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Dal 2D al 3D: l’evoluzione della profondità nei videogame

Picchiaduro, giochi di ruolo, open world: l’importanza della profondità, dall’introduzione alla sua evoluzione nei videogame

Come appassionato di videogiochi, ho sempre trovato affascinante il modo in cui l’industria sia riuscita a trasformare un medium piatto e bidimensionale in un’esperienza immersiva, tridimensionale e ricca di profondità. E non parlo solo dell’evoluzione grafica, ma di come l’introduzione della terza dimensione abbia cambiato radicalmente il gameplay, il modo di raccontare storie e l’interazione stessa con i giochi.

Vorrei portarvi in un viaggio, partendo dai classici picchiaduro 2D, passando per l’impatto rivoluzionario del 3D, fino agli RPG che hanno spinto i confini della profondità a livelli inimmaginabili.

L’era dei picchiaduro 2D: la semplicità che conquista

Negli anni ’90, i picchiaduro 2D dominavano le sale giochi e le console di casa. Giochi come Street Fighter II e Mortal Kombat rappresentavano il massimo dell’innovazione. Con una prospettiva bidimensionale, il focus era tutto sulla precisione e sul tempismo: muoversi avanti, indietro, saltare o abbassarsi erano le uniche opzioni per evitare gli attacchi avversari.

Ricordo le ore passate a padroneggiare le combo di Ryu o Ken, cercando di perfezionare lo Shoryuken nel momento giusto. In Street Fighter II, la profondità non era fisica ma strategica. Bisognava leggere l’avversario, anticipare le sue mosse e reagire con riflessi fulminei. Era un’epoca di puro gameplay, dove ogni partita era una battaglia di abilità e determinazione.

Tuttavia, per quanto amassi questi giochi, c’era una limitazione evidente: il movimento era confinato a una linea immaginaria. Mancava quella sensazione di spazio, di libertà che solo una terza dimensione avrebbe potuto offrire.

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Il salto nel 3D: l’avvento di Tekken e Virtua Fighter

L’arrivo di Virtua Fighter (1993) di Sega è stato un momento spartiacque. Per la prima volta, un picchiaduro introduceva modelli poligonali e movimenti tridimensionali. Non era più solo avanti o indietro: ora potevi spostarti lateralmente, schivare e utilizzare l’arena in modo completamente nuovo. Questo cambiamento ha rivoluzionato il genere, aprendo la strada a giochi come Tekken, che non solo abbracciavano il 3D, ma lo sfruttavano per creare mosse più fluide, arene interattive e strategie completamente nuove.

Tekken ha spinto tutto al massimo. Ogni personaggio aveva un set di mosse unico e la possibilità di girare attorno all’avversario aggiungeva uno strato di complessità. Ricordo ancora le prime volte in cui eseguivo una schivata laterale con Hwoarang, sentendo finalmente quella libertà che i giochi 2D non potevano offrire. Inoltre, la grafica poligonale permetteva una caratterizzazione più dettagliata dei personaggi, rendendo il tutto più coinvolgente.

Anche Soul Calibur merita una menzione speciale. Questo gioco non solo sfruttava il 3D per i combattimenti, ma integrava armi, movimenti complessi e arene dinamiche che potevano influenzare il corso dello scontro. Le possibilità sembravano infinite, e per un appassionato come me, era come entrare in un nuovo mondo.

L’esplosione del 3D negli RPG: mondi da esplorare

Mentre i picchiaduro abbracciavano la terza dimensione, gli RPG la utilizzavano per creare mondi. Giochi come Final Fantasy VII (1997) sono stati pionieri, utilizzando fondali prerenderizzati in 3D per dare l’impressione di profondità. Anche se il movimento era ancora limitato, il passaggio da ambienti piatti a città e dungeon che sembravano veri luoghi ha trasformato il modo in cui i giocatori vivevano le storie.

Ma la vera rivoluzione è arrivata con giochi come The Elder Scrolls III: Morrowind (2002) e Dark Souls (2011). Questi titoli non solo offrivano mondi completamente tridimensionali, ma integravano la profondità nel gameplay. In Morrowind, potevi scalare montagne, immergerti sott’acqua e scoprire segreti in ogni angolo del mondo. Ogni collina, caverna o città sembrava avere una storia, un significato.

Poi è arrivata la saga dei Souls, e tutto è cambiato.

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Dark Souls e la profondità come filosofia di gioco

Parlare della terza dimensione senza menzionare i giochi Souls sarebbe un delitto. Demon’s Souls e i suoi successori (Dark Souls, Bloodborne, Sekiro ed Elden Ring) non solo hanno utilizzato il 3D per creare mondi visivamente spettacolari, ma hanno integrato la profondità nel cuore del gameplay.

In questi giochi, l’ambiente non è solo uno sfondo: è un personaggio a sé stante. Ogni angolo può nascondere una trappola, un nemico o un tesoro. La verticalità è fondamentale: pensate ai castelli che si ergono verso il cielo, ai ponti sospesi sopra abissi infiniti, o ai percorsi tortuosi che si snodano attraverso foreste e caverne. Muoversi in questi ambienti richiede attenzione, pianificazione e coraggio.

Ricordo ancora la mia prima volta nel castello di Boletaria. La sensazione di pericolo era palpabile: il terreno sconnesso, le scale traballanti e la possibilità di cadere nel vuoto rendevano ogni passo una sfida. Era un tipo di profondità che andava oltre la grafica: era emotiva, psicologica. Sentivi il peso del mondo attorno a te, la sua ostilità, ma anche la sua bellezza. Per non parlare dei combattimenti, durante i quali ogni fendente portato col tempo sbagliato significava trovarsi in una situazione di svantaggio tattico e posizionale rispetto all’avversario. È lì che la tridimensionalità raggiungeva l’apice: il mondo intorno conta e tanto nella tenzone. Se non calcoli dove sei, muori e muori anche male.

L’introduzione del 3D non riguardò solo l’estetica, ma anche il gameplay. Skyrim, ad esempio, portò l’esplorazione a un nuovo livello: potevi scalare montagne, immergerti nei laghi e interagire con un mondo vivo e pulsante. Lo stesso vale per giochi come Dragon Age: Inquisition e The Witcher 3: Wild Hunt, che hanno utilizzato il 3D per integrare storie complesse direttamente nei loro mondi.

La terza dimensione come strumento di storytelling

Un altro aspetto cruciale dell’introduzione del 3D è stato il modo in cui ha rivoluzionato il racconto. Nei giochi 2D, la storia veniva spesso narrata attraverso dialoghi o scene statiche. Con il 3D, però, è possibile raccontare una storia attraverso l’ambiente stesso.

Prendiamo The Legend of Zelda: Ocarina of Time (1998). Questo gioco non solo ha introdotto un mondo tridimensionale esplorabile, ma ha usato lo spazio per narrare. Ogni villaggio, tempio o campo di Hyrule aveva un significato, una storia da raccontare senza bisogno di parole.

Oppure pensate a giochi come The Witcher 3: Wild Hunt. Qui, la profondità del mondo non è solo estetica: ogni collina, foresta o villaggio racconta una storia, spesso nascosta tra le pieghe di un paesaggio apparentemente naturale. La terza dimensione ha permesso di trasformare il mondo di gioco in un vero e proprio libro, dove ogni angolo è una pagina da scoprire.

Il 3D nei moderni open world: Red Dead Redemption e oltre

L’evoluzione del 3D ha raggiunto un’apoteosi negli open world moderni. Titoli come Red Dead Redemption 2 e Grand Theft Auto V dimostrano quanto sia possibile creare mondi realistici, dove ogni dettaglio è curato. In Red Dead Redemption 2 (un capolavoro che abbiamo anche approfondito), puoi cavalcare per chilometri, immergendoti in una natura selvaggia che sembra viva. Ogni albero, fiume o tramonto contribuisce a creare un’esperienza cinematografica unica.

Anche giochi come No Man’s Sky hanno portato la profondità a livelli inimmaginabili, offrendo interi universi da esplorare. Qui, il 3D non è solo una tecnologia, ma un mezzo per realizzare la promessa del gaming come viaggio infinito.

Conclusione: la profondità come futuro del gaming

Guardando indietro, è incredibile pensare a quanto la terza dimensione abbia trasformato il gaming. Da Street Fighter II a Tekken, da Final Fantasy VII a Dark Souls, ogni passo ha aggiunto uno strato di complessità, immersività e magia.

Ma la profondità non è solo una questione tecnica. È il modo in cui il gioco ti coinvolge, ti immerge e ti sfida a esplorare. E non vedo l’ora di scoprire cosa ci riserva il futuro. Forse mondi ancora più vasti, esperienze ancora più intense, o magari una quarta dimensione? Chissà. Ma una cosa è certa: l’evoluzione non si fermerà mai.

Di Attilio Alvino

La mia vita ruota attorno ai videogame da quando sono nato e, ancora oggi, a 40 anni suonati, continuano ad avere un ruolo fondamentale. Venero il Commodore 64 e prediligo il PC game: datemi tastiera e mouse e vi conquisterò il mondo!

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