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Acquisizioni videoludiche: un rischio di appiattimento della proposta?

L’articolo analizza le recenti acquisizioni da parte di poche major di numerosi sviluppatori videoludici, ipotizzando le conseguenze di queste attività sul futuro dei videogiochi.

1. Introduzione: un panorama in continua evoluzione

Negli ultimi anni, il settore videoludico ha assistito a numerose acquisizioni di grande rilievo. Grandi colossi dell’intrattenimento e della tecnologia — Microsoft, Sony, Tencent, Embracer Group, per citarne alcuni — hanno portato a termine operazioni dal valore miliardario per inglobare studi di sviluppo e publisher di videogiochi. Uno dei casi più eclatanti e discussi è stato l’annuncio dell’acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft, un’operazione dal valore di circa 68,7 miliardi di dollari (in attesa delle definitive approvazioni degli enti regolatori). Proprio la fusione tra un gigante dei videogame come Blizzard (responsabile di titoli storici quali Warcraft, Diablo, Overwatch, Starcraft) e la società di Redmond solleva una domanda cruciale: le acquisizioni di aziende produttrici di videogame da parte delle grandi major creano il rischio di un appiattimento della proposta videoludica?

Per provare a rispondere, è utile adottare uno sguardo di ampio respiro, tenendo conto non solo dei benefici economici e commerciali che simili operazioni comportano, ma anche delle possibili ripercussioni sull’originalità, la diversificazione e la libertà creativa dei progetti futuri. Il modello di business dei colossi dell’intrattenimento si basa molto spesso su un approccio industriale che predilige la sicurezza dell’investimento, specialmente in fase di lancio di titoli “tripla A”. Questo può talvolta tradursi in un maggior controllo dei contenuti e in una spinta verso la standardizzazione. Allo stesso tempo, non bisogna dimenticare che un importante sostegno finanziario può garantire a determinati studi di sviluppo la stabilità e le risorse necessarie per sperimentare. È dunque un tema sfaccettato, che vale la pena esplorare anche mettendolo in relazione con quanto accaduto in altri settori dell’entertainment, come il cinema.

2. L’esempio emblematico: Microsoft e Activision Blizzard

Il caso più recente e controverso, come accennato, è quello di Microsoft che, dopo l’acquisizione di Bethesda nel 2020 (tramite la casa madre ZeniMax Media), ha manifestato esplicitamente l’intenzione di incorporare Activision Blizzard. Per Microsoft, già proprietaria del marchio Xbox e di importanti franchise come Halo, si tratta di un salto ulteriore verso la creazione di un vero e proprio ecosistema videoludico. L’operazione, nella visione del CEO di Microsoft, Gaming Phil Spencer, dovrebbe portare sotto lo stesso tetto titoli iconici come Call of Duty, Warcraft, Diablo, Overwatch, oltre a una serie di importanti giochi mobile (tramite la sussidiaria King, responsabile del popolare Candy Crush).

A primo impatto, l’acquisizione sembra vantaggiosa per entrambe le parti:

  • Microsoft rafforza la sua posizione competitiva, arricchisce l’offerta del Game Pass e aggiunge al proprio portfolio una base di utenti ampissima (pensiamo ai milioni di giocatori di Call of Duty e World of Warcraft).
  • Activision Blizzard trova un nuovo “ombrello” finanziario e strutturale che potrebbe risolvere le difficoltà e le controversie che hanno investito l’azienda negli ultimi anni (come le accuse di mobbing, sessismo e cattiva gestione interna).

Tuttavia, i dubbi riguardano proprio la direzione creativa dei prodotti futuri. Se da un lato Microsoft può lasciare grande autonomia ai team di sviluppo — come dichiarato anche per Bethesda — dall’altro c’è il timore che la volontà di massimizzare i profitti e il bisogno di proteggere grandi investimenti possano tradursi in prodotti più “calcolati” e meno rischiosi. Accadrà che Blizzard torni all’antico splendore o che, al contrario, venga appiattita in un modello di “servizio” che predilige i giochi come piattaforma continua e monetizzabile? Ancora non è dato saperlo, ma la comunità di videogiocatori e gli addetti ai lavori sono molto attenti a questi sviluppi.

3. Altre acquisizioni dalle major e i segnali del mercato

Oltre al caso Blizzard-Microsoft, negli ultimi anni si sono susseguite altre operazioni di grande calibro. Sony, rivale storica di Microsoft, ha acquisito diversi studi, tra cui il recente caso di Bungie, celebre per aver creato la serie Halo prima e poi Destiny. Nonostante Bungie non sia più legata a Halo (ora brand di Microsoft), la sua esperienza nei giochi online persistenti (live service, vedi questo articolo per approfondire) potrebbe rivelarsi preziosa per Sony, che punta a diversificare il proprio catalogo. A sua volta, Sony ha acquisito studi come Insomniac Games (noti per Spider-Man e Ratchet & Clank), Housemarque (Returnal) e Bluepoint Games (specializzato in remake di alta qualità).

Un altro grande protagonista sullo scenario delle acquisizioni è il Gruppo Embracer, conglomerato svedese che in pochi anni ha acquisito una miriade di software house, tra cui Gearbox (autori di Borderlands), THQ Nordic, Deep Silver, Saber Interactive e molte altre etichette minori. Se da un lato Embracer dichiara di voler lasciare autonomia creativa agli studi, dall’altro questa “bulimia” di acquisizioni ha un potenziale effetto di concentrazione del mercato.

Electronic Arts (EA), dal canto suo, è famosa per aver inglobato nel corso degli anni numerosi studi (BioWare, DICE, Respawn Entertainment) e molti appassionati sostengono che, in alcuni casi, l’originalità di queste software house si sia diluita nel tempo. Va però detto che Respawn ha comunque sviluppato con successo titoli come Apex Legends e Star Wars Jedi: Fallen Order, dimostrando che l’acquisizione non sempre porta a un conformismo totale.

4. Il rischio di appiattimento e la questione della creatività

Major

Uno dei maggiori timori legati a queste acquisizioni è la prospettiva di un’industria sempre più polarizzata attorno a pochi, grandi poli di potere. In un mercato dominato da un numero ristretto di giganti, c’è il rischio che:

  1. La concorrenza diminuisca, e quindi il consumatore si ritrovi con meno scelta o con dinamiche di prezzo meno favorevoli.
  2. La creatività venga compressa, poiché gli investimenti più ingenti tendono a focalizzarsi su franchising di successo o su formule già testate, lasciando meno spazio a progetti sperimentali.
  3. Gli studi “indipendenti” facciano fatica a emergere o a rimanere sul mercato, a meno che non si specializzino in nicchie di mercato o non trovino un pubblico di riferimento su piattaforme come Steam, Epic Games Store o i servizi in abbonamento.

Tuttavia, ci sono due lati della medaglia:

  • Lato positivo: un colosso finanziario fornisce capitali e stabilità, coprendo i costi di produzione e marketing, permettendo a uno studio talentuoso di concentrarsi sulla qualità. Grazie ai fondi, i team di sviluppo possono assumere personale, migliorare gli strumenti di lavoro e dedicarsi a progetti ambiziosi.
  • Lato negativo: i grandi gruppi, talvolta, dettano politiche di monetizzazione invasive (microtransazioni, DLC eccessivi, pass stagionali), riducono i tempi di produzione o impongono linee editoriali per massimizzare gli incassi, portando il rischio di “snaturare” il DNA di certi franchise o di frenare la creatività degli sviluppatori.

5. Il confronto con le major dell’industria cinematografica


Per capire più a fondo la questione, è istruttivo guardare all’evoluzione di altri ambiti culturali, in particolare il cinema e l’intrattenimento audiovisivo. L’acquisizione di Marvel Studios da parte della Disney è un esempio lampante di come un grande conglomerato possa, da un lato, conferire alla proprietà intellettuale ingenti risorse e un’ampia struttura distributiva, dall’altro orientarne lo stile e il target.

Prima di entrare nell’orbita Disney, il brand Marvel aveva prodotto film più “ruvidi” e, in alcuni casi, vicini allo spirito originale dei fumetti, con toni più dark o realistici, benché ci fossero ovviamente già esempi di cinema più “leggero” (come la trilogia di Spider-Man di Sam Raimi). Con Disney, il Marvel Cinematic Universe (MCU) ha assunto una continuità estetica e narrativa molto più marcata, dominata dal tipico taglio “family friendly” e da una certa vena umoristica ricorrente. Questo non ha impedito alla Marvel di sfornare successi planetari (Avengers, Black Panther, Doctor Strange) e di espandere il proprio universo a serie TV e spin-off su Disney+. Tuttavia, alcuni fan di vecchia data si lamentano che si sia perso un po’ di coraggio, optando per un approccio più accomodante e rassicurante, in grado di raggiungere il pubblico più vasto possibile.

Mondi a confronto

Un altro esempio è l’acquisizione di Lucasfilm (e quindi di Star Wars) da parte di Disney. Anche qui, la storia di Star Wars ha subito un’evoluzione controversa: film e prodotti molto costosi e spettacolari, ma spesso criticati per scelte narrative che puntano a non alienare fasce di pubblico, sacrificando in parte l’originalità o la coerenza interna alla saga.

Questi casi cinematografici sono interessanti da confrontare con i videogiochi: la grande azienda (Disney, in questo caso) mette a disposizione un’enorme potenza di fuoco economica e distributiva, incrementa la visibilità dei prodotti e uniforma lo stile per avere un output costante, riconoscibile e adatto a tutti. Nel videoludico, Microsoft, Sony o altre major potrebbero perseguire strategie simili: investire in brand già noti, applicare logiche di cross-media e realizzare prodotti fortemente integrati in un ecosistema di abbonamenti e servizi. Se, da un lato, ciò comporta un’ottima solidità commerciale (e può portare a nuovi giochi ad alto budget, come i “blockbuster” cinematografici), dall’altro c’è il rischio di un “effetto catena di montaggio”, dove molti titoli finiscono per assomigliarsi nella struttura e nel tono, puntando alla monetizzazione su lungo periodo.

6. Il ruolo del pubblico e dei mercati emergenti


Un fattore che non va trascurato in questo discorso è il ruolo del pubblico. Le grandi aziende, infatti, spesso adattano i propri prodotti in funzione delle preferenze di mercato e del potenziale ritorno economico. Se la stragrande maggioranza dei giocatori (o spettatori, nel caso del cinema) preferisce produzioni più “leggere” e facilmente fruibili, le major tenderanno a seguire quella linea. D’altro canto, la richiesta di esperienze più complesse, mature o di nicchia può trovare spazio nella scena indie o in produzioni “AA” (intermedie), che riescono a sopravvivere grazie alle piattaforme digitali o al crowdfunding.

Major

Il mercato cinese, ad esempio, è diventato estremamente rilevante e, spesso, le grandi produzioni si adattano per ottenere permessi di distribuzione in quell’area, influenzando così i contenuti del gioco (o del film). Ciò può spingere verso una certa “globalizzazione” delle tematiche e degli stili, dove si limita al minimo qualunque elemento possa essere considerato divisivo o rischioso.

7. La “zuccherosità” e la standardizzazione


Il termine “zuccheroso” è stato spesso associato all’influenza che Disney ha avuto su Marvel e su altre IP acquisite. È un aggettivo che implica un’eccessiva dolcezza, semplificazione o “edulcorazione” dei contenuti, finalizzata a renderli fruibili al più ampio pubblico possibile, includendo fasce d’età molto basse. In ambito videoludico, un fenomeno analogo potrebbe manifestarsi in scelte di design meno ardite, nella riduzione di contenuti violenti, tematiche adulte o complesse, e nell’adozione di meccaniche di gioco fortemente consolidate (open world con missioni ripetitive, schemi di progressione standard, microtransazioni e shop interni).

Tuttavia, non è detto che l’acquisizione da parte di una major implichi inevitabilmente questo percorso. Alcune software house acquistate mantengono il proprio stile di produzione, soprattutto se l’identità del brand è forte e se il successo di pubblico dipende proprio dall’originalità. Ad esempio, FromSoftware (sebbene non di proprietà totale di una singola major, ma con partecipazioni da parte di Kadokawa, Tencent e Sony) continua a proporre giochi soulslike impegnativi e atmosfere cupe, nonostante il successo commerciale di Elden Ring e Dark Souls. La differenza, quindi, può risiedere anche nella volontà del publisher di preservare l’autonomia creativa dello studio.

8. Difendere la diversità: l’importanza del settore indipendente

Major


Mentre i grandi conglomerati si contendono gli studi tripla A e le IP più forti, il mercato dei videogiochi indipendenti (indie) continua a crescere, offrendo un’alternativa. Grazie alla diffusione di piattaforme digitali (Steam, Epic Games Store, GOG, itch.io), agli abbonamenti (Game Pass, PlayStation Plus), ai finanziamenti dal basso (Kickstarter, Patreon) e a servizi di pubblicazione più accessibili, piccoli team possono ancora raggiungere il pubblico senza passare attraverso i colossi. Questo fenomeno promuove la diversità dell’offerta, poiché consente a sviluppatori coraggiosi di sperimentare linguaggi narrativi, meccaniche innovative e generi di nicchia.

Se i titoli indipendenti riescono a distinguersi e a farsi amare (pensiamo a casi di successo come Undertale, Stardew Valley, Hades o Cuphead), dimostrano che c’è spazio per la creatività e che il pubblico, o almeno una parte di esso, è disposto a premiare la varietà. Inoltre, a volte, progetti indie di grande successo possono diventare l’oggetto di ulteriori acquisizioni, come accaduto per Mojang (creatrice di Minecraft), assorbita da Microsoft per 2,5 miliardi di dollari nel 2014. In quel caso, per fortuna, Minecraft ha continuato a prosperare ed espandersi, mantenendo una certa coerenza con la sua identità originaria.

9. Possibili scenari futuri


Nell’immediato futuro, è plausibile che la tendenza alle acquisizioni continui. La progressiva digitalizzazione del mercato (con vendite online e servizi di streaming ludico come Xbox Cloud Gaming, Nvidia GeForce Now, PlayStation Now) rende sempre più importanti le “librerie” di contenuti, che siano videogiochi o film. Proprio come Netflix ha consolidato la sua posizione puntando sulla quantità e varietà di serie e film, Microsoft e Sony potrebbero competere principalmente sul catalogo esclusivo offerto da Game Pass e PlayStation Plus.

In questo scenario, chi detiene i diritti su importanti IP (Call of Duty, GTA, FIFA, Pokémon, Final Fantasy, ecc.) avrà un forte vantaggio competitivo. Di conseguenza, l’appetito per l’acquisizione di publisher e studi detentori di IP celebri è destinato a rimanere elevato, con il rischio di una progressiva concentrazione. D’altra parte, se i consumatori risponderanno positivamente a modelli di abbonamento che includono una vasta gamma di giochi, si creerà più domanda di prodotti diversificati per arricchire tali cataloghi. Paradossalmente, ciò potrebbe anche favorire la nascita di nuovi progetti, purché si adattino a modelli di business “compatibili” (live service, espansioni regolari, co-op, e così via).

10. Conclusione: tra opportunità e timori


Le acquisizioni di aziende produttrici di videogame da parte delle major rappresentano un fenomeno inevitabile in un’industria da miliardi di dollari, in cui le economie di scala e la ricerca di IP di successo spingono verso la concentrazione. Questa situazione solleva l’interrogativo sulla possibile perdita di originalità e varietà nell’offerta videoludica. Come abbiamo visto confrontandoci anche con il settore cinematografico, l’aggregazione di realtà indipendenti sotto un unico grande marchio può garantire risorse e piattaforme distributive più forti, ma al contempo può portare a un allineamento verso i gusti mainstream, con toni più “zuccherosi” o comunque più sicuri in termini commerciali.

Il caso di Blizzard sotto l’egida di Microsoft (se l’acquisizione verrà definitivamente approvata), così come quelli di tanti altri studi e publisher, ci ricorda che molto dipende dalle politiche aziendali adottate dal conglomerato acquirente: una major ben disposta a investire su progetti innovativi e a lasciare margine creativo può effettivamente alzare la qualità dei prodotti. Al contrario, una gestione troppo rigida, ossessionata dal rendimento immediato, rischia di omologare i titoli e di spingere verso formule standard, riducendo la gamma di possibilità.

Gli indicatori chiave

Rimane dunque fondamentale:

  • Monitorare l’evoluzione di queste fusioni e acquisizioni, per comprendere l’impatto sull’ecosistema generale del gaming.
  • Supportare le produzioni indipendenti o sperimentali, spesso fonte di idee rivoluzionarie e ricchezza creativa.
  • Valutare con spirito critico i prodotti “tripla A” rilasciati dopo le fusioni, così da capire se effettivamente l’appiattimento (o la “zuccherosità”) stia prendendo piede, o se ci siano casi virtuosi di grande successo artistico e commerciale.

In definitiva, è impossibile ignorare che l’industria dei videogiochi si muove sempre più verso grandi conglomerati, proprio come avvenuto nel cinema e in altri settori dell’intrattenimento. La sfida principale è mantenere viva la diversità di stili e idee, affinché l’arte videoludica continui a evolversi e a sorprendere il pubblico. Se ci riuscirà, anche in un panorama dominato dalle major, è una questione che si deciderà soprattutto sulla base delle scelte strategiche di questi grandi gruppi, della reazione del mercato e della passione e intraprendenza degli sviluppatori. Per ora, la storia ci insegna che dove c’è domanda di creatività e innovazione, un modo per emergere si trova — anche sotto l’ombrello delle acquisizioni.

Di Attilio Alvino

La mia vita ruota attorno ai videogame da quando sono nato e, ancora oggi, a 40 anni suonati, continuano ad avere un ruolo fondamentale. Venero il Commodore 64 e prediligo il PC game: datemi tastiera e mouse e vi conquisterò il mondo!

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