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PlayStation 5 ci ricorda che la next-gen la pagheranno i dipendenti di GameStop

La conferenza di PlayStation 5 è stato un evento mediatico che ha fatto il giro del mondo. Tutte le maggiori testate internazionali hanno dedicato dello spazio alla nuova console giapponese. Di conseguenza, si può parlare di successo in casa Sony.

In questo momento, chi lavora nell’editoria videoludica sta probabilmente guardando e riguardando il video di presentazione di PlayStation 5 alla ricerca di qualche dettaglio, che possa permettere di ipotizzare e sognare. Purtroppo, non sempre le novità portano buone notizie. I player probabilmente sono molto contenti, ma i dipendenti di GameStop, che non sono solo comuni videogiocatori, lo sono sicuramente molto meno.

Rivoluzione digitale

PlayStation 5 è stata presentata in due versioni. La versione fisica includerà un lettore per il supporto ai videogiochi fisici, mentre la versione digitale permetterà il solo acquisto di videogame sugli store online.

I più attenti sanno che non è una totale novità. Una console bianca in versione digitale esiste già e prende il nome di Xbox One S All-Digital Edition. Però, il clamore della PlayStation 5 digitale nasce da due concetti. Il primo è che si tratta di un evento che ha avuto un risalto medicato eccezionale. Il secondo è che questo evento riguarda il lancio di PlayStation 5, che si può leggere tra le righe come l’idea che ha il maggior player del settore delle console casalinghe sulla next-gen.

Personalmente, non ho visto niente di particolarmente innovativo nella presentazione di PlayStation 5. L’idea del caricamenti istantanei di Ratchet & Clank sono sicuramente molto interessanti, ma ad oggi ci sono dei dubbi sul fatto che sia una feature identificativa della prossima generazione. L’unica cosa che ci porta realmente nel futuro è la visione che Sony ci ha dato del mercato fisico dei videogiochi, con il conseguente rischio di disoccupazione per molti ragazzi e ragazze che lavorano nelle grandi catene di vendita al dettaglio di videogiochi come GameStop.

I problemi di GameStop

Certo, il problema di GameStop non nasce oggi. L’azienda statunitense vive da tempo due grandi problemi ancora irrisolti.

Il primo è l’evoluzione del mercato digitale dei videogame. Come Blockbuster a suo tempo, GameStop non ha preso le contromisure a un mercato digitale in grande espansione e le perdite sono consistenti ormai da qualche anno. Non può risultare una novità quanto detto da Jim Ryan, capo di PlayStation, in questi giorni:

Stiamo solo riconoscendo che con il passare del tempo la nostra community sta diventando più orientata al digitale.

Jim Ryan

Inoltre, il Covid-19 ci ha fatto capire che la gente è disposta a fare acquisti sugli store online. Nel primo trimestre del 2020, il 66% dei giochi PlayStation sono stati venduti in digitale. Un bel problema per il nuovo direttore di GameStop, Reggie Fils-Aime, ex presidente di Nintendo Of America.

La catena di videogiochi è consapevole della situazione e i primi rumor parlavano di una trasformazione della catena in un punto d’incontro per tutti i videogiocatori. Un cambio di visione assolutamente necessario in questo momento, ma difficile da applicare in un mondo colpito dalla pandemia coronavirus, che tra le altre cose, ha fatto precipitare le vendite totali di GameStop del 30% in questa prima parte dell’anno.

Il secondo problema, ben più radicato, è la pessima reputazione che ha la catena. I player vedono GameStop spesso come un male necessario, quando vogliono risparmiare qualcosa restituendo i proprio giochi. In altre parole, l’idea generale è che la catena applichi prezzi troppo alti sull’usato. Questa concezione ha dato spazio ai competitor come CeX, che vendono videogiochi usati a prezzi di gran lunga più bassi e non si portano dietro la nomea di strozzini del settore.

La conferma di PlayStation 5

In questo marasma generale, l’annuncio della versione digitale di PlayStation 5 al lancio è solo una conferma. I dipendenti di GameStop devono seriamente prendere in considerazione l’idea di rivalutare le prospettive di lavoro future, perché saranno i primi a pagare l’importanza del digitale nella prossima generazione.

La situazione non è positiva già da qualche tempo. Infatti, già lo scorso anno GameStop ha dichiarato che chiuderà circa 200 negozi in tutto il mondo per provare a colmare il buco da oltre 400 milioni.

Incrociando i due problemi, si ottengono senior manager che aizzano i propri dipendenti ad utilizzare condotte aggressive nei confronti dei clienti per colmare il negativo di 27,9% di vendite ottenute nel 2019, rispetto all’anno precedente.

Una crisi annunciata quella della vendita fisica al dettaglio dei videogame, che non è frutto del periodo di transizione che stiamo vivendo. La conferma è arrivata dalla conferenza di PlayStation 5 e dallo stesso Jim Ryan. GameStop, e tutti gli altri player del settore, devono cambiare strategia su due fronti. La prima è economica, cercando di entrare nel mercato digitale o cambiando il mondo di concepire i proprio negozi.

La seconda è sociale. In un mondo della comunicazione in cui si prendono giustamente le distanze dal razzismo, anche con idee grottesche come la rimozione dal catalogo di HBO di Via col vento, GameStop non ha preso alcuna posizione e continua a non curare la propria immagine, probabilmente perché le brutte sensazioni che i giocatori hanno nei confronti della catena, rispecchiano l’importanza che i direttori di GameStop danno alla community, e soprattutto ai loro dipendenti.

Conclusione

Chiunque lavori per GameStop probabilmente è consapevole di quanto sto per dire, ma è assolutamente necessario prendere coscienza che la prossima generazione è già arrivata e a pagarne le prime conseguenze saranno loro. I player sono disposti a fare a meno della loro vena collezionistica per abbracciare l’idea di Sony del digitale. Un concetto che è già stato sposato da Microsoft con il suo Game Pass e da Nintendo, che vede nel digitale un mondo per aumentare gli introiti provenienti dalla vendita di giochi nuovi a prezzo pieno.

La nuova generazione probabilmente porterà delle novità che ci faranno apprezzare i videogame ancora di più, ma i dipendenti delle catene di vendita di videogiochi al dettaglio rischiano di avere la conferma che la next-gen sarà pagata con il denaro che proviene dalle proprie tasche, perché quando un’azienda fallisce, i manager vanno via con i conti correnti pieni e la promessa di un lavoro in un’altra corporazione, mentre chi ci mette la faccia dentro i negozi paga due volte. Infatti, pagano prima con la reputazione, e poi con la disoccupazione, scelte che provengono dall’alto, probabilmente in collina, in una casa con giardino da svariati metri quadrati.

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La solitudine dei giochi gratis

Epic Games Store sta vivendo le luci della ribalta grazie ai giochi che settimanalmente sta offrendo gratuitamente agli utenti. Non si tratta di videogiochi di poco valore, perché in tre settimane sono arrivati sulla mia libreria tre titoli di altissimo valore qualitativo: Grand Theft Auto V, Borderlands: The Handsome Collection e Sid Meier’s Civilization VI. Con estrema meraviglia, mi rendo conto che non ho ancora installato nessuno di questi.

L’ultimo GTA che ho provato è Grand Theft Auto 2 per PlayStation, quindi sono consapevole che GTA 5 non ha un forte appeal su me. Però Borderlands è sulla mia lista dei desideri di Steam, mentre sono un grande fan di Civilization. In particolare, ho giocato e ho tutti i DLC di Civilization III, Civilization IV e Civilization V. Il sesto capitolo l’ho tenuto in stand-by, ma ho avuto modo di provare anche lo spin-off Civilization: Beyond Earth.

La mia libreria di Epic Games Store

In altre parole, Civilization VI è un regalo molto gradito. Eppure non l’ho ancora installato, come tutti gli altri.

Gratis non significa free-to-play

Riflettendo sull’argomento, mi rendo conto che ho lo stesso problema con gli Humble Bundle. Per chi non conoscesse l’offerta, gli Humble Bundle sono dei pacchetti di giochi, e non solo, che l’omonimo sito mette in vendita a un prezzo che sceglie l’utente. Con un’offerta semi-libera, da donare anche ad associazioni umanitarie, si possono avere tanti titoli di alto livello da scaricare su Steam.

Ho comprato veramente moltissimi Humble Bundle, ma non ho giocato al 70% dei titoli che ho ricevuto, nonostante si tratti di capolavori. Batman: Arkham Knight, Devil May Cry e Alan Wake sono tre titoli che ritengo validissimi e che appena li vedo sulla mia libreria, mi prometto di giocare e finire quanto prima. Però poi non lo faccio, perché forse li ho ricevuti a un prezzo troppo basso.

Batman: Arkham Knight

Magari potete ragionarci su anche voi, se pensate a tutti gli abbonamenti gratuiti che vi sono stati offerti durante l’emergenza coronavirus. Parlando di videogame, un esempio rilevante è Google Stadia. L’ho avuto gratis per due mesi e nonostante il servizio funzionasse alla grande, ho giocato solamente a SteamWorld Dig 2, che ho portato a termine in una settimana.

A forza di questa teoria, penso al numero di ore che ho passato sui free-to-play. Sin dai tempi del bruttissimo War Rock fino all’attuale Legends of Runeterra, i free-to-play non hanno mai perso valore ai miei occhi, perché non ho l’impressione che li sto ricevendo a un prezzo non equo. Sono nati gratis, sono gratuiti per tutti e quindi la valutazione è solo sul gioco e non sulla modalità in cui l’ho ottenuto.

La mia esperienza lavorativa

Durante il mio primo lavoro, mi sono occupato della totale gestione di un sito e-commerce. Facevo realmente tutto. Dal curarmi del sito web fino a imballare i pacchi da dare al corriere. Tutto, compreso il marketing di cui non avevo conoscenza.

Non avendo delle basi in merito, ho accettato consigli da parte di alcuni consulenti di marketing che mi hanno invitato a leggere “Le armi della persuasione” di Robert Cialdini. Un libro illuminante, che risponde alla mia domanda sul perché non gioco a videogame che ricevo gratuitamente.

Si trattava di un certo lotto di turchesi che aveva avuto difficoltà a vendere. La stagione turistica era al culmine, il negozio era pieno di clienti come non mai, i monili con i turchesi erano di buona qualità per il prezzo richiesto, eppure non si vendevano […]. Alla fine, la sera prima di partire per un giro di acquisti, ormai esasperata, scarabocchiò un biglietto per la direttrice del negozio: “Questo plateau: tutti i prezzi × 1/2”, sperando soltanto di sbarazzarsi degli articoli che non sopportava più di vedere, anche a costo di rimetterci. Quando tornò, dopo qualche giorno, non si stupì che fossero stati venduti fino all’ultimo. Quello che la lasciò sbalordita fu scoprire che l’impiegata aveva capito male il suo appunto scritto in fretta e furia, leggendo “× 2” invece che “× 1/2”: tutto il lotto era stato venduto al doppio del prezzo originale!

Cialdini, Robert B.. Le armi della persuasione

L’aneddoto vuole raccontare un preconcetto psicologico della mente umana per cui “costoso = buono”. Si può dire quindi, che “gratis = cattivo”?

Indifferenza

Epic Games Store punta sui giochi gratis, perché vuole ottenere pubblico. L’azienda non è interessata al fatto che io giochi a questi titoli gratuiti. Gli importa che mi sia iscritto e ogni settimana mi colleghi per ottenere gratuitamente il mio gioco, perché quando arriverà il momento in cui Steam non mi potrà dare quello che cerco, al prezzo che voglio, so dell’esistenza di Epic Games Store. Di conseguenza, lo store ha raggiunto il suo obiettivo, ma io?

Mi divertirei a giocare a Civilization VI e a Borderlands. Del resto, anche provare GTA 5 è fonte di interesse, perché sarebbe opportuno rimanere informato su un pezzo così importante di storia videoludica. Però, non l’ho ancora fatto.

Ritengo che questa mia scelta sia dovuta al fatto che non ho dato qualcosa in cambio di questi titoli. Sono un extra e in quanto tale non hanno un vero valore per me. Se avessi acquistato gli stessi giochi a un prezzo equo, li avrei sicuramente installati dopo l’acquisto e li avrei giocati con piacere.

In altre parole, i giochi gratis sono svalutati ai miei occhi e il rischio è che non li giocherò mai proprio a causa del modo in cui li ho ricevuti. Se mi dicessero di dare un’opinione su questi titoli, direi che non li ho provati, ma ne ho sentito parlare un gran bene, quindi ipotizzo che siano validi. Non ho un giudizio negativo su di loro. Semplicemente non gli do un valore.

Conclusione

Si dice che non è importante che si parli bene o male di qualcosa, l’importante è che se ne parli. Ricevere giochi gratis rischia di far entrare questi titoli nell’indifferenza più totale, trasformando l’opportunità di provare un videogame che non ci si poteva permettere in un titolo che non è mai esistito.

Del resto, quando si ottiene qualcosa può svanire il desiderio e di conseguenza anche la volontà di provare le emozioni che può fornire. Nel nostro caso, rischiamo di perderci le belle sensazioni che un capolavoro videoludico può darci.

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Legends Of Runeterra è un vero free-to-play

In questi giorni, ho speso del tempo per conoscere di più Legends of Runeterra, il gioco di carte collezionabili di Riot Games ispirato a League of Legends. Prima che possiate anche solamente pensarlo, non sono un fan di League of Legends. Ho passato svariati anni a giocare al suo acerrimo nemico, che purtroppo non ha mai dimostrato con i numeri di essere superiore, Dota 2.

Ho più volte provato ad appassionarmi a League of Legends e l’ho sempre abbandonato dopo poche partite, perché lo ritengo alquanto noioso rispetto al MOBA della Valve, che in termini di difficoltà è totalmente l’opposto. Questa premessa è obbligatoria, perché da ora in avanti spenderò tante belle parole per Legends of Runeterra, ma la mia idiosincrasia per Riot Games deve essere ben nota.

Il mio background

Se non posso apprezzare la lore di Legends of Runeterra, posso valutarne le meccaniche in quanto gioco di carte collezionabili. Tra versioni digitali e fisiche, tra le mie mani è passato un po’ di tutto: GCC Pokémon, Magic: l’Adunanza, KeyForge, ma anche giochi solamente online, come il dimenticato Might & Magic Duel of Champions ed ovviamente Hearthstone. Questi giochi condividono tutti un solido pilastro, sono costosi.

Carte e segnalini di KeyForge
KeyForge

Infatti, per essere competitivi, bisogna avere determinate carte che hanno un importante costo nel mercato fisico, o ci possono portare via altrettanti soldi in bustine, nel caso del digitale. Anche KeyForge, nato come gioco di carte in cui il mazzo non è modificabile, ha portato alla nascita di un mercato con prezzi dei migliori mazzi sull’unità di misura di qualche migliaia di euro. Mi vergogno a dirvi, e probabilmente non saprei realmente quantificare, il denaro che ho speso in giochi di carte in tutta la mia vita, anche perché dovrei chiedere a mio padre quanto gli è costato comprarmi le bustine di GCC Pokémon, ogni volta che andavamo in edicola.

Un vero free-to-play

Con estremo stupore, posso dirvi che il denaro non è un problema in Legends Of Runeterra.

Il gioco è uscito ufficialmente il 29 aprile 2020 ed è già iniziata la stagione competitiva. Ho cominciato a giocare a Legends Of Runeterra dal 1 maggio e posso dire senza alcun dubbio, che non ho mai avuto il problema di avere un mazzo scarso per il grado che stavo affrontando.

Avendo avuto modo di conoscere il sistema di guadagno di Riot Games con League of Legends, credevo che il gioco sarebbe stato esattamente come tutti gli altri trading card games, se non peggio. Infatti, in LoL è necessario pagare per i personaggi che si vogliono giocare e non sono affatto pochi. In Legends of Runeterra, invece, Riot Games ha deciso di cambiare totalmente strategia.

Lo scorso ottobre, gli sviluppatori di Riot Games avevano annunciato che Legends of Runeterra sarebbe stato un vero free-to-play e ovviamente nessuno gli aveva creduto. Però, rileggendo le parole degli sviluppatori oggi, si può notare come abbiano realmente compreso la difficoltà di chi vorrebbe appassionarsi a questo mondo. E soprattutto, non mentivano:

“Non solo dobbiamo imparare come giocare, ma anche spendere un sacco di soldi per bustine o comprare singolarmente quelle che vogliamo[…]. Questo non fornisce ai giocatori la possibilità di imparare a giocare e fa veramente schifo.”

Steve Rubin

Legends of Runeterra offre un sistema di gioco in cui le ricompense sono semplicemente molto generose rispetto al contesto dei giochi di carte, rimasto troppo a lungo un settore di nicchia proprio a causa del suo sproporzionato costo. Nel gioco di Riot Games, dopo aver terminato l’ottimo tutorial, si dovrà scegliere una delle sette casate e tutti i punti esperienza accumulati permetteranno di ottenere una grande quantità di carte di quella fazione.

Inoltre, non bisogna sottovalutare la scelta di trasformare automaticamente in frammenti le carte extra. Infatti, scegliere un’unica casata permette di stringere il pool di carte che possono trovare dentro i forzieri, trasformando velocemente i frammenti in nuove carte da poter usare.

Consigli per iniziare

Se siete tra quelli che avrebbero voluto provare un gioco di carte collezionabili, ma avete sempre desistito a causa del costo, leggete i consigli qui sotto per avere un’esperienza appagante e totalmente gratuita.

I concetti sono pochi e vi danno la possibilità di iniziare trovandovi sempre con un mazzo competitivo in partite classificate:

  1. Informatevi.
  2. Scegliete una casata.
  3. Costruire il primo mazzo budget della casata scelta.
  4. Costruire il primo mazzo competitivo della casata scelta.
  5. Esplorate gli altri archetipi della casata.
  6. Avete passato abbastanza tempo nel gioco per fare quello che vi pare.

Tutti i giochi di carte richiedono un minimo di conoscenza sul meta corrente, sui mazzi competitivi e sui mazzi budget che garantiscono il miglior rapporto costo/vittoria. Ognuno ha il suo sito web di riferimento, ma state sicuri che ogni sito ha una classifica dei migliori mazzi, detta anche tier list, diversa. Personalmente, anche per la facilità di navigazione dei contenuti, vi consiglio per iniziare la guida ai mazzi budget di metabomb e, sempre dello stesso sito, la guida sui mazzi top tier.

Ora che abbiamo un’infarinatura di base, passiamo allo stile di gioco. Ogni casata ha uno o più archetipi, cioè uno stile gioco unico dovuto soprattutto a delle parole chiave presenti sulle carte di quella fazione. Ovviamente un mazzo può avere, e quasi sicuramente avrà, più casate, quindi vi troverete facilmente a poter cambiare stile di gioco, anche mantenendo per un po’ un’unica casata e cambiando le altre.

La mia casata

Io ho scelto le Isole Ombra, o Shadow Isles. È importante conoscere i nomi inglesi per rendere più facile la consultazione dei migliori siti, solitamente proprio in inglese. Questa casata ha carte che funzionano sul sacrificio delle proprie creature e sulla sinergia di determinate creature come i ragni. Trovo molto divertente questo stile di gioco e ho visto che la casata funziona abbastanza bene anche in competitivo, grazie alle guide del punto precedente. Ho unito le due cose e mi sono divertito vincendo.

Per quanto riguarda il primo mazzo, ho optato per un budget deck, anche se non era strettamente necessario. Infatti, se avessi continuato ancora qualche giorno avrei potuto fare direttamente un mazzo competitivo, ma ho preferito scegliere un mazzo budget, così se per qualsiasi motivo avessi voluto variare stile di gioco, sarei stato in grado di farlo senza sacrificare subito tutte le mie risorse. Nel mio caso, ho scelto un mazzo sul sacrificare le proprie creature denominato Shadow Isles Last Breath.

L’ho giocato per circa cinque giorni. Inizialmente solo su partite normali, per poi passare alle partite classificate. Ho scalato velocemente i primi livelli, ma arrivato a quel punto, ho notato che il win rate cominciava a diminuire. Allo stesso tempo però, avevo accumulato abbastanza risorse.

Il competitivo

Di conseguenza, sono passato al prossimo step, il mio primo mazzo competitivo, forgiato solamente con frammenti e wild card. Quest’ultime funzionano esattamente come in Magic: The Gathering Arena. Una wild card ha un livello di rarità, che permette di creare una carta qualsiasi di quella rarità. D’altro canto, i frammenti corrispondono alla polvere arcana, o arcane dust, di Heartstone. In base alla rarità, creare una carta costa un certo quantitativo di frammenti. Il bello di Legends of Runeterra è che unisce entrambe le meccaniche.

Il mazzo competitivo che ho creato è Pokrovac’s Elise Spider Aggro. Un mazzo votato al terminare la partita quanto prima. Non è un vero top tier, ma mi piaceva lo stile e mi ha permesso di vincere abbastanza. La parte divertente è che dopo pochi giorni avevo la possibilità di fare un ulteriore mazzo, molto più solido e che sto attualmente usando, l’Endure Spiders.

Riassumendo, dopo un mese, ho giocato un mazzo budget, due mazzi competitivi che hanno un ottimo winrate e sono già pronto per creare un Top Tier 1, il Corina Control o il Deep Monsters. Chi ha avuto modo di giocare a qualsiasi gioco di carte mediamente famoso, è consapevole che questo scenario è completamente impossibile spendendo ben zero euro.

L’ibrido perfetto

Esattamente come il sistema di creazione delle carte, Legends of Runeterra è un ibrido anche per il sistema di gioco. Si colloca esattamente nel mezzo tra la complessità di Magic: The Gathering e l’accessibilità su meccaniche e funzionalità software di Hearthstone.

In molti vi verranno a dire che Magic è inarrivabile in termini di profondità, ed è assolutamente vero. Allo stesso modo, chi gioca Pokémon, o KeyForge, vi istruirà sulla facilità in questi giochi di scorrere velocemente tutto il mazzo rendendo il gioco un po’ meno casuale. Però nessun titolo, con questa mole di utenti, vi permette contemporaneamente di giocare a un bel gioco, con un buon livello di complessità, facilmente accessibile e totalmente gratuito.

Legends of Runeterra è l’ibrido perfetto e come potrete notare dalle ultime notizie appena uscite, il gioco prevede l’arrivo di tante nuove feature durante l’anno. Il suo scopo è chiaramente quello di spodestare Hearthstone in termini di persone giocanti e seguaci su Twitch. Mi auguro che possa farcela, perché nonostante sia un fan Blizzard e non abbia apprezzato Riot Games fino ad oggi, non si può che lodare la scelta della casa di sviluppo di League of Legends nel voler creare un sistema di gioco assolutamente gratuito.

Conclusione

Siamo onesti, potevano tranquillamente optare per un meccanismo pay-to-win, che gli avrebbe dato da mangiare per tanto tempo. Esattamente come ha fatto la Blizzard con il sistema pay-and-pray-to-win di Hearthstone, un gioco in cui si uniscono i peggiori difetti del gioco d’azzardo, la grande quantità di denaro da spendere e la casualità molto spinta.

La strada da percorrere per Legends of Runeterra, al fine di arrivare ai livelli di Hearthstone, è lunga, ma parlarne con onestà permetterà alle persone di avvicinarsi al gioco e comprendere come sia realmente possibile appassionarsi a un gioco di carte, senza doversi sentire in imbarazzo nello spendere un’ingente quantità di denaro in carte collezionabili.

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Xenoblade Chronicles 2, consigli per chi lo ha abbandonato

C’è una regola non scritta, ma troppo spesso applicata, per cui sono necessarie sette ore per recensire un videogame. Avete mai letto recensioni, anche di grande testate, in cui si parlava di criticità in un videogame che venivano risolte proseguendo con il gioco? Probabilmente il recensore, per una questione di tempi stretti, si è limitato a descrivere quello che ha visto e non era l’intero gioco.

Se si riservasse lo stesso trattamento a Xenoblade Chronicles 2, il suo voto sarebbe tremendamente basso, perché le prime ore possono essere provanti per molti giocatori, me incluso.

Probabilmente, la scelta più onesta sarebbe fare due recensioni di Xenoblade Chronicles 2. Infatti, le prime 15 ore di gioco sono un enorme tutorial che dovrebbe essere considerato come una preparazione al titolo vero e proprio.

Passata la tempesta, posso raccontarvi la mia esperienza per convincervi a non abbandonare il gioco troppo presto. Infatti, superati alcuni punti, il gioco prenderà un altro ritmo e sarà molto più piacevole camminare sopra la schiena dei titani. Sono onesto, sarebbe un vero peccato non aver vissuto questa profonda avventura, quindi vi aiuterò per quanto mi è possibile a tornare su Xenoblade Chronicles 2.

Open World

Molti dei migliori titoli degli ultimi anni sono degli Open World. Da Zelda: Breath of The Wild, passando per The Witcher 3 fino a Red Dead Redemption 2, il mondo aperto è stata la base di molti capolavori moderni.

Però, la parola mondo aperto suona a volte un po’ ipocrita. Si parla spesso di grande libertà, ma non sono pochi i casi di Open World contenenti dei subdoli vincoli, che ci costringono a seguire comunque una linea ben precisa.

Per esempio, in Zelda: Breath Of The Wild si parte da una regione molto limitata per poi allargarsi totalmente quando si dispone della paravela. Una scelta assennata, perché Nintendo ci guida fino a quando non prendiamo confidenza con il sistema di gioco.

In Xenoblade Chronicles 2, sognatevelo!

Nelle prime ore di gioco mi sono ritrovato in un mondo in cui i livello 5 sono al fianco dei mostri livello 35 e mentre ragionavo sul perché, venivo massacrato da un mostro volante, che mi planava addosso con tutti i suoi 15 livelli in più. La prima cosa che ho imparato, e che vi consiglio caldamente, è muovere la telecamera anche per guardare in alto, perché l’aggro dei mostri può essere realmente difficile da interpretare e trovarsi nelle fauci del nemico è estremamente facile.

Gestione dell’aggro

Il mondo aperto di Xenoblade Chronicles 2 si fonda sul concetto di realismo. È logico vedere un cucciolo di Riik al fianco della sua controparte adulta, ma può essere molto frustrante lanciare un sassolino al piccolo Riik per ritrovarsi poco dopo addosso tutti i familiari, anche quelli più distanti.

Il sistema di gestione dell’aggressività dei nemici mi è costata la vita molte volte all’inizio del gioco e la morte può sopraggiungere anche se si è particolarmente accorti. Infatti, i nemici sono sempre in movimento, causando non poco mal di testa anche a chi si sforza di evitarli.

I miei consigli sono due: tenere bene le distanze dai mostri più aggressivi, che attaccano a vista, e soprattutto prendere in considerazione l’elevata possibilità di essere attaccati anche da altri mostri della stessa specie presenti nell’area, anche se distanti.

Questi accorgimenti potrebbero costringervi a superare una zona semplicemente correndo più velocemente possibile. Non abbiate vergogna nel farlo, è una scelta assolutamente sensata e realistica.

Dialoghi

Ho scelto di giocare un JRPG e so che il numero di parole che dovrò leggere sarà molto alto. Però a differenza di altri giochi di ruolo, in Xenoblade Chronicles 2, sono pochi i dialoghi che possono essere sottovalutati. Infatti, il diario delle quest è molto scarno e le frecce che indicano la zona in cui andare, non sono sempre di aiuto.

Per questo motivo, sarà fondamentale fare attenzione a quel che si legge per poter proseguire in determinate quest. Inoltre, gli sviluppatori hanno concesso l’attivazione di una sola missione alla volta, cosa che rende fastidioso completare le missioni secondarie.

Ho parlato con altri giocatori di Xenoblade Chronicles 2 e una buona parte di loro mi ha rivelato di aver completato pochissime missioni secondarie. I motivi sono lampanti sin dalle prime ore di gioco.

La prima motivazione è il poter attivare al massimo una singola quest alla volta, rendendo molto snervante dover andare sul menù e attivare ogni volta la missione.

La seconda motivazione risiede nuovamente nel mondo aperto. In Xenoblade Chronicles 2 non ho ancora avuto il problema di essere sotto-livellato per la main quest. Di conseguenza, non sembra esserci un gran motivo per fare le missioni secondarie. Allo stesso tempo, l’open world non aiuta chi vuole andare in giro per la mappa.

Il mio consiglio è di seguire solamente la missione principale per almeno le prime 15 ore e tornare appositamente per le side quest in un secondo momento.

Troppe informazioni

La quantità di testo da leggere non colpisce solo le missioni, ma anche i tutorial. Il loro pregio è che sono abbastanza chiari, ma le meccaniche hanno una certa complessità. È assolutamente normale dimenticarsi la sequenza di status Fiaccamento > Atterramento > Lancio > Schianto, tanto che all’inizio ho dovuto giocare con lo smartphone al fianco fino a quando la sequenza non mi si è impressa in mente.

Internet contiene tutte le meccaniche del gioco. Se non vi ricordate qualcosa, andate a cercarla, perché vi sarà molto utile dopo.

La solitudine

Considerate anche che molte combo non potrete usarle all’inizio, perché sarete da soli. Fate le vostre prove, ma rendetevi conto che a volte alcune cose non si potranno fare con il solo Rex in party.

Nel momento in cui vi troverete con il solo Rex in party, pensate alla sopravvivenza. A breve ritroverete i compagni squadra, quindi preoccupatevi solo di andare avanti con la missione principale, aspettando tempi migliori.

Come avrete capito, le prime ore di Xenoblade Chronicles 2 mettono alla prova il vostro spirito di sopravvivenza. Immergetevi nel gioco come se fosse un Survival Horror. Dovete solo sopravvivere, ci saranno momenti migliori per esaltarsi con combo e meccaniche extra.

Conclusione

Xenoblade Chronicles 2 ha una curva di apprendimento molto particolare. Siamo seguiti passo passo, ma ogni tanto ci lasciano da soli per fare le nostre esperienza e quando succede è assolutamente normale sentirsi spaesati.

Xenoblade Chronicles 2 è come un corso di informatica. Pensiamo di aver capito tutto leggendo libri e articoli teorici, ma quando ci mettiamo davanti allo schermo, non sappiamo nemmeno trovare il pulsante d’accensione del computer. Però, passato lo shock iniziale, Xenoblade Chronicles 2 è una storia coinvolgente, che non vi farà rimpiangere la scelta di essere andati avanti dopo le prime difficoltà.

Mi auguro che con questi piccoli consigli vi abbiano fatto venir voglia di dare una seconda possibilità a Xenoblade Chronicles 2, un capolavoro unico nel suo genere grazie a delle meccaniche complesse, che hanno sbalordito anche un fan del genere . Nel mio caso, ho cominciato a giocare i JRPG 22 anni fa, poi mi sono innamorato anche di quelli occidentali, a partire dal primo Baldur’s Gate. Non mi sbalordisce più nulla dei GDR, ma il capolavoro di Monolith Soft per Nintendo Switch c’è riuscito.

Xenoblade Chronicles 2 è una nicchia in una nicchia, ma se lo avete acquistato, vi meritate di scrollarvi di dosso la frustrazione e godervelo in tutta la sua straordinaria bellezza.

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War Rock, il peggior gioco che ho amato

War Rock è un FPS free-to-play difficile da introdurre. Per trovare dei lati positivi nel gioco ho dovuto tenere conto di tutti quei fattori esterni, in particolare amici e conoscenti che ci giocavano e che mi hanno convinto a continuare a stare su un titolo che non meriterebbe grandi attenzioni.

La mia esperienza con il titolo parte nel lontano 2006 e termina dopo circa due anni e mezzo. Un mucchio di tempo per un videogioco. Troppo se si tratta di un videogame terribile come War Rock, il primo gioco nella storia in cui vince chi ha più lag.

Non so se sia migliorato col tempo, ma la mia esperienza racconta il primo War Rock, un gioco che merita di essere raccontato per la quantità di bassa qualità presente in tutti i contesti del videogame.

Il gioco

Il comparto grafico di War Rock era antiquato anche per l’epoca e l’audio, fondamentale per gli FPS online, dava più confusione che certezze. Però siamo in un free-to-play dei primi anni 2000, quindi ho accettato queste lacune dopo le insistenti richiesti di alcuni miei compagni di liceo, che mi chiedevano di provare il titolo.

Il gameplay si è evoluto, o per meglio dire involuto, nel tempo. Per esempio, durante la beta, una patch improvvisamente non permetteva più di stendersi a terra trasformando War Rock, da un FPS in stile Quake a un gioco più lento e strategico che strizzava l’occhio ai camper.

Netcode

Se tutto questo l’avete già visto in molti FPS da pochi euro su Steam, il pezzo che vi manca è il fondo scavato dal netcode del titolo di Dream Execution.

War Rock usava, e probabilmente usa, il peer-to-peer per partite cinque contro cinque. Senza scendere troppo nel dettaglio, l’acronimo P2P indica che i giocatori si connettono direttamente tra di loro, senza un server che faccia da stabilizzatore nel mezzo.

Il peer-to-peer è un sistema usato nei picchiaduro online, perché permette di ridurre al minimo il lag che può generare una struttura che fa da tramite. Con un buon netcode e con la presenza di soli due giocatori, il peer-to-peer è una scelta intelligente nel caso dei picchiaduro, ma non si può dire lo stesso se applicata in scontri online 5vs5.

Il risultato era avere giocatori immuni ai colpi per una finestra di tempo direttamente proporzionale al proprio ping.

Ping exploit

Una tecnica utilizzata anche all’interno delle competizioni ESL, da giocatori di tutta Europa, era mettere in upload un file molto grande, come per esempio un film, su una piattaforma come il defunto Megaupload, così da fregare pure la morte.

Di solito il ping è uno svantaggio, perché i colpi entrano in ritardo. Nel caso di War Rock, invece, i colpi entravano sempre e rimanevano sospesi fino a quando la connessione non permetteva di raggiungere l’hitbox dell’avversario. Di conseguenza, chi aveva un’alta latenza poteva scontrarsi con un giocatore, essere colpito a morte, ma continuare a spostarsi verso un altro avversario e sparargli contro. I colpi sarebbero entrati e avrebbero ucciso più avversari, prima che il nostro eroe collassasse a causa dello scontro con il primo avversario.

Il problema di questa follia videoludica era non poter essere sanzionati come cheater, perché si trattava a tutti gli effetti di una meccanica del gioco mai bandita dagli sviluppatori.

Glitch exploit

Il lag non era l’unico vantaggio che potevi avere in War Rock. Un’ulteriore exploit permetteva di entrare dentro gli angoli dei muri per poter colpire senza che l’avversario potesse rispondere. Bastava posizionarsi su un angolo di qualsiasi muro e sporgersi effettuando una rotazione di 90° della telecamera. Il risultato era di compenetrare il muro e riuscire a sparare con un’ampia visuale, senza che gli avversari potessero colpirti, o molto spesso vederti.

Un altro effetto collaterale particolarmente comico era di poter lanciare delle granate nello stesso modo. L’avversario esplodeva senza vedere la partire la granata e senza sentirne il suono, perché il lanciatore vedeva partire la bomba verso l’avversario, mentre il nemico vedeva che rimbalzava sul muro ed esplodeva al fianco di chi l’ha lanciata.

Il competitivo

Potete ben capire come un gioco che sia fatto così male non poteva assolutamente essere messo a paragone con i maggiori titoli e nemmeno i suoi giocatori. Quando, il 5 novembre 2007 uscì Call of Duty 4: Modern Warfare, molti gamer, me compreso, passarono su CoD pensando di poter dire la propria. In realtà, nessuno di noi ha mai fatto strada su Call Of Duty.

È assurdo pensare che War Rock potesse avere un competitivo, ma vi stupirò. Non solo c’era una forte community che lo sponsorizzava, di cui mi prendo le responsabilità in quanto membro attivo, ma il gioco era disponibile sul catalogo ESL che ospitò la War Rock Nations Championship Season fino al 2016-2017.

La nazionale italiana vinse la competizione più volte. Di particolare valore storico sono le edizioni 2007 e 2008. Purtroppo, e per ovvi motivi, non c’è più una cronologia ufficiale sul sito dell’ESL, ma ricordo bene la scena.

Italia vs Polonia in finale. I nostri ragazzi portano alla gloria il Bel Paese con una grande vittoria. Gran felicità in corte, fino a quando un gamer della nazionale polacca non mostra uno screenshot del nostro cecchino che vola in aria. Stava usando dei cheat durante una finale ESL, è stato beccato, ma non è mai stato punito.

Ancora oggi la nazionale italiana di War Rock vanta il titolo sul suo profilo ESL. Per delle grasse risate potete guardare il Guestbook.

Cheat

Fino a questo punto non abbiamo mai parlato di cheat, ma è ovvio che esistano anche su War Rock. I cheater sono ovunque, ma in War Rock erano meno determinanti, perché il gioco era un exploit vivente.

Una delle poche cose che funzionava abbastanza bene nel titolo era PunkBuster, anti-cheat divenuto famoso grazie ad Half-Life e Return to Castle Wolfenstein. Il programma di Even Balance bannava e bannava per sempre. Di conseguenza, se giocavi competitivo dovevi fare molta attenzione, perché se il programma ti beccava, potevi perdere il tuo account per sempre.

La community

Nonostante tutto, ho giocato War Rock molto a lungo, il secondo nella mia classifica personale dopo World Of Warcraft. Il motivo non è dato dal gioco, ma dalla mia personale community. Ho condiviso dei bei momenti e delle grandi risate con le persone che ho trovato in-game, che mi hanno invogliato a continuare a giocare.

Probabilmente, è stato determinante l’aver avuto la fortuna di poter giocare con persone della mia città, che poi ho conosciuto dal vivo.

War Rock è stato per me un momento di socializzazione. Mi ha permesso di conoscere nuove persone, che poi ho continuato a frequentare, nonostante il gioco non meritasse l’attenzione di nessuno. Quando mi trovo in casi del genere, penso che per ricevere cose buone dalla vita, a volte non è importante il mezzo che si usa, ma la voglia che si ha di stringere nuovi legami, indipendentemente dal contesto in cui ci si trova.

Conclusione

Le partite online possono essere alienanti, se giocate con l’idea di essere una singola persona che ha la sfortuna di condividere una partita con altri giocatori. Però, se come in War Rock, ci sono degli amici personali o una community disposta ad accoglierti per svolgere un passatempo insieme a te, anche i videogiochi online, che per molte vetuste menti sono il male assoluto, possono racchiudere una fonte di socializzazione, che ci può far divertire e far crescere come persone.

Ho amato War Rock, perché era un contenitore di ragazzi che facevano trascorrere le mie serate d’inverno. Non era importante quanto fosse brutto il gioco. Contava solo avere un passatempo gratuito, che ci permettesse di stare vicino anche quando era non possibile farlo. Un po’ come ora a causa dell’emergenza coronavirus, ma senza che nessuno ci costringesse. Giocavamo, perché semplicemente ci divertivamo.

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Editoriali

Review bombing, recensioni ingiuste tra Steam e Metacritic

Il review bombing è la pratica di fare recensioni negative ai videogiochi, e non solo, come forma di dissenso, più o meno assennata, su piattaforme che permettono agli utenti di giudicare i titoli. Da quando esiste il libero arbitrio, il confine tra libertà di espressione e ingiustificata invettiva è sempre stato molto sottile. In questo articolo vi racconto alcuni dei casi storici, l’evoluzione e le controversie delle recensioni negative e, spesso ingiustificate, ai videogiochi da parte degli utenti su Steam e Metacritic.

Tre casi attuali

Non è un caso se in questo periodo stiano aumentando i casi di recensioni ingiuste e le motivazioni sono strettamente legate alla community. Attualmente ci sono tre casi attuali assolutamente eclatanti di cui vale la pena parlare: Animal Crossing: New Horizons, Death Stranding e The Last Of Us Part II. Questi titoli hanno in comune, oltre al review bombing che stanno subendo, che non sono di mio interesse. Non ho mai giocato le saghe e non ho motivo di difenderli.

Animal Crossing: New Horizons

Mai mi sarei aspettato di vedere Animal Crossing: New Horizons bombardato da recensioni negative su Metacritic. Animal Crossing è una serie molto apprezzata e l’ultimo titolo è amatissimo da utenti e critica, perché ha una qualità altissima. Il titolo ha raggiunto record di vendite e sta trainando anche il Nintendo Switch.

L’invettiva degli utenti nasce soprattutto per due motivi. La prima è il poter avere solo un’isola per console. La seconda è che il secondo giocatore non può avanzare nel gioco più velocemente del proprietario dell’isola.

Sono scelte di game design che possono non piacere, ma possono avere tante motivazioni. Animal Crossing: New Horizons non merita un voto insufficiente. Non ho particolare interesse verso il gioco, ma bisogna essere oggettivi. Tecnicamente e artisticamente è così eccezionale da risultare un importante anti-stress in questo periodo di lockdown, oltre che un possibile pericolo di assuefazione.

Death Stranding

Death Stranding nasce dalla mente di Hideo Kojima. Osannato per aver scelto di abbandonare Konami, ora viene duramente colpito dagli stessi utenti che lo hanno divinizzato, perché non si aspettavano un titolo del genere.

Il gioco nasce dopo che la Kojima Production lascia Konami dopo i problemi per il lavoro di quello che sarebbe stato il nuovo di Silent Hill. Le varie controversie lo portano in Sony, dove ha carta libera per sviluppare un gioco completamente innovativo.

Non ho giocato Death Stranding, perché non mi ha convinto. Sicuramente è visionario e magari in futuro sarà un genere che prenderà il largo, ma non lo trovo interessante, attualmente. Personalmente sono molto legato a un vecchio stile di gioco basato su un sistema frenetico, in cui ci sia azione. L’idea di concentrarmi sul girovagare non mi entusiasma.

Però quando guardo e sento il comparto tecnico di Death Stranding, capisco che dietro ci sono persone che hanno lavorato duramente e con grandi idee. Il titolo è rivoluzionario non solo a livello tecnico. Il gioco mostra che si possono immaginare e costruire storie anche in ambientazioni alternative con risvolti spiccatamente simbolici.

Death Stranding è stato attaccato duramente, perché non è stato capito. Non è la prima opera d’arte a cui succede, ma nei videogiochi ci sono alcuni punti cardine che ti permettono di intuire se un titolo ha del valore o meno. Non bisogna essere un esperto, basta un po’ di conoscenza e del sano intuito.

L’opera di Hideo Kojima ha un alto livello artistico, è visionaria e piena di carattere. Può essere giudicato anche sotto la sufficienza, ma trovo ingiuste recensioni bassissime, perché si ritene che il titolo sia stato sopravvalutato. Il giudizio sui videogame deve sempre partire da una base di oggettività, con la possibilità di cambiare i propri voti in alto o in basso in base ai propri gusti. Death Stranding non può avere un base così bassa.

The Last of Us Part II

The Last of Us 2 sta ricevendo una serie di votazioni negative, ma la situazione è più caotica del previsto. Tutto inizia con dei leak che contengono importanti spoiler, che ovviamente non vi rivelerò. Anche perché ho deciso di non conoscerli.

Inizialmente si pensava che la fonte fosse interna e il suo spoiler era dovuto al non trovarsi d’accordo con le scelte morali che si possono fare in gioco o addirittura della presunta omosessualità di Ellie. Successivamente si scopre che la fonte non è interna, ma allo stesso tempo compaiono delle forti accuse a Naughty Dog in merito al crunch, cosa di cui eravamo già al corrente, tra l’altro.

Nel dubbio, la community ha prima attaccato la casa di sviluppo subissando di reazioni negative un video di Neil Druckmann, vicepresidente di Naughty Dog, che si complimentava con il suo team. Dopo, gli stessi si sono fiondati sul bellissimo trailer del gioco riempendolo di spoiler e costringendo gli autori a disattivare i commenti. Infine, hanno minacciato di morte lo stesso Neil Druckmann.

The Last Of Us 2 non è nemmeno uscito. Può anche essere nobile voler difendere i diritti dei lavoratori che sono costretti al crunch, ma non sappiamo veramente come siano andate le cose. Siamo a conoscenza della brutta pratica del crunch nel mondo dei videogiochi e anche se la critico aspramente, Naughty Dog è solo una delle tante che la mette in atto. Per quanto riguarda la questione morale o religiosa di cui si è parlato all’inizio, trovo assolutamente ridicolo che non si possa scegliere di trattare temi delicati in un videogame.

Le motivazioni

Sono tanti i motivi per cui si decide di attaccare un videogame con recensioni negative su Steam e Metacritic. Queste sono solo alcune delle più controverse.

Aspettative inattese

Una prima motivazione sono le aspettative inattese. Personalmente sono rimasto molto deluso da Warcraft III: Reforged e da Pokémon Spada e Pokémon Scudo. Non li ho comprati e il mio voto totalmente soggettivo si assesterebbe sulla sufficienza dopo aver visto svariati gameplay.

Warcraft III: Reforged ha creato un polverone giustificato. Il titolo doveva far rinascere Warcraft 3 e così anche la Blizzard, che sta vivendo un periodo molto negativo. Il risultato è stato non riuscire a fare un remaster degno di un gioco che funziona ancora benissimo. Molte delle feature richieste non sono mai state rilasciate e alcuni giocatori sono tornati alla versione originale, perché mancano dei contenuti che non sono stati implementati in questa remaster. Giusto criticarlo dunque, ma come già detto, c’è un limite che è più alto di 0,6.

Problemi simili riguardano Pokémon Spada e Pokémon Scudo. I due giochi non sono allettanti. Le aggiunte non sono così divertenti e il titolo stagna ormai da parecchio tempo. Gli stessi Pokémon Sole e Pokémon Luna, che ho giocato su Nintendo 3DS non mi hanno fatto impazzire. Però ci deve essere sempre una base di oggettività.

Console War

Ovviamente poi c’è chi si fa prendere dalla console war e attacca i titoli come Fire Emblem: Three Houses ed Astral Chain perché sono usciti in esclusiva per Nintendo Switch.

Un caso meno recente, ma eclatante è stato Metro Exodus. Il titolo uscì in esclusiva per Epic Games Store, ma dopo un po’ fu disponibile anche su Steam. Apriti cielo! La community subissò il titolo di recensioni negative su Steam.

Trolling

Il caso Kunai è l’evento più surreale tra tutti. Lo scopo non era totalmente malvagio, ma fa capire la portata del pericolo del review bombing.

Kunai è un titolo indipendente che è stato attaccato da un unico utente su Metacritic per nessuna apparente ragione. Lo scopo dell’attacco era dimostrare quanto sia facile poter affossare un gioco su Metacritic. Una casa di sviluppo indie, che ha lavorato per anni su un videogioco, può essere demolita da un singolo utente in poche ore.

Le reazioni di Steam e Metacritic

Come sapete, per quanto riguarda i videogame, le piattaforme di riferimento per queste pratiche sono due: Steam e Metacritic. Le reazioni al review bombing ci sono state e sono state diverse.

Il pugno duro di Steam

Steam è uno strumento per videogiochi totale. Puoi comprare i titoli, conservarli e recensirli. Su Steam contano soprattutto le recensioni degli utenti, che ho spesso trovato molto utili. La Valve ha dato alla community una grande libertà, ma pone condizioni molto stringenti.

Steam nel 2019 ha introdotto un nuovo regolamento e un sistema automatico che permette di intercettare il review bombing. La Valve ha deciso di lavorare sul periodo temporale. Se l’algoritmo si rende conto, che in un determinato periodo, un titolo sta ricevendo recensioni negative e ingiuste, non sarà possibile aggiungere nessun tipo di recensione in quel lasso di tempo. Una decisione dura, ma che ha permesso a Steam di affrontare 44 casi di review bombing nel 2019.

Il silenzio di Metacritic

Metacritic è un aggregatore di recensioni di contenuti come film, serie TV e videogiochi. La piattaforma aggrega le recensioni per voti dei giornalisti, cioè siti di professionisti che recensiscono per lavoro e le tanto temute recensioni degli utenti. Quest’ultime non hanno alcun filtro. Chiunque può scrivere quel che gli pare e nessuno controllerà il suo contenuto.

Questa scelta della piattaforma ha reso Metacritic il posto più amato dalla community tossica che vuole colpire un videogioco. Come successo con Astral Chain, Metacritic blocca le recensioni negative solamente quando diventano eclatanti e fanno il giro del mondo su tutti i maggiori siti dedicati. In altre parole, non c’è un controllo automatizzato.

Nonostante i responsabili della piattaforma ci hanno informato che tengono sotto controllo le recensioni negative ai videogiochi, gli utenti continuano indisturbati a inquinare i voti dei giochi senza nessuna reale presa di posizione da parte del sito.

Tra libertà e invettiva

Ci sono stati dei momenti storici in cui ero d’accordo con il review bombing. Infatti, esso ha permesso di fare luce su alcune pratiche poco corrette da parte dei grandi dell’industria videoludica, come Rockstar Games con Red Dead Redemption 2. Il crunch è una pratica orrenda resa ancora peggiore in Occidente, dove è spesso forzata solamente ai dipendenti che stanno più in basso nella catena gerarchica.

Se Steam ha migliorato la sua reputazione, oggi Metacritic è diventato il centro nevralgico dell’ingiustizia. Personalmente, ritengo una forte mancanza di rispetto e un atto di cyberbullismo la scelta di fare un’immotivata recensione negativa sul duro lavoro di centinaia di persone.

Se si tratta di piccole case indipendenti, il risultato può essere catastrofico, ma non dobbiamo farci ingannare dalla grandezza. Attaccare una grande azienda senza alcun motivo valido è un atto ignobile, indipendentemente da quanto forte possa essere la società che sta subendo l’invettiva.

Conclusione

C’è un problema sociale nelle recensioni ingiustificate ai videogiochi. Il review bombing è figlio di una generazione di gamer che si sono resi conto che la loro opinione conta e ne abusano. Internet è pieno di commenti cattivi gratuiti e questa pratica si è ingigantita nel mondo dei videogame in una versione ancor più tossica.

Una forma di dissenso logico e ragionato è da premiare, ma la piega che hanno preso le recensioni ingiuste su Metacritic rischiano di inquinare un ambiente già complesso. La piattaforma dovrebbe ragionare sul prendere delle precauzione e combattere realmente questa pratica. La sua reputazione è ai minimi e non può nascondersi dietro il concetto di libertà di espressione, perché si è ormai trasformato in cyberbullismo.

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Editoriali

Videogiochi non tradotti, la mia top 5 di giochi rovinati

Ci sono alcune cose che noi italiani amiamo incondizionatamente. Non mi riferisco alla pizza o alla nutella, ma a un’arte in cui siamo sempre stati maestri, il doppiaggio. Prima che mi puntiate il dito addosso, chiaramente ci sono stati dei casi poco felici come Neo Genesis Evangelion su Netflix, ma a questi rari casi si contrappongono grandi voci, che non sempre finiscono nei videogiochi perché non sempre tradotti.

Da Ferruccio Amendola a Luca Ward, passando per chi ne ha fatto un intrattenimento web come Maurizio Merluzzo, i doppiatori italiani sono ormai dei personaggi noti.

Luca Ward doppierà la voce di Keanu Reeves in Cyberpunk 2077
Luca Ward doppierà la voce di Keanu Reeves in Cyberpunk 2077

Purtroppo, il mondo dei videogiochi vive in un ecosistema un po’ diverso. Infatti, ci sono alcuni capolavori per cui non è ancora disponibile nemmeno una traduzione testuale.

I dati sui videogiochi non tradotti

LocalizeDirect, azienda che si occupa di localizzazione di videogiochi, ha condotto uno studio su un campione di 14 mila richieste di traduzioni di giochi. Il risultato ci informa che le richieste di localizzazione di videogiochi in italiano, rispetto gli anni precedenti, sono crollate. La motivazione fornita dall’azienda risiede nella stagnazione dell’economia italiana.

Il grafico mostra l'aumento dei videogiochi non tradotti in italiano
Il grafico mostra l’aumento dei videogiochi non tradotti in italiano

Secondo LocalizeDirect, l’economia italiana porterebbe una contrazione del mercato videoludico. Questa teoria si scontra con il report annuale dell’IIDEA, associazione italiana che analizza il mercato dei videogiochi in Italia. Infatti l’analisi dellIIDEA sostiene che il mercato videoludico italiano è cresciuto.

In altre parole, i publisher non vogliono tradurre i titoli in italiano, perché ritengono che il nostro Paese, nonostante abbia un mercato videoludico in crescita, non spenda abbastanza in videogame.

L’importanza della localizzazione dei videogiochi

Penso che sia fondamentale tradurre i videogame in italiano. Infatti, anche se un titolo può risultare totalmente comprensibile, il lavoro dei localizzatori è di rendere un videogioco più vicino alla nostra cultura. Pensate al giardiniere Willie dei Simpson, che è stato reso sardo per trovare un’analogia italiana con l’idea che gli americani hanno degli scozzesi.

Devo ammettere che i videogame mi hanno permesso di migliorare il mio inglese, ma il costo è non riuscire a percepire molte sfumature che avrebbero meritato maggiori attenzioni.

La classifica dei videogiochi non tradotti

Dopo aver letto la notizia del report di LocalizeDirect, mi sono venuti in mente molti giochi realmente importanti per la storia videoludica, che non hanno mai ricevuto una traduzione italiana ufficiale o è arrivata troppo tardi. Ho deciso di riassumere in questa pagina i 5 titoli che hanno segnato maggiormente la mia vita da videogiocatore a causa di una mancata localizzazione in italiano.

5. Tyranny

Non tutti hanno memoria di questo gioco del 2016. Nonostante la critica e i giocatori che lo hanno seguito non l’abbiano identificato come un capolavoro, Tyranny è un bel gioco. Obsidian e Paradox si mettono a lavoro sul titolo subito dopo Pillars Of Eternity. Stesso genere, gameplay simile, ma l’ambientazione è basata su un mondo caduto nella corruzione e nelle mani della malvagità, in cui impersoniamo dei personaggi altrettanto cattivi.

Tyranny è uno dei videogiochi non tradotti più difficili da giocare in inglese
Tyranny è uno dei videogiochi non tradotti più difficili da giocare in inglese

Tyranny vanta un numero di vocaboli enorme e una quantità di dialoghi superiore ai già abbondanti testi presenti nei gdr occidentali. Questo però non è servito ad avere una localizzazione ufficiale del gioco. A suo tempo, gli utenti che invitavano a imparare l’inglese per giocarlo furono duramente attaccati e probabilmente anche derisi a causa dell’oggettiva complessità dei testi di gioco.

Quello che fece veramente infuriare la community italiana provenne dalla bocca di Gordon Van Dyke, ex produttore di Paradox Interactive:

Consiglio da sviluppatore: non traducete in italiano. È uno spreco. Usate invece quel budget per il russo o il portoghese brasiliano

Gordon Van Dyke, ex producer di DICE e Paradox Interactive

Queste dure parole portarono i videogiocatori italiani a boicottare il titolo. Ho aspettato il gioco a lungo e nonostante abbia ricevuto il videogame gratuitamente con Twitch Prime, Tyranny è ancora nel mio backlog. Il motivo non è legato a Van Dyke, ma alla poca voglia di sorbirmi eterni dialoghi in una lingua che non è la mia.

BoP Italia ha provato a tradurre Tyranny, ma ancora oggi non ci sono notizie confortanti a causa di mancanza di traduttori. Se volete dare una mano potete andare sul loro forum.

4. Fallout e Fallout 2

Fallout e Fallout 2 sono due titoli ormai ritenuti capolavori assoluti da molti esperti del settore. Però solo chi era già un po’ più grande ha avuto la possibilità di giocarlo. Infatti, quando arrivò Fallout 3, molti avevano sentito parlare dei primi due capitoli, ma non tutti hanno avuto il coraggio di giocarli. Io rientro tra i codardi, ma li conosco molto bene.

Fallout 2, capolavoro che fa parte dei videogiochi non tradotti in italiano.

Fallout uscì nel 1997 e nonostante avessi sette anni, avrei voluto giocare quel titolo da adulti. Purtroppo, i Fallout erano inarrivabili a causa della barriera linguistica. Se pensiamo che Fallout 3 è uscito nel 2008, potete capire che questo deficit costò un’attesa di 11 anni prima di poter provare il titolo.

Nemmeno gli anni ’90 possono essere una scusa. Nel 1997 uscirono molti grandi videogame in italiano. Basta citarne tre: Age of Empires, Oddworld: Abe’s Oddysee e Gran Turismo.

3. Vampire: The Masquerade Bloodlines

Vampire The Masquerade – Bloodlines 2 non sarà localizzato in italiano. Guardando le prime immagini non sono troppo triste. Il titolo che vedrà la luce nei prossimi mesi, non sembra paragonabile al suo predecessore. Felice di essere smentito.

Vampire: The Masquerade Bloodlines è uno dei videogiochi gdr non tradotti in italiano
Vampire: The Masquerade Bloodlines è uno dei videogiochi gdr non tradotti in italiano

Vampire: The Masquerade Bloodlines ha una famosa traduzione italiana fan-base, ma non è mai stato localizzato ufficialmente. Il videogioco è stato un successo enorme proprio per la sua libertà nei dialoghi e le sue tinte fosche meritavano di essere tradotte in italiano per essere meglio apprezzate nel Bel Paese.

Se consideriamo che Vampire: The Masquerade Bloodlines è un titolo del 2004, potete comprendere come sia ingiustificabile non aver dato una possibilità ai videogiocatori italiani. Soprattutto ai fan del gdr cartaceo.

2. World of Warcraft

World of Warcaft esce nel 2004. La localizzazione italiana arriva nel 2012. Avevo già abbandonato il gioco da 5 anni.

La versione americana di World of Warcraft mi ha permesso di migliorare il mio inglese, ma anche di perdere moltissimo del gioco. Il titolo era pieno di missioni con una discreta quantità di testo e per comprendere a fondo la storia che ci stava dietro, bisognava avere tanta pazienza con le traduzioni. Il risultato è che molti aspetti della lore di Warcraft sono rimaste per me un mistero per molti anni, almeno fino a quando non decisi di giocare nuovamente il titolo anni dopo, in italiano.

World of Warcraft non ha avuto una localizzazione italiana per 8 anni
World of Warcraft non ha avuto una localizzazione italiana per 8 anni

Il risultato fu sbalorditivo. Anche Edwin Van Cleef, un povero boss di basso livello dell’Alleanza, che mi sembrava uno sfigato qualunque, è invece un personaggio con una storia profonda. Se invece giochi il titolo dal lato dell’Orda, gli accenti napoletani dei troll assicurano risate uniche.

Nonostante non continuai a giocare a World of Wacraft dopo la localizzazione italiana, rimasi molto deluso dal non poterlo averlo vissuto pienamente per ben 3 anni a causa di una mancata caratterizzazione italiana.

1. Final Fantasy VII

I miei ricordi di Final Fantasy VII sono già stati ampiamente discussi, ma non posso non mettere al primo posto il capolavoro della Square Enix, a suo tempo SquareSoft. Il titolo arrivò in Europa in pompa magna e fu amore a prima vista.

Final Fantasy VII del 1997 è IL videogioco tra i videogiochi non tradotti in italiano
Final Fantasy VII del 1997 è IL videogioco tra i videogiochi non tradotti in italiano

Final Fantasy VII fu un altro gioco del 1997, come Fallout, mai tradotto in italiano. Lo giocai, ma dopo un po’ persi completamente la bussola. La trama di Final Fantasy 7 meritava di essere gustata, ma non puoi farlo con semplicità a 7 anni in una lingua straniera.

Menzione d’onore

Una menzione d’onore deve essere fatta ad alcuni titoli.

Il primo è Disco Elysium, un recentissimo gdr del 2019. Un capolavoro di rara bellezza totalmente in lingua inglese che rischia essere, per molti giovani, il Final Fantasy VII della nostra generazione.

Per chi oggi parla di godersi un titolo in lingua inglese, pensate che ci sono tanti giovanissimi videogiocatori che vorrebbero entrare a far parte del mondo dei giochi di ruolo, come Disco Elysium, ma sono tagliati fuori per una mancanza localizzazione italiana. Così come lo è stato per me con Final Fantasy VII, molti di questi giovani videogiocatori magari dedicheranno il proprio tempo a Fifa 20, come ho fatto io con Fifa 98 a suo tempo, a causa di una traduzione mai arrivata.

Disco Elysium rischia di essere il Final Fantasy VII di questa generazione
Disco Elysium rischia di essere il Final Fantasy VII di questa generazione

Le altre due menzioni speciali sono la serie Shin Megami Tensei e Persona 5. Solo di recente Atlus ha cominciato a tener conto dei fan italiani, ma non siamo ancora certi che continuerà a farlo. Infatti l’intera serie di Shin Megami Tensei non è mai stata localizzata in italiano. Nemmeno il più recente Shin Megami Tensei IV per Nintendo 3DS. Persona 5, un titolo con una fortissima narrazione, è stato tradotto solo dopo 4 anni dalla sua uscita, nella sua versione Royal.

Persona 5 è stato tradotto in italiano dopo 4 anni
Persona 5 è stato tradotto in italiano dopo 4 anni

Di conseguenza, viviamo con terrore la notizia di una possibile non traduzione in italiano dell’annunciato Shin Megami Tensei V. Mi chiedo se ci meritiamo quest’ansia.

Conclusione

Quando diciamo che non sia necessario tradurre i videogame, pensiamo anche a chi non può godersi questi titoli per varie ragioni. Siamo nel 2020, ma ci possono essere mille motivazioni per cui una persona non conosce l’inglese. Può essere l’età o una mancanza culturale non necessariamente legata alla volontà di non studiare.

Ricordiamoci anche che non ci siamo potuti godere tante perle, perché sono state relegate solo al mercato giapponese. Alcuni le abbiamo scoperte con gli emulatori, ma altri sono state dimenticate per sempre.

Questa è la mia classifica dei titoli che mi hanno sconvolto l’esistenza videoludica a causa di una mancata localizzazione italiana. Sarei ben felice di leggere la vostra.

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Editoriali

Il Postmodernismo fa rinascere i videogiochi

La modernità nei videogiochi è morta. Possiamo spiegare questo periodo storico dei videogiochi storpiando la famosa frase di Friedrich Nietzsche. Come ogni momento storico, ha avuto un suo inizio e avrà una sua fine, ma i remake, i remastered e gli indie permettono al postmodernismo di entrare nel mondo dei videogiochi e farli rinascere.

Postmodernismo nei videogiochi

Il termine postmodernismo nasce nel 1934 all’interno del saggio La condizione postmoderna: Rapporto sul sapere di Jean-François Lyotard e definisce la crisi e il superamento della modernità. Il postmodernismo è presente in tutte le forme d’arte e di conseguenza doveva arrivare anche nei videogiochi.

Gli anni duemila sono stati molto importanti per il movimento nelle opere d’arte più note nella società moderna, come film e musica. Registi come Quentin Tarantino e generi come l’horror sono bandiera del genere grazie al loro attingere ad opere precedenti. Lo stesso vale per la musica con la feroce critica della Retromania di Simon Reynolds.

Metal Gear Solid: The Twin Snakes per Nintendo Gamecube. Il postmodernismo nei videogiochi del 2000
Metal Gear Solid: The Twin Snakes per Nintendo Gamecube

I remastered non sono un’innovazione di questi anni. Con l’avvento del Game Boy, molti videogiochi per NES e Super Nintendo sono stati ricreati in formato portatile. Già dall’inizio 2000, si riscontrano titoli remastered per le console casalinghe, come Metal Gear Solid e i Resident Evil per Nintendo Gamecube.

Il periodo attuale è però molto diverso per due motivi. Il primo è la grande quantità di remake, che si differenziano dai soliti remastered. Il secondo, e forse più importante, è la nuova generazione di videogiocatori.

Remastered e Remake

I remastered sono videogiochi a cui è stata dato un comparto tecnico che possa reggere il peso del tempo senza snaturare il gioco. Solitamente si tratta di titoli che mantengono gli stessi pregi e difetti del titolo originario, con modifiche solo sul comparto tecnico. Di tanto in tanto, i giochi vengono migliorati anche con piccole feature sul gameplay. Un esempio è Resident Evil Remaster del 2002, con una configurazione migliorata dei controlli.

I remake sono dei titoli ex novo. Hanno un comparto tecnico completamente rinnovato così come il gameplay. Resident Evil 2 Remake, Resident Evil 3 Remake e Final Fantasy VII Remake sono sicuramente i titoli di punta di questa generazione.

Il loro scopo è far vivere ai nuovi videogiocatori un’esperienza unica, ma profondamente diversa, tanto da avere anche cambiamenti in termini di linea narrativa o addirittura finale come successo in Final Fantasy VII.

I motivi del postmodernismo nei videogiochi

Il motivo principale dell’ascesa del postmodernismo nei videogiochi è la nuova generazione di videogiocatori. In primis, si tratta di giocatori giovani che non hanno avuto modo di vedere i titoli originali.

Ho giocato Final Fantasy VII a otto anni e adesso ne ho ventinove. I nuovi videogiocatori di 14 anni non hanno fisicamente avuto la possibilità di provarlo e tentare di provarlo oggi potrebbe essere molto ostico.

Il secondo motivo è che i videogiochi di 15 anni fa erano molto più difficili, un po’ per la necessità di allungare giochi con storie relativamente brevi, un po’ per il sadismo degli sviluppatori che rivolgevano le proprie opere a un pubblico di nicchia.

Oggi invece i videogame sono per tutti, devono essere più semplici e devono attirare l’attenzione dei più giovani. Per questo motivo si fa leva sulla nostalgia dei più esperti per fare presa anche su di loro.

Ori and the will of the wisps. Il postmodernismo nei videogiochi indie
Ori and the will of the wisps, un indie meraviglioso

La nostalgia è un fattore predominante nel postmodernismo videoludico. Si parla dei videogiochi del passato come qualcosa di perfetto, ma è chiaramente l’effetto del tempo sulla mente. Di problemi di natura tecnica e narrativa ce ne sono a bizzeffe nella storia dei videogame. Però non sempre la nostalgia è un sentimento negativo.

Nel nostro caso, ci ha permesso di avere grandi remake dedicati a Resident Evil e Final Fantasy, ma anche l’affermazione di generi che hanno scosso l’industria con una vera e propria crisi dei videogiochi tripla A. Mi riferisco ai Metroidvania, che hanno permesso agli sviluppatori indipendenti di spezzare il legame per cui un grande gioco possa essere prodotto solo da una grande casa di sviluppo.

Conclusione

La consacrazione dei Metroidvania è il simbolo di quanto avvenuto negli ultimi anni. L’industria videoludica indipendente può competere con i grandi nomi dell’industria dei videogiochi, che negli ultimi anni hanno peccato con titoli tripla A mediocri. Ovviamente i grandi dell’industria non sono rimasti con le mani in mano e in questo caso bisogna distinguere tra remake o remaster positivi e negativi.

Capcom e Square-Enix hanno dimostrato di saperci mettere il cuore e il coraggio rinnovando titoli affermati e difficili da cambiare. Altre case di sviluppo si sono invece limitate al compitino per poter fare cassa con il minimo sforzo.

Se da un lato i remastered possono dare la possibilità ai più giovani di provare grandi titoli del passato come avventure grafiche del calibro di Monkey Island e Day of The Tentacle, dall’altro lato è innegabile che troppo spesso il loro fine sia guadagnare troppo sforzandosi il minimo.
Il postmodernismo è il campo di battaglia in cui sviluppatori indie con la mania per la grafica a 8-bit e grandi aziende con capolavori da rinnovare si stanno affrontando per tracciare il futuro del mercato dei videogiochi. Ai posteri l’ardua sentenza.

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Editoriali

Console war 2020, non fate la guerra ma la community

Sono state annunciate le console della prossima generazione e i media del settore videoludico si stanno concentrando sui paragoni tecnici. Gli utenti di internet sono bombardati di notizie e video su specifiche video, audio e dischi di memoria. In questo momento siamo inondati da tutti gli scoop sul nuovo controller DualSense di PlayStation 5 di cui non abbiamo bisogno. La console war 2020 è iniziata e la stampa non vuole fare prigionieri.

Console wars

Le console wars furono raccontate da Blake J. Harris nell’omonimo libro, che narra della guerra tra Sega e Nintendo in cui in gioco c’era la sopravvivenza delle aziende e tutti i dipendenti che ci lavoravano. La guerra attuale è un capriccio delle stampa per invogliare i lettori a schierarsi per una squadra e portarne la bandiera, così da riempire le loro notizie di commenti.

Console Wars di Blake J. Harris
Console Wars di Blake J. Harris

La guerra tra Nintendo e Sega avvenne tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90. In quel frangente era importante vincere ogni battaglia, perché si era appena usciti dalla crisi dei videogiochi del 1983, ma oggi perché abbiamo bisogno di scegliere una fede videoludica? Viviamo in un periodo molto florido per i videogame. I videogiocatori non sono più una nicchia mal vista, oggi giocare è cool.

I dati parlano di una popolazione di videogiocatori e videogiocatrici al 50/50. In altre parole, le cose vanno bene e dovremmo pensare a fare community piuttosto che la console war. Non ha alcun senso odiare un titolo, una console o un’azienda solamente perché non ci piace o perché non l’abbiamo scelta.

Esperienze uniche

Non tutti si possono permettere diversi dispositivi, ma chi può farlo dovrebbe godere di tutte le esclusive che può, perché ogni grande gioco che sia per Xbox, PlayStation, Switch, PC o Stadia può avere qualcosa in più da offrire che non conosciamo e che vorremmo scoprire. Ogni device ha la sua caratteristica e nessuno di questi dovrebbe essere sminuito, perché paragonare il Nintendo Switch a un PC è come paragonare un portiere a un attaccante.

Il mondo dei videogiochi del 2020 è molto variegato, offre prodotti diversi e chi è lungimirante può godere di più esperienze uniche. Giocare a Ori and the blind forest su PC non è come giocarlo su Nintendo Switch. Sono due sensazioni diverse.

La console Nintendo è un ibrido che permette di giocare in movimento, ma anche quando sei steso sul letto e non vuoi arrivare in salotto. Se non fosse così, non si spiega il successo della console giapponese durante questo periodo di quarantena.

D’altro canto, il computer permette di godere di un’esperienza di gioco totale grazie a un’immersione mostruosa data da un comparto tecnico inarrivabile. Un’esperienza unica dovuta anche dal vecchio stile mouse e tastiera.

Prima di arrivare alla next-gen, non dimentichiamoci dei dispositivi mobili Android e iOS, che hanno permesso a miliardi di ragazzini di resistere alle rimpatriate di famiglie durante le festività. E il cloud gaming. Per adesso capitanato da Google Stadia può dare tanto a chi non vuole comprarsi una console, ma ha puntato solo pochi titoli. Se disponibile, un’ottima fibra ottica non costa molto ed il suo costo è ammortizzato nel tempo dalla sua utilità.

Non vogliamo la console war 2020, ma la console peace
Console peace

La guerra è finita

Infine, arriviamo alla next-gen console war 2020 che nessuno vuole. Xbox Series X e PlayStation 5 sono due console che possono sembrare molto diverse quando leggiamo gli articoli del settore, ma in fondo vedono il futuro del gaming allo stesso modo, un bazooka di qualità audio e video da sparare in faccia all’utente per immergerlo completamente.

L’idea non è troppo diversa da quella del PC, con la differenza che i costi e la facilità di utilizzo non sono per nulla trascurabili in un settore come quello videoludico. Possiamo stare ore a parlare del pulsante del microfono del DualSense, ma non avrebbe alcun senso, perché entrambe le console possono offrire una grande esperienza completamente unica.

Se da un lato ci sono titoli esclusivi in abbondanza, dall’altra parte c’è un’intera infrastruttura che solo la Microsoft può dare e che probabilmente ci stupirà.

La community di videogiocatori è abbastanza matura per poter provare della sana invidia per quello che non può giocare o per acquistare più device diversi, essendo consapevoli che possono portare esperienze completamente diverse.

La console war 2020 è morta ancor prima di iniziare, ma spetta a noi dare vita a una nuova era in cui la community possa parlare di videogame come si parla di libri. Non possiamo leggerli tutti, ma possiamo amarli per l’esperienza che hanno dato a coloro che ce li stanno raccontando.

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Editoriali

Emulatori, l’importanza del ROM hacking per la storia dei videogiochi

I remaster dei videogiochi esistono ormai da decenni, ma è con questa generazione di videogame che hanno avuto un forte risalto tanto da essere parte fondamentale del panorama videoludico, insieme ai remake. Il rifacimento di videogiochi di successo ha permesso a una nuova generazione di videogiocatori di investigare sulla storia dei videogiochi riscoprendo grandi perle del passato.

Negli anni ’90, questo compito fu affidato al ROM hacking e agli emulatori che sono stati fondamentali per scoprire la storia dei videogiochi.

Cosa sono gli emulatori e il ROM hacking

Il ROM hacking è una tecnica che permette la modifica di un’immagine ROM, la memoria read-only in cui è contenuto il videogioco. Questa tecnica è già conosciuta da tempo ed è divenuta importante con la prima console Nintendo, il NES, e successivamente con il Super Nintendo.

Un emulatore è un software che permette di replicare in funzionamento di una macchina e, nel contesto videoludico degli anni ’90, significava permette a chi possedeva un computer di giocare ai titoli delle console Nintendo più datate, che non richiedevano dei tempi di computazioni così esagerati come poteva accadere per una Playstation o per la più recente Nintendo 64.

Il Game Boy Color

Nel 1998, arriva in tutto il mondo il Game Boy Color. Versione compatta e a colori dell’innovativo Game Boy, ha permesso a molti di noi di rigiocare in portabilità tanti giochi già disponibili per NES e Super Nintendo. Dopo poco l’uscita della console, arrivò su internet anche il suo emulatore e l’impatto fu clamoroso. Il Game Boy Color era una console portatile con poca potenza di calcolo e quindi gli emulatori riuscivano a replicare i videogiochi della console senza alcuna fatica.

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Pokémon Blu e Pokémon Rosso

Sono stato un possessore di Game Boy Color, ma l’aneddoto farà sorridere molti di voi più esperti. Navigando su internet alla ricerca di news sul nuovo portentoso gioco Nintendo, Pokémon Blu, trovai un sito in inglese che parlava di emulatori e ROM hacking per videogiochi. Bastava scaricare un piccolo file per poter giocare a tutti i Pokémon che volevo.

Semplicemente fantastico!

Scaricai quindi la ROM e feci partire. Non successe assolutamente nulla! Windows 98 mi chiedeva come aprire il file, ma io non capivo e la lingua di Albione non mi era di aiuto.

Rinunciai e pochi mesi dopo feci il mio più grande acquisto da videogiocatore. Il Game Boy Color era tra le mie mani con Pokémon Blu, a cui sarebbe seguito Pokémon Argento. Ai più giovani questo non dirà nulla, ma chi ha qualche anno in più riderà della mia ingenuità.

Avevo speso centinaia di euro (lire), perché non avevo capito che bisogna scaricare l’emulatore! Mai errore fu più azzeccato, perché il Game Boy Color fu una scelta che mi ha concesso tante ore piene di divertimento.

Alla scoperta di nuovi giochi

La mia storia con gli emulatori non finì così velocemente. Dopo aver esplorato molti giochi per la console portatile Nintendo, decisi di tornare alla carica sugli emulatori e scoprii il fantastico mondo dei titoli per Super Nintendo. La mia conoscenza videoludica è un po’ più ampia della media, perché il ROM hacking mi ha permesso di conoscere molti titoli sconosciuti ai più, che però hanno dato un enorme impatto alla creazione di videogiochi più noti.

Avevo una Super Nintendo, ma eravamo già verso la fine del suo ciclo e molti giochi non era più disponibili, ma gli emulatori di videogiochi mi hanno comunque permesso di conoscere pietre miliari che ancora oggi sono parte integrante del tessuto videoludico.

Mi viene in mente Super Mario Kart che ha rivoluzionato il genere e Super Metroid, ancora divertentissimo oggi e che ha permesso a tutti i Metroidvania di questa generazione di esistere.

Però non posso non pensare a tutte le ore passate su giochi meno conosciuti come Spy vs Spy. Nato dall’omonima serie di fumetti dell’autore cubano Antonio Prohias, bisogna muoversi tra le stanze in uno scenario che mi ricorda giochi come This War of Mine al fine di danneggiare l’avversario.

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Spy vs Spy per Game Boy Color

Anche la generazione successiva capitanata dal Gameboy Advance ha avuto il suo emulatore e oggi permetterebbe di valutare giochi che non hanno ricevuto porting o remake, ma che lo meriterebbero come Advance Wars, o titoli mai arrivati in Europa come Captain Tsubasa, Eikou no Kiseki su cui passai un’infinità di giorni.

Le traduzioni dal giapponese

Il contributo fondamentale che il ROM hacking ha dato all’industria videoludica sta in tutti quei giochi che non sono mai arrivati in Europa. Qui, gli hacker del tempo hanno avuto due grandi pregi. Il primo è fornire i videogiochi anche nel vecchio continente. Il secondo è tradurre dal giapponese, e cinese, per permetterci di capirci qualcosa! E mi sto riferimento chiaramente alla serie più amata in Italia, ma peggio sfruttata in termini di videogame, Holly e Benji.

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Captain Tsubasa IV: Pro no rival tachi

Captain Tsubasa, come lo chiamano i giapponesi, ha avuto ben cinque titoli per il solo Super Nintendo. La meccanica era sempre la stessa, ma la qualità grafica migliorava di volta in volta. I titoli erano una versione arcaica dell’attuale Inazuma Eleven. Si andava avanti con il pallone e quando si incrociava un avversario partiva una schermata in pieno stile Pokémon che ti chiedeva se passare, tirare o dribblare l’avversario. Unita alla fantasia di Holly e Benji il risultato era unico per il tempo e a tratti sarebbe ancora divertente oggi.

Purtroppo, come si può intuire da titoli come Captain Tsubasa III: Kōtei no chōsen e Captain Tsubasa IV: Pro no rival tachi, i videogiochi non lasciarono mai il Sol Levante e sarebbero stati incomprensibili a quasi tutti gli occidentali, se qualche genio non avesse deciso di usare delle ROM per tradurre i titoli in inglese, e se ricordo bene, anche in italiano.

Il paragone con il passato

Infine, vorrei far notare come ancora oggi, nonostante i titoli remaster, il ROM hacking potrebbe avere la sua valenza perché permetterebbe ai più giovani di capire perché chi ha più esperienza di loro dice che i titoli di nuova generazione sono troppo semplici. Molti metroidvania attuali, che possono vantare anche una spiccata difficoltà, hanno un sistema di gameplay innovativo e ben spiegato. Vi assicuro che lo stesso non si può dire per Super Metroid, dove potresti bloccarti perché nessuno ti ha detto che esiste il tasto per correre.

Anche se le case di sviluppo saranno contrariate dal trovare degli aspetti positivi, gli emulatori hanno permesso a molti loro giochi di diventare famosi anche in Occidente e ottenere un clamore di pubblico che altrimenti oggi non sarebbe mai potuto arrivare.

Il mio caso

Ho abbandonato gli emulatori da molto tempo, ma noto che per questo blog sarà necessario recuperare alcuni titoli passati, che per qualche assurdo motivo non hanno ricevuto un porting in alcune console che lo meriterebbero.

Per rimanere in tema di metroidvania, mi viene in mente Castlevania: Symphony Of The Night, disponibile ora per Android, ma che ancora non ha ricevuto nessun porting per Nintendo Switch e ovviamente una recensione dedicata non potrebbe contemplare l’utilizzo dei controlli touch dello smartphone.