PES diventa eFootball, e per la prima volta Konami punta sul titolo calcistico con un modello free-to-play. C’erano già state delle anticipazioni a riguardo: da qualche anno viene messa in commercio la versione Lite, qualche mese dopo la release ufficiale, con le funzioni limitate al multiplayer, e lo scorso anno non è uscito PES 2021 ma un update, che sostanzialmente andava ad aggiornare il titolo precedente senza stravolgerlo. A distanza di un anno, però, le cose sono totalmente cambiate, a cominciare dal motore grafico, quindi proprio dalle basi. Sparisce il “PES” dal nome, storico marchio del videogioco, si passa a eFootball, e per giocare basterà scaricarlo. FIFA invece continuerà con la solita formula, cioè uscita annuale a prezzo pieno, più ovviamente tutte le micro-transazioni e le relative polemiche. Ma siamo sicuri che in Konami stiano facendo la scelta giusta? Intanto scopriamo cosa si cela dietro a un prodotto free-to-play.
Che cosa significa free-to-play
Il termine free-to-play, letteralmente “gratis da giocare”, descrive quei videogame che possono essere scaricati senza alcun costo aggiuntivo. Non obbligatorio almeno. Per rendere sostenibile questa tipologia di prodotti, publisher e sviluppatori devono puntare su alcune caratteristiche che possano permettergli di rivaleggiare con titoli nuovi. Statista valuta che nel 2021 il mercato del free-to-play mobile sia intorno ai 100 miliardi di dollari, con una netto apporto del mobile (75%, con un contributo dei player asiatici che vale oltre la metà del segmento), seguito da PC (23 miliardi) e console (2 miliardi). Questi ultimi due sono parecchio indietro, ma la spiegazione è che i prodotti di nota sono sensibilmente di meno (esistono migliaia di ottimi giochi mobile, e spesso di tratta di cloni), e al fatto che lo sviluppo su queste piattaforme è soprattutto legato al mondo multiplayer e, di conseguenza, necessita di un lavoro più lungo e che coinvolge più figure professionali.
Il poter arrivare a tante persone senza doverne pretendere l’acquisto è sicuramente il vantaggio principale del free-to-play, almeno per poterli attrarre una prima volta. Se questo è efficace per l’approccio, però, poi è necessario trovare il modo di farli rimanere connessi e di renderli degli utilizzatori abituali. Bisogna quindi aggiornare il videogioco, continuamente, per far sì che ci sia un’effettiva convenienza a giocare e a collegarsi quotidianamente (o quasi). Come suggerisce Medium, anche i live event possono fare un’enorme differenza, portando a connettersi cifre di giocatori generalmente insolite. In Fortnite è possibile assistere a eventi speciali. Specialissimi anzi, perché parliamo di un fenomeno che è uscito (positivamente) molto al di fuori del contesto videoludico. All’interno del gioco, nel 2020 è stato mostrato un trailer in esclusiva, e non parliamo di un film di nicchia o di un regista emergente: si tratta di Tenet, di Christopher Nolan, che ha scelto un palco insolito per presentare un prodotto cinematografico. Altri casi che hanno visto Fortnite come protagonista sono i concerti. Marshmello, Travis Scott, Ariana Grande e altri ancora si sono esibiti virtualmente: gli utenti si connettono, e possono assistere all’interno del videogioco a uno spettacolo vero e proprio. Tutte queste attività sono un’elevazione alla n-esima potenza del concetto di “far rimanere i giocatori”.
Come si monetizza da un gioco gratuito?
Ma se finora abbiamo parlato di come far arrivare gli utenti, come si fa a monetizzare? Semplicemente gli si dà il videogioco gratuitamente, e poi gli si fa pagare degli extra facoltativi, che possono aiutare ad esempio a customizzare il proprio personaggio e la propria esperienza di gioco, o semplicemente levare i banner pubblicitari (su mobile). In altri casi si possono acquistare dei veri e propri vantaggi in-game, ma lì ci si allontana un po’ dal classico free-to-play: per i videogiochi sportivi può essere un atleta in particolare o l’aver maggiori possibilità per raggiungerlo, negli FPS possiamo parlare di armi, abilità speciali, e così via. La legge dei grandi numeri dice che più sono i giocatori, più sono quelli che pagano. E quindi si torna al punto precedente, cioè il tenersi stretti quelli che entrano in contatto con il videogame e che sono disposti a investirci tempo e risorse. Un ulteriore boost in questo modo sono anche gli aggiornamenti legati a specifici eventi: Pasqua, Halloween, Natale, e magari altri appuntamenti legati al Paese della casa di sviluppo. In questi frangenti è possibile avere accesso a mappe, modalità di gioco inedite oppure oggetti rarissimi, spingendo di conseguenza ancora più persone a restare in-game.
Nel marketing viene valorizzato sempre di più il concetto di “relazione”. Questo significa che ottimizzare la singola transazione (l’utente che spende 70 euro) è una grande operazione, poiché si riesce a vendere al prezzo desiderato e gli obiettivi minimi di business vengono soddisfatti, ma se si riesce a rendere il rapporto più duraturo, nel lungo periodo si guadagna molto di più. Semplificando il concetto al massimo, viene fatta una stima che tiene conto di quanto un utente può rimanere attivo e quanto è disposto a spendere in un certo lasso di tempo. Il free-to-play si basa proprio su questo concetto, perché non si presta più alla massimizzazione di un acquisto solo (il videogioco, fisico o digiale) ma si punta quasi esclusivamente sulle micro-transazioni che, singolarmente, possono essere risibili e accessibili, ma che sommate nel lungo periodo possono portare a grandi cifre: nel 2020, Honour of Kings è arrivato a 2,45 miliardi di dollari. Non mancano comunque i prodotti non free-to-play che puntano molto su questo modello di business, con la differenza che necessitano di una spesa iniziale.
PES diventa eFootball: la svolta free-to-play è giustificata?
Tornando alla domanda principale: che conviene realizzare un videogioco free-to-play? La risposta è “dipende“. Ancor prima della pubblicazione del videogioco bisogna ragionare sulla tipologia di prodotto che si sta creando, sulle risorse finanziarie a disposizione e sulla quantità e qualità degli aggiornamenti che sono previsti dopo il rilascio. Nel caso specifico di eFootball, probabilmente ci sono le condizioni giuste per rendere il modello sostenibile. Ha sicuramente una grande fanbase potenzialmente molto ampia, che nel corso del franchise ha generato 111 milioni di vendite e 400 download su mobile. Il tipo di gioco poi si presta ampiamente ad update ed eventi speciali, come succede già adesso: aggiornamenti in base alle prestazioni di calciatori e squadre, inserimento di campioni del passato. La possibilità di monetizzare invece può essere data dall’acquisto di valuta in-game, o direttamente di calciatori e di skin uniche. Bisogna però anche tenere conto dell’effettiva qualità del risultato finale, il videogioco in sé, che pare non essere stato troppo apprezzato dagli utenti e che vedono eFootball 2022 come un passo indietro rispetto a PES 2021.
Se, almeno esternamente, sembrerebbe una scelta sensata quella di passare al free-to-play, “sacrificando” gli incassi dati dalla vendita del videogioco base per accrescere (sensibilmente) il proprio seguito, la vera domanda da porsi è se questa rivoluzione del franchise basterà per superare FIFA, il rivale di sempre. In realtà ci sarebbe un altro quesito, perché quella che è spesso stata definita una lotta a due, da quest’anno con UFL potrebbe essere a 3. Non sappiamo ancora troppo di quest’ultimo, se non che è gratuito e che quindi opera nello stesso “campo” di eFootball 2022; il free-to-play.