Recensione in un Tweet
Morimasa Sato è riuscito nell’intento di prendere tutto il meglio della serie evitando i capitoli meno apprezzati. Il livello artistico di Resident Evil Village permane ad altissimi livelli per tutto l’inizio del gioco per poi diventare più anonimo nella parte centrale, esattamente in corrispondenza della deriva action del titolo, che allontana nuovamente la serie dal genere dei survival horror.
8.5
I survival horror vivono su un’onda sinusoidale lunga quasi trent’anni, i cui picchi sono costellati di titoli della saga Resident Evil. Nonostante Biohazard non sia il creatore del genere (la lotta è ormai consolidata tra Alone in the Dark e Clock Tower), e il trono di miglior serie è da contendere con gli orrori di Silent Hill, Resident Evil detiene indiscutibilmente il record della serie horror più famosa e longeva, grazie ai suoi venticinque anni scanditi da enormi successi, che ovviamente aumentano le aspettative su ogni capitolo. Lo stesso vale per Resident Evil Village, séguito diretto di Resident Evil 7 che ha (parzialmente) allontanato il nome Biohazard dalla strada action battuta dai predecessori per ritornare nella famiglia dei survival horror, il genere inizialmente pensato da Shinji Mikami per il suo terrore.
Abbiamo lasciato il mondo di Resident Evil 7: Biohazard con un finale molto simile a quello di uno sparatutto in terza persona e con Ethan Winters che riesce a ricongiungersi con la sua amata Mia. E ripartiamo tre anni dopo proprio da qui.
La perfetta famiglia americana
Resident Evil Village esalta l’importanza della famiglia in tutti i sottogruppi della sua società, dalla famiglia statunitense Winters fino al remoto villaggio dell’est Europa. Le battute iniziali del nuovo titolo ci portano in Louisiana, tra le calde mura della famiglia di Ethan, Mia e la nuova arrivata Rosemary Winters. Come possiamo aspettarci dal genere, questo tenero quadretto familiare non è destinato a durare. Infatti, dopo poco vivremo in prima persona l’irruzione cinematografica di Chris Redfield, che fredda Mia e porta via Rose nel giro di pochi minuti.
La sorte di Ethan Winters invece prevede un trasporto verso una base militare che terminerà in un incidente mortale per tutti i componenti della squadra ad eccezione di Ethan e di sua figlia Rose, sequestrata da non meglio identificati delinquenti in un inospitale villaggio slavo.
Il luogo vive sotto il culto di Madre Miranda, divinizzata protettrice, a dire dei suoi abitanti, del villaggio, almeno fino ad oggi. Infatti, quando prenderemo finalmente le sembianze di Ethan faremo conoscenza degli ultimi abitanti del villaggio prima di vederli morire sotto i colpi di feroci licantropi. In altre parole, siamo nuovamente da soli in una remota zona del globo, circondati da efferati mostri e alla ricerca di un altro membro della nostra famiglia. Questa volta però non si tratta di Mia, come nel capitolo precedente, ma di nostra figlia Rose.
Cinque sotto un tetto
Se il nucleo familiare è ovviamente importante per i “buoni”, lo stesso si può dire per gli antagonisti della nuova trilogia. Esattamente come la famiglia Baker, che viveva il suo personale orrore con una distorta coesione, anche in Resident Evil Village gli affetti saranno parte fondamentale del male. Quest’ultimo è composto da cinque membri, quattro lord e una signora al di sopra di tutto, Madre Miranda per l’appunto. L’idea generale di Morimasa Sato, director del gioco, ruota attorno alla nascita del male a seguito di un amore non corrisposto e ogni signore avrà il proprio personale dolore. Alcina Dimitrescu, la prima che affronteremo e ampiamente pubblicizzata da Capcom, ama morbosamente le tre figlie Bela, Daniela e Cassandra, mentre gli altri tre lord vivono tutte le storture dell’amore: la solitudine compensata dall’affetto di dagide, la mancanza di attenzioni e autostima e la ribellione nei confronti di una dispotica divinità.
Una dolorosa fusione
Le nette differenze nelle emozioni dei lord si notano sia nella parte artistica dei quattro signori quanto nelle ambientazioni in cui li affronteremo. Il level design prescelto prevede la suddivisione in quattro aree ben distinte collegate dal villaggio, con stile artistico e nemici totalmente diversi tra loro.
Resident Evil Village prende a piene mani da Resident Evil 7 e addirittura estende gli omaggi collegando le trame dell’intera lore della serie, dal primo capitolo fino al settimo. Il villaggio, a meno degli stupendi picchi innevati, ricorda l’ambientazione spagnola di Resident Evil 4, mentre il Castello Dimitrescu è un chiaro riferimento alla casa del capostipite. In entrambi i casi, l’egregio lavoro artistico svolto da Tomonori Takano a livello visivo e da Shusaku Uchiyama sul comparto audio è così straordinariamente elevato che potrà essere preso da esempio per tutti i futuri giochi della saga. Purtroppo, gli alti standard della prima parte non sono mantenuti per tutti il gioco. Infatti andando avanti con il titolo tutto sembra molto più simile e piatto.
Come avrete intuito, il gioco si svolgerà in molte più aree rispetto al solo villaggio e castello mostrato dalle demo. Questo causa un senso di eterogeneità che catapulta il videogiocatore in qualcosa più simile a un titolo a piattaforme piuttosto che un survival horror, con troppe disconnessioni sorrette da un sottile filo non troppo convincente rappresentato dal villaggio. Non stupirà quindi avere un proprio nemico preferito che oscurerà gli altri e che non permetterà di valutare facilmente il gioco nella sua interezza. Infatti, i lord, e tutto ciò che è a loro legato, sono così diversi che daranno certamente vita a un dibattito su chi sia più interessante tra Alcina Dimitrescu, le bambole di Donna Beneviento, il kappa Salvatore Moreau e l’arrogante ingegnere Karl Heisenberg.
Contrasti sublimi
I forti contrasti sono alla base del gioco di tutte le componenti di Resident Evil Village, uno dei più riusciti è il design di personaggi e nemici.
La fusione prevede il mix tra neoclassicismo e arte giapponese. La prima è ben visibile già dall’inizio, quando faremo conoscenza dei volti dei pochi superstiti del villaggio, facce pesantemente scolpite dai segni della fatica e del dolore, rappresentati da nette linee nere che rievocano esponenti come Felice Giani. Lo stile nipponico invece riadatta alcuni dei più famosi miti e parte della tipica fauna. Questo prevede un’eterogeneità che spazia tra gli occidentali vampiri e gli orientali takaonna passando per l’inconsueta creatura nipponica nota come narke.
Una macchina da guerra
Sin dal primo incontro con il Duca, capiamo che il gioco ruota tutto intorno a delle meccaniche GDR in cui è possibile potenziare il proprio equipaggiamento. Una scelta non sempre troppo apprezzata sin da Resident Evil 4, ma che Capcom ha deciso di percorrere dopo gli orrori di Resident Evil 7, che premiavano la fuga sullo scontro. Tutto questo cambia in Village, perché i nemici lasceranno sempre un drop che può essere un materiale per le creazione dell’equipaggiamento, denaro o oggetti di valore scambiabili per la valuta corrente. Questo spingerà il giocatore ad affrontare i nemici con maggior frequenza, consci che c’è spesso un guadagno nel consumare le munizioni. Se inizialmente le nostre armi non saranno così potenti da giustificare un assalto frontale, già all’interno del castello capiremo che anche una pistola ben potenziata fornisce un giusto rapporto costo/benefici a vantaggio dell’abbattimento dei mostri.
Purtroppo, così come già successo in passato, questa scelta comporta una minor ansia rispetto ai capitoli più survival della saga a favore di una componente action che alimenta un vero e proprio climax culminante con il finale di gioco. Sotto questo punto di vista, il paragone con Resident Evil 7 è impietoso, perché quanto di buono ricostruito con la famiglia Baker, viene poi demolito dalla necessità di far imbracciare le armi ancora una volta. Non siamo ai livelli esagerati di interazione del quinto e sesto capitolo, ma più andremo avanti nell’avventura e più vedremo il nostro personaggio trasformarsi in una macchina da guerra.
Per questo ricordiamo con piacere la prima parte del gioco in cui non saremo abbastanza forti da essere senza paura e ameremo Donna Beneviento, un lord che affronteremo interamente senza armi, provando alcuni momenti di vero terrore dato dal palpabile esoterismo dell’abitazione. Con meno orgoglio invece narriamo le restanti boss fight, in cui i colpi d’arma da fuoco faranno passare in secondo piano qualsiasi strategia rendendole tutte troppo simili tra loro ed eccessivamente confusionarie.
Conclusione
Resident Evil Village racchiude in sé venticinque anni della serie con tutti i suoi picchi positivi, ma senza mai raggiungere le sue clamorose débâcle. Il nuovo capitolo della serie abbraccia il genere del survival horror per poi virare, non troppo gradualmente, in un’ottica decisamente action. Se siete amanti della serie, Resident Evil Village sarà una piacevole scoperta, che potrà non piacere a tutti gli amanti dei primissimi capitoli, ma che farà la felicità dei fan di Resident Evil 4. Il paragone con Resident Evil 7 vede come vincitore quest’ultimo perché Village esalta maggiormente una delle componenti più fastidiose della nuova trilogia, cioè la netta dicotomia tra la prima e la seconda parte dei titoli.
Se non avete mai giocato un Resident Evil, sarebbe opportuno recuperare il capitolo precedente, poiché il nuovo Biohazard chiarisce diversi punti della trama dell’intera saga, concentrando l’attenzione su Ethan Winters e fornisce un finale decisamente sorprendente che apre a scenari tutti da scrivere. Qualsiasi sia la vostra decisione, confermiamo la bontà del progetto. Resident Evil Village è un titolo di elevato spessore artistico, che vi terrà piacevolmente impegnati per poco meno di dieci ore, ma non sempre con l’ansia dei titoli più apprezzati ad attanagliare il vostro cammino.
Dettagli e Modus Operandi
- Genere: survival horror (ma anche tanto sparatutto)
- Lingua: italiano
- Multiplayer: no
- Prezzo: 69,99 euro
Abbiamo affrontato il personale orrore di Ethan Winters per circa 10 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.