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Gamescom, guida ai migliori giochi in uscita nel 2021

Gamescom 2021 ci ha mostrato i migliori titoli in arrivo nei prossimi mesi. L’autunno è sempre un ottimo periodo per i videogiochi e lo showcase di Colonia ci ha permesso di vedere con maggior dettaglio i titoli che stanno per arrivare nelle nostre case. Sarà un fine anno all’insegna di graditi ritorni, ma anche di qualche interessante novità indipendente. Abbiamo raccolto per voi le migliori uscite per le quattro maggiori piattaforme in comode infografiche.

Il grande assente: Nintendo

Nintendo è stata la grande assente della Gamescom 2021. Questa grave mancanza non ci ha permesso di ammirare Metroid Dread o Pokémon Diamante Lucente e Perla Splendente, che hanno però accesso i riflettori a un’opera molto italiana, che purtroppo non possiamo aggiungere nella nostra lista in quanto è atteso per il 2022: Mario + Rabbids Sparks of Hope.

Per questo motivo, l’unico videogioco di rilievo che ci sentiamo di consigliarvi è il vincitore del premio “Best Indie Game”: Lost in Random, il platform di Electronic Arts dallo stilo gotico, che narra la vita in un misterioso mondo governato dalla casualità. Il gioco di Zoink Games ci ha fatto immergere in una fiaba con chiare ispirazioni alle opere di Tim Burton e il gameplay ha mostrato grande potenziale. In Lost in Random affronteremo dei combattimenti dinamici armati di fionda e una serie di carte che aumentano i nostri poteri “magici”. Troviamo perfettamente coerente la scelta di usare un sistema di card game per un gioco basato sulla casualità e non possiamo che vedere con estremo interesse l’arrivo di questo gioco il 10 settembre.

Gamescom: numero giochi, per piattaforma, in uscita nel 2021.
Gamescom: numero giochi, per piattaforma, in uscita nel 2021.

I migliori giochi per PlayStation

Nemmeno Sony ha partecipato alla Gamescom 2021, ma i titoli terze parti hanno comunque permesso alla console di Sony di far parlare di sé, nonostante non sia presente alcuna esclusiva PlayStation. La maggior parte dei giochi in uscita questo autunno sono nuovi capitoli di serie già note, ma qualche gradita novità potrà interessare diversi tipi di videogiocatori.

Deathloop è il nostro titolo preferito in arrivo sulle console Sony (esclusiva PlayStation 5 e PC). Il nuovo FPS di Arkane Lyon ci farà impersonare uomini e donne intrappolati in un loop, che ci obbliga a rivivere la stessa giornata all’infinito. L’unica via di fuga è uccidere otto obiettivi target prima che la giornata termini e il ciclo inizi nuovamente. Deathloop ci è piaciuto per tre motivi: le ambientazioni sono semplicemente esagerate e ricche di carisma; la libertà di azione sembra essere totale; ci ricorda quanto di buono già visto in Dishonored. Infine, troviamo molto curioso, per accordi presi in passato, che Deathloop viva lo strano destino di essere in esclusiva console solo su PS5, ma è sviluppato da un team oggi sotto proprietà di Microsoft.

Infine, dopo tre anni di attesa, la serie Far Cry ritorna a raccontare le sanguinose scelte di un perfido dittatore: Antón Castillo. L’intera serie gode di un’ottima reputazione e diversi capitoli sono ormai iconici. Da quanto visto alla Gamescom, Far Cry 6, vincitore del “Best Action Game”, sta rispettando ed ulteriormente espandendo gli elevati standard della saga e delle ultime produzioni di Ubisoft come Assassin’s Creed: Valhalla. Inoltre, il cattivo interpretato da Giancarlo Esposito ha il carisma giusto per essere un nuovo personaggio da ricordare in futuro, ancora di più se pensiamo alle possibili interazioni con il figlio Diego Castillo.

Gamescom PlayStation migliori giochi in arrivo nel 2021
Gamescom PlayStation migliori giochi in arrivo nel 2021

I migliori giochi per Xbox

Microsoft è la compagnia che si è spesa maggiormente per questa edizione del Gamescom. Nonostante buona parte dei migliori titoli disponibili siano gli stessi che possiamo vedere su PlayStation, la punta di diamante di Xbox è sicuramente l’esclusiva console Halo Infinite.

Il first shooter di 343 Industries sembra essere in una forma di gran lunga migliore rispetto a quanto visto all’Xbox Games Showcase di un anno fa; in particolare, gli sviluppatori si sono concentrati soprattutto sulla modalità multiplayer: l’idea di riportare in auge un arena-shooter ha gasato il pubblico che lo ha votato come “Best Mutiplayer Game” dell’evento, ma siamo fiduciosi anche sulla modalità single player. Infatti, rispetto a quanto visto negli ultimi mesi, alla Gamescom abbiamo notato che i (pochi) personaggi mostrati abbiano decisamente maggior carisma e dettagli rispetto al passato, figli di un’attenzione e una cura che i fan sia aspettano di vedere in un’opera così importante.

Gamescom Xbox migliori giochi in arrivo nel 2021.
Gamescom Xbox migliori giochi in arrivo nel 2021.

I migliori giochi per PC

Il grande vincitore della Gamescom 2021 è il personal computer. I PC gamer troveranno tutte le maggiori esclusive console: Deathloop e Halo Infinite, ma potranno mettere le mani sul grande ritorno di Age of Empires.

Age of Empires IV (“Best Strategy Game”) riporta in vita una serie che si era fermata 16 anni fa con il terzo capitolo e svariate remastered di Age of Empires 2. Quanto visto fino ad oggi, ci fa credere che i ragazzi di Relic siano partiti da Age of Empires II per creare qualcosa di maggiormente evoluto e ancora più ricco di dettagli. Raggiungere gli standard di uno dei giochi più importanti di tutti i tempi non è semplice, ma il franchise è estremamente importante per i videogiocatori PC e ci aspettiamo un gioco che possa far divertire gli amanti della strategia in tempo reale per molti anni, soprattutto online.

Un altro nome conosciuto che farà il suo ritorno nel 2021 è Syberia. The World Before con la vittoria dell’award “Best PC Game” accende nuovamente i riflettori sulle avventure grafiche e su una saga che tra il 2002 e il 2004 si è dimostrata essere una delle migliori nel suo genere. Diretta continuazione del terzo capitolo del 2017, Syberia: The World Before è una luce di speranza per gli amanti del genere, che devono solitamente attingere dal mondo indipendente per vedere nuove avventure grafiche.

Infine, gli amanti dei titoli dal sapore più indie troveranno di grande interesse i due strategici in arrivo a settembre: Dice Legacy ed Encased. Il primo è un city builder basato sulla varianza e vincitore del premio “Most Original Game”; Encased è stato invece votato come uno dei migliori RPG presentati durante la fiera tedesca.

Gamescom PC migliori giochi in arrivo nel 2021.

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FIFA 22 vs eFootball, il calcio delle microtransazioni

Questa settimana EA e Konami hanno presentato i loro prodotti di simulazione calcistica sulla prossima generazioni di console. Due visioni dello sport più popolare in Europa, che a cavallo tra il 2021 e il 2022 diventeranno ancora più nette. Se FIFA 22 sembra evolversi con la tecnologia, PES subirà una vera rivoluzione diventando eFootball.

eFootball, la rivoluzione

Konami è un’azienda con oltre diecimila dipendenti che varia tra l’intrattenimento e il fitness. Di questi, solamente un decimo di loro fa parte di Konami Digital Entertainment e ancor meno sono dediti ai videogiochi. Infatti, da febbraio 2021, Konami ha deciso di chiudere tre divisioni dedicate alla produzione di videogame, con rassicurazioni solamente per PES e le trasposizioni videoludiche di Yu-Gi-Oh!

Una ristrutturazione interna ha dovuto tenere conto degli oltre 400 milioni di download eFootball PES 2021 Mobile, dimostranti che il sistema free-to-play funziona e genera enormi profitti con le microtransazioni. Del resto, Konami è particolarmente famosa in Giappone per essere produttrice di pachinko e il suo prodotto digitale principale dopo PES è Yu-Gi-Oh! DUEL LINKS, che fa un uso smodato delle tecniche dei gacha game.

eFootball

Dopo queste premesse, a cui si aggiunge la distanza siderale con le vendite di FIFA 21, non sorprende che Konami abbia deciso di prendere una decisione rivoluzionaria. Dalle ceneri di PES nasce eFootball, un free-to-play online cross-generation e cross-platform, mobile incluso (ma solo con un controller compatibile).

Ogni rivoluzione prevede spesso reazioni personali. Le negative verranno probabilmente dagli amanti della Master League, che ha accompagnato migliaia di videogiocatori fino ad oggi. Al di là dei gusti, bisogna annotare che la sua esclusione è un pezzo di storia videoludica che se ne va.

Gli appassionati del MyClub, invece sono al centro dell’attenzione e finalmente sarà possibile risolvere uno dei problemi più annosi: il matchmaking. Infatti, su alcune console come Xbox Series X, PES soffriva la mancanza di utenti, il che obbligava spesso ad accettare partite con videogiocatori con pessime connessioni. Per questo motivo, il cross-platform, da cui scaturisce la necessità di adattare il gioco all’Unreal Engine, è un evento estremamente positivo per la serie, ma un dubbio ci attanaglia: Konami sarà in grado di gestire questa feature, soprattutto quando si tratterà di far dialogare una console next-gen con uno smartphone?

eFootball roadmap

FIFA 22, l’evoluzione

FIFA 21 è stato il gioco più venduto di quest’anno e le microtransazioni di Ultimate Team hanno generato guadagni per 1,6 miliardi di dollari: una valanga di denaro che dimostra l’efficacia economica del sistema. Non stupisce quindi che EA si sia concentrata solo sul gameplay, mantenendo inalterata la formula magica dell’online.

HyperMotion è la nuova tecnologia che dovrebbe rendere il nuovo capitolo di FIFA maggiormente reale rispetto al passato. Ventidue giocatori, agghindati con tute Xsens, sono scesi in campo al fine di fornire all’intelligenza artificiale un realistico campione di movimenti. Ovviamente, il motion capture è ormai ampiamente usato da anni, ma nessuno l’aveva mai usato all’interno di una vera partita di calcio.

I media che hanno avuto la fortuna di provare la demo parlano di movimenti più realistici e di un’azione più ragionata, ma che non sembra aver risolto i celebri problemi del gioco: i calciatori più forti sono ancora inarrestabili e i lanci lunghi sembrano ancora predominare. Si deduce quindi che FUT 22 sarà ancora improntato sul furioso acquisto delle loot box al fine di trovare la versione migliore di Mbappé a cui fare un lancio lungo.

FIFA 22

La vittoria delle microtransazioni

C’era una volta la sfida alla miglior simulazione calcistica tra Winning Eleven e FIFA. Una sfida combattuta anno dopo anno alla ricerca della formula perfetta per fornire il gameplay più realistico in assoluto. Tempi che sembrano distanti anni luce: oggi l’unica cosa che sembri contare è fornire le giuste motivazioni per spendere.

Uno dei problemi più importanti che sta affliggendo il settore videoludico sono le microtransazioni: la soluzione perfetta degli addetti al marketing per trasformare un’opera d’arte in puro guadagno. Infatti, i videogiochi competitivi non dovrebbero permettere che agenti esterni possano cambiare il bilanciamento delle sfide tra gli utenti. Se poi questo avviene in FIFA, una delle serie più vendute di sempre, allora il problema è rilevante. D’altro canto, la scelta di Konami di puntare al free-to-play implica una battaglia con EA sul dominio delle microtransazioni, che non ha a nulla a che vedere con il realismo che i videogiocatori hanno sempre cercato dai titoli sportivi.

Tutto questo si traduce in un 2022 in cui tutta l’attenzione dei media sarà votata a cercare il vincitore economico, facendo passare in secondo piano quel bel gioco che sarà ancora una volta offuscato dal denaro. E forse è proprio questo il motivo per cui eFootball e FIFA 22 sembrano così simili al calcio moderno.

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Chi vorrebbe comprare Steam Deck?

I possessori di Nintendo Switch hanno chiesto a lungo una nuova versione più potente e al passo con i tempi. La risposta dell’azienda di Kyoto è stato il controverso Nintendo Switch OLED, che non offre alcuna novità né in termini di performance né di risoluzione. All’improvviso però, quando gli amanti del gioco in portabilità sembravano intrappolati nel monopolio giapponese, compare Gabe Newell con il suo Steam Deck: una console portatile con la potenza di fuoco di un PC da gaming. È il vero competitor di Nintendo Switch?

L’ibrido perfetto

Steam Deck sembra avere tutto quello che gli hardcore gamer cercano su una console ibrida. Tutto quello che Nintendo Switch non sta offrendo. I punti di forza sono due: un hardware di alto profilo e l’intera libreria Steam.

Il motore di Steam Deck è di gran lunga più potente di Nintendo Switch, anzi il paragone più ovvio è con una PlayStation 4. Di fatto, Steam Deck sembra essere comparabile anche a una PlayStation 5, perché la risoluzione di 1280×800 pixel permette ovviamente performance migliori. Nello specifico, l’ibrida Valve monta una “APU AMD personalizzata con una CPU Zen 2 da 4-core e 8-thread combinata a una GPU RDNA 2 da 8 unità e 16 GB di RAM LPDDR5”.

Per quanto riguarda i titoli, l’idea di giocare tutti i giochi acquistati su Steam in mobilità può essere la chiave di volta del successo di Valve. Inoltre, quest’ultima ha confermato che sarà possibile installare qualsiasi cosa su Steam Deck, esattamente come un PC. Questo comprende anche Epic Games Store, GOG e le applicazioni di cloud gaming come Google Stadia, NVidia GeForce NOW e Xbox Cloud Gaming.

Diversi tra loro

Non abbiamo la sfera di cristallo, ma ragionevolmente parlando, le differenze tra Nintendo Switch e Steam Deck sono così nette che la console Valve non sembra porsi come il suo principale avversario. Pensiero che trova conferma anche nelle parole di Newell, che ha spiegato come Steam Deck voglia portare all’affermazione una nuova categoria di prodotto”. Ma di che categoria parliamo?

Nintendo Switch è figlio di un’idea brillante di Satoru Iwata, poi portata avanti da Tatsumi Kimishima, basata sull’avere un’unica console da usare ovunque, sia in mobilità che in casa. Partendo dal concetto che i migliori successi Nintendo degli ultimi 25 anni provengono da console portatili, la casa di Kyoto si è concentrata sul rendere appetibili giochi che funzionassero in portabilità anche su un TV domestico. Il risultato è la vendita di 85 milioni di dispositivi e 600 milioni di videogiochi.

Un successo planetario, che dopo quattro anni non ha la potenza necessaria per confrontarsi con la controversa nona generazione di console. Steam Deck offre invece proprio quello che la fan-base Nintendo cercava in “Switch Pro”: una console portatile che offra delle performance che permettano di giocare con estrema dignità i titoli di terze parti in arrivo nei prossimi anni.

Se questa premessa può sembrare la pietra tombale per la console giapponese, in realtà bisogna capire da dove proviene il successo della “grande N”. Switch è un prodotto che permette di giocare molti titoli di terze parti, ma per molti di questi, i compromessi da accettare sono eccessivi. Del resto, le categorie dei titoli di punta dell’ibrida nipponica sono due: i first-party e i videogiochi indie third party.

La roccaforte rossa

Le serie principali di Nintendo sono la forza di Switch. Bastano pochi nomi per convincersi che l’ibrida giapponese potrà continuare a dormire sonni tranquilli: Super Mario, The Legend Of Zelda, Pokémon, Metroid, Animal Crossing e Super Smash Bros. Questi titoli hanno tenuto in vita le console casalinghe di Nintendo per decenni e sono ovviamente alla base del successo di Switch, che poi è diventato mondiale grazie a quei giochi che sono fantastici da giocare in mobilità.

Chi possiede Nintendo Switch probabilmente non ha grande interesse ad acquistare Steam Deck, perché le categorie di giochi third party che desidera sono disponibili: metroidvania (Hades, Hollow Knight, Celeste, Dead Cells), JRPG (Xenoblade, Bravely Default, Dragon Quest), arcade game (The Binding of Isaac, Cuphead) oltre a varie perle come l’intera serie Monster Hunter e avventure come What Remains of Edith Finch.

Next-gen a bassa risoluzione

Anche se Valve promette di far girare con ottime performance i titoli attuali e futuri, precisiamo che questa affermazione vale solo per la console in modalità portable. Infatti, Steam Deck diventa un vero e proprio PC in docked, ma le sue performance con uno schermo a risoluzioni elevate si avvicineranno presumibilmente a una PlayStation 4. Questo significa performance insufficienti per i titoli next-gen, come già ampiamento visto con Cyberpunk 2077.

In altre parole, chi sta puntando PlayStation 5 o Xbox Series X non dovrebbe avere alcuna intenzione di acquistare Steam Deck.

PC portatile

L’unico target disponibile per Steam Deck è il mondo PC, suddiviso in due categorie: postazione fissa e notebook da gaming. Escludiamo subito i primi, perché si tratta di una nicchia di hardcore gamer, che solitamente spende i 400 euro di Steam Deck solo per la CPU del proprio computer.

Chi può trovare interessante Steam Deck è invece quella nicchia di videogiocatori che fino ad oggi ha messo a dura prova il proprio notebook. Infatti, l’ibrida di Valve ha un prezzo appetibile per tutti coloro che hanno una libreria Steam corposa e vorrebbero avere un dispositivo pensato unicamente per il gaming, tanto in portabilità quanto a casa con un monitor a supporto.

Un discreto notebook da gaming costa almeno un migliaio di euro e richiede il compromesso di portare in giro un peso di almeno tre chili. I laptop da circa 1,5 kg, pensati per studenti e lavoratori senza particolari esigenze prestazionali, sono ormai disponibili sul mercato a circa 500 euro. Questo significa che grazie a Steam Deck, con circa mille euro, è possibile avere un pc portatile sottile e una console ibrida performante senza il compromesso di portarsi in giro un notebook pesante con prestazioni non eccelse.

Conclusione

Sulla carta, Steam Deck è la console ibrida perfetta. Ha un ottimo rapporto qualità/prezzo, che diventa ancora più netto se consideriamo quanto costa il medesimo gioco su Steam e su Nintendo eShop. Purtroppo, la console di Valve non sembra essere arrivata nel momento giusto per poter essere un vero competitor di Switch, né sembra avere il giusto appeal per impaurire le console di prossima generazione.

In definitiva, l’unico potenziale target di Steam Deck è il pc gamer che vuole spendere il minimo tra hardware e videogiochi e l’accoppiata Valve di console più libreria Steam è economicamente ineguagliabile.

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Perché oggi Hearthstone è più divertente rispetto tre anni fa

Correva l’anno 2018. Dopo quindici anni di lavoro presso Blizzard, il 20 aprile Ben Brode lascia il suo ruolo di game director di Hearthstone per fondare Second Dinner, il proprio game studio insieme ad ex colleghi di Activision Blizzard.

Qualche settimana prima, anche io avevo deciso di lasciare il gioco di carte collezionabili, nonostante avessi una collezione invidiabile e un rank legend da difendere. Il motivo del mio abbandono era semplice: Hearthstone puntava tutto sulla modalità ladder Standard basata su un mazzo tier 0 e un paio di deck costruiti per neutralizzarlo. Oggi la situazione non sembra diversa, ma le modalità aggiunte in questi ultimi tre anni sembrano fornire un divertimento maggiormente variegato e realmente free-to-play.

Ben Brode

Stessi problemi

Non mi è mai piaciuta la scelta degli sviluppatori di voler rendere il gioco totalmente casuale. Sia le mie partite in Standard che i game tra pro-player di HS hanno sempre subito una costante presenza della dea bendata, accentuata da meccaniche, tutt’ora esistenti, che aggiungono nella board creature casuali o mettono in mano magie imprevedibili. Una randomicità non necessaria in un gioco di carte collezionabili che ha già un’importante dose di varianza nella sua definizione.

A questo si aggiunge il problema spiegato continuamente anche dagli streamer di Hearthstone italiani più influenti, cioè un meta ripetitivo e tragicamente noioso. I giochi di carte hanno un meta che si stabilizza nel tempo fino al prossimo contenuto, ma lo spin-off di Blizzard ha sofferto la monotonia di un unico deck su cui basare l’intero meta: o lo giochi o ci giochi contro usando un deck anti-meta costruito ad hoc.

Sotto questo punto di vista, il gioco non è poi cambiato così tanto. Non credo alle parole degli youtuber, o twitcher visti i tempi, sostenenti che Hearthstone sia peggiore rispetto al 2018. Penso piuttosto che non ci sia stata un’evoluzione convincente nella modalità classificata e che la nostalgia abbia fatto il resto.

Gli stessi che oggi si lamentano di un meta in cui le partite durano troppo, pensavano qualche anno fa che il campo di battaglia era eccessivamente dominato da mazzi come il tempo rogue, il face hunter o l’aggro shaman. Tra l’altro, ho scelto proprio l’aggro elemental shaman per fare le mie prove nel meta attuale e devo confermare che è decisamente preparato a punire i mazzi veloci. Una sorpresa decisamente inaspettata, ma che non ho trovato spiacevole, vista la mia abitudine ad affrontare, e giocare, continuamente odd paladin.

Stessi costi

La decisione di giocare l’aggro elemental shaman, poi divenuto velocemente elemental shaman, a causa del field poco propenso a far finire velocemente le partite, è dettata dal denaro. I due deck dello sciamano costano in media 2500 dust con carte come Al’Akir e Alexstraza la Protettrice già presenti nella mia collezione. Tutti gli altri, ad eccezione del druido magie, invece sono ancora inarrivabili come quando ho smesso di giocare. Mazzi come il guerriero o il demon hunter superano allegramente le diecimila dust, che tradotto significa spendere centinaia di euro.

In realtà, questa critica ha poco senso di esistere, perché fatta eccezione per Legends of Runeterra che è un vero free-to-play, tutti i giochi di carte collezionabili, fisici o digitali, sono molto costosi ed Hearthstone non è nemmeno il primo nella lista.

Giocare ad un trading card game gratuitamente in modalità ladder è semplicemente utopistico. Chiunque decide di farlo deve essere consapevole che non potrà mai essere totalmente competitivo, perché il meta cambia abbastanza velocemente e per poterlo inseguire è necessario possedere una quantità di carte molto vicina all’intera libreria disponibile in-game.

Ma nuove modalità gratuite

La noia della modalità Standard non è casuale e ritengo che Activision Blizzard abbia deciso di sacrificarla per dare spazio alle novità free-to-play. Del resto, gli utenti che giocano in classificata sono una cerchia ristretta di veterani che hanno deciso di spendere un’ingente quantità di denaro su Hearthstone. Anche io, quando ho deciso di raggiungere il rank legend, ero cosciente che sarebbero serviti centinaia di euro. Ne ero consapevole e mi andava di farlo. Chi invece non si divertiva erano gli utenti che non volevano, o potevano, spendere quelle somme. Proprio per questo motivo, Blizzard ha introdotto nuove modalità che hanno reso il gioco maggiormente variegato, maturo e fortunatamente divertente.

Per la maggior parte dei giocatori, la miglior modalità di Hearthstone è la Battaglia o Battleground, dove otto giocatori si sfidano in un genere divenuto popolare circa un paio di anni fa con Dota Underlords: gli auto battler (o auto chess). Si tratta di un sub-genere gestionale abusato nei videogiochi mobile, in cui gli utenti prendono delle decisioni prima di entrare nel campo di battaglia, che sarà totalmente gestito dal computer secondo delle specifiche regole di attacco e difesa.

Hearthstone Battleground è divertente, immediato e gratuito. Tre aggettivi che rendono il gioco moderno e appetibile a un pubblico sempre più orientato al mobile game, che per definizione venera un videogioco per settimane per poi abbandonarlo all’improvviso per una nuova moda. Blizzard ne è sicuramente cosciente e credo che per questo motivo ha annunciato l’arrivo nel corso dell’anno della modalità Mercenari, che sembra proporre una modalità single-player in stile roguelike sulla falsa riga di titoli come Hand of Fate, Slay The Spire o Loop Hero.

Hearthstone Battaglie

E vecchie modalità finalmente interessanti

Nel frattempo, io mi sono cimentato in quella che trovo la modalità più divertente del gioco, le Avventure. Chi segue Hearthstone da un po’, è consapevole che le Avventure sono praticamente sempre esistite, ma ho trovato il Libro degli Eroi incredibilmente ispirato.

I motivi per cui ho giocato ad Hearthstone per molti anni sono due: mi piacciono i giochi di carte e ho amato Warcraft III e World of Warcraft. Nonostante abbia sempre apprezzato i tanti riferimenti dello spin-off alla saga principale, non ho mai sentito un vero legame tra Hearthstone e la trilogia principale. Almeno fino a quando non ho giocato il Libro del Druido, in cui ho ripercorso con Malfurion buona parte di quanto visto in Warcraft 3, compresa l’incredibile fase finale dell’RTS, e una fetta della mitica espansione The Frozen Throne.

Un videogioco maturo

Hearthstone ha deciso cosa diventare da grande, cioè un aggregatore di sottogeneri di giochi di carte.

La modalità classificata rispecchia i giochi di carte collezionabili pay-to-win, che ampiamente conosciamo e la modalità Arena è il classico draft divenuto noto con Magic: l’Adunanza.

Nel frattempo, e rispetto a tre anni fa, il gioco si è evoluto guardandosi attorno. Oggi abbiamo in Hearthstone anche un auto battler grazie Battleground e le Avventure, una modalità single-player che ripercorre la storia principale, che tramuta finalmente il gioco in un vero spin-off di Warcraft. Infine, il sub-genere dei roguelike prenderà forma a breve nella modalità Mercenari.

Impossibile dire se questa scelta porterà Hearthstone a diventare il miglior gioco di carte digitale di sempre oppure se fallirà clamorosamente, ma oggi Hearthstone è un gioco maturo, che ha deciso di tracciare una strada innovativa per il genere. Una via che mi ricorda molto quanto già visto con il capostipite dei social network, Facebook.

Il sito web di Mark Zuckerberg non è mai stato innovativo nei contenuti. Del resto, si tratta di una bacheca contenente diverse funzionalità ormai banali da creare per un qualsiasi programmatore di medio livello. Quello che ha reso unico Facebook è la possibilità di fare tutte queste attività in un’unica applicazione e Activision Blizzard sta cercando di fare la medesima cosa con Hearthstone per quanto riguarda i giochi di carte. Ad oggi, nessuno ha mai pensato di avere così tante modalità diverse in unico trading card game e se Hearthstone avrà anche solo un decimo del successo del ragazzo di White Plains, allora ne sarà valsa la pena scommetterci su.

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Fifa Ultimate Team vs PES MyClub, giochi diversi con gli stessi difetti

Siamo al termine della stagione calcistica (Europe a parte) e sono pronto per tirare le somme sulla realtà dei calcistici online. Purtroppo, la mia avventura divisa egualmente tra FIFA 21 Ultimate Team e PES 2021 MyClub è terminata allo stesso modo, cioè con un lancio lungo a Mbappé che dopo un paio di sportellate la butta dentro nei minuti di recupero.

Chiunque abbia giocato per abbastanza ore alle modalità online di FIFA e PES 2021 sa di cosa sto parlando, cioè di quella terra di mezzo fatta di amatoriali che non vogliono alimentare il sistema di slot machine dei videogiochi e finiscono per non avere più una sfida divertente. Per parafrasare un celebre sketch: “non possono né scendere né salire”.

La luna di miele

Nonostante FIFA e PES siano due giochi profondamente diversi, ho vissuto con estremo divertimento il primo periodo su entrambi i titoli. Sia che si preferisca lo stile più arcade di FIFA piuttosto che le meccaniche quasi da gioco di ruolo di eFootball Pro Evolution Soccer, entrambi i videogame forniscono inizialmente un’esperienza appagante anche per chi gioca senza spendere denaro (oltre al costo di copertina).

Creare da zero una team aggiungendo un tassello alla volta è alla base di qualque videogioco di successo e inizialmente, quando lo scontro avviene tra pari utenti (con qualche exploit per chi passa subito dalla cassa), si può notare come la mano dell’allenatore conti qualcosa. Infatti, in FIFA avremo la possibilità di spendere la valuta di gioco in aste in cui bisogna ottimizzare i costi per trarne il massimo dei benefici, mentre PES ha un modello simile basato sulle aste degli osservatori in cui si andrà a cercare un calciatore con determinate caratteristiche che possa fare i movimenti pensati in allenamento.

Nel mio caso, questo periodo di profondo appagamento è durato circa tre mesi per entrambi i titoli. Tempo in cui ogni mia mossa sembrava avere un valore, perché dall’altra parte c’erano videogiocatori che come a me sperimentavano e sudavano ogni minuto nel campo da calcio. Purtroppo, più si sale e più diminuisce la possibilità di essere originali, perché l’unica cosa che conta è la vittoria a discapito anche del divertimento.

Dream team

Passato il periodo d’oro del gioco, sia PES che FIFA mostrano delle debolezze strutturali che fanno propendere i videogiocatori ad avere una tattica di gioco e una squadra decisamente omologata.

Per i giocatori di FIFA l’inizio dell’incubo prende il nome di Mendy, Varane e ovviamente Kylian Mbappé. D’altro canto, gli amatori di PES proveranno egual sensazioni quando sentiranno i nomi di Viera, Rummenigge e ovviamente Mbappé. Sono cosciente che nella realtà ci sono calciatori più forti di altri, ma speravo che l’opportunità di ottenerli fosse alla portata di tutti e non dipendente da un sistema molto vicino al gioco d’azzardo come già affermato dal Bundestag, il parlamento federale tedesco.

Sottolineo che anche se in PES 2021 la spesa in loot box è decisamente inferiore rispetto alla controparte americana, per l’utente medio è comunque fondamentale far uso delle microtransazioni per progredire da un certo punto del gioco e il suo costo può comunque essere tre o quattro volte superiore al prezzo consigliato per il videogame.

Palla lunga e pedalare

Ovviamente avere determinati (costosi) giocatori significa anche adattare il proprio gioco alle loro caratteristiche. Infatti, per poter aumentare il proprio posto in classifica si dovrà spesso scendere a compromessi, rinunciando al bel giuoco e sfruttando degli escamotage ormai così noti che mi chiedo se le case produttrici non decidano di lasciarli inalterati proprio per sfruttare l’appeal che hanno determinate carte.

Ed è così che si entra nel fantastico mondo del lancio lungo del Varane di FIFA, o di qualsiasi difensore leggenda con la carta sviluppo di PES, ai piedi del solito Mbappé che con una prorompente falcata finirà per superare tutti ed insaccare.

Naturalmente, quando questo non sarà più sufficiente, perché pian piano impareremo a controllare in anticipo l’ultimo difensore, subentreranno gli exploit che ci faranno subire goal all’inizio della partita o nei minuti di recupero. Il risultato è una vera e proprio partita di flipper in cui il centrocampo, il cuore pulsante del calcio giocato sarà riempito solamente da incontristi coriacei che avranno il compito di recuperare il pallone e re-iniziare il festival dei centometristi.

Le eccezioni esistono

Ci sono tanti giocatori che non vogliono omologarsi giocando con sempre la stessa (noiosa) tattica o spendendo denaro per calciatori che diventeranno carta straccia nel giro di pochi mesi. Purtroppo però chi la pensa diversamente è decisamente penalizzato e deve sopravvivere in un contesto in cui ci si sente inermi di fronte al solito giocatore che già dalla schermata della formazione vi farà capire che i prossimi 15 minuti saranno un inferno.

Il videogioco competitivo deve fornire degli strumenti che permettano a tutti di giocare alla pari. Ad oggi, non c’è un videogioco calcistico che corrisponde a questo identikit (nemmeno Captain Tsubasa) e considerando i guadagni miliardari di Eletronic Arts con le microtransazioni e il record di utenti sfornato ogni settimana da Konami grazie alla versione mobile e lite di PES mantenute dalle loot box, c’è da credere che sarà così ancora per tanto tempo. Almeno fin quando qualche ente di altissimo spessore (leggasi Unione Europea) non decida di limitare un sistema che spinge i giocatori a continuare a giocare (e spendere) solamente per placare la frustrazione della partita precedente, invece che per il puro gusto di divertirsi.

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Il 2021 dei videogiochi, ancora sospesi tra le generazioni

Sei mesi fa (più o meno), è iniziata la next-gen, con Microsoft e Sony che hanno permesso di toccare con mano le nuove console (più o meno). Sono noti ovviamente tutti i rallentamenti sulla produzione, in parte a causa del COVID-19, che ha colpito proprio nel momento in cui si doveva lavorare duramente, in parte per la scarsità di alcuni materiali indispensabili per le console. E si tratta di problemi che si portiamo dietro ancora oggi.

In questi giorni è ancora difficile trovare una nuova Xbox o una PlayStation in negozio, e le uniche in vendita sono online: nonostante si parli di milioni di unità vendute, siamo ancora lontanissimi dal soddisfare la domanda. Se teniamo conto della base di giocatori console Microsoft/Sony, siamo intorno ai 160 milioni in totale.

Microsoft Xbox Series X and Playstation 5

Poca next-gen, tanta old-gen

La buona notizia? Che non ci sono ancora molti prodotti next-gen sul mercato videoludico, quindi la “fortuna” è che Xbox One e PlayStation 4 sono tutt’altro che superate. Quello che però è positivo per l’utente, non è detto che lo sia anche per l’azienda, che ancora oggi deve trovarsi a supportare una piattaforma vecchia, che quest’anno compie 8 anni, al di là dei periodici aggiornamenti hardware.

Una next-gen lanciata cosìpresto”, senza poter garantirne la disponibilità è un doppio problema: innanzitutto l’utente scontento, che dopo anni di supporto potrebbe puntare nuove soluzioni, come l’acquisto della concorrenza, di un PC o un definitivo passaggio al cloud (che nei prossimi anni si perfezionerà, vero?); l’altro punto riguarda la distribuzione, perché non puoi vendite giochi se non hai una base numerosa installata.

Nel 2021 sono previsti, almeno per ora, i sequel di Horizon Zero Dawn e God of War: i franchise hanno venduto più di 10 milioni di copie ciascuno su old-gen, ma già sappiamo che entro fine anno questo risultato difficilmente sarà replicabile visto che al momento sono state vendute circa 8 milioni di PlayStation 5. Vale la pena lanciare qualcosa di incredibilmente futuristico che potranno giocare in (relativamente) pochi, e che al lancio farà registrare sicuramente numeri inferiori ai titoli precedenti?

I record di vendite dei videogiochi per PlayStation 4 al momento sono imbattibili.

Nel 2021, ma con un occhio al 2013…

L’alternativa sarebbe sviluppare una versione che possa andare bene anche per la old-gen: praticamente nel 2021 si lavora per far girare un gioco su una console del 2013. Se il downgrade riguarda solo l’aspetto grafica, è più che comprensibile, ma se in questo adattamento si perdono ad esempio delle meccaniche di gioco, la situazione è più seria. Si dovrebbero limare tutte quelle nuove funzionalità rese possibili con la next-gen. A maggior ragione i titoli first party dovrebbero essere quelli che possono sfruttare con più maestria ogni caratteristica dell’upgrade e valorizzarla al massimo.

La non reperibilità delle console non è un problema risolvibile “solo” con la produzione, ma incide significativamente sulle strategie sul lungo periodo: quali giochi sviluppare? Quando pubblicarli? Su quali console? Tutte domande che prevedono una pianificazione con diversi anni d’anticipo e quindi un investimento di ingenti risorse (economiche e non) per portare quel contenuto specifico sul mercato, nel momento giusto.

Dopo oltre 6 mesi, potremmo vedere la prima esclusiva next-gen di un certo spessore.

Pianificazione andata in fumo

Uscire con un gioco nel 2021 è una scelta pianificata ben prima della pandemia, quindi un intoppo che riguarda non solo il singolo prodotto ma tutta la filiera, rischia di stravolgere completamente ogni strategia pensata in futuro. A distanza di sei mesi non abbiamo ancora avuto la killer app, il titolo travolgente che ti spinge a comprare una console specifica e, probabilmente, fino all’autunno almeno non avremo delle novità su questo fronte.

Questi problemi di pianificazione fanno presumere che grandi progetti inizialmente pensati per il 2024/2025 possano subire dei cambiamenti di qualche genere: probabilmente non si produrrà più su vecchie console, ma in fase di sviluppo non sappiamo quali conseguenze potrebbero esserci, che poi potrebbero presentarsi all’utenza come continui rinvii o, peggio, un prodotto non all’altezza della aspettative.

Magari l’E3, o altri grandi eventi, ci mostreranno titoli AAA non ancora annunciati o con una data d’uscita, ma difficilmente grandi franchise faranno le loro mosse fra luglio e agosto, quindi bisognerà aspettare settembre, che potrebbe aprire la “grande era della next-gen”, finora esplorata fin troppo poco e con un potenziale mostrato solo a sprazzi. Si potranno fare i confronti con i lanci di PlayStation 4 o Xbox One, delle varie line-up lancio e post-lancio, delle vendite o delle disponibilità delle console, ma sono passati quasi 10 anni e inevitabilmente ogni paragone va quindi “pesato” il giusto. Siamo nel 2021, la cultura del videogioco, e il videogioco stesso, sono totalmente diverse dal 2013.

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What Remains of Edith Finch, quattro anni dopo aver cambiato il concetto di videogioco

Il pubblico più sprezzante del web ha sempre molte certezze spinte dalla superficialità. Una di queste è l’ironica definizione walking simulator per descrivere i videogiochi di avventura in cui le interazioni sono meno frenetiche rispetto agli altri titoli. Anche se questo modo di dire è tornato di moda con Death Stranding di Hideo Kojima, i videogiocatori di tutto il mondo hanno preso consapevolezza che questo termine sia un’infondata stupidaggine con l’uscita di What Remains of Edith Finch, un capolavoro del nostro decennio che il 25 aprile ha festeggiato i suoi primi quattro anni.

L’avventura sviluppata da Giant Sparrow ed edita da Annapurna Pictures ha stravolto la concezione popolare di videogame, fino ad ora ampiamente teorizzata da svariati autori e docenti universitari, ma mai arrivata alla ribalta con un titolo che spegnesse gli animi dei più superficiali tra i videogiocatori. Se i tempi sono maturi, lo dobbiamo parzialmente a noi stessi che stiamo approfondendo la vastità del medium videoludico, ma la spinta decisiva è data da titoli come What Remains of Edith Finch che hanno dimostrato che anche un’opera con un’interattività meno vorticosa del solito può essere un capolavoro videoludico.

Il diario di Edith Finch

Una trama da vivere

What Remains of Edith Finch è un videogioco in cui viviamo gli eventi narrati da Edith Finch, una ragazza che racconta la triste storia della sua famiglia. I Finch sono succubi di una presunta maledizione. Presunta, perché non c’è esoterismo nelle parole di Edith, ma sembra comunque incredibile credere che si tratti solo di una coincidenza se tutti i membri dell’albero genealogico dei Finch siano deceduti prematuramente.

Le storie che affrontiamo sotto gli occhi dei protagonisti in procinto di perire camminano su un percorso predefinito, proveniente dal diario di Edith e, a meno di qualche sporadico mini-gioco, non faremo nient’altro che muoverci verso un destino immutabile. Del resto, What Remains of Edith Finch non ha bisogno degli enigmi demenziali delle avventure grafiche di LucasArts, né necessita di enfatizzare le tristi storie della famiglia Finch con ansiogene ambientazioni tipiche dei survival horror psicologici. Tutto quello che è sufficiente è ascoltare una trama che merita lo stesso rispetto di Monkey Island e Silent Hill.

Avventure infinite per la famiglia Finch

Un caleidoscopio di stili

What Remains of Edith Finch ha entrambe le caratteristiche che servono per definire un’avventura grafica: una trama meravigliosa e un’interattività che, seppur minimale, disdegna l’epiteto di walking simulator con la dirompente forza di una decina di racconti di tragiche scomparse, che gli sviluppatori esaltano con ambientazioni e stili artistici (quasi) sempre diversi. Chiunque abbia giocato il titolo potrà scegliere la propria storia preferita, in cui non importa il finale, ma il viaggio. E tra questi itinerari, i nostri preferiti sono quelli di Barbara e Lewis Finch.

Barbara Finch è la voce più famosa della famiglia, divenuta un’attrice di successo nei suoi anni grazie al suo urlo di paura che risuona nei film horror cui ha partecipato. Se il cliché dell’attrice in rovina è ormai sdoganato, la scelta di raccontare questa storia sotto forma di strisce a fumetti è una scelta spiazzante e magica che ci fa vivere il gioco, senza bisogno di interazioni forsennate.

La disavventura di Lewis Finch invece colpisce più nel profondo, perché narra del suicidio di un giovane in preda alla depressione e all’abuso di droghe. Un percorso vissuto sotto gli occhi di Lewis, che ci accompagna tra il suo ripetitivo lavoro in un conservificio e un mondo onirico in cui è re. Inizieremo tagliando la testa di un pesce in modo meccanico e finiremo per dimenticare la realtà a favore di un sogno fatto di re, principesse, conquiste e finalmente la pace.

La novella di Barbara Finch

Avventure, non simulatori

Qualcuno ci ha provato ad additare What Remains of Edith Finch come un walking simulator, ma anche la più becera superficialità si deve arrendere di fronte a un capolavoro. L’opera di Ian Dallas è un videogioco e questa ovvia affermazione è la vittoria dei veri videogiocatori che si sono indignati per la mancanza di rispetto nei confronti di un’opera d’arte che secondo alcuni è un non-gioco, al più è un cortometraggio.

Lo sdoganamento del genere portato avanti da What Remains of Edith Finch ha rivoluzionato il settore videoludico, i cui membri hanno rivalutato altri titoli del passato ingiustamente snobbati. Videogiochi story-driven con un’interattività minimale come The Stanley Parable (Galactic Cafe, 2013) e Journey (Thatgamecompany, 2012) sono oggi avventure affermate e per questo un plauso va anche alla famiglia Finch. Del resto, potremmo anche innamorarci del diario di Edith Finch o piangere per una serie TV dedicata, ma le sensazioni provate joypad alla mano per la fame notturna di Molly sono esclusive di un videogioco.

Lewis Finch, tra realtà e fantasia.

Un rispettoso epilogo

Il termine walking simulator è da rigettare con foga, perché nasce da una mancanza di rispetto nei confronti di artisti che vogliono creare qualcosa di indimenticabile. Dietro alle avventure della famiglia Finch ci sono sviluppatori, game designer, level designer, scrittori, disegnatori e publisher che hanno investito in un progetto in cui credevano fermamente. In altre parole, dietro le quinte ci sono persone con un talento straordinario che condividono una visione fiabesca del mondo dei videogiochi, che pochi stolti hanno provato a cancellare con un termine che mette in evidenza tutta la loro superficialità.

Sfortunatamente per loro, ma fortunatamente per l’intera industria videoludica, a distanza di quattro anni, What Remains of Edith Finch è un capolavoro riconosciuto tanto dagli addetti ai lavori quanto dal pubblico, che ha cambiato la nostra concezione di videogioco, in meglio.

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Monster Hunter: Rise, cacciare tra presente e passato

L’attesa è finita, poco più di sei mesi ci separano da quell’ormai lontano 17 settembre, giorno in cui Monster Hunter: Rise fu rivelato durante un Nintendo Direct Mini: Partner Showcase. Sei mesi in cui fantasticare su cosa Capcom aveva in serbo per noi cacciatori, quali sarebbero stati i cambiamenti apportati, quanti nuovi mostri avremmo affrontato, insomma, sei mesi in cui le aspettative sono salite alle stelle, quantomeno per il sottoscritto, fan della saga di lunga data. E vi preannuncio già da subito che sì, le aspettative sono state rispettate ed in alcuni casi ampiamente superate!

Innovazione e tradizione

È inevitabile il confronto con gli due ultimi capitoli della saga, Monster Hunter Generations Ultimate e Monster Hunter World: Iceborne, soprattutto considerando la diversa filosofia alle loro basi. Il primo rappresenta la tradizione di Monster Hunter sin dalla nascita dell’IP, ed è di fatto un grande omaggio ai titoli che si sono susseguiti per 13 anni (2004-2017). Il secondo rappresenta invece l’innovazione per la saga, e traccia una linea netta tra quel che c’è stato e quel che ci sarà.

Bene, dove si colloca quindi Rise? Fa parte dei MH “vecchia scuola” o abbraccia la “nuova” filosofia di World? Questa è una domanda che più e più volte mi sono posto durante quel lungo periodo d’ attesa, ed ho finalmente la risposta.

Rise riesce nel difficile compito di selezionare le migliori caratteristiche di entrambi i filoni e le combina sapientemente, creando un titolo moderno, che non ha paura di sperimentare, ma che al tempo stesso rispetta le vecchie tradizioni. Ma andiamo con ordine, ogni caccia che si rispetti è composta da tre elementi fondamentali, ovvero ambiente di caccia, cacciatore e preda.

Il piacere del viaggio

Iniziamo il primo di questi elementi ovvero le mappe e l’esplorazione. Rise abbandona la vecchia struttura ad aree separate da caricamenti tipica della serie, accostandosi alla concezione di grande mappa portata da World. Al tempo stesso però le mappe di Rise non risultano mai troppo grandi nè troppo piccole, e sono caratterizzate da varie arene naturali, ampi spazi spesso pianeggianti in cui combattere il mostro di turno, tipica impostazione da MH classico, laddove in World le mappe erano sì bellissime e dettagliatissime, ma a volte visivamente confusionarie e non proprio di facile navigazione.

monster hunter rise foresta inondata
Dopo 12 anni ho finalmente scoperto cosa nasconde la piramide della Foresta Inondata!

Con questo non voglio far intendere che le mappe di Rise siano spoglie o semplici, anzi, tutt’ altro. Tra un’ “arena” e l’altra potremo perderci in cunicoli, caverne, laghi sotterranei, antiche città dimenticate e chi più ne ha più ne metta. Insomma, il risultato raggiunto da Capcom è restituire una lotta più “intima” dove il focus non è più sull’ambiente iperdettagliato del nuovo mondo, quanto sul cacciatore, il mostro ed il loro scontro in una grande arena, proprio come nei vecchi MH. Contemporaneamente non mancano le fasi esplorative, con ambientazioni dalla spiccatissima verticalità che va a nozze con quella che reputo la più importante aggiunta regalataci da Capcom, gli Insetti Filo, piccole creature in grado di “trainare” il nostro cacciatore e fungere letteralmente da fionde che lo proietteranno in ogni direzione possibile.

Tutto ciò, unito alla possibilità del cacciatore di scalare (quasi) qualsiasi parete presente, eleva all’ennesima potenza la già ottima esplorazione degli ambienti presenti in World, permettendo movimenti aerei rapidi e precisi, e non di rado mi sono ritrovato a voler raggiungere quel punto in lontananza senza mai toccare il terreno, giusto per il gusto di farlo, per farvi capire quanto è divertente ed appagante l’utilizzo dei nostri piccoli amici insetti.

Per quanto riguarda la navigazione terrestre Capcom ci viene incontro con l’aggiunta di un nuovo tipo di compagno, il Canyne, che và ad affiancarsi agli iconici Felyne. Il nuovissimo amico a quattro zampe, oltre ad essere utile in combattimento, dà la possibilità di essere cavalcato e và a velocizzare la navigazione terrestre degli ambienti. La cavalcatura risulta essere una diretta evoluzione dei Cacciaprede introdotti in Iceborne

Spero vivamente tali features verranno mantenute anche nei prossimi capitoli della saga, perchè è il classico esempio di quelle funzionalità che fanno pensare “mai più senza”, e questo la dice lunga sulla qualità del lavoro svolto da Capcom con Rise.

monster hunter rise canyne
I Compagni Canyne ci eviteranno lunghe camminate.

Il giusto equilibrio

Veniamo ora al secondo elemento, ovvero il cacciatore. Il combat system nudo e crudo è chiaramente costruito sopra l’ottimo lavoro già svolto per World ed Iceborne; i movesets delle 14 tipologie d’arma disponibili sono stati leggermente rimaneggiati, occasionalmente stravolti come nel caso del corno da caccia, ma è indubbio che la base di partenza sia stata proprio World, pur con alcuni rimandi a Generations Ultimate.

Un cacciatore armato di spada e scudo durante l’esecuzione di una tecnica Fildiseta.

Difatti, con l’aggiunta delle tecniche Fildiseta, Rise propone una chiara reinterpretazione delle Arti di Caccia presenti in GU, dei “colpi speciali” dagli effetti spesso devastanti, a volte visivamente “esagerati”, quasi a far sembrare la lotta tra cacciatore e mostro uno scontro degno di uno Shonen giapponese.
Altra nuova aggiunta sono le Tecniche Scambio, che ci permettono di personalizzare il moveset di ciascuna arma, proprio come gli Stili di Caccia presenti in GU, seppur in maniera(fortunatamente)più contenuta e coesa rispetto al predecessore.

Tutto ciò è impreziosito dall’aggiunta della Cavalcatura Wyvern che và a sostituire il vecchio sistema di mount, permettendoci di comandare, seppur per breve tempo, ciascun mostro presente nel titolo.
E’ inoltre presente una nuova modalità di gioco, la Furia, il cui scopo è difendere una fortezza da varie ondate di mostri, utilizzando vari strumenti d’ assedio quali balliste, cannoni, ammazzadraghi e tanto altro. Forse è proprio tale modalità l’elemento che mi lascia qualche dubbio, ma ammetto di doverla testare meglio, soprattutto in multiplayer, dove credo dia il meglio di sé.

Insomma, anche sul versante gameplay Monster Hunter Rise riesce a creare un perfetto mix tra vecchio e nuovo, proponendo un combat system fluidissimo contornato da aggiunte che rimandano al passato della saga, e di fatto creando quello che è il miglior gameplay della saga, a mio modesto parere.

monster hunter rise cavalcatura
La Cavalcatura Wyvern è una gradita svecchiata al sistema di mounting.

Il Giappone secondo Capcom

Abbiano già trattato il tema della funzionalità degli ambienti di gioco, ma vorrei soffermarmi sulla magnifica direzione artistica di questo titolo. Il tema di riferimento dell’opera è ovviamente il Giappone, dalla mitologia alle ambientazioni più rurali.

Ecco a voi Magnamalo, il flagship monster di Rise. A voi indovinare quale yokai abbia dato vita al suo design.

I nuovi mostri sono ispirati a diversi Yokai (Spettro/Demone della mitologia giapponese) , e risultano tutti, nessuno escluso, delle aggiunte cariche di personalità e splendidamente ideate ed animate. Ovviamente alle nuove bestie vengono affiancate anche vecchie conoscenze, sapientemente scelte tra le più iconiche che la saga possa offrire, e soprattutto tutte ottimamente contestualizzate nell’ambiente di gioco; basti pensare al Mizutsune o lo Zinogre, due tra i mostri più “giapponesi” dell’intera saga. Insomma, il bestiario non è il più esteso di sempre, impresa quasi impossibile se si considera che esiste Generations Ultimate, ma risulta probabilmente quello con la qualità media più alta ad oggi, quantomeno per un capitolo “di lancio”.

Anche le mappe sono tutte splendidamente disegnate, e non di rado ci offriranno panorami mozzafiato, soprattutto grazie a giochi di luci ed ombre offerti dal ciclo giorno/notte presente nel titolo. Anche qui, rispettando le origini della saga, fanno il loro ritorno due splendide reinterpretazioni di ambienti già apparsi in precedenti capitoli, ovvero le Lande Sabbiose e la Foresta Inondata.
Sia i mostri che gli ambienti vengono poi introdotti da una splendida sequenza in pieno stile teatro Kabuki, scelta perfetta vista la direzione generale di Monster Hunter Rise.

L’hub di gioco, il villaggio di Kamura, tra fiori di ciliegio, sala da tè, rospi meccanici e tanto altro, riporterà alla mente dei vecchi fan, come il sottoscritto, il magico villaggio di Yukumo, HUB presente in Monster Hunter: Portable 3rd. Insomma, anche qui la modernità fa da padrone, con viaggi rapidi per raggiungere le varie strutture utili in perfetto stile World, riuscendo comunque a restituire quel feeling più tradizionalista.

La colonna sonora è evocativa ed adrenalica e si sposa alla perfezione con mostri ed ambienti. Tracce come il tema del flagship di questo capitolo, Magnamalo, raggiungono vette di qualità altissime, e non vi nascondo che reputo questa colonna sonore tra le migliori mai prodotte per la serie.

Il piccolo villaggio di Kamura, base operativa per le nostre cacce.

In conclusione

Ho esplorato i vari aspetti che legano Monster Hunter Rise ai suoi predecessori, ma mi preme specificare un concetto. Siete dei veterani della saga di Monster Hunter? Avete intrapreso la carriera del cacciatore “solo” dal capitolo World/Iceborne? Non avete mai cacciato in vita vostra? Bene, in tutti e tre i casi Monster Hunter: Rise non vi deluderà.

Capcom è riuscita nell’ardua impresa di coniugare passato e presente della saga, mantenendo comunque un ottimo livello di accessibilità ai neofiti ed un buon grado di sfida ai veterani, offrendo un gameplay fluido, divertente ed appagante, con tante nuove aggiunte una migliore dell’altra.
Quindi non posso far altro che consigliare a chiunque l’acquisto del titolo, che personalmente considero già il mio Monster Hunter preferito. Ora torno a cacciare, spero di ritrovarvi tutti a Kamura!

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Tornano le PlayStation 5, ma solo per pochi fortunati

Marzo doveva essere il mese delle PlayStation 5, stando alle pagine social di un’importante catena che tratta prodotti videoludici. La realtà è però molto diversa, perché è vero che settimanalmente sono state messe in vendita nuove console, ma è altrettanto evidente che fossero poche, in relazione alle richieste: qualche mese fa un mio amico era il cliente in lista numero 110 mila, quindi parliamo di cifre a cinque zeri.

Calcolando che la PlayStation 4 ha venduto in Italia circa 4 milioni di unità, di persone da soddisfare ce ne sono potenzialmente tantissime. Sono ovviamente numeri relativi a tutta la generazione, quindi più o meno fra 2013 e 2020, e parliamo mediamente di 500-600 mila ogni anno

Nei giorni scorsi sono apparsi dei post in cui veniva pubblicata la disponibilità di PlayStation 5 ma, nonostante la buona notizia, in molti sono rimasti delusi per non essere riusciti ad acquistarla, per l’ennesima volta da settembre ad oggi. In alcuni casi, nei commenti, si sono anche lamentati coloro che hanno dato via la propria PlayStation 4, ipervalutata a settembre (50 euro in più), dal momento che non hanno ancora ricevuto una console prenotata quasi sei mesi fa e che si trovano a leggere che invece c’è disponibilità adesso.

In totale sono oltre 100 milioni le persone che hanno acquistato una PlayStation 4.

Sei mesi per una PlayStation 5 prenotata

C’è qualcosa che sicuramente non va. Da utente appassionato non posso ovviamente comprendere le dinamiche che ci sono dietro a queste strategie: non so quante sono le prenotazioni esatte né quanti sono i clienti potenziali con precisione o i comportamenti della concorrenza, ma posso ugualmente percepire questa situazione come decisamente frustrante per chi spera ogni volta di mettere le mani sulle console next-gen e che, dopo essere messo in lista d’attesa, puntualmente scopre che tutte le scorte sono terminate.

Non ho provato ancora ad acquistare la PlayStation 5, perché punto a qualche bundle più in là nel tempo (le esclusive next-gen per ora non le trovo molto esaltanti), ma in ogni caso in quei momenti specifici non ero fisicamente al PC e non avrei potuto comprarla nemmeno volendo. Chi però ha tentato, fra i miei amici e contatti, è rimasto ulteriormente deluso, perché ogni volta parte fiducioso e carico di entusiasmo, per poi rendersi conto di aver atteso per nulla.

Questi continui annunci alla lunga non fanno altro che spazientire le persone, perché i più temerari ogni volta si collegano al sito, anche con più dispositivi, iniziano a perdere fiducia e a chiedersi se veramente queste console ci siano o se invece sia solo una trovata per far cliccare la gente sul sito.

Non c’è algoritmo che tenga: per acquistare la PlayStation 5 serve solo un po’ di fortuna.

Ma le cause sono anche esterne

Le cause di ciò ovviamente sono anche di questa crisi mondiale, che è un po’ alla base di tutto. La produzione è stata molto rallentata, e quindi le scorte del 2020 inevitabilmente sono state minori di quanto inizialmente preventivato: il periodo di lancio si sapeva che sarebbe stato durante le holidays, e un rinvio di qualche settimana avrebbe comunque fatto poco. A tutto questo vanno aggiunti i lockdown, che hanno sia ridotto il potere d’acquisto dei clienti, sia le possibilità di vendere ai negozi fisici, a volte chiusi, a volte accessibili con limitazioni.

Da semplice utente che vuole portarsi a casa una PlayStation 5, preferirei senza dubbio trovarmi una scorta più corposa, ma meno frequente. Praticamente l’opposto di adesso. Se è vero che con un rilascio sul mercato più diluito posso avere più occasioni di acquisto, il contro è che la percentuale di successo con poche console è veramente bassa, a maggior ragione quando non sappiamo nemmeno quante PlayStation 5 sono disponibili di volta in volta: decine? Centinaia? Migliaia? Vista la velocità con cui vengono esaurite, non penso moltissime.

E poi sappiamo di tutti i problemi causati dai bagarini, che acquistano le console e le rivendono a prezzi maggiorati, usando bot e sistemi di vario tipo, che inevitabilmente ne vanno a minare la disponibilità. Dopo tutto ciò che è successo negli scorsi mesi, forse siamo anche un po’ sfiduciati a prescindere, perché dovremmo superare sia la concorrenza “legale”, cioè gli altri clienti, sia quella irregolare, derivante da utenti che hanno come obiettivo solo la rivendita.

I prezzi giusti, quelli decisi dall’azienda: se trovate prezzi più alti (e non legati a bundle), qualcosa non torna.

Io aspetto

Io per ora non acquisterò la PlayStation 5 (e non sono l’unico): l’upgrade lo farò presumibilmente tra fine 2021 e inizio 2022, quando sarà passato oltre un anno dalla release. Non sono un amante delle file chilometriche nei negozi, né dell’attesa compulsiva davanti a un PC: andrò al negozio solo ed esclusivamente quando avrò la certezza (o quasi) di poterla toccare con mano. Senza sperare nella fortuna, senza dover fissare uno schermo per ore, senza ricorrere ai bagarini. Esattamente come feci con la PlayStation 4, presa un anno dopo e con GTA V incluso nel bundle.

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The Medium, 3 motivi per giocare il survival horror polacco

The Medium è il nuovo survival horror dei polacchi di Bloober Team, già noti per la serie Layers of Fear. Nel giro di pochi anni, la software house fondata da Peter Babieno e Peter Bielatowicz è passata dall’essere una promettente casa indipendente a un team leader nel genere degli horror, tanto da essere già a lavoro (rumor non ufficiale) per un remake dei primi capitoli di Silent Hill. Per capire le motivazioni che hanno portato Konami a prendere questa decisione, o quantomeno a non far sembrare questo rumor completamente illogico, bisogna giocare The Medium, uno dei migliori survival horror psicologici degli ultimi anni, che non può mancare nella libreria di qualsiasi appassionato di videogame.

The Medium è un titolo che va vissuto, perché la narrazione della Polonia del dopoguerra è tanto affascinante quanto cruda, ma ho voluto comunque raccogliere tre motivi per invogliarvi a iniziare un viaggio tra mondo reale e spirituale, perché sembra che non tutti stiano dando il peso che merita a Marianne e ai suoi poteri sovrannaturali.

L'innovativo split-screen di The Medium.

3. Storia e spiritualità

Nonostante fosse bravissimo, il mio professore di storia del liceo ci ha raccontato la Polonia della seconda guerra mondiale solo come quella nazione vittima della guerra lampo di Hitler e per la presenza sul suolo polacco del campo di concentramento di Auschwitz. Due eventi storici importantissimi e da non dimenticare per nessuna ragione al mondo, ma il dolore polacco è durato molto di più di una blitzkrieg.

Gli atroci eventi dell’hotel Niwa, città realmente esistente vicino a Breslavia, che in tempi non sospetti ho avuto modo di visitare e vi consiglio caldamente, non sono realmente accaduti, ma il contesto del dopoguerra, dove la Polonia è stata costretta a passare dall’invasione tedesca alla finta libertà comunista è reale. Si tratta di un pezzo di storia che non c’è mai tempo di raccontare tra i banchi di scuola, ma che merita qualche ora di attenzione in più, lacuna pienamente colmata da The Medium.

Una vera atmosfera horror.

2. Un omaggio a Silent Hill

Non chiedetelo, perché non ha alcun senso. Silent Hill e The Medium sono due giochi con molte similarità, ma non si possono confrontare. Il primo è il capostipite dei survival horror psicologici, un gioco visionario nato nel 1999 dal genio e dalla sregolatezza giapponese di Konami. Se The Medium fosse come un titolo di 12 anni fa, non ve lo consiglierei. Il survival horror di Bloober Team, invece è un omaggio al capolavoro del Team Silent che non manca di una propria personalità.

Visitando l’hotel Niwa, avrete una sensazione di déjà vu quando Marianne darà la sua personale opinione su quello che vede e legge, ma la protagonista ha anche una propria personalità, troppo forte per essere ignorata. Non stiamo parlando di una caricatura di Harry Mason o James Sunderland, ma di Marianne Rekowicz, un personaggio che sarà ricordato negli anni a venire come un protagonista femminile di spessore.

Per quanto riguarda il gameplay, non è un caso se lo split-screen ha causato non pochi problemi a tante piattaforme, inclusa la potente Xbox Series X su cui ho notato dei cali di framerate. Marianne vive in due mondi, e spesso lo fa contemporaneamente. Questo comporta una renderizzazione dei due piani di gioco in simultanea. Un esperimento ben riuscito, ma da ottimizzare e che potrebbe essere sfruttato in futuro da altre opere che potranno mostrarsi su piattaforme next-gen.

Anche le piattaforme next-gen faticano in certi punti a causa dello spit-screen.

1. L’entry-level perfetto

The Medium ha tutte le caratteristiche necessarie per essere il primo gioco horror di un videogiocatore. Se siete tra quelli a cui non interessa il genere perché non avete voglia di imbattervi in jumpscare privi di logica, rasseneratevi e tenete in considerazione l’opera di Bloober Team, perché non ci saranno mai momenti da horror movie di serie B.

The Medium basa la sua narrazione sulla cupa tensione con qualche scarica di adrenalina ben studiata nei momenti principali e rientra nella nicchia dei survival horror psicologici, in cui la vera paura non nasce dal timore della morte, ma dal dolore che proviene dal passato. La difficoltà del titolo risiede nello sforzo di proseguire in una trama che si intreccia duramente con il comprovato male che è stato perpetrato ai danni del popolo polacco dalle correnti estremiste durante buona parte del ‘900. Infatti, il gioco permette di risolvere pian piano un intricato puzzle raccogliendo informazioni e risolvendo enigmi, spesso troppo semplici per i più esperti, ma perfetti per chi vuole entrare nell’ignoto mondo degli horror game.

Inoltre, The Medium dura circa otto ore, un tempo sufficiente per approfondire la trama e perfetto tanto per i neo-appassionati degli horror che vogliono provare il genere senza soffermarsi sul titolo settimane intere, quanto per i videogiocatori più adulti che hanno poco tempo da dedicare alla loro passione.

Infine, il gioco è totalmente gratuito per i possessori dell’Xbox Game Pass, sia su PC che su Xbox One e Xbox Series S|X (che costa solo 1 euro per i primi tre mesi). In altre parole, non avete nessun motivo per non vagare nei mondi di questa piccola opera d’arte.