

La sveglia era suonata presto quella mattina. Il servizio iniziava alle 5.13, dovevo portare la mia fida locomotiva da New York Penn a Trenton. Dovevo avviarla, assicurarmi che tutto funzionasse e approntarla per il servizio viaggiatori che da lì a poco avrebbe svolto con la consueta puntualità.

Le luci dell’alba risultano ritardatarie rispetto alla sveglia del ferroviere, l’odore del ferro, che solo chi vive la ferrovia può sentirlo, il rumore dei compressori che si avviano e del pantografo che si alza. Gli operatori di movimento scambi, pronti nelle rimesse, i capistazione al loro posto a garantire la sicurezza della circolazione ferroviaria, macchinisti e capitreno pronti a guidare e scortare treni su e giù per le reti sociali.

Vita sacrificata quella dei ferrovieri, ma ricca di soddisfazioni! Fortunatamente i nostri amati videogiochi ci danno l’opportunità di sperimentare anche mestieri, bypassando i sacrifici e facendoci provare solo il divertimento e lasciandoci tante soddisfazioni.

E’ questo il caso di Train Sim World 3 (TSW) della Dovetail Games. Simulatore di treni che conferma la bontà del lavoro svolto dopo già vari episodi, i primi due più TSW 2020 e Rush hour. Tutti ottimi titoli apprezzati sia per il comparto grafico che per la profondità simulativa. E TSW 3 non è da meno, uscito il 6 settembre scorso per PC, Xbox e PS, lascia a bocca aperta per la grafica, la cura dei dettagli, la maniacale riproduzione dei treni e delle cabine di guida.

Ogni dettaglio è lì, dove esattamente ce lo aspettiamo, addirittura, guidando il treno, ci si può rendere conto, tra l’altro, della direzione che il treno prenderà da lì a poco, verificando come è disposto lo scambio che si sta per superare (come avviene nella realtà in fin dei conti).

Servizio cargo e merci

Il simulatore e le linee

Ma procediamo con ordine. Non vi aspettate un mondo libero tipo Flight Simulator. Non si può prendere il treno e girare per tutto il mondo conosciuto. Il simulatore è provvisto di scenari specifici, la versione standard ne prevede tre, il Cajon Pass, basato su trasporto merci con muscle-locomotive cazzute che trainerebbero anche Hulk su per i pendii.

Lo scenario ambientato sulla SouthEastern High, delicata ed altolocata ferrovia inglese a sudest di Londra, tra il Kent ed il Sussex per la precisione, sulla quale potrete provare, tra gli altri, il bellissimo Javelin, treno ad alta velocità che in base alla linea percorsa può sfruttare sia la corrente fornita dalla linea aerea sia quella fornita, in alcuni tratti, dalla terza rotaia.

Ed infine l’impressionante Schnellfahrstrecke Kassel-Wurzburg, certo, molti di voi penseranno che sia impressionante per l’impronunciabilità e lunghezza del nome, è vero, anche, ma la ferrovia appena poco più sopra citata è impressionante anche per la bellezza dei paesaggi che attraversa e per le mastodontiche opere di ingegneria civile da cui è composta: gallerie, ponti e viadotti. Sulle sue linee, sfrecciano i treni ad alta velocità Ice1 e Ice3 e guidarli è un vero piacere.

Le locomotive

I treni sono vari, locomotive straniere, ovviamente, purtroppo di italica produzione non è presente nulla. Tutti i treni, quelli presenti già nel gioco e tutti quelli eventualmente acquistabili successivamente sono fedeli alla realtà. Per chi si aspettasse qualcosa di arcade, farebbe meglio a rivolgere la sua attenzione ad altro, perché qui se non si sa “quali bottoni schiacciare” e quali checklist seguire (tra l’altro differenti per ogni treno), non si parte.

Anche se il funzionamento di ogni locomotiva, di massima è più o meno uguale, la combinazione delle due differisce da treno a treno. Una leva per dare “trazione” ovvero sfruttare la corrente della linea aerea oppure dare potenza ai motori, nel caso di trazione diesel, e una leva per applicare il freno, a volte anche più di un freno. Quello pneumatico e quello elettrico, ma ciò avviene solo nelle locomotive più “pesanti” come quelle cargo o i lunghissimi treni viaggiatori.

Nelle locomotive più moderne, di solito, la leva di acceleratore e freno coincide, semplicemente si tira la leva a sé per accelerare e la si spinge in avanti per frenare (questo è anche un motivo di sicurezza ferroviaria, poiché se il macchinista dovesse sentirsi male, accasciandosi, ad esempio, in avanti, la mano, che deve essere sempre sulla leva per un pronto intervento, andrebbe in avanti, frenando, di fatto, il convoglio).

Il Centro di Addestramento

Ma non abbattetevi, a guidarvi passo passo su come si guida un treno, o meglio, come si guidano le varie locomotive, oltre al manuale, in formato PDF of course, è presente un corposo centro di addestramento. Un tracciato, creato per l’occasione, che si può esplorare a piedi e dove si possono guidare tutte le locomotive presenti nel simulatore e, grazie ad una voce guida, scoprirne segreti e procedure.

È stato fatto un bel passo avanti rispetto ai precedenti episodi dove l’addestramento avveniva in linea, con orari da rispettare e viaggiatori da trasportare. Meno ansie, grazie al nuovo Centro di Addestramento.  

Menù e clima dinamico

I menù di gioco sono puliti e gradevoli, accompagnati da una rilassante melodia ed intervallati da scrosci di pioggia e di vento. Questi suoni non sono messi lì a caso. La caratteristica infatti introdotta in questo terzo capitolo del simulatore è il clima dinamico. Che significa?

Significa che che mentre sarete in viaggio, il clima potrà variare casualmente. Partirete con cielo terso pomeridiano, potrete attraversare una perturbazione e arrivare a destinazione di sera, di nuovo con cielo limpido costellato di stelle.

Questa caratteristica, così come l’alternanza giorno/notte, contribuisce a fare percepire al giocatore il tempo che passa, il tempo che si passa alla guida più che altro. Ma vediamo con ordine cosa possiamo fare nel simulatore.

Corsa notturna con il Javelin

Il gioco

Il menù è diviso in più sezioni, a parte il centro addestramento, le cui “missioni”, divise per treno, possono essere giocate quante volte si vuole fino all’apprendimento completo. Abbiamo la sezione deposito treni, nella quale possiamo scegliere un treno e del quale giocare sia degli scenari predefiniti sia seguire una “tabella oraria” ovvero espletare dei “servizi” che impiegano dai 5 minuti fino anche all’ora di gioco o poco più e che coprono la giornata lavorativa da prima mattina fino a sera tardi.

Si spazia dal preparare un treno per il servizio, portarlo al lavaggio, trasportarlo vuoto fino alla stazione dal quale inizierà il servizio viaggiatori o ovviamente espletare direttamente il servizio al pubblico. Gli incarichi, così come sono divisi per treno, sono divisi anche per scenario.

Questo è il cuore del gioco, ovvero dove verranno sfruttati gli scenari e locomotive già presenti nel simulatore e/o quelle acquistate eventualmente in un secondo momento.

Poi abbiamo delle missioni predefinite, per chi vuole giocare subito senza troppi fronzoli. Il gioco chiede quanto tempo si ha a disposizione, fino alla mezz’ora o dalla mezz’ora in poi e, in base alla risposta, decide quale missione è più a noi congeniale.

Lo spiccato realismo

In game il feeling con la locomotiva è davvero molto forte. Si capisce subito che se non si sa dove mettere le mani, quel treno non partirà, vi ritroverete davanti una miriade di tasti, bottoni e luci, quasi tutti cliccabili ma, fortunatamente, per condurre un treno non vi serviranno proprio tutti quei tasti, ne basteranno alcuni specifici (benedetto sia il Centro di Addestramento).

In ogni caso, la completezza della cabina di guida, contribuisce ad un realismo generale molto spinto. Conducendo il vostro veicolo, vi renderete conto di quanto belli siano gli scenari, il realismo delle tratte percorse nonché il realismo del sistema di segnalamento, poiché nello scenario non sarete soli, ma in compagnia di altri treni che viaggeranno per conto loro e dai quali dovrete distanziarvi. Ma cerchiamo di capirne di più.

Il velocissimo Acela della Amtrak statunitense

Il segnalamento

Normalmente le linee ferroviarie vengono delimitate da sezioni di blocco, di lunghezza variabile, dei segmenti di linea diciamo, che per la sicurezza della circolazione devono essere impegnate da un treno alla volta. I treni dovranno essere distanziati dai treni che li precedono quando viaggiano su doppio binario. Quando invece la linea è esercitata a semplice binario, essi dovranno essere distanziati sia dai treni che li precedono che da quelli incrocianti, essendo unica la sede ferroviaria.

Per il distanziamento vengono utilizzati i segnali, sia lungo la linea, sia all’interno delle stazioni. In Train Sim World 3 tutto il sistema di segnalamento è riprodotto fedelmente in base alla ferrovia rappresentata, che seppur avendo caratteristiche comuni al sistema di segnalamento italiano, a volte, differisce.

L’HUD

Nel gioco, fortunatamente, ci viene in soccorso l’HUD (Head Up Display) presente , che ci mostra, in forma sintetica, le principali informazioni. In alto a sinistra la distanza, in Km o miglia, dal prossimo punto di fermata o transito, in alto a destra viene mostrato l’aspetto del prossimo segnale (semplicisticamente: verde=via libera, rosso=arresto del convoglio prima di superare detto segnale e giallo=via libera al primo segnale incontrato, ma segnale successivo disposto a via impedita, quindi rosso) e la velocità di tracciato consentita.

In basso a destra infine, ci verranno mostrate le info necessarie a condurre la locomotiva, stato dei freni, velocità attuale, pendenza della linea.

HUD di gioco, sempre presente, anche in visuali esterne

Attività a corredo

Nel simulatore, superare un segnale a via impedita comporterà la conclusione dello scenario in corso e lo farà ricominciare, mentre superare i limiti di velocità comporterà un minore punteggio al giocatore.

Si perché mentre scorrazzerete con la vostra bella locomotiva nuova fiammante, il gioco vi attribuirà dei punti abilità/esperienza in base alla vostra conduzione del treno, in una sorta di gamificazione che sarà utile per mostrare ai vostri amici le vostre performance di guida.

A conclusione delle attività da svolgere nel simulatore, abbiamo piccoli incarichi che porteranno al giocatore più punti, da svolgere lungo le linee percorse, tipo ripristinare le mappe nelle stazioni, pulire, cestini sporchi, ripristinare gli estintori o riempire i dispenser di quotidiani. Tutte attività secondarie, alquanto inutili secondo chi scrive, ma che potranno invogliare i giocatori a “platinare” il gioco.

A corredo del tutto Dovetail Games ha introdotto anche un content creator, in particolare di livree e scenari, che potranno essere scaricati senza limitazioni da parte degli utenti, a patto di possedere i pacchetti giusti di locomotive.

Analisi delle prestazioni e punteggi attribuiti

Conclusioni

In definitiva un simulatore solido questo Train Sim World 3, forse pensato più per console che per PC, per il quale esiste Train Simulator sempre di Dovetail Games. Ma il livello di realismo in TSW3 è portato ad altissimi livelli.

Un simulatore sicuramente di nicchia, adatto per coloro che amano il mondo dei treni e della ferrovia in generale, non per tutti. Spesso, guidare per un’ora consecutiva, stanca. Ma questo è il mondo della ferrovia e lo si accetta per il fascino che lascia ai suoi cultori. E magari, se appassionati non lo siete, con TSW3 potrete diventarlo.

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Editoriali

Patient Gamer: l’arte di saper attendere

In un momento storico in cui il mercato videoludico spinge con sempre maggiore intensità verso il preordine, l’acquisto al Day One e più in generale, l’acquisto affrettato e compulsivo dell’ultimo titolo AAA, attendere cali di prezzo, recensioni ed opinioni prima di acquistare un titolo è diventato un atto di ribellione così necessario da far nascere anche l’appellativo di Patient Gamer.

Un’industria fagocitatrice di tempo

I bonus preordine non sono l’unico incentivo per acquistare un titolo anzitempo. La vera spinta, invece, arriva direttamente dai consumatori che anelano la fatidica chiacchiera attorno all’ultima colossale fatica di questa o quella Major.

Chiacchiera che ha purtroppo, vita sempre più breve all’interno di un mercato quantomai saturo e affollato. Diventa necessario allora affrettarsi a terminare l’ultimo titolo prima di procedere ad acquistare il prossimo o, come avviene più soventemente, non terminarlo del tutto. Per essere videogiocatori oggi non è più sufficiente essere appassionati, è richiesta anche un’attiva partecipazione in una discussione che si aggira per i locali del web, al videogiocatore è demandato l’onere di essere sempre attivo e sul pezzo, di tenersi perennemente aggiornati su tutte le principali uscite nel medium.

In questo ambiente tanto ostile a chi il videogioco desidera viverlo con i propri tempi, cresce di giorno in giorno il gruppo di patientgamers, una nicchia ormai stufa di doversi precipitare ad acquistare l’ultima uscita prima che questa non interessi più a nessuno.

Persino i servizi in abbonamento, che si presentano almeno in teoria come antitesi di queste logiche anti-consumatore, acquistano prestigio non tanto per la qualità dei titoli presenti nel catalogo, opere dal valore storico ed artistico indiscutibile, bensì dalla quantità di titoli presenti sin dal Day One all’interno del propria selezione.

Da un’osservazione fredda e analitica di qualcuno completamente esterno al mondo del videogioco si potrebbe dedurre dunque che la qualità di un titolo venga dettata esclusivamente da quanto recente sia la sua data di uscita rispetto al momento in cui lo si giochi.

Il ruolo della community

Il videogiocatore moderno allora da una parte si lamenta di come nelle iterazioni moderne si punti solo alla grafica come elemento di innovazione rispetto ai precursori, dall’altra si disdegnano a piè pari titoli anziani di “appena” 3 o 4 anni, che appaiono moltissimi in un mondo informatico, ma che risultano incredibilmente brevi dal punto di vista sociale: molti videogiochi di epoche ormai scomparse risultano ancora incisivi e significati dal punto di vista artistico e ludico; pur che ciò si riferisca anche solo all’articolazione di una trama ben strutturata.

Non è obiettivo di questo articolo, tuttavia, condannare il discorso attorno al videogioco, sarebbe ipocrita visti i pomeriggi trascorsi a redarre testi simili a questo in cui discutere in compagnia.

Questo non vuole essere un invito al silenzio, né tantomeno una condanna a chi gioisce nel sentirsi parte di una community, al contrario si tratta di un invito a unirsi a community durature e affezionate, pronte ad accogliere nuovi membri non solo appena dopo l’uscita dell’ultimo titolo, ma in momenti sparsi nell’arco del naturale ciclo di vita di un gioco, pur mantenendo il sempre gradita discussione che si crea attorno all’uscita.

Un invito dunque alla ponderatezza e all’arte di saper attendere.

I vantaggi dell’attesa

I giocatori PC si sono accorti già da tempo delle pessime condizioni in cui i videogiochi sono stati rilasciati nel mercato recentemente. Titoli funestati da bugs, glitches e problemi di ogni sorta rilasciati a prezzo pieno sono all’ordine del giorno, lasciando che sia l’acquirente a fungere da beta tester e dovendosi accollare giga e giga di aggiornamenti mirati a risolvere (almeno in parte) problemi di prodotti altrimenti prossimi all’ingiocabilità.

L’utenza ha già accettato da tempo le patch del Day One, consapevole che la crescente mole di contenuti di un videogioco comporti un conseguente aumento di problematiche del software.
Il problema sorge qualora – e non si tratta affatto di un evento raro – qualora la suddetta patch non sia in grado che di “mettere una pezza” sulle varie problematiche e si finisce col dover attendere giorni, se non settimane e mesi prima di poter usufruire di un prodotto rassomigliante al progetto ideato dagli sviluppatori.

Alla luce di ciò l’invito diventa più che mai attuale: attendete! Quale fretta può mai spingere così impudentemente ad acquistare prodotti completi solo in parte, per di più a prezzo pieno?

Perché, naturalmente il vantaggio dell’attesa è anche di natura puramente economica.

Il preordine di The last of Us Part 1 offre degli strumenti per rendere il gioco più facile durante le prime fasi di gameplay.

L’attesa è risparmio

Tutti i videogiocatori con alle spalle qualche anno di esperienza nel medium, sanno quante volte capiti che un gioco annunciato in pompa magna, massivamente spinto da campagne marketing onnipresenti finisce per essere accolto solo tiepidamente da critica e pubblico.

A quel punto, generalmente, basta poco tempo affinché il gioco affolli gli scaffali di store fisici e digitali invenduto, finendo per dimezzare rapidamente il proprio prezzo di partenza dopo giusto alcune settimane.

Ma non è affatto necessario che si tratti di un gioco mediocre. A prescindere dalla qualità generale dell’esperienza, è un dato di fatto: i videogiochi mutano il loro prezzo rapidamente (eccezion fatta per le esclusive di casa Nintendo, che optano per una politica di prezzo nettamente differente), andando incontro a sconti e black friday di ogni sorta, eventualmente persino ribassamenti di prezzo voluti dal singolo rivenditore.

È certo comunque che quando si decide di acquistare “in ritardo” lo si fa con maggiore cognizione di causa, dal momento che il titolo a quel punto sarà stato ampiamente analizzato e documentato in ogni sua parte da altri appassionati e testate specializzate. Farsi un’idea più precisa del prodotto è a questo punto semplicissimo, rimosso il costante rumore di fondo dato da trailers, campagne marketing e dichiarazioni da parte degli sviluppatori (che, per quanto genuine, sono per propria natura filtrate dalla passione per il gioco, o da banali ma non meno valide questioni economiche) che spingono l’utenza ad acquistare un prodotto ancora prima che quest’ultimo abbia veramente compreso di cosa si tratti.

Semplicemente, acquistare un titolo uscito già da qualche tempo non solo prevede un risparmio di tipo economico, ma anche un’incrementata igiene mentale nell’approccio con l’opera, in quanto una volta liberati dalla pressione mediatica ci si può ritenere effettivamente consci del prodotto di cui si sta venendo in possesso, consapevoli del tipo di esperienza che si ci accinge a sperimentare.

Non è una condanna

Fraintendere è semplice, ma è comprensibilissimo che un utente si sia fidelizzato a un’IP, una software house o, ancora meglio, uno specifico autore e decida di sua spontanea volontà di riporre la propria fiducia in questo o quell’entità preordinando un titolo o acquistandolo al Day one.

Non bisogna sorprendersi, però quando il prodotto acquistato si riveli essere il Cyberpunk o il Death Stranding di turno, che per indole non possono soddisfare un pubblico dalle aspettative incontentabili, fondate non sulla base di quello che il software finale vuole essere, bensì maturate all’interno della propria immaginazione, accresciuta dallo scalpitio degli altri appassionati su internet nella perenne attesa della next big thing, che finisce puntualmente o per non arrivare mai, o per arrivare solo in parte (com’è naturale che sia visti i numeri spropositati di cui è composta l’industria del gaming “tradizionale”) accontentando una nicchia più ricettiva a un certo tipo di gameplay, trama o esperienza.

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3 videogiochi capolavoro per chi ha poco tempo

Talvolta, per immergersi al meglio all’interno del videogioco, tendiamo a scegliere prodotti con un importante longevità, in grado di tenerci incollati allo schermo con infinite quest e collezionabili. Ma si sa, con l’arrivo dell’età adulta il tempo per dedicarci alla nostra grande passione è sempre scarseggiante. Per fortuna però, non sempre maggiore longevità vuol dire maggiore qualità e i videogiochi capolavoro per chi ha poco tempo che vi mostreremo tra poco lo dimostrano in pieno.

What Remains of Edith Finch

Un titolo dalla durata di sole due ore di storia principale, mentre qualora si volesse completarlo al 100% la durata si alzerebbe a tre ore di gioco totali. Un videogioco così rapido che può portare a termine anche chi ha poco tempo, presenta in realtà un’insospettabile varietà di gameplay. Annoiarsi con questo titolo è davvero una sfida difficile da superare.

Videogiochi per chi ha poco tempo: What Remains of Edith Finch
Una strana casa che fa da sfondo ad un meraviglioso level design. Ambienti così curati se ne vedono gran pochi in giro.

Il gioco narra di un’eccentrica famiglia stanziata nell’ isola di Orcas. Il protagonista della nostra storia arriverà di fronte alle porte di casa Finches, e guidato dalle parole del diario di Edith Finch, ne esplorerà ogni suo meandro, venendo a conoscenza delle peculiari morti dei suoi residenti. Una maledizione sembra esser calata sulla famiglia Finches e sta al giocatore scoprire la storia nascosta di ogni membro della famiglia.

L’esplorazione della casa sarà molte volte interrotta da flashback, i quali rappresentano le vere perle di gameplay. Stili grafici e modalità di gioco cambiano ad ogni “livello”, il tutto contornato da un’ottima narrazione di fondo che ci lascerà sospesi, a domandarci come sono andate realmente le cose. Se preferite uno stile di gioco rilassato e semplice, allora What Remains of Edith Finch è un titolo da provare assolutamente, di cui abbiamo parlato anche in questo articolo.

Last Day of June

Last Day of June è un titolo uscito nel 2017, un’avventura story-driven pronta a sbalordire con il suo comparto grafico, ed i suoi “colpi di scena”. Questa capolavoro si attesta sulle quattro ore, rendendo inoltre disponibile una caccia ai collezionabili per chi fosse interessato, e una storia emozionante, che ci pugnalerà molte volte allo stomaco.

Videogiochi per chi ha poco tempo: Last Day of June
Una tragica notizia cambierà il mondo intorno a noi.

La storia si svolge in una piccola cittadina di campagna, dove tutto sembra emanare una sorta di perfezione sospesa, rimbalzante tra i visi solari dell’esuberante vicinato. Il nostro protagonista è un uomo sposato, ed anche la sua vita sembra galleggiare in quell’atmosfera meravigliosa contenuta nel quadro che è lo stile grafico. Ma tale perfezione durerà poco. Una tragica notizia cambierà il mondo intorno a noi, spegnendo quei vivaci colori che ci davano speranza, trascinando il protagonista in un’estenuante lotta per cambiare il passato.

Il comparto grafico, tecnico, la caratterizzazione dei personaggi, tutto ciò regala al giocatore un’esperienza che lo abbraccia a 360 gradi. Accontentando sia gli amanti delle storie curate sia gli amanti dei puzzle-games. Una silenziosa notte, un tè caldo e voglia di rilassarsi, sono questi gli elementi per godersi a pieno questo ennesimo capolavoro.

To The Moon

Infine, il vero e proprio Capolavoro con la “c” maiuscola. Uscito nel lontano 2011, dalla Freebird Games, ha segnato per sempre i cuori di molti videogiocatori. Il gioco è un Adventure Game che si attesta sulle tre ore; un tempo che può sembrare quasi troppo breve per suscitare una tale emozione, ma vi sbagliereste. In sole tre ore, To The Moon riesce a mantenere incollato il giocatore che ha poco tempo grazie alla meravigliosa storia e alla (leggermente datata, ma sempre gradita) grafica pixel-art, regalandoci un indimenticabile esperienza da giocare tutta d’un fiato.

Il tempo passa, ma certi capolavori non appassiscono mai.

Il gioco racconta le vicende di due scienziati della Sigmund Corporation, un organizzazione in grado, tramite una tecnologia avanzatissima, di modificare i ricordi di pazienti moribondi così da regalargli il loro ultimo desiderio. I nostri protagonisti sono degli esperti, ma il paziente che visiteranno questa volta, sarà diverso da tutti gli altri. Raccontare di più sarebbe veramente troppo per un’esperienza così breve, quindi lascio a voi il piacere della scoperta. Vi posso assicurare che non rimarrete delusi da questo capolavoro.

Se non avete mai sentito parlare di questo titolo, correte a comperarlo. Se invece lo conoscente già, allora forse potreste non essere a conoscenza dei sequel. A Bird Story, Finding Paradise e Impostor Factory sono tutte valide alternative; le durate sono simili, mentre la bellezza è tutta da scoprire.

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Diablo 4: uno sguardo a Druido e Negromante

Ed eccoci a parlare ancora una volta di Diablo 4, una delle release più importanti dell’anno. La scorsa settimana, grazie all’Accesso Anticipato, abbiamo potuto avere un assaggio del mondo di Sanctuary e di tutti gli orrori che ci offrirà. Oggi invece sono qui per darvi le mie impressioni sulle ulteriori due classi disponibili durante l’Open Beta, ovvero il Negromante ed il Druido.

Chiarisco subito che questa vuole essere una semplice panoramica delle due classi sopra citate, del feeling che restituiscono giocando. Ritengo superfluo analizzarne minuziosamente i vari aspetti basandomi su una open beta con level cap al 25. Se invece volete un’opinione generale sul gioco qui trovate il nostro articolo sull’accesso anticipato. Ora, fatta questa doverosa premessa, vediamo un po’ come se la cavano i due nuovi eroi di Sanctuarium.

L’erede di Rathma

Il Negromante è una delle classi più iconiche dell’ intera saga. Un incantatore che ha votato la sua intera vita allo studio delle arti più oscure, quali la magia delle ossa, delle ombre o, banalmente, la negromanzia.

Se adorate lo stile di gioco da “summoner” allora questa è la classe che fa per voi. Evocazione di scheletri combattenti, scheletri maghi e golem, questo è quello che da sempre contraddistingue il Negromante, e la sua iterazione di Diablo 4 non fa eccezione. Il poter contare su di un piccolo esercito di ossa ambulanti ha sempre il suo fascino, ma il necro non si limita a questo.

Il caro vecchio skilltree.

Questa volta possiamo contare su vari incantesimi del sangue, dell’ombra e delle ossa. Ovviamente non mancano i grandi classici che contraddistinguono questa classe da sempre, principalmente la Lancia d’ossa, la mitica Esplosione Cadaverica e le immancabili maledizioni, come la Vergine di Ferro. Peccato notare la mancanza delle spell basate sul veleno, che sembra esser diventato affare del Druido. Ma andiamo a quel che realmente ci interessa. Che feeling restituisce questa nuova(vecchia)classe su Diablo 4?

Si finisce sempre qui.

Il Negromante è, a mani basse, la star di questa open beta. O quantomeno lo è per me. Se dovessi descriverlo in una sola parola direi devastante. Un mix letale di minions, magie AoE, capacità difensive, debuff e danni altissimi, questo è il necro di Diablo 4, quantomeno durante i primi 25 livelli. Lanciarsi nel bel mezzo dei nemici per scaricare una nova di sangue e vedere lo schermo che fa “boom”? Lo potrete fare. Stare in disparte indebolendo gli avversari, a suon di maledizioni, mentre il vostro esercito ambulante fa piazza pulita? Potete fare anche questo.

Entrambi gli stili funzionano, già dai primissimi livelli. Ovviamente nulla vieta di esporsi in prima linea, assieme ai propri minions – cosa fatta dal sottoscritto – ed adottare uno stile ibrido caster/summoner, che ritengo anche essere il più divertente.

Sangue, scheletri e tante botte.

Una aggiunta degna di nota è la nuova meccanica del Libro dei Morti. Da questa schermata è possibile “personalizzare” le proprie summons, scegliendo il tipo di scheletro – ad esempio scheletri combattenti, difensori o mietitori – ed uno tra due effetti passivi. Interessante anche la possibilità di scegliere di non utilizzare affatto l’evocazione, garantendo ulteriori bonus passivi al Negromante.

Il Libro dei Morti. Io ad esempio utilizzo i mietitori.

Come premesso non starò qui ad elencarvi ogni singola abilità della classe, anche perché qualsiasi cosa nel kit del Negromante è efficace. Già da ora si intravedono diverse possibilità di building, e sembrano tutte valide. Di fatto non ho riscontrato alcun difetto nel necro, ed anzi, a tratti mi è sembrato che fosse anche troppo forte, visti gli innumerevoli strumenti offensivi e difensivi in suo possesso.

Insomma, se avete giocato la medesima classe nei precedenti capitoli vi sentirete subito a casa. E massacrerete orde di demoni senza alcuna difficoltà.

La furia della Natura

Ed ecco il secondo ritorno, un ritorno che si attendeva da ben 22 anni. Torna il Druido, ibrido incantatore/mutaforma introdotto nella saga nel lontano 2001, con l’ espansione di Diablo 2, Lord of Destruction. Che dire del Druido di Diablo 4? Se avete giocato il secondo capitolo della saga saprete già cosa aspettarvi.

Il Druido si può giocare principalmente in due modi, ovvero da guerriero con abilità di mutaforma, o da incantatore grazie ad i suoi incantesimi elementali di roccia, fulmine ed aria. Durante l’open beta io ho potuto provare a fondo solo il primo archetipo, vuoi per i pochi livelli disponibili, vuoi perché di aspetti leggendari che potenziassero l’altro banalmente non ne ho trovati.

Impersonare un lupo mannaro ha sempre il suo fascino.

Faccio subito una premessa, il Druido può funzionare, con i dovuti accorgimenti. Ma se con il Negromante la sensazione di poter sbaragliare tutto e tutti è lampante, con il Druido bisognerà invece sudare parecchio per portare la pelle a casa.

L’idea alla base del Druido è di utilizzare le skill primarie – i cosiddetti generatori – per accumulare Spirito (la risorsa principale della classe)per poi spenderli in pochi ma potenti attacchi. Un’idea semplice, che però a conti fatti non funziona, perché banalmente mancano i danni ed i generatori avrebbero bisogno di un buff.

Investire tutto nel Lupo Mannaro non è stata una grande idea.

Anche la gestione dello Spirito è macchinosa, poiché non si rigenera mai passivamente. Questo porta ad uno stile di gioco lento, dove dopo 3-4 cast delle skill da danno siamo costretti ad autoattaccare per rigenerarlo. Il Negromante e l’Incantatore ad esempio fanno più danni e gestire la loro risorsa primaria è più semplice ed intuitivo.

Carina l’idea di dare al Druido gli attacchi velenosi, ma anche lì, il veleno fa poco male, e soprattutto non viene accumulato nel bersaglio, rendendolo di fatto un debole DoT. L’unico modo di renderlo efficace è tramite svariati aspetti leggendari fondamentalmente.

Danni bassini, AoE decente ma davvero poca mobilità, questo è quello che ho notato durante la mia run. Aggiungiamoci che le capacità difensive del Druido al momento non sono poi così entusiasmanti, ed abbiamo una classe seriamente in difficoltà in molti scontri, soprattutto quelli con i boss. Menzione d’onore per l’odiosissima Den’s Mother, che mi ha davvero fatto penare.

Perché la meccanica degli Aspetti Animali sia stata bloccata rimane un mistero.

Per correttezza aggiungo anche che la meccanica unica della classe, gli Aspetti animali, non era disponibile durante l’open beta, inspiegabilmente aggiungerei. Di fatto il Druido era l’unica classe a non avere accesso a questa peculiarità, che sarebbe il corrispettivo dell’ Arsenale del Barbaro o il Libro dei Morti del Negromante.

Quello che ho detto fino ad ora non implica però che la classe sia da buttare. Io stesso ho sperimentato due build soddisfacenti. Una basata esclusivamente sul veleno e sul poterlo spargere tra i nemici grazie alla skill Rabies ed all’evocazione di due piccoli lupi mannari, anch’essi velenosi. Un’altra che andava ad utilizzare la meccanica dell’ Overpower assieme alla skill Pulverize. Entrambe però richiedevano la combo di aspetti leggendari, cosa di cui non necessitavo con Negromante o Incantatore ad esempio.

Per concludere vi dirò la verità, paradossalmente la classe che più mi ha divertito è proprio il Druido, pur con tutte le sue mancanze. Affinare la build, decidere se puntare sul veleno o sul danno puro e riuscire finalmente a concludere la beta è stato soddisfacente. Il Negromante, di contro, l’ho trovato fin troppo forte, qualsiasi specializzazione seguissi.

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Batman: i migliori e peggiori videogiochi dell’uomo pipistrello

Batman: il crociato incappucciato, nato nell’ormai lontano 1915 dalla mente di Bob Kane e Bill Finger, è indubbiamente uno dei più grandi e famosi supereroi del mondo. Visto il grande fascino e l’enorme popolarità del personaggio, non stupisce il gran numero di videogiochi dedicati al cavaliere oscuro. In questo articolo proponiamo una carrellata di dieci titoli che, nel bene e nel male, hanno caratterizzato la storia di Batman nel mondo dei videogiochi.

Per rendere le cose più divertenti, abbiamo pensato di stilare due vere e proprie classifica sulle opere di Batman, una dedicata ai peggiori mentre l’altra ai migliori. Buona Bat-Lettura a tutti!

Flop Five

Ed ecco a voi quelli che, a giudizio di chi scrive, rappresentano i cinque peggiori titoli mai realizzati su Batman. Prima di cominciare precisiamo che si è scelto di non considerare né i giochi mobile né i vecchi titoli LCD, ma solo giochi usciti per console e computer.

5. Batman Forever, 1995 (SNES, GENESIS, DOS)

Batman Forever
Batman Forever, nonostante le buone idee, fu penalizzato dai suoi controlli.

Uscito per sfruttare il successo della pellicola da cui è tratto, Batman Forever sfoggia una grafica digitalizzata molto simile a quella della serie Mortal Kombat e si presenta come una via di mezzo tra un plattform e un picchiaduro a scorrimento. Il titolo Acclaim possiede un buon comparto tecnico e offre una discreta varietà, anche grazie al gran numero di gadget utilizzabili.

Ciò che però lo affossa completamente è il suo sistema di controllo. Acclaim infatti ebbe la bella pensata di riproporre il sistema di combattimento di Mortal Kombat e di adattarlo a questo gioco. Ciò rese i salti un vero e proprio incubo e obbligò gli sviluppatori ad assegnare comandi vitali per la prosecuzione dell’avventura (come il rampino) a pulsanti secondari, spesso da usare anche in combinazione.Inutile dire quanto scomodi e frustranti risultassero questi comandi.

Batman Forever poteva essere un gioco più che discreto, ma a causa dei suoi controlli e della terribile monotonia dei combattimenti entra di diritto nella nostra flop five ed è destinato a restarci…forever!

4. Batman: The Caped Crusader, 1988 (PC)

Batman The Caped Crusader
Giocare a caped crusader era proprio come usare un fumetto interattivo. Il che non sempre è un bene…

Sviluppato a fine anni ottanta su praticamente tutti gli home computers, Batman: The Caped Crusader è una semplice avventura a scorrimento laterale basata su esplorazione e combattimenti. Nei panni di Batman, il giocatore ha la possibilità di scegliere se sfidare il Joker o il Pinguino, senza reali differenze tra un’avventura e l’altra.

Grafica e sonoro sono più che discreti per i tempi, ma ciò che rovina l’esperienza di gioco è la scelta degli sviluppatori di realizzare lo svolgimento dell’avventura tramite vignette. Ogni volta che Batman lascia una schermata, infatti, si ritroverà in una nuova vignetta con una nuova location. Quella che ha lasciato, tuttavia, non scomparirà, ma resterà sullo sfondo senza alcuno scopo se non quello di infastidire e confondere il giocatore.

Come se non bastasse, il sistema di combattimento è estremamente impreciso e legnoso e crea ben presto un senso di frustrazione. Anche in questo caso, un titolo potenzialmente interessante, rovinato da scelte discutibili e da una realizzazione non proprio impeccabile.

3. Batman Forever, 1996 (Arcade)

Batman Forever Arcade
L’arcade di Batman Forever è un titolo davvero terribile.

Ancora una volta un titolo dedicato al film di Joel Schumacher. Stavolta però si tratta di un gioco davvero terribile. Batman Forever è infatti un banale picchiaduro a scorrimento dotato di un gameplay incredibilmente scialbo e ripetitivo, con pochissime azioni di attacco disponibili e un numero davvero spropositato di nemici tutti uguali.

A peggiorare ulteriormente la situazione c’è il fatto che l’azione viene continuamente interrotta dalle animazioni dei power up dei personaggi, che spesso si rivelano inutili. Anche la grafica risulta ben al di sotto degli standard dei tempi. Un gioco davvero scialbo, senza nulla che lo renda interessante. Da evitare assolutamente.

2. Batman: Dark Tomorrow, 2003 (Gamecube, Xbox)

I numerosi bug grafici e i controlli resero Dark Tomorrow un vero e proprio incubo.

Dark Tomorrow è un’avventura 3D e propone una trama originale ispirata prevalentemente al Batman fumettistico. Sebbene il gioco proponga un buon numero di situazioni diverse (fasi stealth, combattimenti ed esplorazione) e riproponga in modo coerente le atmosfere delle storie di Batman, già all’uscita fu letteralmente rigettato da critica e pubblico.

Le ragioni dell’insuccesso sono da ricercare nei terribili controlli del gioco, che rendevano un incubo tentare di fare qualunque cosa a causa della loro oscena imprecisione. Il gioco inoltre presentava un numero incredibile di bug che andavano a peggiorare ulteriormente l’esperienza.

Come ciliegina sulla torta, Dark Tomorrow propone un ampio numero di finali, quasi tutti negativi. A causa dei problemi elencati, però, raggiungere l’unica good ending risultava quasi impossibile. Soprattutto per il fatto che uno dei sovraccitati bug era presente proprio nello scontro finale. Non c’è che dire, il gioco ha avuto davvero un domani oscuro.

1. Batman and Robin, 1998 (PlayStation)

Batman and Robin riuscì ad essere brutto quanto il film da cui era tratto.

Ed ecco il vincitore della nostra flop five! Tratto dal terribile film di Schumacher del 97, Batman and Robin è una sorta di clone di Tomb Raider che alterna sezioni di esplorazione a combattimenti coi vari nemici.

Purtroppo non c’è davvero nulla in questo gioco che funzioni bene. La grafica è poco pulita e molto confusionaria, il sonoro tende ad essere monotono e i controlli sono terribilmente imprecisi e poco funzionali, soprattutto a causa della pessima gestione della telecamera.

Non era semplice essere all’altezza della bruttezza del film da cui è tratto, ma Batman and Robin ci riesce alla grande e si porta a casa il primo posto della nostra classifica.

Top Five

Dopo esserci divertiti con la nostra flop five, passiamo ora a quelli che, sempre secondo chi scrive, sono i cinque migliori titoli dedicati all’uomo pipistrello. Naturalmente si tratta in gran parte di giudizi soggettivi, ma nessuno potrà negare l’ottima fattura dei giochi che andremo ad analizzare. Accendiamo i bat-segnali e lanciamoci!

5. Batman Returns, 1992 (SNES, Genesis)

Batman Returns offriva davvero un’ottima esperienza arcade.

Partiamo con un classico dei primi anni novanta. Batman Returns è un classico picchiaduro a scorrimento in stile arcade e permette ai giocatori di rivivere tutti i momenti salienti del film di Burton conditi da decine e decine di nemici da riempire di mazzate.

Pur risultando a tratti piuttosto ripetitivo, il gioco è dannatamente divertente e soddisfacente, grazie alla precisione dei suoi controlli e alla grande varietà di mosse e gadget a disposizione del giocatore. Anche la grafica ed il sonoro risultano di tutto rispetto e contribuiscono alla buona riuscita dell’esperienza. Da provare assolutamente, anche solo per un pomeriggio di sano divertimento.

4. The Adventures of Batman and Robin, 1994 (SNES)

La grafica e le atmosfere di TAOBAR erano davvero fedeli al cartone animato originale.

Rimaniamo nell’era dei sedici bit anche con questo divertentissimo classico, spesso dimenticato. Ispirato alla classica serie animata anni 90, The Adventures of Batman and Robin è un interessante mix tra plattform, avventura e picchiaduro a scorrimento e presenta una serie di livelli dedicati a quasi tutti i principali nemici di Batman.

La varietà dei livelli e del gameplay risulta davvero elevatissima e raramente il giocatore si troverà ad affrontare due livelli che risultino simili tra loro. I controlli sono precisi e immediati, mentre il comparto tecnico riesce a ricreare in maniera quasi perfetta le atmosfere della serie animata da cui il gioco è tratto, ancora oggi considerata un capolavoro assoluto dell’animazione.

Meritano una menzione particolare le battaglie coi boss, davvero ispirate ed epiche, sebbene molto difficili. Se non lo avete mai provate e siete fan di Batman recuperatelo assolutamente, anche solo tramite emulatore. Non ve ne pentirete!

3. LEGO Batman: Il Videogioco, 2008 (PS2, PS3, XBox, Gamecube, PC)

LEGO Batman Il Videogioco
Nella fortunata serie Lego non poteva certo mancare un gioco dedicato al crociato incappucciato!

Gradino più basso del podio per il primo titolo dedicato a Batman della fortunata serie lego. Esattamente come gli altri titoli della serie, Lego Batman è un’avventura in stile plattform ambientata nel mondo dei famosi mattoncini di origine danese.

Sia la risoluzione degli enigmi che i combattimenti obbligheranno il giocatore a fare largo uso dei mattoncini LEGO per la costruzione di armi, piattaforme e vari altri oggetti utili alla prosecuzione dell’avventura.

Oltre ad offrire un grande divertimento grazie alla semplicità dei comandi e alle atmosfere scanzonate tipiche della serie, Lego Batman è impreziosito dalla presenza di un numero davvero enorme di avversari dell’uomo pipistrello. Una volta terminato il gioco, sarà addirittura possibile rigiocare l’avventura vestendo i panni dei cattivi.

Nonostante la sua semplicità, Lego Batman si guadagna la medaglia di bronzo grazie all’enorme divertimento che sa regalare.

2. Batman: The Video Game, 1989 (NES)

Il gioco di Batman per NES fu davvero un classico del parco titoli della console nintendo.

Secondo posto per un grande classico dell’era otto bit. Batman: The Video Game si ispira in modo palese alla saga di Ninja Gaiden (basti pensare alla capacità di batman di utilizzare le pareti come trampolino), ma riesce a brillare di luce propria.

Il titolo Sunsoft è un action plattform davvero frenetico e divertente, con un livello di difficoltà molto elevato ma mai troppo frustrante o punitivo. I bonus e i potenziamenti delle armi sono numerosi ed estremamente appaganti e le sezioni plattform, per quanto ardue, risultano dannatamente soddisfacenti una volta superate.

Anche grafica e sonoro, se rapportato agli anni in cui il gioco è uscito, si mostra assolutamente all’altezza e riescono a ricreare perfettamente le atmosfere del primo film di Burton, a cui il gioco si ispira, pur scegliendo di non seguirlo in maniera troppo fedele. Ogni fan di Batman che si rispetti deve avere questo gioco nella sua collezione.

1. Arkham Asylum, 2009 (PS3, Xbox 360, PC)

La serie Arkham è stata davvero uno spartiacque per la vita videoludica di Batman.

Con ben poca sorpresa invece, si aggiudica il primo premio il gioco che ha elevato più di ogni altro lo status di Batman nel mondo dei videogiochi. Abbiamo scelto di inserire solo Asylum per scongiurare il rischio di ottenere una classifica monopolizzata da questi giochi.

La serie Rocksteady ha di fatto inventato un nuovo genere, quello delle avventure open world dedicate ai supereroi. Con il suo mix di azione stealth, esplorazione, risoluzione di enigmi e combattimenti a mani nude, la saga di Arkham ha da subito catturato i favori di critica e pubblico, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti ed è ancora oggi il punto di riferimento per numerose produzioni (basti citare la serie Spider-Man di Sony).

Le trame e le atmosfere dei vari giochi, tutte originali e pensate appositamente per questa saga, sono davvero avvincenti, interessanti e ben strutturate e riescono ad accontentare sia i fan dei fumetti che quelli del Batman cinematografico.

Sebbene consideri City il migliore della saga, ho scelto di premiare Asylum poiché si tratta del precursore, nonché del gioco che ha gettato le basi per l’evoluzione dell’intera serie.

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Personaggi femminili nei videogiochi: perché è così difficile crearli?

Cosa rende un personaggio un buon personaggio? La forza di un protagonista deriva dalle sue azioni o da un innata abilità ricevuta alla nascita? Domande che sceneggiatori e autori si sono fatti centinaia di volte. Creatori di storie ed universi in tutto il panorama di intrattenimento. Film, libri, anime e fumetti, ma è nel videogioco che tutto brilla di più. La possibilità di poter interagire con il mondo intorno a noi rende i giocatori non solo spettatori, ma attori attivi nelle vicende vissute.

È proprio questa interattività a far entrare nei nostri cuori i personaggi che incontriamo e impersoniamo, ma non è tutto oro ciò che luccica. Protagonisti stereotipati, caricaturali, scialbi e chi più ne ha più ne metta. Il lavoro dello scrittore non è di certo facile, ma sembra diventare più arduo quando si tratta di scrivere dei bei personaggi femminili. Parlare di personaggi femminili è sempre un argomento spinoso, soprattutto perchè si è sempre sperimentato poco con loro. Negli anni non era infatti strano vedere la solita fotocopia del “middle- aged-bearded-man” invadere le posizioni da protagonista nei grandi titoli del passato.

Leggende immortali dei videogiochi, ma sembrano quasi confondersi se messi l’uno accanto l’altro.

Quando si parla di personaggi donna nei videogiochi ci vengono subito in mente grandi icone del passato, come ad esempio Lara Croft o Chun-Li, per nominarle alcune, ma nel panorama videoludico si nascondono gemme forse più brillanti delle iconiche “Donne forti” che siamo abituati a vedere senza alcuna debolezza o paura. Troppe volte infatti questa assenza di difetti è stata “appiccicata” alle nostre protagoniste preferite quasi come a mascherare una pigrizia di scrittura. Create con lo stesso stampino delle loro controparti maschili, si mescolano in un calderone di banalità, fuoriuscendone sterili. Forse la colpa è proprio di chi è troppo abituato a scrivere di protagonisti maschili o forse la colpa è del pubblico, che desidera solo immedesimarsi in quello.

Come si può risolvere quindi la caratterizzazione asettica dei personaggi femminili? Basterebbe semplicemente non renderli ne irragionevolmente forti ne esageratamente deboli. Sono proprio le debolezze a forgiare un individuo più forte, a dare quel colore in più, a rendere umani qualche decina di pixel. E se il tutto si unisce ad una sensibilità emotiva tipica femminile avremmo personaggi stupendi, come ad esempio: Madeline di Celeste.

Personaggi femminili: Madeline di Celeste
Al centro, Madeline da Celeste. Titolo a piattaforme indipendente che ha saputo unire i gusti dei videogiocatori che amano le sfide, a coloro che amano le storie curate.

Madeline, durante la sua avventura, dovrà affrontare forse il nemico più temibile di tutti: la depressione. Scalando l’altissima montagna di nome Celeste, dovrà combattere la parte più oscura di se stessa, che la ostacolerà costantemente infondendola di paura e rabbia. Questo è un personaggio che esce dai soliti “Standard da protagonista”, traendo forza non dall’assenza di paura, ma dalla propria sensibilità, coraggio e determinazione; non rifiutando una mano dagli amici incontrati sul percorso. La fragilità diventa la base per la ricostruzione di una Madeline nuova, in grado di far pace con i propri dubbi e la propria parte “malvagia”. Un esempio di come l’emotività può creare un personaggio forte anche senza l’uso di bicipiti performanti o destini profetizzati.

Talvolta negare la differenza fisiologica può creare discrepanze troppo evidenti e irrealistiche, rischiando di creare personaggi macchietta. Molte volte però si fa il contrario, ovvero accentuarle fino all’estremo. Dove manca una buona scrittura a volte si rimedia con forme prosperose, atte semplicemente a far dimenticare al giocatore la vuotezza di chi ha di fronte. In realtà queste potrebbero essere interpretate come scelte artistiche, ma è assai difficile saper muoversi in questa realtà, cadere nello stereotipo sessista è tanto spaventoso quanto frequente. Questo però non significa che là fuori esistano solamente personaggi donna volgari, assolutamente no. Sfruttare le caratteristiche del proprio sesso può essere molto vantaggioso se si ha una base solida. Base che Hideo Kojima riesce a costruire d’acciaio, creando un personaggio sicuramente indimenticabile per i tempi: Eva in Metal Gear Solid 3: Snake Eater.

Personaggi femminili: Eva di Metal Gear Solid
Eva da Metal Gear Solid 3, famosissimo titolo entrato nella storia.

Questa volta parliamo di un personaggio secondario, donna dai molteplici nomi, Eva è una spia doppiogiochista incaricata dal KGB di recuperare dati importanti sulla realizzazione di una nuova arma sperimentale. Nel corso della sua missione incontrerà il nostro caro Naked Snake, instaurando un rapporto indimenticabile sia con lui che con il giocatore. La terra del sol levante è solita sfornare personaggi femminili molto disinibiti, un modo facile e veloce per creare figure che spiccano nella memoria del giocatore, talvolta persino create appositamente per mandarle “in pasto” alle fantasie del pubblico.

Eva quindi potrebbe sembrare il prodotto di un ennesimo fan service, ma così non è. Ispiratissima ai personaggi del mondo di James Bond, Eva incarna la figura della femme fatale. Una donna intelligente e senza scrupoli, che conosce bene l’arte della seduzione. Eva trae forza dalla sua femminilità e dalla sua comprensione delle emozioni umane, cosa che pochi personaggi donna fanno. Intelligenza, furbizia, mentalità strategica, sensibilità; queste sono le caratteristiche di un personaggio che si fonda sul suo essere donna, in un muoversi in un confine tra genio e volgare che solo il Kojima dei tempi d’oro poteva manovrare.

Uno dei motivi per cui è così difficile creare personaggi femminili che risaltino sta proprio nel ruolo a cui di solito sono relegate. Da sempre nei titoli del passato le donne sono sempre state un supporto al giocatore o al protagonista, utilizzando una caratterizzazione di base che potesse essere facilmente ripetibile nel mondo di gioco. Quasi delle NPC insomma. Possiamo però dire con orgoglio che negli ultimi tempi questo ruolo sta cambiando, anche grazie alle maggiori sperimentazioni che si stanno facendo. Perché la chiave per la comprensione del problema è proprio quella: sperimentare. Per paura di creare qualcosa di non immedesimante per i giocatori non si è mai osato troppo con i personaggi donna (essendo la maggior parte dei giocatori del passato degli uomini), e anche se talvolta è rischioso farlo, provare a fare qualcosa innovativo è sempre la strada migliore. Questa stessa strada ci ha portato personaggi come Ellie in The Last of Us.

Personaggi femminili: Ellie di The Last of Us
Portabandiera della serie di The Last of Us, in grado persino di superare il protagonista del primo gioco.

Non saranno di certo le mie parole a convincere della bellezza di questo personaggio, probabilmente ogni giocatore se ne sarà già accorto da sé. Abbiamo conosciuto Ellie quando aveva solo 14 anni e l’abbiamo vista crescere in un mondo avvizzito, privata di ogni momento felice. Sono numerose le esperienze traumatiche che hanno reso Ellie quasi insensibile alla violenza, ma mai le hanno impedito di amare o versare lacrime per i propri cari. Ellie è solo una ragazza in un mondo di gente più forte, armata e organizzata di lei, ma grazie a furbizia, scaltrezza e un pizzico di fortuna riuscirà sempre ad avere la meglio.

Durante il gameplay ci si potrebbe persino scordare di star giocando un personaggio femminile. Questo vuol dire che ci troviamo di fronte ad un protagonista scritto estremamente bene, in grado di empatizzare con qualunque giocatore, nonostante il sesso o l’età. Una figura che non trae forza dalla propria femminilità, ma bensì dalla propria individualità.

Conclusione

Si sarebbe potuto parlare di molteplici altri personaggi donna che hanno saputo bucare lo schermo con equivalente vigore, ma le tre che abbiamo appena visto riescono, tramite le loro accentuate diversità, a riassumere le caratteristiche principali che accomunano la maggior parte delle eroine dei nostri videogiochi preferiti.

Quindi, cosa rende un personaggio femminile un buon personaggio? Probabilmente la risposta si cela in quella linea grigia tra lo sfruttamento delle peculiarità del proprio sesso e la negazione dello stesso.
Una matassa non facile da districare, ma che con il passare del tempo, e con l’aumentare delle sperimentazioni, riuscirà a regalarci altre straordinarie donne protagonista e non. In un mercato oramai saturo di quell’ideale di élite maschile che da sempre aleggia nell’immaginario del panorama videoludico.



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Cosa sono i Soulslike e cosa li contraddistingue

Grazie al recente successo commerciale che è stato Elden Ring, ultima fatica dello studio di sviluppo From Software, il termine Soulslike ha acquisito un’ancora più ampia diffusione. Ma che cos’è un Soulslike? Quali sono le caratteristiche che lo differenziano al punto da far scaturire la necessità di generare un nuovo termine?

Soulslike o Soulsborne?

In una recente intervista rilasciata a IGN relativa al venturo lancio di Amored Core 6, Hidetaka Miyazaki, considerato a diritto il padre dei souls, ha esplicitamente parlato di un tipo di gameplay “soulsborne” legittimando così una volta per tutte il termine. Nello specifico, Miyazaki risponde così alla domanda se ci debba aspettare un titolo “soulsborne” dal prossimo Armored Core:

No, non abbiamo fatto uno sforzo volontario per provare ad indirizzarlo verso un tipo di gameplay soulsborne.

Hidetaka Miyazaki

Ma cosa si intende esattamente per soulsborne? E che cosa cambia da soulslike? Domande dalla natura più che legittima scaturite da una comunicazione inefficace da chi ha popolarizzato determinati termini.

Chiunque abbia un’infarinatura base di linguistica, sa bene quanto siano rari nelle lingue i sinonimi assoluti: sarebbe inutile generare due parole per indicare la medesima cosa. Per soulslike si intende un genere – o sottogenere se preferite – di videogiochi tendenzialmente vicino al più ampio ombrello dell’action RPG. Soulsborne invece indica tutti i prodotti più o meno connessi ai canoni del soulslike partoriti direttamente dalla casa di sviluppo “madre” del genere: From Software.

Definire Bloodborne un soulslike a tutti gli effetti si era rivelato già compromettente all’uscita del titolo per PlayStation 4, data la sua natura spiccatamente più action e meno ruolistica rispetto alle esperienze passate. Non c’è da sorprendersi se poi, con Sekiro, la definizione di soulslike non bastasse più a racchiudere dei prodotti così sensibilmente differenti, legati solo da un matrice di tipo produttiva. Nasce così il termine soulsborne, per indicare i prodotti più “recenti” (da Demon’s Souls in poi) della casa di sviluppo; simili nelle sensazioni, ma molto differenti a livello ludico e di esperienze complessive.

Queste distinzioni fanno nascere spontanea una questione, che è stata rimandata dall’inizio di questo testo per poter preparare una solida base su cui basare il successivo discorso: quali sono gli elementi essenziali per comprendere di cosa si stia parlando quando si discute di soulslike?

Che cos’è un Soulslike?

Si può affermare, senza paura di sbagliarsi troppo, che il soulslike fondi le sue radici nella più ampia categoria dell’action RPG.

D’altronde, quando Demon’s Souls sbarcò per la prima volta su PlayStation 3, nessuno si sarebbe immaginato che una reinterpretazione del genere incentrata su un combat system più lento e meditato avrebbe dato luce a una vera e propria nuova varietà di videogiochi.

Non sorprende neanche che grande focus delle recensioni del periodo ponessero grande enfasi sulla spiccata difficoltà del titolo (caratteristica che ha contraddistinto le opere del 2022), oggi cappello anche del reparto marketing dei titoli From Software, con conseguenza che a un’utenza che ha ricevuto il fenomeno più passivamente, risulti essere l’elemento connotativo più evidente dei soulsborne.

In effetti Demon’s Souls arriva nel nel 2009, periodo in cui i videogiochi, puntando con sempre maggiore veemenza al pubblico generalista, allora in grande crescita, abbassavano incredibilmente il livello di sfida a favore di un’accessibilità forzosa ed eccessiva, generando dei titoli nei quali non solo perdersi era impossibile, con qualche freccia o indicatore costantemente presente a schermo, con degli apici nei quali persino il game-over non era contemplato, come dimostrava il reboot del 2008 di Prince of Persia e come confermerà Bioshock Infinite nel Marzo del 2013.

Tuttavia, la difficoltà non è una componente centrale per identificare un soulslike; infatti, piuttosto che di difficoltà, si dovrebbe parlare di severità nella punizione degli errori. Ma sopratutto, come sottolineava già la recensione di IGN di Demon’s Souls, è caratteristica dei soulslike la possibilità di personalizzazione del personaggio, non solo a livello estetico ma sopratutto a livello ludico, con delle armi ed equipaggiamenti che offrono approcci radicalmente diversi all’esperienza con un arsenale composto sia da armi veloci e agili, che spadoni impossibili e ingombranti, passando per armature in grado di modificare il numero di I-Frames durante una schivata.

L’atipica componente online che caratterizza i soulsborne non è una componente essenziale per un soulslike, ma è un’aggiunta gradita ai più, capace di donare maggiore longevità grazie alla componente PvP, ma anche come scusa per presentare storie e plausibili movimenti degli NPC all’interno del mondo di gioco, evocabili come fossero altri videogiocatori connessi e regalando l’illusione di un mondo vivo dietro al codice.

Il Gameplay

Il gameplay di un soulslike è senza dubbio l’elemento che meglio di qualunque altro ne definisce i connotati.

Delle riflessioni ponderate e meditate devono precedere l’input dei comandi. Premere compulsivamente il pulsante di attacco o di schivata, risulterà inevitabilmente in una morte prematura: nessuna disattenzione è concessa. Conoscere bene i movimenti del nemico aiuta molto, ma non è essenziale. È sufficiente riuscire a leggerne i movimenti, insieme a una buona dose di riflessi per anticipare quale sia il momento giusto in cui colpire, e quale quello per ritirarsi. È invece richiesta una buona conoscenza del moveset dell’arma impugnata.

Anche il gameplay, per quanto fresco e a modo suo innovativo, non è una vera invenzione della casa di sviluppo nipponica. I soulslike si contraddistinguono per i tempi di recupero lenti dopo ogni attacco, che lasciano scoperti alle violenze dei nemici in combinazione a una corretta gestione di stamina e cure, ma sono di per sé riconducibili alla celeberrima serie Monster Hunter di enorme successo nella terra del Sol Levante.

Il mondo di un soulslike

Per essere definito tale, il mondo di un soulslike deve essere provvisto di numerosi shortcut che colleghino l’intero mondo (come nel caso della prima metà di Dark Souls), o le singole zone delle varie aree che compongono il mondo di gioco (come nel caso di Bloodborne o Dark Soul III).

Le singole zone possono essere ricche di segreti, e i fan spesso apprezzano quando la densità di quest’ultimi tende verso l’alto, ma il world e level design non si deve limitare all’abbondanza di shortcut per spostarsi agilmente da un punto all’altro dell’area, bensì deve essere foriero di un tipo di narrazione che è stata ri-popolarizzata da Miyazaki. Non è un mistero, infatti, che tra le fonti di ispirazione del papà dei souls vi siano le opere di Fumito Ueda, in particolare ICO.

La trama dei souls, o più specificatamente in questo caso, la tanto decantata “lore” (pur consapevoli che non siano la stessa cosa), si ricava sì dalle descrizioni di armi, oggetti ed equipaggiamenti sparsi in giro per il mondo, ma anche da elementi visivi dello scenario.

Una statua mancante nell’area di un duplice boss che gli amanti del primo Dark Souls ricorderanno bene, ha generato a lungo discussioni e teorie da parte dei fan su chi fosse rappresentato in quella scultura e il conseguente rapporto dell’individuo mancante in questione con le altre rappresentazioni presenti. Una porta chiusa a chiave dall’esterno suggerisce che qualcuno abbia volontariamente rinchiuso il malcapitato che si celava nella stanza dietro la porta. Forse come punizione per i peccati commessi.

Insomma, come i mondi di Fumito Ueda sono in grado di raccontare delle storie senza l’ausilio di cutscenes esplicative o dialoghi esaustivi, così un soulslike deve essere in grado di narrare “silenziosamente” mediante l’ausilio di dettagli a schermo e modelli poligonali.

I “falsi”

Considerato il discorso appena concluso, qualcuno potrebbe domandarsi se quindi in qualche misura si possa quindi considerare Ico un soulslike. La riposta ovviamente è no. Come è stato discusso, il soulslike, come tra l’altro grande parte degli altri generi videoludici, fonda le sue radici in diversi altre macro-categorie. Come l’action RPG e il metroidvania, per cui è naturale trovare elementi apparentemente “souls” in giochi che concettualmente non potrebbero esserne più distanti.

Hollow Knight, ad esempio è un chiaro esempio di metroidvania che viene però spesso accomunato ai souls. Esso in realtà possiede delle caratteristiche “derivate” dai titoli di casa FromSoftware, come ormai è comune a moltissimi generi, sempre più difficili da incasellare in delle strette categorie e che amano miscelarsi generando nuove divertenti dinamiche); esempi sono: l’ambiguità degli NPC, mai del tutto esaustivi, la spiccata enfasi sulla narrazione ambientale silenziosa e, più in generale, un’atmosfera cupa e ineffabile molto vicina ai canovacci soulsborne.

Sia Doom che What remains of Edith Finch, ad esempio hanno in comune la visuale in prima persona (che per molti anni è stata prerogativa del genere dei doom-clones), ma ciò naturalmente non è sufficiente per ritenere i due giochi appartengano al medesimo genere.

La derivazione dei souls, allora (ma di quasi tutti i generi in verità), non si limita al banale assemblaggio di elementi presi ora dall’action RPG, ora del metroidvania, ma è una fine pratica di rielaborazione di meccaniche e dinamiche per dare luce ad un tipo di esperienza del tutto nuova.

In sintesi: le caratteristiche di un Soulslike

Le caratteristiche essenziali affinché un gioco possa essere considerato un Soulslike in definitiva non sono moltissime, ma appartengono ad aspetti diversi dell’interazione con il videogiocatore.

Dal punto di vista del gameplay puro, ci si aspetta un combattimento non necessariamente “lento”, ma comunque punitivo e meditato, con dei tempi di recupero a seguito di ogni attacco che lasciano scoperti, punendo così fretta o disattenzione dei videogiocatori. Anche la gestione della stamina fa parte del combat del genere, attaccare o schivare troppo frequentemente, oltre a essere poco efficace come approccio, porterà a un rapido consumo della stessa, lasciando il giocatore scoperto durante la fase di recupero.

Dal punto di vista dell’esplorazione o, più in generale del mondo di un soulslike, è prerogativa del genere una mappa interconnessa e ricca di segreti da scoprire, con shortcut che colleghino tra di loro o intere aree del mondo o all’interno delle singole zone di gioco.

In ultimo, pur se non essenziale, è caratteristica comune del genere una narrativa silenziosa, aspetto che non riguarda necessariamente la trama, ma che è in grado di trasmettere coerenza tra i personaggi del mondo e la loro locazione all’interno dello stesso, oltre ad aggiungere dettagli e significato alla storia del mondo che ci si accinge a esplorare.

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