Cosa rende un personaggio un buon personaggio? La forza di un protagonista deriva dalle sue azioni o da un innata abilità ricevuta alla nascita? Domande che sceneggiatori e autori si sono fatti centinaia di volte. Creatori di storie ed universi in tutto il panorama di intrattenimento. Film, libri, anime e fumetti, ma è nel videogioco che tutto brilla di più. La possibilità di poter interagire con il mondo intorno a noi rende i giocatori non solo spettatori, ma attori attivi nelle vicende vissute.
È proprio questa interattività a far entrare nei nostri cuori i personaggi che incontriamo e impersoniamo, ma non è tutto oro ciò che luccica. Protagonisti stereotipati, caricaturali, scialbi e chi più ne ha più ne metta. Il lavoro dello scrittore non è di certo facile, ma sembra diventare più arduo quando si tratta di scrivere dei bei personaggi femminili. Parlare di personaggi femminili è sempre un argomento spinoso, soprattutto perchè si è sempre sperimentato poco con loro. Negli anni non era infatti strano vedere la solita fotocopia del “middle- aged-bearded-man” invadere le posizioni da protagonista nei grandi titoli del passato.
Quando si parla di personaggi donna nei videogiochi ci vengono subito in mente grandi icone del passato, come ad esempio Lara Croft o Chun-Li, per nominarle alcune, ma nel panorama videoludico si nascondono gemme forse più brillanti delle iconiche “Donne forti” che siamo abituati a vedere senza alcuna debolezza o paura. Troppe volte infatti questa assenza di difetti è stata “appiccicata” alle nostre protagoniste preferite quasi come a mascherare una pigrizia di scrittura. Create con lo stesso stampino delle loro controparti maschili, si mescolano in un calderone di banalità, fuoriuscendone sterili. Forse la colpa è proprio di chi è troppo abituato a scrivere di protagonisti maschili o forse la colpa è del pubblico, che desidera solo immedesimarsi in quello.
Come si può risolvere quindi la caratterizzazione asettica dei personaggi femminili? Basterebbe semplicemente non renderli ne irragionevolmente forti ne esageratamente deboli. Sono proprio le debolezze a forgiare un individuo più forte, a dare quel colore in più, a rendere umani qualche decina di pixel. E se il tutto si unisce ad una sensibilità emotiva tipica femminile avremmo personaggi stupendi, come ad esempio: Madeline di Celeste.
Madeline, durante la sua avventura, dovrà affrontare forse il nemico più temibile di tutti: la depressione. Scalando l’altissima montagna di nome Celeste, dovrà combattere la parte più oscura di se stessa, che la ostacolerà costantemente infondendola di paura e rabbia. Questo è un personaggio che esce dai soliti “Standard da protagonista”, traendo forza non dall’assenza di paura, ma dalla propria sensibilità, coraggio e determinazione; non rifiutando una mano dagli amici incontrati sul percorso. La fragilità diventa la base per la ricostruzione di una Madeline nuova, in grado di far pace con i propri dubbi e la propria parte “malvagia”. Un esempio di come l’emotività può creare un personaggio forte anche senza l’uso di bicipiti performanti o destini profetizzati.
Talvolta negare la differenza fisiologica può creare discrepanze troppo evidenti e irrealistiche, rischiando di creare personaggi macchietta. Molte volte però si fa il contrario, ovvero accentuarle fino all’estremo. Dove manca una buona scrittura a volte si rimedia con forme prosperose, atte semplicemente a far dimenticare al giocatore la vuotezza di chi ha di fronte. In realtà queste potrebbero essere interpretate come scelte artistiche, ma è assai difficile saper muoversi in questa realtà, cadere nello stereotipo sessista è tanto spaventoso quanto frequente. Questo però non significa che là fuori esistano solamente personaggi donna volgari, assolutamente no. Sfruttare le caratteristiche del proprio sesso può essere molto vantaggioso se si ha una base solida. Base che Hideo Kojima riesce a costruire d’acciaio, creando un personaggio sicuramente indimenticabile per i tempi: Eva in Metal Gear Solid 3: Snake Eater.
Questa volta parliamo di un personaggio secondario, donna dai molteplici nomi, Eva è una spia doppiogiochista incaricata dal KGB di recuperare dati importanti sulla realizzazione di una nuova arma sperimentale. Nel corso della sua missione incontrerà il nostro caro Naked Snake, instaurando un rapporto indimenticabile sia con lui che con il giocatore. La terra del sol levante è solita sfornare personaggi femminili molto disinibiti, un modo facile e veloce per creare figure che spiccano nella memoria del giocatore, talvolta persino create appositamente per mandarle “in pasto” alle fantasie del pubblico.
Eva quindi potrebbe sembrare il prodotto di un ennesimo fan service, ma così non è. Ispiratissima ai personaggi del mondo di James Bond, Eva incarna la figura della femme fatale. Una donna intelligente e senza scrupoli, che conosce bene l’arte della seduzione. Eva trae forza dalla sua femminilità e dalla sua comprensione delle emozioni umane, cosa che pochi personaggi donna fanno. Intelligenza, furbizia, mentalità strategica, sensibilità; queste sono le caratteristiche di un personaggio che si fonda sul suo essere donna, in un muoversi in un confine tra genio e volgare che solo il Kojima dei tempi d’oro poteva manovrare.
Uno dei motivi per cui è così difficile creare personaggi femminili che risaltino sta proprio nel ruolo a cui di solito sono relegate. Da sempre nei titoli del passato le donne sono sempre state un supporto al giocatore o al protagonista, utilizzando una caratterizzazione di base che potesse essere facilmente ripetibile nel mondo di gioco. Quasi delle NPC insomma. Possiamo però dire con orgoglio che negli ultimi tempi questo ruolo sta cambiando, anche grazie alle maggiori sperimentazioni che si stanno facendo. Perché la chiave per la comprensione del problema è proprio quella: sperimentare. Per paura di creare qualcosa di non immedesimante per i giocatori non si è mai osato troppo con i personaggi donna (essendo la maggior parte dei giocatori del passato degli uomini), e anche se talvolta è rischioso farlo, provare a fare qualcosa innovativo è sempre la strada migliore. Questa stessa strada ci ha portato personaggi come Ellie in The Last of Us.
Non saranno di certo le mie parole a convincere della bellezza di questo personaggio, probabilmente ogni giocatore se ne sarà già accorto da sé. Abbiamo conosciuto Ellie quando aveva solo 14 anni e l’abbiamo vista crescere in un mondo avvizzito, privata di ogni momento felice. Sono numerose le esperienze traumatiche che hanno reso Ellie quasi insensibile alla violenza, ma mai le hanno impedito di amare o versare lacrime per i propri cari. Ellie è solo una ragazza in un mondo di gente più forte, armata e organizzata di lei, ma grazie a furbizia, scaltrezza e un pizzico di fortuna riuscirà sempre ad avere la meglio.
Durante il gameplay ci si potrebbe persino scordare di star giocando un personaggio femminile. Questo vuol dire che ci troviamo di fronte ad un protagonista scritto estremamente bene, in grado di empatizzare con qualunque giocatore, nonostante il sesso o l’età. Una figura che non trae forza dalla propria femminilità, ma bensì dalla propria individualità.
Conclusione
Si sarebbe potuto parlare di molteplici altri personaggi donna che hanno saputo bucare lo schermo con equivalente vigore, ma le tre che abbiamo appena visto riescono, tramite le loro accentuate diversità, a riassumere le caratteristiche principali che accomunano la maggior parte delle eroine dei nostri videogiochi preferiti.
Quindi, cosa rende un personaggio femminile un buon personaggio? Probabilmente la risposta si cela in quella linea grigia tra lo sfruttamento delle peculiarità del proprio sesso e la negazione dello stesso.
Una matassa non facile da districare, ma che con il passare del tempo, e con l’aumentare delle sperimentazioni, riuscirà a regalarci altre straordinarie donne protagonista e non. In un mercato oramai saturo di quell’ideale di élite maschile che da sempre aleggia nell’immaginario del panorama videoludico.